Autore: Chiara Odoardi

Accadde oggi

PRIMO PIANO | E se Halloween fosse cristiano? Tutta la storia del culto dei morti

Il rito della commemorazione dei defunti affonda le sue radici in tempi antichissimi: il “culto dei morti”, già da principio, si è diffuso trasversalmente in tutte le culture del mondo, poiché la morte è sempre stata il più grande mistero della vita, sul quale ogni uomo si è spesso interrogato. Per questo, un simile culto è così antico e persiste in tutte le religioni del pianeta.

Il Samhain celtico

La tradizione celtica che prevede la celebrazione della notte di Samhain ne è un chiaro esempio. I Celti conducevano la propria vita in armonia con il ritmo naturale, la stagionalità, i raccolti, le piogge e nutrivano profondo rispetto per il ciclo di nascita, vita e morte insito in ogni cosa del creato. I druidi – così erano chiamati i sacerdoti di questo popolo –  si incontravano nei boschi per ascoltare la voce degli elementi naturali e celebrare i rituali di culto.

La commemorazione dei defunti si inseriva perfettamente nel loro sistema di credenze e rivestiva un ruolo importantissimo: la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre segnava il passaggio dalla fine della stagione dei raccolti all’inizio dell’inverno, simbolo di morte. Le ore di luce diminuivano e il freddo attanagliava gli uomini, costretti, così, a rifugiarsi nelle abitazioni. Per i Celti, il Samhain era un momento dalla forte valenza magico–religiosa, tanto che si credeva che, in quella notte, gli spiriti del mondo dei morti tornassero sulla terra per qualche ora ed entrassero in contatto con il mondo dei vivi, facendo visita ai propri cari e ai luoghi del proprio passato.

Il culto in epoca romana

Anche in epoca romana, il culto dei morti era celebrato con i Parentalia, feste annuali in onore dei defunti della famiglia; tali celebrazioni duravano molti giorni e terminavano con i Feralia, giorni in cui si credeva che le anime tornassero a girare tra i vivi e durante i quali si svolgevano cerimonie pubbliche con offerte e sacrifici per i Mani, gli spiriti benevoli dei cari estinti.

Parentalia

Durante i Parentalia si onoravano due dee minori: Pomona, dea del raccolto e dei frutti, venerata per ottenere un raccolto abbondante l’anno seguente, e Tacita Muta, divinità degli inferi che simboleggiava il silenzio.

La cristianizzazione del culto

Con il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, Papa Gregorio II spostò la ricorrenza di “Tutti i Santi” al 1° novembre mentre, successivamente, venne aggiunta quella di “tutti i morti”, la commemorazione dei defunti da celebrarsi il 2 novembre: tutto questo per far coincidere i culti pagani preesistenti, impossibili da sradicare, con le nuove festività cristiane.

Le usanze in epoca medievale

Durante il Medioevo, si diffuse la pratica di mascherarsi nel giorno di “Ognissanti”, il 1° novembre: in questa giornata, i mendicanti passavano di casa in casa a chiedere l’elemosina, ricevendo cibo in cambio di preghiere da recitare per i defunti dei benefattori nel giorno seguente, il 2 novembre, dedicato proprio alla commemorazione di coloro che erano passati a miglior vita. Tale usanza era diffusa in Europa, in particolare in Gran Bretagna e in Irlanda.

Le radici cristiane di Halloween

Furono proprio gli Irlandesi a diffondere la celebrazione del culto dei morti negli Stati Uniti, quando, a partire dalla metà dell’Ottocento, emigrarono in massa per cercare fortuna. Il Protestantesimo aveva sostituito la tradizione di Ognissanti,  ricorrenza che aveva luogo la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, con la festa di Halloween, il cui nome sembrerebbe derivare dalla contrazione della formula arcaica All Hallows’ Eve, tradotto come “Vigilia di tutti gli Spiriti Santi”: è chiaro, quindi, che Halloween abbia radici cristiane, a differenza di quanto si possa comunemente pensare oggi.

Maschere di Halloween negli anni ’30

Il culto ai giorni nostri

Oggi, l’Halloween anglosassone è festeggiato in molti paesi del mondo ed ha assunto caratteri consumistici. Non è, tuttavia, l’unico modo in cui l’uomo si è rapportato e si rapporta al culto dei defunti e alla morte: ogni cultura possiede una sua tradizione popolare, che si tramanda da secoli attraverso le famiglie e la collettività. In Italia, infatti, ogni regione ha la sua usanza e molte possiedono caratteristiche comuni legate alla terra e ai ritmi stagionali.

Le tradizioni regionali

In Abruzzo, fino a pochi decenni fa, nei paesi era usanza lasciare le porte e le finestre delle abitazioni socchiuse e poggiare sul davanzale una candela, posta all’interno di una zucca intagliata e svuotata. Tale luce serviva ad indicare ai defunti la strada per l’antica dimora. Si credeva, infatti, nella leggenda della scurnacchiera, la processione dei morti che, allo scoccare della mezzanotte, lasciavano le loro tombe nel cimitero e sfilavano in corteo per le vie del paese, con un lume in mano e in un preciso ordine: davanti le anime pure dei fanciulli scomparsi, a seguire i giovani e in coda gli anziani. La processione si dirigeva dapprima verso la chiesa del paese, dove un prete, di spalle, celebrava la messa per le anime. Era un assoluto divieto per i paesani entrare in parrocchia durante tale notte, perché si credeva che le anime avrebbero portato con sé lo sventurato. Dopo aver assistito alla funzione, i morti sarebbero tornati a casa a mangiare; per questo le famiglie dei defunti lasciavano la tavola apparecchiata e preparavano il “piatto del morto”, riempito con formaggio, pane, salumi, fichi e noci. Era doveroso lasciare anche un bicchiere di vino e una conca d’acqua con un lume sulla tavola.
Il giorno dei morti si usava pranzare con ceci, grano e fave, ritenuti cibo rituale dei defunti. La sera di Ognissanti i ragazzi, in piccole comitive, usavano imbrattarsi il viso con cenere o farina, per mascherarsi da spiriti, e passare di casa in casa a chiedere “il bene”, un’offerta in frutta secca e biscotti al fine di ingraziarsi il favore delle anime e per scacciare le maledizioni di spiriti maligni. Tra le formule utilizzate per farsi aprire, alla domanda “Chi è?” i bambini rispondevano “l’aneme de le morte”. 

In Veneto, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, ancora oggi si ritrovano tradizioni simili al rito del Samhain celtico. In occasione delle celebrazioni in onore dei morti, vengono accesi fuochi su pire di paglia e legname e viene bruciato un fantoccio, simbolo della fine dell’anno precedente e di rinascita per l’anno nuovo.

In Friuli ancora oggi sono rimaste vive alcune tradizioni di origine pagana: nei paesi è usanza intagliare e illuminare le zucche e preparare piatti a base di questo ortaggio. Alcuni riti presentano tratti in comune con la religione celtica. Nella notte del 31 Ottobre, per le vie dei borghi sfilano figuranti in costume, travestiti da defunti e da abitanti fantastici della natura: striis (streghe), Aganis (fate) e folletti, in fantasiosi abiti, che esprimono la gioia per l’inizio del nuovo anno celtico con canti, balli e giochi.

Anche in Sicilia è tradizione, per la festa dei morti, celebrare le anime dei cari estinti attraverso la preparazione di piatti e dolciumi tipici; tra tutti spiccano i “morticini”, biscotti secchi aromatizzati con chiodi di garofano. I fanciulli si recano al cimitero per visitare le tombe dei loro parenti defunti e al mattino seguente trovano dei doni che i morti hanno lasciato per loro.

El dia de los muertos in Messico

Nel mondo, spicca su tutte, per la sua diversità, la festa del dia de los muertos in Messico, paese dal forte sentimento cattolico, ma con influenze pre–ispaniche ed elementi risalenti ai popoli Aztechi e Maya. Questi credevano che l’ordine cosmico fosse basato su un continuo ciclo di vita e di morte: così, la Santa Muerte viene ancora oggi venerata e pregata. Nei giorni del 1° e del 2 novembre, le strade sono affollate dalle sfilate di persone travestite da scheletri e le vetrine si riempiono di calaveras, teschi dai colori sgargianti, ricoperti di zucchero, in un inno gioioso alla vita.

Calaveras messicane

La morte viene accettata sin da bambini come un passaggio naturale dell’esistenza umana. El dia de los Muertos è riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, tradizione che afferma fortemente l’identità di un popolo e le sue origini indigene, uniche al mondo.

News

NEWS | Il Duomo di Milano si accende di “Pensieri illuminati”

In Piazza Duomo a Milano quest’anno non si è tenuto il tradizionale concerto di Capodanno. Sono stati i “Pensieri Illuminati” dei cittadini a salutare il 2020 e dare il benvenuto al nuovo anno. La facciata del Duomo, infatti, è stata illuminata da videoproiezioni artistiche; l’evento è stato trasmesso in streaming. Ad animarla e accenderla, con musica, video installazione e arte, sono stati i pensieri e le speranze degli italiani per il 2021. Fino al 31 dicembre tutti hanno potuto scrivere sul sito www.pensierilluminatimilano.it una riflessione su uno dei tre temi proposti per l’opera: creato, umanità e futuro.

La notte del 31 i pensieri sono stati trasformati dall’artista Felice Limosani in grafica animata: un flusso di immagini digitali proiettate sulla facciata del Duomo come tributo ai cittadini. Le persone hanno potuto godere della variopinta partitura visiva esclusivamente dalle loro case. Piazza Duomo è stata dunque deserta e silenziosa, per invitare la cittadinanza a rimanere a casa e rispettare le norme di distanziamento sociale.

Questo Capodanno sancirà l’anno del prima e dopo Covid, abbiamo pensato di avere un atteggiamento di grande cordoglio e rispetto per le vittime, di ricordarci del personale sanitario a cui saremo grati per sempre”, ha sottolineato Felice Limosani.

L’evento ha compreso arti visive digitali, musica orchestrale dal vivo e prosa teatrale nei luoghi simbolo della città di Milano: dalla Sala Fontana al Museo del Novecento, dalla Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale al sagrato del Duomo. Il maestro Beatrice Venezi ha diretto i 52 elementi dell’Orchestra “I pomeriggi musicali” e gli attori della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi hanno interpretato alcuni dei messaggi inviati dai cittadini sul sito.   

Il 2020 ci ha messo di fronte a prove e sfide che mai avremmo immaginato. Abbiamo reagito alle difficoltà e al dolore e lo abbiamo fatto tutti insieme. Il cammino per tornare alla normalità è ancora lungo, ma finalmente siamo sulla buona strada. Ora non ci resta che concludere questo anno con un Capodanno che ci dia speranza e bellezza e ci unisca in un unico grande e possibile abbraccio. Per questo abbiamo scelto il simbolo della nostra città, il Duomo, e lo illumineremo con i pensieri delle milanesi e dei milanesi e di tutti coloro che vorranno lasciare un messaggio. È il cuore di questa città che guarda avanti oltre ogni avversità e costruisce il suo futuro, come ha sempre fatto”,  ha dichiarato il sindaco di Milano Beppe Sala.

News

NEWS | Il Teatro San Carlo di Napoli: Capodanno… in streaming

Il Teatro San Carlo di Napoli festeggia il Capodanno in streaming. Prosegue la programmazione online e dal 31 dicembre al 2 gennaio sarà disponibile on demand uno speciale Gala di Danza del Balletto del Teatro San Carlo che proporrà i grandi classici della danza. Sui passi de “Lo schiaccianoci”, “Il lago dei cigni”, “La Bayadère”, “Don Quijote”, il palcoscenico reale avrà un’eco sui nostri schermi per regalarci emozioni senza tempo e note intrise di magia, affidate all’Orchestra del San Carlo, diretta da Nicola Giuliani. Gli spettacoli sono stati registrati dal vivo il 23 dicembre scorso. 

Nel portare in scena questo Gala – racconta Fournial, il curatore del Gala – sono partito dall’idea di un sogno, il sogno di Clara, la ragazzina protagonista de Lo schiaccianoci. Clara appare come immagine filmata su uno schermo cinematografico: entra nel teatro vuoto e subito sente la voglia di riprendere ciò che ha sempre fatto: ballare. Accenna a qualche movimento, poi piano piano si addormenta e sogna la sua grande passione: il ballo. Mentre Clara è proiettata sul fondo della scena, un Mago che possiamo riconoscere come Drosselmeyer entra in palcoscenico, vede Clara addormentata e gli viene l’idea di creare uno spettacolo solo per lei”.

È possibile acquistare i biglietti sia sul sito del Teatro che su https://www.mymovies.it/ondemand/teatrosancarlo/movie/tsc-concerto-di-natale al costo di 1,09 euro. 

Anche se virtualmente, non rinunciamo al potere inclusivo della cultura.

News

TEATRO | Il Teatro Andromeda, specchio del cielo

A Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, c’è un luogo speciale, sospeso tra terra e stelle: si tratta del Teatro Andromeda, uno specchio del cielo, ancora non molto conosciuto ai più, che regala alla vista uno spettacolo unico.

La storia del Teatro Andromeda

La storia è quella di un pastore, Lorenzo Reina, e del suo amore per l’arte e le stelle. Da ragazzo portava il suo gregge di pecore al pascolo e scolpiva alabastri per passare il tempo. Di notte usciva a respirare sotto le stelle e, durante una di queste notti, al chiaro di luna, chiese al cielo di “farlo incontentabile, mai sazio della sua arte”. Fu così che il cielo lo ascoltò. Lorenzo Reina, il pastore-scultore pose le prime pietre per creare il suo capolavoro. Nutriva intimamente il desiderio di creare qualcosa di grande. Lui racconta che su quelle terre, sui Monti Sicani, portava a pascolare il suo gregge alla fine degli anni Settanta e che le pecore, come prese da incantesimo, rimanevano a ruminare ferme come sassi bianchi. Ispirato da questa immagine, nei primi anni Novanta iniziò a realizzare la sua opera partendo dalle pietre.

La struttura del Teatro Andromeda

108 pietre bianche si stagliano sulla sabbia nerissima della cavea e sembrano sfiorare il cielo, a 1000 metri di altitudine. Ma perché proprio 108? In quegli anni Reina venne a conoscenza della scoperta secondo la quale la Galassia M31 della Costellazione di Andromeda entrerà in collisione con la nostra galassia tra circa due miliardi e mezzo di anni.

La posizione delle pietre e il loro numero ricalcano la mappa delle 108 stelle della Costellazione di Andromeda. Lui la definì un’idea semplice; quel che è certo è che si rivelò geniale e di grande impatto visivo ed emotivo.

La posizione del Teatro Andromeda

Il luogo scelto per edificare questo teatro già di per sé offre un grande impatto emotivo, perché si fonde con l’opera umana e fornisce uno scenario suggestivo. Non è presente alcun fondale artificiale: infatti, alle spalle del palco si apre il panorama naturale sulle vallate incontaminate di Santo Stefano e su tramonti mozzafiato.

La struttura gode dell’illuminazione naturale, non c’è traccia di artificio né ausilio elettrico; tutto è stato pensato per fondersi con la natura. Salendo i gradini di pietra che conducono per lo stretto passaggio di ingresso, si apre alla vista la distesa di sedute bianche e l’apertura, dietro il palco, sul cielo. Sembra che il tempo sia sospeso in un’epoca indefinita tra presente, passato e futuro e solo la posizione del sole definisce l’ora, regalando sfumature cangianti durante l’arco della giornata. Regna un silenzio quasi religioso: non a caso molti si recano sul posto per meditare. La sospensione tra cielo e terra dà l’impressione di un paesaggio che non sembra essere di questa terra: infatti, il Teatro Adromeda è uno specchio della volta celeste.

Questa fusione tra cielo e terra rende il teatro stesso lo spettacolo, l’opera d’arte. In particolari giorni dell’anno vengono organizzati eventi che attirano decine di visitatori. Il giorno del solstizio d’estate, ad esempio, viene celebrato come un rito, in linea con le prime tradizioni della storia dell’uomo, che riconoscevano la sacralità del ciclo lunare e dell’alternarsi delle stagioni. L’atmosfera è compenetrata dalla connessione tra uomo e natura, la vera protagonista della scena. 

Un’opera work in progress

Se si parla con Lorenzo Reina, egli stesso definisce il suo teatro un “lavoro in corso”. Intorno alla struttura vera e propria del teatro, ha realizzato numerose sculture e installazioni artistiche. Alcune richiamano la mitologia classica – come l'”Icaro morente” precipitato al suolo, concessa da Giuseppe Agnello nel 2007 – e nascondono un messaggio rivolto all’uomo contemporaneo. Altre sono più concettuali e astratte, lasciando spazio all’interpretazione personale individuale. Il lavoro di Reina non si è ancora esaurito e l’area è in evoluzione. Si tratta a tutti gli effetti di un percorso artistico, lungo il quale vengono organizzati eventi e rappresentazioni teatrali che lo stesso Reina promuove.

Icaro morente

 

La rubrica “Teatro” si sposterà sulla rivista bimestrale ArcheoMe, che per il prossimo anno avrà una veste tutta nuova, con contenuti esclusivi ed interessanti. Grazie a tutti i lettori, ci vediamo sul prossimo numero della rivista ArcheoMe per continuare ad esplorare insieme, con occhi appassionati, l’universo teatrale.

News

TEATRO | Il Politeama di Palermo, prestigioso “teatro del popolo”

A Palermo, Piazza Ruggero Settimo è stata ribattezzata dai cittadini come Piazza Politeama. Qui, a metà tra la città vecchia e quella nuova, si trova il Teatro Politeama Garibaldi, tra i monumenti più amati della città. Una passeggiata a Palermo può iniziare sicuramente da questa piazza, dominata dall’imponente struttura che si ispira al Colosseo di Roma.

I lavori di costruzione del Politeama di Palermo

Il progetto iniziale prevedeva la costruzione di un grande anfiteatro diurno all’aperto; perciò, nel 1865 fu stipulato il contratto con l’impresa Galland e i lavori iniziarono due anni più tardi. Nel 1868 arrivò l’idea di creare una copertura, in modo da trasformarlo in una sala teatrale per ampliare l’offerta anche con spettacoli di musica e prosa.
Il 7 giugno 1874 il Politeama venne inaugurato, sebbene fosse ancora sprovvisto della copertura, mettendo in scena I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini. Nel novembre del 1877 venne finalmente realizzata la copertura in metallo, ad opera della Fonderia Oretea. 

Nel 1882, dopo la morte di Garibaldi, il teatro cambiò il nome in Politeama Garibaldi. Il termine “politeama” indicava un teatro che offre una programmazione variegata, spaziando fra vari tipi di spettacoli. Infine, nel 1891 fu arricchito con ulteriori lavori, realizzati in occasione della grande “Esposizione Nazionale” che si teneva a Palermo. In quell’anno ci fu l’apertura ufficiale in presenza di re Umberto e della regina Margherita, che poterono assistere all'”Otello” di Verdi.

Nel 2000, per il G8 tenutosi in città, vennero restaurate le decorazioni policrome pompeiane dei loggiati. Dal 2001 il Politeama può vantarsi di essere sede dell’Orchestra Sinfonica Siciliana.

La struttura del Politeama

L’ingresso del Politeama è costituito da un arco di trionfo in stile neoclassico e da un colonnato su un doppio piano, che ricorda l’aspetto del Colosseo.  Sopra l’arco si erge il “Trionfo di Apollo ed Euterpe”, una quadriga in bronzo fiancheggiata da una coppia di cavalli e cavalieri che rappresentano i giochi olimpici. L’intero gruppo scultoreo è in bronzo.

Trionfo di Apollo ed Euterpe

A differenza del Teatro Massimo, caratterizzato da uno stile elegante e maestoso, nonchè destinato a un pubblico più aristocratico e alla rappresentazione prevalentemente di opere liriche, il Politeama possiede uno stile meno sfarzoso. Infatti, fu concepito per un pubblico più popolare, che non disdegna operette, concerti di musica contemporanea, leggera e spettacoli comici. A tal proposito, la sala presenta una forma a ferro di cavallo, che in origine aveva una capienza di 5.000 spettatori, un numero così elevato per esaltare la funzione sociale di “teatro del popolo” con la quale fu concepito.

Platea del Politeama

Dopo aver ammirato l’esterno, non rimane che assistere ad uno dei numerosi spettacoli in stagione o, in alternativa, ammirare gli interni delle sale e la platea attraverso una delle tante visite guidate organizzate e proposte durante tutto l’anno.

News

TEATRO | La perla greca di Taormina, il Teatro Antico

Il Teatro Antico di Taormina è il secondo teatro antico per dimensioni in Sicilia, dopo quello di Siracusa. 

Fu probabilmente edificato intorno al III secolo a.C., durante il governo di Ierone II, tiranno di Siracusa: ciò è testimoniato dall’incisione su alcuni gradini del nome di sua moglie, Filistide. Tutta la struttura fu successivamente ristrutturata e ampliata in epoca romana, più precisamente in età imperiale: infatti, nel II secolo d.C. furono aggiunte colonne, statue e le coperture.

La struttura del Teatro Antico

In origine il teatro era composto solo da una piccola struttura centrale, per poi raggiungere i 109 metri di diametro massimo; fu anche costruito lo spazio per l’orchestra del diametro di 35 metri. La cavea aveva una capienza di 10.000 spettatori (oggi 4.500) ed è divisa in 9 settori. Alla sommità delle gradinate è presente un doppio portico, sul muro del quale si aprono 36 nicchie, che probabilmente in passato avevano accolto alcune statue. In epoca tardo-antica venne costruito il portico dietro la scena con le tre grandi aperture, delimitate da alcune nicchie e colonne, riportate in situ nel XIX secolo dall’architetto Cavallari. 

Gli spettacoli greci e le venationes romane

Durante l’età tardo-imperiale, il teatro, nato per ospitare rappresentazioni di tragedie e commedie, fu destinato all’esibizione delle venationes. Si trattava di spettacoli di lotta tra gladiatori e animali feroci: l’arena prese il posto occupato dall’orchestra e le gradinate inferiori furono sostituite con un corridoio scenico a volta, che conduceva ad un ipogeo al centro dello spiazzo. Da qui venivano introdotti i gladiatori e venivano installate le macchine sceniche per gli effetti speciali durante il combattimento. 

Il Teatro Antico oggi

La conformazione del Teatro Antico di Taormina si presta a numerose destinazioni. A partire dagli anni ’50 ha ospitato varie forme di spettacolo, da quelle teatrali ai concerti, dalle cerimonie di premiazione (come quella del David di Donatello) all’opera lirica e al balletto. La sua stagione, essendo un teatro all’aperto, è principalmente estiva. Ha ospitato i concerti di molti artisti contemporanei come Elton John, Mika, i Duran Duran, Sting e Renato Zero, per citarne alcuni.

Teatro Antico Taormina
Concerto al Teatro Antico

Merita una menzione il “Taormina Film Fest“, festival internazionale di cinematografia che richiama vip da tutto il mondo.

Una curiosità: nel 2017 fu sede della sfilata del G7, l’organizzazione economica intergovernativa internazionale, composta dalle sette maggiori potenze economiche mondiali.

I punti di forza

Perché il Teatro Antico di Taormina è il più conosciuto al mondo e il più ammirato?

Etna
 Etna in eruzione

Lo si può definire una perla incastonata in uno scenario mozzafiato: dietro la scena la natura crea un fondale spettacolare con il suoi colori; l’azzurro del mare si incontra con il massiccio dell’Etna, che non di rado regala scenari suggestivi con i suoi rivoli di lava; dall’altro lato si può scorgere Giardini Naxos, che d’estate si anima di luci e colori. Visitarlo durante la bella stagione, al tramonto, è un’esperienza che vale la pena di essere vissuta.

News

TEATRO | Alla scoperta del Massimo di Palermo, il più grande d’Italia

Palermo, capoluogo della Sicilia, offre alla vista del viaggiatore numerose meraviglie dell’architettura, dall’arabo-normanna alla bizantina, e non mancano capolavori evolutisi nel tempo, in una fusione di correnti stilistiche differenti.

Ogni angolo ha qualcosa da offrire, ma di certo il centro storico custodisce gioielli architettonici di interesse culturale e artistico, come il Teatro Massimo Vittorio Emanuele, meglio conosciuto semplicemente come Teatro Massimo.

La struttura del Teatro Massimo

Il Massimo è l’edificio teatrale più grande d’Italia ed è il terzo per dimensioni in Europa, dopo l’Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. 

L’intera struttura esterna presenta elementi dal gusto neoclassico, con richiami all’architettura religiosa greca e romana: la facciata frontale è costituita da un pronao di sei colonne corinzie, elevato su una scalinata, ai lati della quale sono presenti due sculture bronzee a forma di leone, allegorie della Tragedia e della Lirica. Anche la volta con l’enorme cupola emisferica è di gusto neoclassico e un sistema di rulli permette di regolare la temperatura dell’interno.

Facciata del Massimo

Le dimensioni colossali del teatro sono dovute, oltre che dall’imponente facciata monumentale, anche dal corredo di sale, gallerie e ambienti di rappresentanza che circondano e completano il teatro vero e proprio.

Le sale del Massimo

La sala principale, o Sala Grande, ha una forma a ferro di cavallo e contiene cinque ordini di 31 palchi ciascuno, oltre al loggione. La capienza è di 1247 posti e la sala vanta un’acustica perfetta. La platea è sovrastata dalla Ruota Simbolica, uno speciale soffitto composto da undici pannelli lignei affrescati a forma di petalo che raffigurano il “Trionfo della Musica”, opera di Luigi Di Giovanni. I petali sono mobili: un meccanismo ne modula l’apertura verso l’alto, così da permettere all’aria calda di uscire e garantire un’ottima ventilazione del teatro in maniera naturale.

Pannelli in movimento

Al centro del secondo ordine di palchi c’è il cosiddetto Palco Reale, progettato da Ernesto Basile, dotato di 27 posti e di un foyer privato: il “Salone del Sovrano”, impreziosito da rivestimenti in mogano e uno sfarzoso lampadario di Murano; poltrone e divani di broccato rosso completano l’arredamento e sulle pareti sono fissati 9 specchi. Sulle porte e sui capitelli è affisso lo stemma reale sabaudo. 

La visita guidata all’interno degli ambienti del teatro conduce il visitatore anche all’interno della Sala Pompeiana: l’intera stanza è progettata seguendo proporzionalità legate al numero 7 e ai suoi multipli. La simbologia del 7 rimanda alle note musicali, alle corde della lira, ai giorni della settimana e ai peccati capitali e virtù cristiane.

Tra gli altri ambienti del teatro si trovano ancora il Palco Bellini, un tempo ritrovo e circolo culturale, la Sala degli Stemmi, il Foyer e la Sala del Caffè.

Cenni storici

I lavori iniziano nel 1875 e sono guidati dall’architetto Giovan Battista Filippo Basile, vincitore del bando indetto nel 1864. Alla sua morte, subentra il figlio Ernesto Basile, che ultima il progetto del padre su richiesta del Comune di Palermo.

Finalmente arriva l’apertura ufficiale del Teatro il 16 maggio 1897 con Falstaff di Giuseppe Verdi, prima assoluta a Palermo. Seguono anni di splendore e grandi rappresentazioni, specialmente liriche. Nel 1974 il teatro chiude per lavori di restauro: rimane abbandonato per un lunghissimo periodo, sino al 1997, quando viene finalmente riaperto.

Curiosità sul Teatro Massimo

Si narra che Umberto I, in visita a Palermo, non volle entrare a teatro durante l’inaugurazione, perché trovò inopportuna la presenza di un edificio così sfarzoso in una città da lui ritenuta non di primo piano come Palermo.

Il Teatro Massimo era stato costruito abbattendo la chiesa di San Francesco delle Stimmate e il convento di San Giuliano. Durante i lavori di abbattimento, però, sarebbe stata profanata la tomba della prima Madre Superiora del convento.

Leggenda vuole che l’anima inquieta della suora, detta la Monachella, si aggiri ancora per le sale del teatro, lanciando maledizioni. In molti hanno sostenuto di aver visto l’ombra di una suora aggirarsi dietro le quinte o nei sotterranei. Inoltre, c’è un particolare gradino, entrando a teatro, chiamato “il gradino della suora”, nel quale si dice che inciampino tutti coloro i quali non dovessero credere alla leggenda.

La Sala Pompeiana, detta anche “Rotonda del Mezzogiorno”, era un tempo riservata ai soli uomini. Se ci si pone al centro della sala a parlare si può udire la propria voce amplificata a dismisura; ma a coloro i quali si trovano nel resto della stanza, il suono arriva distorto, al punto da rendere le parole incomprensibili. Ciò che viene detto al centro della Rotonda del Mezzogiorno, è impossibile da comprendere per chi si trova all’esterno. Questo particolare effetto di risonanza, è dovuto a una leggera asimmetria della sala, appositamente voluta.

Il Massimo è molto vicino alle cause della comunità LGBT: ogni anno, durante la settimana delle celebrazioni del Pride, le colonne della sua facciata vengono illuminate dai colori della bandiera arcobaleno.

News

TEATRO | Il Vittorio Emanuele di Messina cala il sipario sulla stagione 2020

Il sipario è calato prima del loro inizio su molti degli spettacoli di prosa e balletto in programma nella stagione artistica 2019/2020 del Vittorio Emanuele di Messina. Come tutti gli altri teatri nazionali, anche quello storico della città dello Stretto ha chiuso i battenti per la seconda volta in quest’anno, in ottemperanza al nuovo DPCM che stabilisce le restrizioni per contenere il contagio da Covid19. La stagione di prosa era partita alla grande nell’ottobre dello scorso anno con il “Dracula” di Bram Stoker, per la regia di Sergio Rubini e con Luigi Lo Cascio: pienone in sala e grande accoglienza di pubblico.

Prima della chiusura dei teatri dello scorso marzo, il brillante e spassoso “Massimo Lopez e Tullio Solenghi Show”, per due ore e senza sosta, ha divertito, intrattenuto e anche commosso gli affezionati dell’ex trio, ora duo, di comici italiani. Poi, di fatto, è calato il sipario ma non la voglia di tornare a sedere sulle poltrone rosse, gustare il buio in platea negli attimi prima dell’inizio di uno spettacolo, che sia prosa, balletto o lirica, per poi assistere alla magia che solo il palco di un teatro sa regalare agli appassionati del genere. Gli spettacoli, in programmazione per la stagione 2020/2021, sono per ora sospesi e rinviati a data da destinarsi. C’è da augurarsi che sia il prima possibile.

Cenni storici

Il Teatro Vittorio Emanuele di Messina venne commissionato da Ferdinando II di Borbone nel 1842 e vide la sua inaugurazione dieci anni dopo. A causa del devastante terremoto del 1908, venne seriamente compromesso e subì ingenti interventi di restauro, che lo ricostruirono quasi interamente e che terminarono solo nel 1980. Venne inaugurato nuovamente nel 1985 e la prima opera rappresentata fu l'”Aida”, che fu anche l’ultima ad essere rappresentata prima del terremoto.

La struttura del Vittorio Emanuele

L’ingresso del teatro è caratterizzato da un portico a tre arcate, sovrastato dal gruppo scultoreo in marmo “Il tempo che scopre la Verità e Messina”, realizzato dallo scultore messinese Saro Zagari.
Il soffitto interno è decorato da un’enorme opera di Renato Guttuso, raffigurante il mito di “Colapesce”, che si tuffa nelle acque dello Stretto, circondato da sirene. L’affresco sovrasta la platea e offre uno scorcio, con toni fiabeschi, sulle profondità del mare e sulla leggenda che vuole l’eroico nuotatore sorreggere ancora oggi la punta messinese dell’isola.

News

TEATRO | Il teatro contemporaneo e la pedagogia teatrale. Omaggio a Gigi Proietti

Le sperimentazioni del Novecento hanno portato all’evoluzione del mezzo teatrale, da allestimento di uno spettacolo a potente strumento di formazione personale, in primis per l’attore.
La potenza educativa del teatro è stata oggetto di studio e, ad oggi, viene applicata sempre più in ambito pedagogico e scolastico.

La peculiarità dell’arte teatrale è quella di coinvolgere l’individuo nella sua interezza come persona: la sua fisicità e la plasticità, la sua sfera emotiva, necessaria per impregnare il gesto scenico di verità e, non ultima, la sua sfera morale e la scala di valori in cui crede.
L’attore è prima di tutto essere umano, messo a nudo sul palco, che comunica con altri esseri umani in platea. Ha qualcosa da raccontare, che accomuna tutti nella condizione di uomini: il conflitto e le emozioni che si vivono nel quotidiano.

Il Teatro – Educazione

In questo senso diventa fondamentale e cresce in importanza la fase dedicata al laboratorio.
L’allestimento dello spettacolo non è il fine.
Lo scopo del teatro è condurre l’attore, bambino o adulto che sia, alla scoperta di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti, e comunicare ed esprimere sé stesso davanti ad altri.

Durante il Novecento la figura dell’attore è diventata centrale, è soggetto tanto quanto il testo. Ciò che interessa è lo studio sulla persona e sulla sfera delle emozioni. Dalla psicoanalisi di Freud, ai training di Stanislavskij e Barba, tutto ha spostato il fuoco dell’attenzione sull’uomo in quanto tale.

La pedagogia teatrale

Il teatro si mescola con le scienze umane, con le quali si compenetra.
La pedagogia pone al centro dei suoi studi l’essere umano, con il fine di portarlo a una crescita per esprimere tutte le sue capacità.
La convinzione della ricerca pedagogica è che ogni persona abbia un suo potenziale, del quale non è sempre cosciente, e compito del pedagogo è lavorare per portare alla luce le possibilità del singolo, in un percorso volto alla conoscenza e alla conquista di sé.

In ambito teatrale, l’attore, con l’aiuto del regista e del training, è incoraggiato a esprimere la sua personalità e a crescere attivando i propri mezzi espressivi e creativi, in un percorso individuale, ma inserito in un gruppo. L’obiettivo è l’individuo, ma il cammino avviene nella relazione con l’altro, diverso nella sua unicità.

Spesso l’identità del gruppo si rafforza, in un clima di rispetto e ascolto reciproco, il cui percorso è comune; esso si comporta come uno stormo di uccelli che si muove in armonia secondo natura e, al cui interno, ogni esemplare è unico e occupa il suo posto, libero di spostarsi nel volo: tutti insieme contribuiscono all’incanto della danza nel cielo.

La compagnia di attori, o meglio l’ensemble del gruppo, è stimolato alla conoscenza reciproca, alla cooperazione e alla condivisione. È un percorso entusiasmante, altamente formativo e creativo. L’eterogeneità non è debolezza, ma punto di forza: per questo viene valorizzata. Il regista muove le fila e conduce l’ensemble nella giusta direzione.
In tal senso, passa da mero direttore di uno spettacolo a figura di insegnante. È necessario che il regista-insegnante sia anche pedagogista teatrale, per ascoltare gli allievi e condurli al massimo delle loro potenzialità.

Il teatro scende dal palco ed entra nelle scuole

Negli ultimi anni il MIUR ha riconosciuto al teatro il suo potente valore educativo, pedagogico e didattico, inserendolo a tutti gli effetti tra le attività da proporre a scuola.
Oltre ad inserire un laboratorio a scuola, questo si traduce nel portare le scolaresche a teatro, per sperimentare in prima persona il laboratorio in cui ogni bambino può dire la sua e dar voce alle proprie emozioni.

I benefici sono su più livelli, poiché abbracciano la sfera intellettiva, razionale ed emotiva del bambino, il suo pensiero logico, simbolico e creativo. Il tutto inserito in un contesto di gruppo, con le regole da seguire per il rispetto dell’altro, imparando, così, a vivere in socialità. 

Il bambino si sente accolto, accettato nella sua unicità e stimolato a pensare fuori dagli schemi. Ognuno si sente al sicuro nel poter dire la propria senza il timore di essere giudicato.

Coltivare un tale ambiente inclusivo ed assertivo porta enormi benefici alla crescita e alla formazione degli adulti di domani, in una società dove l’omologazione la fa da padrona, in cui gli adulti di oggi molto spesso hanno smesso di comunicare faccia a faccia e le emozioni vengono censurate e le diversità emarginate o messe al bando.

“Benvenuti a teatro, dove tutto è finto ma niente è falso”: omaggio a Gigi Proietti

Il mondo del teatro piange la scomparsa di un mostro sacro del palcoscenico: Gigi Proietti è venuto a mancare nel giorno in cui avrebbe compiuto 80 anni, oltre 50 dei quali trascorsi sulle scene italiane.

Proietti ha segnato profondamente la storia del teatro contemporaneo nazionale. Un artista poliedrico, ha spaziato dal teatro, suo primo e inarrivabile amore, al cinema, la tv e il doppiaggio, prestando la voce a numerosi personaggi straordinariamente diversi tra loro. A lui bisogna riconoscere il talento di cimentarsi in canali espressivi variegati, mantenendo sempre alto il suo stile: comico, drammatico, originale e mai volgare. Si è saputo distinguere per la raffinatezza e, al contempo, la sincerità del suo recitare, perché, come ha detto una volta: “A teatro tutto è finto ma niente è falso”. Grazie Gigi.

News

TEATRO | Come cambia il modo di fare teatro nel secondo dopoguerra

La ricerca teatrale in Europa, negli anni ’60 e’ 70 del Novecento, ha riportato in primo piano il gesto scenico, l’azione fisica dell’attore. Nasce, così, il training attoriale, propedeutico alla preparazione dello spettacolo. Il laboratorio assume via via sempre più importanza, diventando fondamentale per la messa in scena finale, che è solo l’ultima parte di un percorso molto più lungo. Lo spettacolo è solo una porzione del lavoro, non la più importante.

Le contaminazioni artistiche

Il teatro, nella sua sperimentazione, si lascia contaminare da altre forme d’arte, specialmente quelle orientali come lo yoga, la meditazione e le arti marziali, dalle quali prende in prestito la filosofia spirituale e l’armonia della creazione.

L’attore lavora sull’equilibrio interiore e sulla “pulizia” in scena, per trovare la verità del personaggio. Sempre più spesso il regista sceglie di impostare il lavoro “per sottrazione”, diminuendo il più possibile tutti gli ornamenti e i supporti: la scenografia si riduce all’essenziale e all’attore viene chiesto di “asciugare” il più possibile la recitazione.

Il Teatro Povero di Grotowski

Il regista polacco Grotowski portò avanti questa filosofia e la definì “Teatro Povero”: l’allestimento scenico fu ridotto al minimo, per spostare il focus sulla preparazione degli attori, che sottoponeva a un rigido training fisico e vocale per intensificare le loro capacità espressive.

Il momento fondamentale per Grotowski, infatti, non era lo spettacolo, bensì le prove, durante le quali si instaurava uno stretto rapporto tra il regista e l’attore.

L’Odin Teatret di Eugenio Barba

Eugenio Barba è un regista italiano ed è stato allievo del maestro Grotowski. Nel 1964 ha fondato a Oslo, in Norvegia, l’Odin Teatret, una compagnia teatrale multiculturale.
Punto cruciale della ricerca del gruppo è l’approfondimento del lavoro dell’attore per mezzo del training. Il laboratorio di preparazione può durare anche anni e non può essere vincolato ai tempi stretti della produzione di spettacoli.

Compare, per la prima volta nel loro lavoro, l’approccio pedagogico, tramite il quale gli attori si auto-preparano, confrontandosi tra loro. Essi sono spinti dal regista ad acquisire da sé i mezzi espressivi più adatti. È favorito lo studio personale, attingendo da diverse culture e tradizioni performative. La compagnia e il regista compiono numerosi viaggi per informarsi, al fine di arricchire il loro bagaglio culturale e artistico, entrando in contatto con altri stili e tecniche.
Il training diventa finalmente strumento di crescita personale, per formare un attore preparato e reattivo a ogni stimolo fornito dal testo e dal regista. Il direttore della compagnia dà l’input, ma la ricerca è tutta dell’attore, libero di riportare, in fase di laboratorio, le suggestioni più simili al vero.