ARCHEOLOGIA | Veleia Romana (PC), la città della longevità
Veleia Romana (460 m s.l.m), nella valle del Chero, antica città il cui nome deriva dalla tribù ligure chiamata Veleiates, fu fondata nel 158 a.C., dopo la definitiva sottomissione dei Liguri a Roma. Prospero municipio romano e importante capoluogo amministrativo, governò su una vasta area collinare e montana collocata tra Parma, Piacenza, Libarna (Serravalle Scrivia) e Lucca.
Il territorio e le sue risorse
La presenza di acque saline, che i Romani hanno sempre saputo sfruttare con ingegno, aiutò senz’altro lo sviluppo urbano, in cui è possibile individuare vari edifici termali. Questa risorsa naturale, insieme alla tranquillità del luogo, fece di Veleia una meta prediletta di villeggiatura per vari consoli e proconsoli provenienti da Roma, che si illudevano, forse, di poter allungare la loro vita. Infatti, era noto che tra la popolazione di Veleia, come è confermato dall’ultimo censimento dell’imperatore Vespasiano (72 d.C.), vivevano sei persone di 110 anni e quattro addirittura di 120!
Il settore urbano della città di Veleia è distribuito su una serie di terrazze lungo il “pendio boreale del poggio” dei monti Moria e Rovinasso. I toponimi di queste due cime, che anticamente sembra fossero stati un solo monte, allude ad un evento catastrofico la cui memoria è purtroppo andata persa nella foschia dei tempi. Questa zona appenninica, come d’altronde tantissime altre dell’Appennino, è conosciuta geologicamente per la sua tendenza a movimenti franosi: molti esperti sostengono, difatti, che il declino e la fine di Veleia sia stata causata da una grande frana o da una serie di smottamenti lungo la costa del monte sovrastante.
L’area archeologica di Veleia
Il foro, d’età augusteo-giulio claudia, si estende su un piano ottenuto artificialmente per mezzo di un massiccio sbancamento, come rivela la stratificazione leggibile sotto la scalinata posta sul lato orientale. Ne è ben conservato il lastricato, a quattro pioventi, drenati da una cunetta perimetrale con pozzetti di decantazione agli angoli. Lo circonda su tre lati un portico, dilatato in antico illusionisticamente da pitture murali, su cui si aprono botteghe e ambienti a destinazione pubblica, quasi tutti dotati d’impianti di riscaldamento.
Il tutto è completato dalla più bassa delle terrazze, formata dall’accumulo dei materiali provenienti dallo sbancamento del pendio soprastante, contenuti da robuste sostruzioni, ancora ben visibili nel Settecento. Raccordata a quella superiore da un imponente ingresso a duplice prospetto tetrastilo, inserito nel colonnato del foro, la terrazza era forse riservata alle funzioni religiose.
Meta ultima di un percorso ascensionale che proviene dal fondovalle appare la basilica che chiude a sud il complesso: edificio a navata unica, con esedre rettangolari presso le testate, era la sede del culto imperiale; infatti, addossate alla parete di fondo, si levavano le dodici grandi statue in marmo lunense raffiguranti i membri della famiglia giulio-claudia.
A ovest del foro scavi recenti hanno riportato nuovamente in luce resti di costruzioni, riconosciute come anteriori alla sua creazione, nonché tracce del suo originario ingresso, sostituito dopo la metà del I sec. d.C. da quello, monumentale, ubicato sul lato settentrionale. A monte del foro sorgono, invece, quartieri d’abitazione.
La terrazza su cui si leva sin dal Medioevo una pieve dedicata a S. Antonino ospitava, probabilmente, un edificio di culto già nell’antichità. Più in alto è situata una costruzione, identificata, già all’atto della scoperta, come un serbatoio d’acqua, più tardi erroneamente interpretata – e, di conseguenza, ricostruita – come anfiteatro.
All’interno dell’area archeologica è stato allestito un Antiquarium, dove sono conservati calchi della Tabula Alimentaria traianea e della tavola bronzea contenente la lex de Gallia Cisalpina, come pure corredi relativi alle sepolture a cremazione romane, elementi architettonici e d’arredo.