villaggio preistorico

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NEWS | Scoperte palafitte dell’Età del Bronzo sulle rive del Lago di Garda

La scoperta è avvenuta a Desenzano del Garda (BS), durante i lavori per portare al largo lo scarico della Spiaggia d’oro.

Un intero villaggio palafitticolo a pochi metri dalle rive del lago di Garda

Il ritrovamento, del tutto casuale, è stato effettuato dalla società Acque Bresciane che stava lavorando per la realizzazione di una condotta sotterranea nel lago. A circa 800 metri di distanza dalla riva e a una profondità di 4 – 6 metri, gli operatori hanno trovato una ventina di pali in legno, in posizione verticale. Acque Bresciane ha subito avvisato la Soprintendenza, che ha confermato l’importanza del ritrovamento e ha comunicato l’inizio di una campagna di scavi per studiare l’insediamento.

La datazione del legno ci porta indietro di 3400 anni

Sebbene la scoperta risalga a qualche mese fa, tra aprile e maggio, arriva solo adesso la conferma della datazione dell’insediamento, che permette di collocarlo in un periodo storico preciso. Le analisi al radio carbonio hanno datato i pali in legno al 1400 a. C., nell’ Età del Bronzo medio, che ha visto proprio sul Garda la presenza di molteplici villaggi palafitticoli a dimostrazione di come le rive del lago fossero abitate stabilmente già in antichità. Si tratta di pali in legno indurito, realizzati a colpi d’ascia e dal diametro di 17 centimetri ciascuno.

I villaggi palafitticoli nell’arco Alpino

La scoperta del villaggio di Desenzano non è un caso isolato. Sono molti i villaggi palafitticoli di cui si ha notizia, presenti in tutto l’arco alpino, la cui datazione spazia dal 5000 al 500 a. C. che si trovano sotto l’acqua, sulle rive di un lago, lungo i fiumi o in aree umide. Le eccezionali condizioni di conservazione dei materiali organici fornite dai siti saturi d’acqua, insieme a costose indagini e ricerche archeologiche, hanno consentito un’eccezionale e dettagliata ricostruzione del mondo delle prime società agricole in Europa, fornendo informazioni precise sull’agricoltura, la zootecnia, lo sviluppo della metallurgia per un periodo di oltre quattro millenni. Questi insediamenti sono sparsi tra Svizzera, Austria, Francia, Germania, Slovenia e Italia. Si tratta di ben 111 siti archeologici, che dal 2011 fanno parte del Patrimonio Unesco. Dei 19 siti che si trovano in Italia, la maggior parte di questi è concentrata proprio sul Lago di Garda.

 

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ARCHEOLOGIA | Il villaggio preistorico di Thapsos

Il villaggio preistorico di Thapsos occupa l’attuale penisola di Magnisi, nel golfo tra Augusta e Siracusa. Gli scavi archeologici, condotti nel ‘900, hanno portato Luigi Bernabò Brea a considerarlo quale principale emporio del Mediterraneo Occidentale. Infatti, sono state rinvenute numerose ceramiche micenee, cipriote, maltesi, nonché ceramica di imitazione egea e cicladica, che testimoniano i ricchi commerci di cui viveva questo villaggio nel momento di massima fioritura.

Thapsos è il più importante tra i villaggi preistorici siciliani in cui sia evidente il nuovo rapporto che le popolazioni locali hanno con le coste. Lo spostamento dalle grotte alla costa, infatti, ha significato l’apertura agli scambi commerciali e culturali con i grandi Micenei. Tali relazioni si sono poi, consolidate, fino a quando, nel XIII secolo a.C., le fiorenti civiltà preistoriche siciliane dell’antica e media Età del Bronzo scomparvero bruscamente. L’arrivo di genti guerriere, come gli Ausoni, ha costretto le popolazioni locali ad abbandonare i villaggi costieri e a rifugiarsi sulle impervie alture dell’entroterra siciliano.    

L’abitato preistorico di Thapsos

Gli studiosi hanno individuato tre fasi dell’abitato, di cui solo le prime due appartengono alla cultura di Thapsos. Queste documentano il passaggio dalla capanna a un’abitazione dotata di più ambienti specializzati. Le capanne indigene della prima fase sono di tipo monocellulare, di forma circolare, sub-circolare, ovale o a ferro di cavallo. Esse si sono trasformate in vere e proprie case di forma rettangolare, disposte intorno ad ampi cortili e dotate di più stanze e pozzi. La cosa più interessante è rappresentata dal fatto che tali complessi abitativi siano fiancheggiati da strade, che sembrano organizzate in funzione dell’abitato. Tale organizzazione, che potremmo definire proto-urbana, sembra essere di ascendenza micenea: pare, infatti, che i Micenei, assieme alla cultura artistica, abbiano importato gli isolati e il sistema di collegamento stradale dal mondo egeo.

ricostruzione di capanna
Ricostruzione di una capanna dell’insediamento di Thapsos

Le necropoli di Thapsos

Necropoli del villaggio di Thapsos

Il villaggio preistorico di Thapsos possiede ben tre necropoli. Queste si estendono intorno al faro, nella zona centro meridionale della penisola e a ridosso del muro di fortificazione. In generale, si tratta di tombe a grotticella artificiale, a forma di forno o, più raramente, di tholos, accessibili tramite un piccolo dromos o da un pozzetto che si apre sulla superficie. Le sepolture nella zona centrale della penisola sono ascrivibili a un tipo completamente diverso: si tratta di tombe a enchytrismos, caratterizzate, invece, da scheletri inumati entro grandi giare, privi di corredo e deposti orizzontalmente su piccole cavità naturali della roccia.

ARCHAEOLOGY | The prehistoric village of Thapsos

The prehistoric village of Thapsos occupies the current peninsula of Magnisi, in the gulf between Augusta and Syracuse. Archaeological excavations, conducted in the 1900s, led Luigi Bernabò Brea to consider it as the main emporium of the Western Mediterranean. In fact, numerous Mycenaean, Cypriot and Maltese ceramics have been found, as well as Aegean and Cycladic imitation ceramics, which testify to the rich trade that this village lived in at the moment of maximum flowering.

Thapsos is the most important of the Sicilian prehistoric villages where the new relationship that local populations have with the coasts is obvious. The move from the caves to the coast, in fact, meant the opening to commercial and cultural exchanges with the great Mycenaeans. These relations then consolidated until, in the 13th century BC, the flourishing Sicilian prehistoric civilizations of the ancient and middle Bronze Age abruptly disappeared. The arrival of warrior peoples, such as the Ausoni, forced the local populations to abandon the coastal villages and take refuge on the steep hills of the Sicilian hinterland.

The prehistoric settlement of Thapsos

Scholars have identified three phases of the town, of which only the first two belong to the culture of Thapsos. These document the transition from the hut to a house with several specialized environments. The indigenous huts of the first phase are single-celled, circular, sub-circular, oval or horseshoe-shaped. They have been transformed into real rectangular houses, arranged around large courtyards and equipped with several rooms and wells. The most interesting thing is represented by the fact that these housing complexes are flanked by roads, which seem to be organized according to the inhabited area. This organization, which we could define as proto-urban, seems to be of Mycenaean ancestry: it seems, in fact, that the Mycenaeans, together with the artistic culture, imported the blocks and the road connection system from the Aegean world.

 

Reconstruction of a hut of the settlement of Thapsos

The necropolis of Thapsos

The prehistoric village of Thapsos has three necropolises. These extend around the lighthouse, in the central southern area of the peninsula and close to the fortification wall. In general, these are artificial cave tombs, in the shape of an oven or, more rarely, of tholos, accessible via a small dromos or from a well that opens onto the surface. The burials in the central area of the peninsula can be ascribed to a completely different type: they are enchytrismos tombs, characterized, on the other hand, by skeletons buried in large jars, without equipment and placed horizontally on small natural cavities in the rock.

Necropolis of the village of Thapsos

Translated and curated by Veronica Muscitto

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NEWS | Nuove scoperte dallo scavo archeologico di Palù di Livenza (PN)

E’ uscito ieri il comunicato stampa della Soprintendenza del Friuli Venzia Giulia relativo alle indagini archeologiche fatte a Palù di Livenza. Dagli scavi, durati un mese e mezzo, gli archeologi hanno riportato alla luce ben tre villaggi palafitticoli e interessanti manufatti neolitici.

L’area archeologica di Palù

Il Palù di Livenza si estende in un bacino naturale alle pendici dell’altopiano del Cansiglio. Nell’Ottocento, oltre agli interventi di bonifica, ci furono i primi rinvenimenti di pali lignei e, durante lo scavo del Canal Maggiore nel 1965, fu scoperto un insediamento preistorico di notevole rilevanza archeologica.

A partire dai primi anni ’80 iniziarono le ricerche sistematiche, che portarono alla luce una parte del villaggio palafitticolo. L’area è parte dei Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino iscritti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO dal 27 giugno 2011. Dopo una lunga interruzione, gli archeologi hanno ripreso le indagini nel 2013,  proseguendo con due campagne nel 2016 e nel 2018, per poi continuare con l’attuale scavo.

Una panoramica di Palù di Livenza (Archivio fotograico SABAP FVG). Da MICHELI 2017.

I villaggi palafitticoli sono infatti monumenti importanti per la comprensione della più antica civiltà agricola europea e delle forme di adattamento alle aree umide della regione alpina praticate dai gruppi preistorici.         Michele Bassetti

Lo scavo archeologico del settore 3

Agli scavi ha partecipato la Società Archeologica CORA srl di Trento, sotto la direzione del Funzionario archeologo dott. Roberto Micheli. Per il progetto è stata essenziale la collaborazione dei Comuni di Caneva, Polcenigo e Aviano e il supporto del Gruppo Archeologico di Polcenigo.  L’obiettivo era quello di  scavare gli strati più antichi del Settore 3. Gli archeologi avevano ripreso le ricerche di questo settore già dal 2013, continuando anche nel 2018: la scelta dell’area è dovuta a un miglior stato di conservazione del deposito e alla vicinanza a strutture lignee dell’abitato neolitico. 

Scavo del settore 3 nel 2018. Da MICHELI 2017.
Settore 3 (2020).
Un ostacolo alla ricerca: la pioggia

L’area del Palù di Livenza è nota per le frequenti piogge e per l’umidità, ed è molto difficile prevedere gli improvvisi cambiamenti del tempo. Lo scavo è stato quindi rallentato molto dalle intense precipitazioni, che hanno interessato l’area dell’alto pordenonese. Spesso le indagini sono state sospese completamente, nonostante la presenza di un sistema di drenaggio.

I reperti archeologici

Negli scavi neolitici sono sempre numerosi i resti ossei di animali, i frammenti ceramici e gli strumenti di selce. Nel settore 3 si rilevano negli strati più profondi numerose mele selvatiche carbonizzate, oltre che abbondanti resti combusti di corniolo, ghiande di quercia e semi di farro, che suggeriscono la presenza di scorte alimentari bruciate.

A Palù gli archeologi, quest’anno, hanno raccolto due frammenti di asce in pietra levigata. Questi strumenti erano fondamentali per la trasformazione del legno e la produzione di manufatti in un periodo in cui non vi sono prove della lavorazione del metallo. Anche in questa campagna di scavo, così come negli scavi precedenti del settore 3, gli archeologi hanno scoperto numerse pintadere. Frequenti nelle culture neolitiche dei Balcani e dell’Europa centrale, sono stampi di terracotta che recano linee decorative incise o in rilievo, di vario genere: curvilinee, lineari, a zig zag e a reticolo.

Alcune pintadere rinvenute nel deposito tardoneolitico di Palù dallo scavo del 2016. Da MICHELI 2017.

  

Stupisce infine il ritrovamento di un cucchiaio di legno, perfettamente integro: questo dimostra le grandi capacità degli artigiani neolitici nella lavorazione del legno.

Il cucchiaio integro trovato nel settore 3 di Palù di Livenza.

 

Un grande progetto all’orizzonte

La campagna di scavo si conclude oggi, ma non finiscono le ricerche. Gli archeologi sperano di poter riprendere l’anno prossimo gli scavi e aspettano nuovi finanziamenti. L’obiettivo della Soprintendenza è quello di finire il prima possibile le indagini del settore 3, ultimo pezzo del puzzle. Tutti i dati raccolti dall’inizio delle indagini nel 2013 fino al completamento del settore 3 saranno poi oggetto di studio per ricostruire l’articolata storia dei diversi abitati individuati in questo sito.

 

Bibliografia

Micheli R. (ed.) 2017. Il Palù di Livenza e le palafitte del sito UNESCO: nuovi studi e ricerche, Pagine dall’ecomuseo 17 – Percorso acqua. Maniago (PN).

Micheli, R. et alii 2018. Nuove ricerche al Palù di Livenza: lo scavo del Settore 3. In Borgna, E., Cassola Guida, P. & S. Corazza (eds.), Preistoria e Protostoria del Caput Adriae, Studi di Preistoria e Protostoria 5: 481-490. Firenze: IIPP.

 

 

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ARCHEOLOGIA | Il villaggio preistorico di Filo Braccio a Filicudi

Il villaggio di Filo Braccio è un insediamento dell’età del Bronzo Antico. L’abitato, molto esteso, occupa parte della costa sud-orientale di Filicudi, tra le località di Filo Braccio (da cui il nome del sito) e Filo Lorani.

L’insediamento fu scoperto nel 1959 da Luigi Bernabò Brea. Le indagini preliminari collocarono il sito alla più antica fase di stanziamento della cultura di Capo Graziano. Gli scavi ripresero nel 2009, partendo dalle capanne già note ed effettuando saggi che hanno portato alla scoperta di 2 nuove aree. Attualmente, una forte abrasione, dovuta agli agenti atmosferici e marini, sta erodendo i resti delle capanne e riducendo la baia costiera.

Lo studio della cultura materiale ha concluso che la nascita di questo sito sembra dovuta a genti la cui provenienza è ancora discussa. Per Luigi Bernabò Brea si tratterebbe dei mitici Eoli, popoli proto-egei, provenienti dall’Oriente e arrivati su queste isole passando per Malta. In effetti, come ricordano alcune antiche raffigurazioni, questi popoli erano abili ed esperti navigatori, che si muovevano mediante navi dotate di più di venti coppie di remi e provviste di una vela quadrata.

Le capanne del villaggio di Filo Braccio

Le nuove genti scelsero un istmo per costruire il proprio villaggio. Il mare garantiva possibilità di difesa e di commercio, mentre l’entroterra, con i suoi fertili terreni, era adatto all’agricoltura. Le capanne del villaggio avevano pianta ovale, erano lunghe dai 5 ai 10 m ed erano costruite con grossi ciottoli, arrotondati dall’incessante azione delle onde marine e depositati sulla spiaggia tirrenica. L’uso di questo particolare materiale rende la struttura di queste case diversa da quella degli altri villaggi: contribuisce, pertanto, ad affermare che la cultura di Capo Graziano costituisce un punto di rottura con il passato. Oggi, sono visibili solo due esemplari di capanne. Il resto degli scavi, che ha individuato stalle, depositi e spazi esterni destinati alla coltivazione agricola, è stato ricoperto per problemi legati alla conservazione di tali strutture.

Il villaggio di Filo Braccio sembra aver avuto una lunga frequentazione. Le capanne e le altre strutture, infatti, presentano almeno due fasi di utilizzo e diversi rifacimenti.

Di particolare interesse risultano il silos situato nell’area Ovest, nei pressi della capanna G, e il deposito di ciottoli rinvenuto nell’area dello Spazio L. Il silo, profondo circa un metro, era foderato di grandi lastre di pietra poste in verticale, intervallate da pietre di più piccole dimensioni, che doveva servire per la conservazione di derrate alimentari. Nel settore ovest dello spazio L, invece, è stato rinvenuto un deposito di ciottoli, i quali dovevano servire per la trebbiatura e pulitura dei cereali. Questi rinvenimenti danno uno spaccato di vita quotidiana di questa popolazione. Tutto questo dimostra che la popolazione che abitava il villaggio preistorico di Filo Braccio era numerosa e ben organizzata.