Autore: Redazione ArcheoMe

Approfondimento

“Bella ciao”, storia di un inno popolare

Una mattina mi son svegliato, / o bella, ciao! Bella, ciao! Bella, ciao, ciao, ciao! / Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor! è impossibile non leggerla cantando! Ormai da decenni questo canto popolare è entrato a far parte delle nostre vite e si è diffuso anche a livello internazionale. Il testo canta gli ideali della libertà, della resistenza contro le dittature e gli estremismi. Per questo Bella Ciao è considerata il simbolo della resistenza italiana.

Associato alla Giornata della Liberazione, il 25 Aprile, Bella Ciao è un canto popolare di cui non si conosce l’autore. Raggiunge la sua fama a seguito della Liberazione perché idealmente legato al movimento partigiano.

bella ciao

Un po’ di storia

Nei diversi studi, alcuni storici della canzone italiana vedrebbero all’origine di Bella Ciao un canto del mondo contadino. Sembra che fosse intonato dalle mondine che, in una prima versione, cantavano dello sfiorire della giovinezza causata dal duro lavoro nelle risaie. Un’altra versione la lega, invece, a una ballata francese del Cinquecento. Una terza versione trova che le melodie abbiano influenze Yddish, in particolare la canzone Koilen registrata da un fisarmonicista Klezmer di origini ucraine, Mishka Ziganoff, nel 1919 a New York.

La Bella ciao partigiana invece, secondo i più, riprendeva nella parte testuale la struttura diFior di tomba, un canto diffuso nel nord Italia.

Sebbene il canto inizi a coincidere con il simbolo dell’intero partito partigiano solo a guerra finita, uno studio di Cesare Bermani dimostra che alcuni gruppi partigiani lo avevano scelto come proprio inno. “Non è vero che Bella ciao non sia stata cantata durante la Resistenza” – dice lo studioso. Continua: “Era l’inno di combattimento della leggendaria Brigata Maiella in Abruzzo, cantato dalla brigata nel 1944. I suoi componenti lo portarono a Nord dopo la liberazione del Centro Italia, quando aderirono come volontari al corpo italiano di liberazione”.

bella ciao
La Brigata Maiella per la liberazione di Bologna (fonte: La Prima Pagina)

Secondo Bermani, non si pensa ad associarla, di fatto, a tutti i partigiani per un errore di prospettiva. Si tende a pensare maggiormente che la Resistenza, e quindi il canto partigiano, fossero un fenomeno settentrionale. 

Un inno che attraversa la storia

La popolarità internazionale di Bella ciao inizia tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’50, in occasione dei numerosi “Festival mondiali della gioventù democratica” in molte città, tra cui Vienna, Berlino e Praga. In queste occasioni veniva cantata dai delegati italiani e tradotta in molte altre lingue. Raggiunse, così, una grandissima diffusione negli anni Sessanta, soprattutto durante le manifestazioni operaie e studentesche.

Ma, nel corso dei decenni, furono molte le versioni di Bella Ciao e molte le occasioni in cui venne cantata. La prima volta in televisione fu nel 1963, nella trasmissione Canzoniere Minimo, eseguita da Gaber, Maria Monti e Margot. Una versione a cui mancava, però, l’ultima strofa: questo è il fiore di un partigiano / morto per la libertà. Venne poi incisa da Gaber su 45 giri nel 1967.

Sempre nel 1965, venne cantata da I Gufi, nell’album i Gufi cantano due secoli di Resistenza e, successivamente, nel 1972 venne incisa da un partigiano ligure, Paolo Castagnino, con il suo gruppo folk italiano.

LP Bella Ciao – La Resistenza In Italia: Testimonianze Sonore, 1972

La sentiamo nuovamente in televisione quando, nel 2002, Michele Santoro la intona in apertura del programma Sciuscià. E, ancora, tra le riedizioni più popolari in Italia ci sono quella del gruppo folk Modena City Ramblers e quella del gruppo ska Banda Bassotti. Anche il gruppo spagnolo Ska-P ne ha realizzato una propria versione. 

Un inno internazionale di libertà

Bella ciao, ad oggi, è cantata in 40 lingue diverse e in numerose versioni. Di recente, per dimostrare vicinanza e solidarietà agli italiani durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, un’intera via della città tedesca di Bamberga dedica all’Italia Bella ciao.

Nonostante sia un brano italiano, legato a vicende nazionali, viene usato in molte parti del mondo come canto di resistenza e di libertà. Durante le manifestazioni contro Erdoğan avvenute nella piazza Taksim di Istanbul e in tante altre città turche nel 2013, alcuni manifestanti hanno intonato il motivo della canzone. Inoltre, gli indipendentisti curdi l’hanno fatta propria durante la guerra civile siriana in corso.
Nic Balthazar, regista e attivista belga, nel 2012 aveva realizzato un video per la manifestazione ambientalista Sing for the climate in cui i manifestanti cantavano Do it now, sulle note dei Bella ciao. Il brano è stato così adottato come inno per l’ambiente in occasione delle manifestazioni di “Fridays for future”.

Sing for the Climate

Sempre guardando oltre i nostri confini, possiamo apprezzare l’esecuzione del brano del musicista bosniaco Goran Bregović, che la include regolarmente nei propri concerti e che ha dato al canto popolare un tono decisamente balcanico.

È innegabile, però, che per i più giovani il successo di Bella ciao sia legato alla serie TV spagnola “La casa de papel“. La canzone partigiana viene cantata in italiano in alcuni momenti cruciali, sottolineando il senso di ribellione e felicità dei rapinatori protagonisti della serie.

Ad oggi Bella ciao viene considerata un inno universale alla libertà, in ogni sua forma, un inno che attraversa la storia e non conosce confini.

Una scena da “La casa de papel”

Di Concetta Barbera

News

Sebastiano Tusa: chi era l’Uomo che la Sicilia piange

Lo scorso 10 Marzo 2019 il mondo della cultura è stato scosso dalla scomparsa di uno dei suoi più illustri esponenti: il Prof. Sebastiano Tusa. Nato a Palermo il 2 Agosto 1952, Tusa è divenuto un archeologo di fama internazionale e un paladino della difesa dei beni culturali.

La carriera

Figlio di Vincenzo Tusa, anch’egli illustre archeologo, si laurea in Lettere e si specializza in Paletnologia. Già negli anni ’90 la sua carriera è divisa tra gli incarichi dirigenziali e il lavoro sul campo: è stato responsabile della sezione archeologica del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro BB. CC. di Palermo e ha diretto gli scavi di Pantelleria rinvenendo, tra i tanti reperti, tre ritratti imperiali romani. Inoltre, ha insegnato Archeologia Marina presso le Università di Palermo, Napoli, Bologna e, negli ultimi anni, anche presso l’Università di Marburg in Germania.

 

L’esperienza nelle Soprintendenze 

Gli anni 2000 lo vedono sempre più interessato alla protezione e all’amministrazione dei beni culturali, trascurando l’amato lavoro sul campo. Inizialmente guida la Sovrintendenza di Trapani poi, nel 2004, diventa primo sovrintendente della neonata Sovrintendenza del Mare. Nonostante le grandi responsabilità derivanti da questi incarichi riesce a trovare il modo di non perdere le proprie radici di archeologo da campo e continua a organizzare missioni archeologiche in Italia e all’estero (Pakistan, Iraq e Iran).

 

Tusa e la ricerca a Mozia

Nel 2005 è anche responsabile degli scavi hanno interessato le strutture adiacenti la strada sommersa che collega l’isola di Mozia alla città di Marsala. In quest’occasione non è potuto mancare l’incontro e la collaborazione con Lorenzo Nigro, anche lui archeologo di fama internazionale e docente di Archeologia Orientale dell’Università di Roma La Sapienza, che recentemente sui social ha espresso il proprio cordoglio ricordando Tusa come uno studioso straordinario, un archeologo, un amico, un siciliano vero.

Il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci con Sebastiano Tusa

 

L’impegno politico di Tusa

Divenuto socio onorario dell’Associazione Nazionale Archeologi, nel 2012 torna a dirigere la Sovrintendenza del Mare della Regione Sicilia, posto che non lascia fino al 2018 quando, ormai entrato in contatto con il mondo della politica, viene nominato Assessore regionale dei Beni Culturali e dell’identita siciliana dal presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, prendendo il posto di Vittorio Sgarbi.  

Vittorio Sgarbi e Sebastiano Tusa

 

La tragedia dell’Ethiopian Airlines

Tusa è stato un uomo dalla grande tempra morale che non si è lasciato sconfiggere nemmeno dal brutto male ai polmoni che aveva combattuto e vinto. Solo una inaspettata e tragica fatalità, che non poteva essere evitata, lo ha potuto distogliere dai suoi obiettivi e lo ha allontanato dai suoi cari: Sebastiano Tusa perde la vita a Bishoftu (clicca qui), 60 km a sud-est di Adid Abeba, il 10 Marzo 2019 alle 8:44 del mattino. L’aereo su cui viaggiava e che lo avrebbe portato a presenziare alla conferenza UNESCO organizzata a Malindi si è schiantato al suolo poco tempo dopo il decollo (clicca qui per i dettagli e le indagini).

 

Il cordoglio per la scomparsa di Tusa

Sono stati in molti a ricordare Tusa; spiccano i nomi di Alberto Angela, Nello Musumeci (clicca qui per il cordoglio del Presidente e della Regione Siciliana) e Vittorio Sgarbi.

Sebastiano Tusa è stato un amante della sua terra e del suo lavoro e un amante dell’arte e dell’archeologia. Oggi si piange la perdita di un Siciliano Doc che aveva un senso profondo del dovere e che vedeva all’archeologia come messaggio di pace, cemento fra i popoli e le loro storie: con queste parole la moglie Valeria Patrizia Li Vigni descrive il marito alla stampa dopo il tragico incidente. 

Nel Pantheon degli Illustri di Sicilia, nella Chiesa di San Domenico a Palermo, riposano adesso anche le spoglie di Sebastiano Tusa.

 

 

SITOGRAFIA

https://www.tgcom24.mediaset.it/2019/video/incidente-aereo-in-etiopia-chi-era-sebastiano-tusa_3102931.shtml

https://www.corriere.it/cronache/19_marzo_10/tusa-racconto-moglie-avevo-presentimenti-che-beffa-era-felice-perche-era-guarito-69718e18-437d-11e9-9709-cc10f0c9377f.shtml

http://www.sebastianotusa.it/

http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_LaStrutturaRegionale/PIR_AssBeniCulturali/PIR_Assessore/PIR_Biografia

News

UNICT scopre importanti reperti di Tell Muhammad, II millennio a.C.

UNICT protagonista a Baghdad

A Baghdad, ricercatori dell’Università di Catania hanno riportato alla luce reperti del sito di Tell Muhammad del II millennio a.C. La missione archeologica è stata diretta dal prof. Nicola Laneri in collaborazione con lo State Board of Antiquities and Heritage dell’Iraq.

La missione e lo State Board of Antiquities and Heritage

La porta monumentale nella cinta muraria, magnifici vasi e due edifici risalenti al II millennio a.C. sono solo alcuni ritrovamenti delle attività di scavo condotti nel sito di Tell Muhammad. Nella periferia meridionale di Baghdad, infatti, ha lavorato la missione archeologica dell’Università di Catania diretta dal prof. Nicola Laneri del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’ateneo catanese denominata “Baghdad Urban Archaeological Project”. Una missione realizzata in collaborazione con lo State Board of Antiquities and Heritage dell’Iraq e grazie al supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Durante le attività di scavo sono stati esposti ampi tratti della cinta muraria monumentale di quasi 6 metri di spessore (tra cui anche la porta monumentale) edificata in mattoni crudi all’epoca di Hammurabi di Babilonia (risalenti al periodo 1792-1750 a.C.).

La scoperta di Tell Muhammad

“La scoperta conferma ciò che nel 1850 Sir Ernst Layard e, successivamente (tra il 1978 e il 1985), gli archeologi dello State Board of Antiquities and Heritage avevano evidenziato grazie al ritrovamento di tavolette e iscrizioni su teste di mazza in bronzo e cioè che Hammurabi, sesto re della I dinastia di Babilonia, aveva rafforzato con avamposti militari il suo confine settentrionale nel corso delle campagne militari che lo portarono a conquistare ampia parte della Mesopotamia”, spiega il prof. Nicola Laneri, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente.

La missione è stata impreziosita dalla visita dell’ambasciatore italiano in Iraq Maurizio Greganti e del Direttore dello SBAH, dott. Laith Hussein, durante la quale è stata definita una possibile strategia per rendere fruibili le aree precedentemente scavate, ovvero l’area sacra sulla sommità del monticolo e il circuito di mura che lo cinge, magnifici vasi e due edifici risalenti al II millennio a.C.

Un momento della visita dell’ambasciatore Maurizio Greganti, del dott. Laith Hussein e il prof. Nicola Laneri

Attraverso un programma di restauro degli edifici in mattoni crudi e di creazione di coperture e pannelli esplicativi, in collaborazione anche coi dipartimenti dell’ateneo catanese e con enti di ricerca internazionale, il sito di Tell Muhammad potrà diventare un prezioso strumento per stimolare la conoscenza di una delle epoche più importanti della storia mondiale, cioè l’Età Paleobabilonese, nel centro della capitale dell’Iraq.

Accadde oggi

19 ottobre 1434, nasce l’Università di Catania

La più antica università di Sicilia

È 19 ottobre 1434: il re di Spagna e Sicilia Alfonso di Trastámara, detto il Magnanimo, fonda il Siciliae Studium Generale. Ad autorizzarne la costruzione sarà la bolla pontificia emanata il 18 aprile del 1444 da papa Eugenio IV; grazie ad essa il Siculorum Gymnasium inizierà a tenere insegnamenti di Teologia, Giurisprudenza, Medicina e Arti liberali.

Eccoci dunque dinnanzi la più antica Università di Sicilia, un ateneo tra i più antichi e attualmente frequentati in Italia.

Ingresso monumentale del Monastero dei Benedettini, sede del dipartimento di Scienze Umanistiche

 

Un Ateneo, secoli di storia

Grazie ad alcune fonti epigrafiche sappiamo che la presenza di un Gymnasium caratterizzò la città di Catania a partire dal V secolo a.C. Dell’antica struttura purtroppo non rimane nulla, sappiamo solo che fu il terzo gymnasium per prestigio dopo Rodi e Cnido. Vittima di spolia, l’edificio fu smantellato per costruire il Castello Ursino.

La fondazione di un’università a Catania matura nuovamente tra il 1434 e il 1444, come risarcimento alla città per il trasferimento della capitale di Sicilia a Palermo. In origine esistevano tre facoltà, caratterizzate da due insegnamenti l’una: Teologia, GiurisprudenzaMedicina. Il rapido crescere dell’università permise l’apertura della facoltà di Arti Libere e l’inserimento di nuovi insegnamenti nei principali dipartimenti.

I corsi vennero inizialmente tenuti presso alcuni locali della Platea Magna o Piano di Sant’Agata, ossia l’odierna Piazza Duomo: a fianco della Cattedrale, con l’annesso Seminario, e del palazzo del Comune. Con la distruzione dei locali (a causa del terremoto prima e della sistemazione della piazza poi), per molti anni l’Università ebbe sede mobile, ospite per lo più in luoghi privati, civili ed ecclesiastici. La costruzione del nuovo palazzo dell’Università fu completata soltanto intorno al 1760. La piazza preposta ad ospitare la nuova sede, tradizionalmente nota come Piazza della fiera del lunedì, prese il nome di Piazza degli Studi, oggi Piazza dell’Università.

Palazzo Università, piazza dell’Università a Catania

Siciliae Studium Generale

Fino al XIX secolo gli studenti provenivano dall’intera Sicilia. Catania fu per quasi quattro secoli l’unica università del regno di Sicilia: questo permise all’ateneo di godere della privativa, ossia del privilegio esclusivo di rilasciare lauree nel Regno di Sicilia.

Lo Studio venne più volte riformato: nel 1873 fu soppressa Teologia e, a seguire, furono riorganizzate tutte le altre facoltà. Gli attuali dipartimenti sono di istituzione novecentesca.

Anche la figura stessa del rettore mutò. Inizialmente, come in uso in tutte le antiche università, la carica veniva eletta tra gli studenti dell’ultimo anno e aveva il compito di proteggere e giudicare gli studenti stessi. Nel 1779 venne abolita per essere ripristinata solo nel 1840 con sostanziali cambiamenti. Il rettore novecentesco è ora un professore posto al vertice del governo dell’Ateneo.

Sigillo storico dell’Università di Catania

 

Unict, Università degli studi di Catania 

Ad oggi sono circa 40 mila gli studenti iscritti all’Università degli studi di Catania. Presenta un’offerta di 104 corsi di studio, suddivisi tra triennali, magistrali e a ciclo unico, cosi come presenta 20 corsi di dottorato di ricerca ed oltre 30 master. L’Ateneo permette inoltre l’iscrizione presso le scuole di specializzazione per medici, archeologi, fisici e specialisti delle professioni legali. L’organizzazione della didattica è affidata a 17 dipartimenti, tra questi abbiamo il Dipartimento di Scienze Umanistiche (DiSUm), situato all’interno di uno dei gioielli del patrimonio culturale siciliano, il Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena.

Patrimonio mondiale dell’Unesco, l’edificio monastico nasce nel 1558 e fu più volte sconvolto da calamità naturali. Distrutto e ricostruito, si sviluppa fino ai giorni nostri conservando tracce evidenti di ogni sua fase. Il Monastero è un luogo unico, un monumentale testimone, in grado di raccontare le vicende umane e storiche di Catania e di Monte Vergine. Oggetto di continui studi e scavi, il complesso custodisce sotto di sé i resti di una domus romana e tracce di Katane, la Catania Greca.

Resti di domus, età romana, Monastero dei benedettini di San Nicolò l’Arena

Articolo a cura di Chiara Ansini ed Eliana Fluca.

Accadde oggi

7 ottobre 1571: quando la battaglia di Lepanto diede origine alla festa della Madonna del Rosario

I protagonisti dello scontro

Combattuta quasi mezzo millennio fa, la Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 fu uno degli scontri navali più intensi della storia moderna, nel contesto della Guerra di Cipro. Protagoniste furono le flotte cristiane, organizzate dalla Lega Santa (una coalizione militare voluta da papa Pio V a seguito dell’attacco turco a Cipro), contro le flotte musulmane dell’Impero ottomano. La Lega Santa era formata dalle forze navali della Repubblica di Venezia, dell’Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia), dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova e di vari Ducati e Granducati della penisola

Ruolo cruciale in questo avvenimento venne giocato dalla città di Messina, da cui partì la spedizione della Lega Santa. Il 16 settembre 1571, infatti, Messina si svegliava con lo sguardo alle circa 230 galle della flotta cristiana pronte a partire alla volta di Cipro.

Targa commemorativa a Messina

Propagandato come simbolo della vittoria cristiana contro i turchi, lo scontro di Lepanto viene inconsapevolmente ricordato ancora oggi dalla comunità cristiana tutta, poiché ha dato origine alla celebrazione della festa della Madonna del Rosario, in data 7 ottobre, appunto.

Vessillo della Lega Santa

L’imponente battaglia di Lepanto

Il comando fu preso dalla Lega Santa, decisa a contrastare la flotta nemica del sultano Selim II. La battaglia navale ebbe luogo nelle acque del golfo di Patrasso, presso Lepanto il 7 ottobre 1571, con un massiccio dispiegamento di forze. La Lega contava infatti più di 200 galere e 6 galeazze fornite dai diversi componenti della Lega.

La flotta della Lega era comandata da Giovanni d’Austria, fratello illegittimo del re di Spagna Filippo IIInsieme a lui, anche il figlio del duca della RovereFrancesco Maria II, a capo della flotta del ducato d’Urbino. Anche la flotta ottomana contava circa 200 navi, quasi tutte galee, aventi però meno armamenti rispetto alle potenze occidentali; queste erano guidate, sul fronte destro, dall’ammiraglio Mehmet Shoraq, detto Scirocco, e dal comandante supremo Alì Pascià; sul fronte sinistro, invece, era impegnato Uluč Alì, apostata di origine calabrese convertito all’islam.

Gli schieramenti della battaglia in una riproduzione del geografo Ignazio Danti (XVI sec.), Galleria delle carte geografiche del Vaticano

La flotta cristiana contava, secondo le fonti, più di 35.000 combattenti addestrati (comprendenti soldati, marinai e archibugieri) a cui si aggiungevano circa altri 30.000 uomini tra gli addetti alle navi e rematori, tutti, verosimilmente, muniti di armi all’occorrenza. Quella ottomana, invece, aveva un numero sensibilmente inferiore di uomini a disposizione: tra i 20.000 e i 25.000 uomini, compresi i giannizzeri, la fanteria dell’esercito privato del sultano ottomano.

La vittoria della cristianità

Le prime ore della battaglia vedevano un vantaggio della flotta ottomana. Secondo le fonti, intorno a mezzogiorno, cambiato il vento, cambiarono anche le sorti dello scontro a favore delle forze cristiane, vincitrici della battaglia. Sotto il comando di Don Giovanni d’Austria, la Lega Santa ebbe la sua prima storica e clamorosa vittoria contro il potentissimo Impero: 117 galee vennero affondate, 130 catturate.

La vittoria della Lega Santa ebbe, prevalentemente, un’importanza psicologica. I turchi, infatti, fino a quel momento avevano goduto di un periodo florido, di continua espansione e di numerose vittorie nei conflitti contro i cristiani d’oriente. La vittoria della battaglia di Lepanto segnava, quantomeno nelle menti cristiane del tempo, la vittoria del cristianesimo sull’islam. Tuttavia, l’importanza di tale vittoria rappresentava più un simbolo di ciò a cui aspirava la cristianità, anziché una supremazia religiosa vera e propria.

Battaglia di Lepanto, Andrea Michieli detto Vicentino, 1580 circa; dipinto a olio per Palazzo Ducale, Venezia

I turchi, infatti, continuarono le proprie espansioni senza trovare più la Lega Santa a contrastarli. Già nel periodo successivo alla battaglia di Lepanto, i turchi avevano ottenuto, tra le altre isole, anche Creta, strappandola ai veneziani. La Lega, infatti, non aveva né il potere né la coesione di contrastare l’espansionismo musulmano. Vi erano infatti profonde divisioni politiche tra le stesse potenze cristiane d’Europa, a seguito della morte di Pio V (1572). La stessa Venezia preferì stringere accordi di pace con gli stessi ottomani (rinunciando così a Cipro), in cambio di sicurezza commerciale (1573).

Nostra Signora della Vittoria

Nonostante la notizia della vittoria non fosse giunta a Roma prima di una ventina di giorni, secondo una leggenda Pio V, allo scoccare del mezzogiorno del 7 ottobre 1571, avrebbe dato ordine di suonare le campane per la vittoria a Lepanto grazie all’intercessione della Vergine Maria. Fondamentale, quest’ultima, per le sorti della battaglia, al punto che Pio V decise di dedicare la giornata del 7 ottobre alla Nostra Signora della Vittoriaauxilium christianorum.

In seguito, fu Gregorio XIII, succeduto a Pio V, a trasformare la celebrazione in Nostra Signora del Rosario, per celebrare l’anniversario della vittoria di Lepanto ottenuta grazie all’Aiuto dei Cristiani.

Allegoria della Battaglia di Lepanto, Paolo Veronese, 1571; Galleria dell’Accademia, Venezia

L’intento era, dunque, quello di rendere la vittoria, simbolicamente, il trionfo dell’Europa cristiana contro l’invasione musulmana. Una vittoria utile più a risollevare gli animi in prospettiva di future battaglie cristiane contro il nemico turco o qualsiasi altro rivale.

In copertina: Battaglia di Lepanto, National Maritime Museum, Greenwich, Londra.

 


Articolo a cura di Oriana Crasì ed Eliana Fluca

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NEWS | I Templi di Paestum pronti a riaccogliere i visitatori

Nella serata di domenica 17 luglio 2022, verrà inaugurato, nell’area archeologica di Paestum, il percorso di visita all’interno del tempio di Nettuno e del tempio di Hera, la cosiddetta “Basilica”, nell’ambito delle aperture straordinarie del Parco Archeologico di Paestum e Velia promosse dal Ministero della Cultura.

In dettaglio

I due templi erano già stati resi accessibili al pubblico – nel 2017 la cosiddetta “Basilica” e nel 2019 il tempio di Nettuno – grazie alla creazione di percorsi senza barriere promossi dal precedente direttore, Gabriel Zuchtriegel. A causa delle restrizioni imposte alla pandemia di Covid-19, tuttavia, l’accesso fu interdetto dall’inizio di marzo 2020, ma il Parco è ora pronto a ripartire con le visite nei templi. In occasione dell’inaugurazione dei percorsi di visita, il direttore, Tiziana D’Angelo, accompagnerà i visitatori in due visite tematiche all’interno dei due templi dorici del Santuario meridionale di Paestum. 

Locandina dell’evento
Al cospetto degli dei 

“Un podio di tre gradini e un’alta soglia innalzano i templi greci dal suolo e separano lo spazio degli uomini da quello degli dei”, spiega il direttore Tiziana D’Angelo. “In antichità – continua -, questi imponenti edifici sacri erano quasi del tutto inaccessibili agli uomini, ad eccezione di sacerdoti e poche altre persone. Oggi, tutti noi siamo benvenuti nelle dimore delle antiche divinità di Paestum, con la riapertura al pubblico delle visite all’interno dei templi del santuario meridionale”. Visitare questi monumenti è, per certi versi, un privilegio unico, afferma il direttore, che conclude: “Dietro a questa riapertura c’è il lavoro di molti professionisti: archeologi, architetti e restauratori hanno collaborato per garantire un perfetto connubio tra esigenze di fruizione e di tutela”.

In copertina: Veduta dei templi di Paestum (foto di ©Oliver-Bonjoch).

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NEWS | Roma, dal Tevere in secca riemergono i resti del ponte Neroniano

Come quasi ogni estate il Tevere è interessato da una notevole diminuzione della portata d’acqua; quest’anno in particolar modo, tra l’altro. Ed è  quest’anno che, in maniera più evidente, sono riemersi i resti dei piloni dell’antico Ponte Neroniano, o Ponte Trionfale, che si trova a ridosso del ponte Vittorio Emanuele II.

I resti del ponte Neroniano (immagine via Fanpage)

 

Il Ponte Trionfale

Vicino al ponte Vittorio Emanuele II, infatti, sono affiorati i resti dei piloni del ponte antico. Realizzato, sembra, durante l’epoca di Nerone, il ponte fungeva da collegamento tra il Campo Marzio e il Circo di Caligola, a sinistra dell’attuale Basilica Vaticana. Era su questo ponte che passava la via Triumphalis, che procedeva fino a Veio. Nel 405 a.C. alcuni imperatori vi costruirono un arco di trionfo in ricordo della vittoria di Pollenza contro i Goti di Alarico (402 a.C.).

I resti del ponte neroniano sullo sfondo di Castel Sant’Angelo

Non è la prima volta che i resti riemergono dal letto del fiume. Anzi, nei secoli passati, riemergevano con ancora più evidenza vista la mole più massiccia di resti presenti. Solo nel corso del XIX secolo, infatti, i piloni sono stati demoliti per facilitare la navigazione. Quest’anno, tuttavia, la loro presenza al di fuori dall’acqua fa discutere maggiormente, considerato il clima di siccità che sta colpendo anche i fiumi più grandi del nostro territorio.

SI ha notizia dei piloni visibili al di fuori delle acque del Tevere agli inizi del XVI secolo, con un conseguente restauro voluto da papa Giulio II. La sua esistenza è testimoniata anche dalle incisioni di Giuseppe Vasi che, nel corso del XVII secolo, ha parlato dei piloni che emergevano dal fiume e di come venissero utilizzati per ormeggiare i mulini attivati dalla potenza del Tevere. Nell’Ottocento, i piloni furono distrutti per poter facilitare la navigazione prima e la costruzione del nuovo ponte Vittorio Emanuele II poi. Da allora le secche del fiume fanno emergere la storia.

I piloni neroniani in un’incisione d’epoca

In copertina: i resti del ponte antico a ridosso del ponte Vittorio Emanuele II (immagine via TGCom24)

 

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NEWS | Archeologia nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme

A qualche mese di distanza è stata reso noto lo stato d’avanzamento dell’indagine archeologica presso il complesso del Santo Sepolcro a Gerusalemme, comunicato da Custodia Terrae Sanctae. L’equipe del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma Sapienza, diretto dalla professoressa F. M. Stasolla, è impregnata nel restauro del pavimento di questo importantissimo polo religioso e nella comprensione degli aspetti architettonici del sito.  

Le aree indagate

Il giorno 14 marzo 2021 si è celebrata la rimozione della prima pietra del pavimento della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il complesso non era mai stato interessato da scavi sistematici. In questi giorni, invece, sono stati comunicati i primi dettagli dell’indagine in corso. Due sono le aree indagate: la navata nord, e parte della rotonda nord-occidentale. In primo caso sono emerse tracce del cantiere di età costantiniana relative alla costruzione del complesso stesso. Nel secondo caso, l’indagine si concentra sulle fasi di lavorazione del banco roccioso. In particolare, è stato individuato un cunicolo connesso al sistema di deflusso delle acque. Il suo studio sarà utile alla comprensione degli aspetti architettonici del complesso indagato.

Schema della chiesa moderna in relazione al luogo del Calvario e della Tomba di Gesù
Archeologi, sacerdoti e pellegrini: convivere al Santo Sepolcro

La costruzione della Basilica del Santo Sepolcro si deve a Costantino, colui che garantì la diffusione del cristianesimo nell’impero romano. Fu eretta nel luogo in cui la tradizione individua la sepoltura di Gesù. Va da sé che, ancora oggi, tale complesso sia uno dei massimi centri religiosi cristiani, e meta di pellegrinaggio. Condizione che, ovviamente, si riflette sul lavoro degli archeologi impegnati nelle attività di scavo. I turni sono a ciclo continuo, diurni e notturni. Le aree di scavo sono state indagate in successione. Questo per non interrompere il normale svolgimento delle liturgie e non ostacolare il flusso di pellegrini che ogni girono qui si riversano.

Vista della Basilica del Santo Sepolcro dal Monte degli Ulivi
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NEWS | Cina, da Sanxingdui tornano alla luce nuovi manufatti

Nel sud della Cina sono stati ritrovati circa 500 manufatti risalenti a 3000 anni fa. Tra questi ultimi, oltre a statue di animali e maschere in oro, è emerso un altare sacrificale. La scoperta, presso le rovine di Sanxingdui, mette in luce una cultura vissuta circa 5000 anni fa.

Maschera di giada
I manufatti di Sanxingdui

Sanxingdui è uno dei principali siti archeologici cinesi, scoperto alla fine degli anni ’20 e situato nella provincia sud-occidentale del Sichuan.

Nel sito sono state scoperte due fosse sacrificali, contenenti migliaia di manufatti in oro, bronzo, giada, e avorio, così come è presente ceramica che differisce da qualsiasi altra facies culturale studiata e rinvenuta in Cina. Gli archeologi ipotizzano si sia aperta una porta su di una cultura vissuta tra i cinquemila ed i tremila anni fa.

È probabile che i reperti in questione siano il frutto di scambi culturali tra le varie culture e zone del paese. Si presume, infatti, che alcuni di questi manufatti si trovassero in origine su una nave. Alcune delle statue raffigurano teste di drago con il naso di maiale, è presente una scatola a forma di tartaruga coperta da pezzi di tessuto e maschere di giada. Tra queste è stata rinvenuta una pregevole scultura a forma del leggendario drago con la testa di uomo e le corna sporgenti.

Una testa di drago di giada
Una nuova facies o il Regno di Shu?

I vari reperti verranno esposti al Museo Sanxingdui, vicino alla città di Guanghan, nel corso del 2023. I manufatti sono oggetto di studio e datazione con il radiocarbonio e risalgono al XII-XI secolo a.C.

Sono stati creati utilizzando una tecnologia insolitamente avanzata di fusione del bronzo, ottenuta con l’aggiunta di piombo, rame e stagno.

Il mistero che si cela dietro l’origine di questi manufatti ha sempre attratto la popolazione cinese, e non solo, fin dal secolo scorso. Le prime missioni di scavo sono iniziate negli anni ’80 e hanno permesso di riportare alla luce circa 13mila manufatti, attualmente oggetto di studio. La cultura che ha prodotto questi manufatti è attualmente conosciuta come la Cultura di Sanxingdui e alcuni archeologi la stanno identificando con l’antico regno di Shu. Alcune prove, infatti, dimostrerebbero che la civiltà del regno di Shu sia emigrata verso Jinsha, probabilmente a causa di un terremoto avvenuto 3 mila anni fa. Gli scavi dell’area continueranno sotto la guida del sito archeologico, con la speranza che si possa far chiarezza su questa comunità e facies culturale.

Museo Sanxingdui, Cina meridionale
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NEWS | Scoperti i resti di una tartaruga vissuta nel I secolo a Pompei

E’ stata da poco rinvenuta, nell’affascinante Pompei, una magnifica tartaruga di terra. Questa testuggine teneva con sé anche un uovo nel carapace. Il ritrovamento è avvenuto durante un’altra missione di ricerca, ovvero quella delle terme Stabiane

La testuggine vista dall’alto
L’evento

Da anni non venivano trovati resti di un animale. L’animale è stato trovato quasi intatto, eccezion fatta per il guscio. Secondo gli archeologi risale a 2 mila anni fa. La piccola tartaruga di terra, come già anticipato, conservava un unico uovo oramai distrutto. E’ l’ultima grande scoperta di Pompei, come dice il capo del Parco Archeologico Gabriel Zuchtriegel, che aprirà una nuova porta sulla storica città. Gli archeologi hanno trovato la testuggine a mezzo metro di profondità, sotto la terra battuta di una bottega situata in via dell’Abbondanza. Quest’ultima era una dimora di ricco pregio, e probabilmente la tartaruga fu posta lì dal proprietario per poter covare il suo uovo. 

L’uovo distrutto della tartaruga
Le ricerche continuano

L’animale è stato datato dagli archeologi come vivente fino al terremoto del 62 d.C. Secondo gli studiosi, la tartaruga dunque non ha mai visto l’eruzione del 79 d.C. 

La campagna di scavo è stata avviata a seguito del ritrovamento delle terme Stabiane: lo scopo della missione è quello di indagare sullo sviluppo urbano dell’area prima che queste ultime venissero impiantate. Non si conosce ancora il proprietario della ricca bottega, dove sono stati trovati altri curiosi resti, ma doveva trattarsi di un facoltoso personaggio della città.

La pavimentazione della bottega