APPROFONDIMENTO | La medicina nell’antico Egitto, dolori e rimedi millenari
Secondo gli egizi la vita è infinita; si muore solo perché ci sono accidenti imprevisti che la spezzano, momentaneamente. Per gli egiziani, infatti, nulla finisce, ma tutto passa e si trasforma. E, inoltre, non sembra esistere la morte per natura: l’uomo perde la vita a causa di qualcuno o di qualcosa (un altro uomo, un animale, un oggetto inanimato, una pietra). Oppure è un dio, uno spirito maligno che s’insinua in un individuo: gli rompe le ossa, gli succhia il sangue, ne rode le viscere e il cuore; man mano che lo spirito progredisce nell’opera distruttrice, la vittima deperisce.
Quindi per far guarire un malato occorrono due cose: scoprire la natura dello spirito che si è impossessato del paziente, poi non dargli tregua e scacciarlo o distruggerlo. Perciò solo un “mago” può guarire un malato con formule e amuleti. Nonostante questo sottilissimo limite tra magia rituale e medicina, nell’Egitto antico si era sviluppata una importante tradizione medica, attenta alla varietà di sintomi e capace di disporre di una notevole varietà di rimedi.
Imhotep, architetto e medico
Imhotep fu un architetto, poeta, scriba e medico, vissuto al tempo di Djoser, III dinastia. Alla corte del sovrano, Imhotep aveva ruoli di un certo rilievo. Oltre ad essere capo architetto, Imhotep aveva i titoli di primo sacerdote di Heliopolis e di cancelliere del re dell’Alto e del Basso Egitto, essendo quindi preposto agli scritti teologici e ai decreti reali. In epoca tolemaica, in virtù della sua fama come medico, venne divinizzato e considerato il dio egizio della medicina.
Fu probabilmente il primo a scoprire e a studiare i batteri e, quindi, a sperimentare le soluzioni antibatteriche che poi diedero importanti risultati per quanto riguarda malattie degli occhi. Gli egiziani, infatti, grazie ai processi di imbalsamazione, hanno avuto la possibilità di analizzare da vicino il corpo umano, di studiarne eventuali patologie e di perfezionare le tecniche di conservazione. Le cavità toraciche e addominali dei corpi imbalsamati, infatti, venivano svuotate delle viscere e riempite con sostanze dalle proprietà antisettiche in modo da dare volume al corpo e da evitare la proliferazione batterica.
I papiri medici
Non sono molte le evidenze materiali e mancano, di certo, trattati di medicina veri e propri. Tuttavia ci sono una serie di papiri che trattano dell’applicazione di vari rimedi da somministrare in caso di specifiche malattie. Tra i più importanti c’è il papiro “Edwin Smith” (1650 a.C.), un rotolo di 4,5 metri, che contiene un trattato di patologia interna e chirurgia ossea. Questo papiro elenca 48 casi di ferite e lesioni con le corrispondenti terapie. Il suo contenuto è principalmente chirurgico, ma include anche l’esame obiettivo: diagnosi, trattamento e prognosi di numerose patologie. Un particolare interesse si rivolge a diverse tecniche chirurgiche e descrizioni anatomiche, ottenute nel corso dei processi di imbalsamazione.
Il papiro “Ebers” (1550 a.C.), poi, è uno dei più importanti e dei più grandi documenti scritti dell’antico Egitto. Misura più di 20 metri di lunghezza e 20 centimetri di larghezza. Contiene nozioni di anatomia, un elenco con patologie e relative cure, rimedi per moltissime malattie: dalla tosse ai problemi cardiaci e novecento ricette di farmaci. Sebbene probabilmente avesse versioni più antiche, il papiro sembra datarsi al XVI sec. a.C., al periodo di Amenhotep I, XVIII dinastia.
Contiene 877 formule che descrivono numerose malattie in vari campi della medicina: la chirurgia, la medicina generale, la pediatria, la gerontologia, l’oftalmologia, la ginecologia, la gastroenterologia. A quest’ultima sezione è dedicata un’ampia parte con molte formule per la risoluzione dei dolori allo stomaco. La formula n. 86 recita: «Una medicina per spezzare il dolore allo stomaco: carne fresca di bue; resina di terebinto; meliloto; bacche di ginepro; pane fresco; birra dolce. Pestare insieme e filtrare il tutto. Da bere per 4 giorni».
Questo papiro, inoltre, include la prima relazione scritta sui tumori.
Inoltre, compare per la prima volta la parola “cervello”, del quale vengono accuratamente descritte la forma, le circonvoluzioni e le meningi. Contiene anche una raccolta di formule da recitare prima di applicare un rimedio; per ogni organo del corpo è riportata una formula differente.
Un’altra importante fonte è il papiro “Kahum”, 1850 a.C., che è un compendio di ginecologia, ma tratta anche di materie come veterinaria e aritmetica. Il papiro riporta, inoltre, anche una malattia “che divora i tessuti ”: il cancro.
La figura del guaritore
Dal papiro “Ebers”, inoltre, apprendiamo che l’esercizio della medicina era affidato a tre categorie di guaritori: medici, chirurghi e guaritori. I medici curavano il malato con la somministrazione di rimedi, i secondi si occupavano della cura di ferite e fratture, mentre gli “stregoni”, riconoscendo delle forze magiche come causa delle malattie, curavano con incantesimi, esorcismi, formule e amuleti.
I medici dell’antico Egitto erano molto numerosi ed esisteva una precisa gerarchia: a capo vi era il medico personale del faraone, seguiva il supervisore e l’ispettore medico, i medici meno importanti e i medici di base. La formazione avveniva presso le “case della vita“, poste vicino ai templi. Non si trattava di vere e proprie scuole, ma erano più enormi biblioteche. I medici si dovevano attenere alle pratiche mediche tradizionali e si rifiutavano di curare i malati terminali. I medici ordinari erano affiancati dai professionisti di grado superiore, gli ispettori e i sovrintendenti.
Le malattie
I papiri di medicina egizi mostrano che gli antichi medici conoscevano più di 320 malattie e 180 farmaci. Tra le malattie più diffuse sembra ci fossero disturbi gastrointestinali, arteriosclerosi, vaiolo, peste, tubercolosi, lebbra, appendicite e polmonite.
Si stabiliva la diagnosi attraverso i sintomi. Si compilava un questionario sull’aspetto, stato di coscienza, udito, odore del corpo, secrezioni, tumefazioni, temperatura e polso. Si procedeva con controlli delle urine, delle feci e dell’espettorato. Dopo l’esame il medico pronunciava una delle seguenti prognosi: «è un male che curerò» (prognosi favorevole); «è un male che combatterò» (prognosi incerta); «è un male che non curerò» (prognosi sfavorevole).
I disturbi mentali si curavano con esorcismi. La medicina, così come ogni ambito della vita degli antichi egiziani, era strettamente connessa con la dimensione rituale. Ogni parte del corpo umano ed ogni malattia erano così associate a una divinità.
Chirurgia
Assai progredita era la chirurgia e la sutura delle ferite. Venivano utilizzati strumenti chirurgici del tutto simili a quelli in uso nei nostri ospedali per operare i malati. Sembra siano stati effettuati con successo anche interventi per scongiurare i tumori, mentre sono noti i clamorosi successi in fatto di applicazione di arti artificiali che consentivano ai pazienti di proseguire in tutta normalità la loro vita. Un ritrovamento ha portato alla luce i resti di una donna alla quale fu amputato l’alluce di un piede e quindi applicata una protesi di legno che, nella sua semplicità, era di una efficacia straordinaria e permise alla donna di camminare ancora per molti anni dopo l’intervento.
La chirurgia riguardava soprattutto la riduzione delle fratture, l’estrazione di calcoli, le operazioni all’occhio, l’asportazione di tumori esterni, la circoncisione. Di fatto, gli egizi conoscevano vari mezzi per praticare una sorta di anestesia con una speciale “pietra” che si trovava vicino Menfi. La pietra veniva ridotta in polvere e applicata sulla parte dolorante, da cui faceva scomparire ogni dolore. Forse si trattava semplicemente di pezzetti di bitume che, a contatto con la fiamma, sprigionavano vapori che assopivano il paziente. Venivano anche sfruttati, a scopo anestetico, gli effetti sedativi del coriandolo, della polvere di carruba e, verosimilmente, anche dell’oppio. Gli attrezzi più comuni di un medico erano pinze, coltelli, fili di sutura, schegge, trapani e ponti dentari.
Farmacia antico-egiziana
La funzione di farmacista veniva generalmente svolta dai sacerdoti e dai medici. La farmacopea del tempo includeva sostanze medicinali vegetali. Era comune l’uso di lassativi come fichi, datteri e olio di ricino. Le indicazioni relative alle varie terapie sono molto precise e nel solo papiro “Ebers” sono menzionati 500 diversi medicamenti con le varie forme di confezionamento e di somministrazione di polveri, tisane, decotti, pastiglie. Le medicine erano tutte a base di grasso, acqua, latte, vino, birra.
A questi si aggiungeva, per renderli più graditi, un po’ di miele. I medicamenti erano di origine vegetale, animale o, più raramente, minerale (ferro, piombo, antimonio), molti dei quali figurano ancora nella moderna farmacopea. Una pianta certamente nota in Egitto era la mandragora che, per il suo inconfondibile aspetto antropomorfo, ha attirato su di sé leggende, credenze e superstizioni sino ai nostri giorni. Quest’ultima, insieme ad altre erbe con proprietà psicotrope, veniva usata per lenire il dolore. E, ancora, il sicomoro, di cui gli Egiziani utilizzavano le foglie contro l’ittero e il veleno dei serpenti. I frutti, invece, ricchi di minerali come potassio, calcio, fosforo e magnesio, venivano utilizzati contro la dissenteria, la tosse e le infezioni della gola.
Grasso animale e altri rimedi
I rimedi da applicare sotto forma di unguenti erano veicolati attraverso sostanze grasse, i rimedi per i disturbi femminili consistevano in lavande, quelli per gli occhi e per le orecchie erano sotto forma di gocce, mentre i rimedi per le malattie polmonari consistevano in fumigazioni. L’uso di sottolineare gli occhi con la riga nera fungeva anche da misura profilattica. Il pigmento nero che usavano per questo scopo conteneva sali di antimonio, un minerale usato per la cura delle infezioni oculari e per la protezione degli occhi dal forte riverbero solare.
Le malattie parassitarie erano sicuramente tra quelle più comuni e venivano curate con molti rimedi. I più comuni erano a base di trementina, giusquiamo in polvere e radice di melograno. Sembra anche che gli egiziani usassero il pane con la muffa contro le infezioni in quanto risultava efficace per la sua azione antibiotica.
Probabilmente conoscevano il diabete perché nei papiri medici è presente il rimedio per ridurre l’eccessiva quantità di urina (la poliuria, infatti, è uno dei sintomi principali della malattia). La formula n. 263 del papiro “Ebers” infatti recita: «Un rimedio per regolare l’urina: pannocchia di canna 1/8; radice di brionia 1/4; miele; bacche di ginepro 1/4; acqua. Il tutto filtrato. Da bere per 4 giorni».
Birra, purganti e sanguisughe come rimedi
Ma un rimedio molto in uso era la birra. Non era usata solo come componente liquida di numerosi medicamenti, ma anche come medicina per i disturbi intestinali, contro le infiammazioni e le ulcere delle gambe. L’effetto disinfettante era verosimilmente dovuto al lievito, che produceva un’azione antibiotica, come anche il pane ammuffito, prescritto in altre formule ed efficace per la sua azione antibiotica.
Tra i purganti più in uso figurano l’olio di ricino e la senna (cassia angustifolia). Ma gli egizi praticavano anche il clistere. Sembra che questa pratica sia stata loro ispirata dall’ibis che introduce il lungo becco aguzzo nel proprio retto, irrigandolo a scopo di pulizia. L’enteroclisma veniva effettuato con l’aiuto di un corno, impiegando come lavanda bile di bue, oli o sostanze medicamentose. È certo che i medici egizi si servirono delle sanguisughe per decongestionare le parti infiammate, ma è dubbio se conoscessero la tecnica del salasso.
Ginecologia
Notevoli erano anche le conoscenze in tema di ostetrica e di contraccezione. Quando cominciavano le doglie, i metodi per facilitare il parto erano diversi: accovacciarsi sui talloni su di una stuoia, oppure sopra quattro mattoni separati tra di loro per favorire l’uscita del bambino. Anche la contraccezione veniva praticata con metodi magici, ma anche a base di pozioni o di applicazioni locali.
Ci furono anche medici donne. Al contrario di quanto si possa pensare, la donna della civiltà egizia era tenuta in grandissima considerazione. Nonostante ciò, non ci sono molte evidenze materiali (così come anche per le figure maschili). La prima dottoressa conosciuta, però, sembra sia stata Peseshet, che esercitò la sua attività durante la IV Dinastia. Al ruolo di supervisore abbinava quello di levatrice in una scuola medica a Sais.
Di Oriana Crasì e Chiara Di Martino
Tutto veramente interessante e sorprendente