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TEATRO | Come cambia il modo di fare teatro nel secondo dopoguerra

La ricerca teatrale in Europa, negli anni ’60 e’ 70 del Novecento, ha riportato in primo piano il gesto scenico, l’azione fisica dell’attore. Nasce, così, il training attoriale, propedeutico alla preparazione dello spettacolo. Il laboratorio assume via via sempre più importanza, diventando fondamentale per la messa in scena finale, che è solo l’ultima parte di un percorso molto più lungo. Lo spettacolo è solo una porzione del lavoro, non la più importante.

Le contaminazioni artistiche

Il teatro, nella sua sperimentazione, si lascia contaminare da altre forme d’arte, specialmente quelle orientali come lo yoga, la meditazione e le arti marziali, dalle quali prende in prestito la filosofia spirituale e l’armonia della creazione.

L’attore lavora sull’equilibrio interiore e sulla “pulizia” in scena, per trovare la verità del personaggio. Sempre più spesso il regista sceglie di impostare il lavoro “per sottrazione”, diminuendo il più possibile tutti gli ornamenti e i supporti: la scenografia si riduce all’essenziale e all’attore viene chiesto di “asciugare” il più possibile la recitazione.

Il Teatro Povero di Grotowski

Il regista polacco Grotowski portò avanti questa filosofia e la definì “Teatro Povero”: l’allestimento scenico fu ridotto al minimo, per spostare il focus sulla preparazione degli attori, che sottoponeva a un rigido training fisico e vocale per intensificare le loro capacità espressive.

Il momento fondamentale per Grotowski, infatti, non era lo spettacolo, bensì le prove, durante le quali si instaurava uno stretto rapporto tra il regista e l’attore.

L’Odin Teatret di Eugenio Barba

Eugenio Barba è un regista italiano ed è stato allievo del maestro Grotowski. Nel 1964 ha fondato a Oslo, in Norvegia, l’Odin Teatret, una compagnia teatrale multiculturale.
Punto cruciale della ricerca del gruppo è l’approfondimento del lavoro dell’attore per mezzo del training. Il laboratorio di preparazione può durare anche anni e non può essere vincolato ai tempi stretti della produzione di spettacoli.

Compare, per la prima volta nel loro lavoro, l’approccio pedagogico, tramite il quale gli attori si auto-preparano, confrontandosi tra loro. Essi sono spinti dal regista ad acquisire da sé i mezzi espressivi più adatti. È favorito lo studio personale, attingendo da diverse culture e tradizioni performative. La compagnia e il regista compiono numerosi viaggi per informarsi, al fine di arricchire il loro bagaglio culturale e artistico, entrando in contatto con altri stili e tecniche.
Il training diventa finalmente strumento di crescita personale, per formare un attore preparato e reattivo a ogni stimolo fornito dal testo e dal regista. Il direttore della compagnia dà l’input, ma la ricerca è tutta dell’attore, libero di riportare, in fase di laboratorio, le suggestioni più simili al vero.

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