valle delle regine

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NEWS | La città perduta di Aten: Zahi Hawass annuncia la scoperta a Luxor (Egitto)

L’ex ministro delle Antichità Dr. Zahi Hawass, annuncia la scoperta di una città sepolta nella sabbia. Lo fa con un post su Facebook, in attesa della conferenza stampa di sabato 10 aprile. “L‘ascesa di Aton“, questo il nome della città perduta che risale al regno del re Amenhotep III, regnante tra il primo quarto e la metà del XIV sec. a.C., quasi 3500 anni fa. “Abbiamo iniziato il nostro lavoro per la ricerca del tempio funerario di Tutankhamon, considerata la presenza, in quest’area, dei i templi di Horemheb e Ay”, dichiara Hawass.

Invece, la missione egiziana si è ritrovata di fronte a una scoperta eccezionale. La città, fondata proprio da Amnhotep III, nono re della XVIII Dinastia, era attiva durante gli anni di co-reggenza con il figlio Amenhotep IV, meglio noto come Akhenaton, il “faraone eretico”. Si tratta di un grande insediamento amministrativo e industriale sulla riva occidentale del Nilo a Luxor/Tebe. L’insediamento si estende fino a Deir el-Medina, il villaggio degli operai che lavorarono alle sepolture della Valle dei Re e delle Regine.

La città perduta

L’area di scavo si trova tra il Tempio di Ramesse III, a Medinet Habu, e il Tempio di Amenhotep III. “Le strade della città sono fiancheggiate da case, le cui mura sono alte fino a 3 metri“, continua Hawass. Gli scavi erano iniziati a settembre 2020, evidenziando sin da subito numerose strutture in mattoni affioranti in ogni direzione. Una scoperta inaspettata e stupefacente, resa tale anche dal buono stato di conservazione degli edifici, con muri quasi completi e stanze contenenti oggetti di vita quotidiana intatti, sepolti da migliaia di anni. La scoperta di questa città, inoltre, è doppiamente importante. Se da un lato ci offre un raro sguardo sulla vita quotidiana nell’Antico Egitto, dall’altro potrebbe fornire nuovi indizi sul perché Akhenaton e Nefertiti decisero di abbandonare Tebe per il trasferimento ad Amarna.

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Strutture murarie della città di Aten (fonte: Ministero delle Antichità)

Adesso, l’obiettivo primario è quello di ricostruire la storia dell’insediamento. Grazie ad alcune fonti storiche, si sa che la città era costituita da tre palazzi reali del re Amenhotp III e dal centro amministrativo e industriale del Regno.

In quasi sette mesi di scavi sono state riportate alla luce diverse aree dell’insediamento. A confermare la datazione della città è un gran numero di reperti archeologici tra cui anelli, scarabei, ceramiche dipinte, vasi in terracotta per il vino con iscrizioni geroglifiche e mattoni di fango recanti i sigilli con cartiglio di Amenhotep III (Neb Maat-Ra, nome del trono).

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Anfore con iscrizioni (Fonte: Zahi Hawass)
Una città ben organizzata

Nella parte meridionale, la missione ha individuato una prima area destinata alla preparazione di cibi, completa di forni e deposito del vasellame.

Una seconda area, ancora solo parzialmente indagata, è invece il distretto amministrativo e residenziale. Si tratta di un’area delimitata da un muro perimetrale ad andamento ondulato, con un solo punto di accesso verso i corridoi interni che comprende una serie di unità abitative più ampie e ben organizzate. Le pareti ondulate non sono un elemento architettonico frequente nell’Antico Egitto. Queste furono in uso principalmente intorno alla fine della XVIII Dinastia.

La terza area, invece, è la zona industriale, comprendente laboratori per la produzione dei mattoni in fango necessari per la realizzazione di templi e annessi. Tra i rinvenimenti, vi sono anche utensili per le attività tessili e anche un gran numero di stampi da fusione per la produzione di amuleti o elementi decorativi.

Inusuali sepolture e un area cimiteriale

Una delle stanze indagate presenta sepolture di un grande animale bovino, una mucca o un toro, per cui sono in corso ricerche per determinarne la natura e lo scopo. Ma più inusuale e quasi inquietante è, inoltre, il ritrovamento di una sepoltura antropica il cui scheletro presenta braccia tese lungo i fianchi e resti di una corda attorno alle ginocchia.

Accanto a questi rinvenimenti, anche quello di un’ampia area cimiteriale, la cui estensione non è stata ancora determinata. La missione ha evidenziato un gruppo di tombe, di varie dimensioni, scavate nella roccia. Ad esse si accede tramite scale, caratteristica che accomuna diverse tombe nella Valle dei Re e nella Valle dei Nobili.

La conferma della datazione

Già i sigilli reali su mattoni e stampi non lasciano dubbi sulla datazione al tempo di Amenhotep III. A questi elementi, vanno aggiunti dei curiosi rinvenimenti. Uno di questi è un contenitore con resti di carne essiccata o bollita (circa 10 kg) con un’importante iscrizione. Si può infatti leggere: “Anno 37, carne condita per la festa Heb Sed proveniente dal macello del recinto per bestiame di Kha, fatta dal macellaio luwy. Una preziosa informazione che non solo fornisce i nomi di due persone che vivevano e lavoravano nella città, ma conferma il periodo di attività della stessa anche al tempo della co-reggenza.

Un’impronta di sigillo, inoltre, reca l’iscrizione gm pa Aton, che può essere tradotto come “dominio del luminoso Aton”, nome di un tempio fatto realizzare da Akhenaton a Karnak.

Sigillo con iscrizione e frammenti lapidei con occhi (fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)

La missione annuncia che i lavori continueranno poiché, fino ad ora, è stato indagato solo un terzo dell’area. Una scoperta importante, dunque, che, al di là del dato materiale, fornisce importanti informazioni circa la vita quotidiana non solo popolare ma, in questo caso, anche reale.

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ANTICO EGITTO | La Valle della Bellezza

La Valle delle Regine, la più meridionale delle necropoli tebane, è il luogo dove, a partire dalla XVIII Dinastia, vennero inumati dapprima i principi e le principesse di sangue reale, insieme a personaggi che vivevano nell’ambiente di corte; in seguito, a partire dall’epoca di Ramesse II, anche le regine alle quali era dato il titolo di “spose reali”. Successivamente, durante la XX Dinastia, Ramesse III ripristinò la tradizione e fece allestire nella valle le tombe di alcuni dei suoi figli.

La Necropoli delle Regine

In origine, gli Egiziani la indicavano come ta set neferu, espressione che si presta a svariate interpretazioni, ma che verosimilmente può essere tradotta “il luogo della bellezza”, interpretazione generalmente più diffusa.

La necropoli sorge in fondo ad una valle, circondata da ripide alture, situata dietro la collina dell’attuale villaggio di Qurna. In essa si trovano circa 70 tombe, depredate nell’antichità e poi riutilizzate dalle comunità locali.

Il sito fu scelto perché ritenuto sacro e, quindi, adatto alla sua funzione di necropoli reale, sia per la sua vicinanza con la cima tebana, sia per la presenza sul fondovalle di una grotta-cascata la cui forma e i fenomeni naturali a essa connessi potevano suggerire un concetto religioso e funerario. La grotta avrebbe, infatti, rappresentato il ventre o l’utero della Vacca Celeste, una delle raffigurazioni della dea Hathor, dal quale sgorgavano le acque che annunciavano l’imminente rinascita dei defunti sepolti in questo luogo privilegiato.

Champollion nell’800, durante un suo viaggio, ne documentò circa una decina, le uniche disponibili in quel tempo.

Nel 1904, un italiano scopriva nella Valle delle Regine, a Tebe Ovest, quella che probabilmente è la tomba più bella d’Egitto. L’italiano era Ernesto Schiaparelli, l’allora direttore del Museo Egizio di Torino, mentre la tomba apparteneva alla celeberrima Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramesse II (1279-1212 a.C.).

Schiaparelli
Ernesto Schiaparelli

Nonostante l’opera dei saccheggiatori, che lasciarono ben poco del corredo originario, la QV66 resta un gioiello per la sua struttura architettonica, paragonabile a quelle che si trovano nella Valle dei Re, e, soprattutto, per il magnifico ciclo pittorico che abbellisce le pareti e il soffitto.

Nefertari
Decorazione pittorica dalla Tomba di Nefertari (QV66)

La planimetria della tomba è piuttosto articolata, perché ha molte similitudini con quella di Ramesse nella Valle dei Re. Ha una lunga scalinata d’entrata, una grande camera centrale e una scala di accesso attraverso la quale si accede alla sala del sarcofago, dotata di quattro piloni e di quattro stanze annesse.

Fu solo nel 1970 che nella Valle ebbe inizio una serie di missioni annuali effettuate dal Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) di Parigi, dal Museo del Louvre, dal Centre d’Études et Documentation sur l’Ancienne Egypte (CEDAE) e dall’Egyptian Antiquities Organization, oggi Supreme Council of Antiquities.

Agli scavi di Schiaparelli si deve la scoperta di tutte le più importanti tombe del sito, come quelle appartenenti ai figli di Ramesse III, Seth-her-khepshef (QV 43), Kha-em-waset  (la QV 44), Amon-(her)-khepshef (QV 55).

La bellezza di questa valle, la assapori al tramonto, seduta su una pietra, attendendo che il sole scenda attraverso le spaccature rocciose, che dal color ocra passano attraverso le varietà del color rosa, ma dal silenzio sacro ai faraoni ecco apparire sul mio capo il volteggiare del Dio Falco…

 

Ai gentili lettori diamo appuntamento con la rubrica sull’Antico Egitto nella nuova rivista bimestrale di Archeome da febbraio 2021.

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ANCIENT EGYPT | Deir el-Medina and the artists of the afterlife

Everyone knows the Valley of the Kings, which houses the burials of the pharaohs of the 18th, 19th and 20th dynasty; not everyone, however, knows Deir el-Medina, the village where workers and artisans responsible for the construction of the royal tombs lived. This village is a very important source of documentary information regarding urban planning, social, funerary customs, and literature in ancient Egypt.

A village hidden in a small valley, between the spurs of the Thebes mountain and the hill of Gurnet Murai, Deir el-Medina owes its present name to a small monastery, built not far from the Ptolemaic temple consecrated to Hathor-Maat. The Arabic toponym that indicates this place, in fact, means “monastery of the city”.

The layout of the village

The complex includes about 120 houses and is surrounded by a wall, while inside there are walls that separate the different districts; from the point of view of the dimensions it is rather modest, but what is striking is precisely the careful planning of the spaces, used for housing and for public use, a division that guaranteed the isolation of the community from the outside, fundamental for the protection of the royal necropolis.

Deir el-Medina was inhabited by about 500 people, divided into two sections through a main road running from north to south; on the spot there was the team of “workers”, but actually they were not considered as such, since they were made up of scribes, painters, engravers, sculptors, draftsmen, that we would refer to them today as “artists”, flanked by the workforce of unskilled workers, quarrymen, cement workers and miners, who took turns periodically.

The houses were made of raw bricks (bricks whose mixture of clay and chopped straw was left to dry in the sun), on a base of rough stone that rested directly on the ground, without foundations, and they are all very similar.

Those of the workers, despite being small and simple, are composed of an entrance hall, where an altar was located for domestic offerings, as a place of welcome and prayer. Continuing the exploration, we find a main room with a high ceiling, supported by a central column and equipped with a window with a grate for lighting, then a living room, a kitchen with a cellar below and, finally, the terrace, a place of meeting and refreshments.

 

Section (top) and partial plan (bottom) of a house in Deir el-Medina

Religion come into houses

Ancestor worship at home was very important, and so was the religion in general; we have the cults of Osiris, the God of the Underworld and prince of eternity as he reflects the incarnation of the life cycle; Ptah, the God of Creator and patron of cratftmens; Thoth, god-ibis patron of the scribes; Hathor, the celestial cow that swallows the sun at sunset to give it life in the morning, as well as the “lady of the necropolis”, who welcomes the dead into the afterlife, as well as Amon-Ra, king of all the gods of the Egyptian pantheon. The devotion to these deities was manifested through some stelae, in which various hymns and prayers appear: forgiveness for sins, as well as protection and health are asked.

A school in Deir el-Medina

In addition to stelae, Deir el-Medina has left us many other evidence, not only administrative documents, but also private ones, mainly in the form of ostraka (pottery shards). There are scholastic ostrakas, which therefore attest to the presence of a school (for painters and scribes) in this village, and which report passages from the Kemit, a text that contains models of letters, advice and rules of life, useful for future scribes .

Among the literary texts reproduced in these ostraka, there are mainly passages from the “Satire of the Trades” and the “Teaching of Amenemhat”. The Satire of the Trades includes writings that exalt the virtues of one’s trade, the scribe, compared to other trades, often described in sarcastic terms; this trade is therefore exalted, since an official like this is considered a true teacher of life. The “Teachings”, on the other hand, are a very widespread typology of texts, in which life advice, instructions and teachings are given, in fact, from father to son.

 

The democratization of funerary architecture

The maximum artistic expressiveness, however, must be sought in the tombs of the workers: in this period we are witnessing the birth of a real workers ‘ necropolis, in which the burials have nothing to envy to the noble tombs, in terms of decoration. Originally, there was no pre-established overall plan, only with the nineteenth dynasty the family tombs will be concentrated on the north-western side of the necropolis.

These are tombs with so-called “composite” architecture: the superstructure consists of a small pyramid (hence the definition of “pyramid tomb”), built in poor and perishable material, which demonstrates the democratization process started with the transcription, on papyrus, of the “Book of the Dead; then there is a hypogeum with an underground room, covered by a brick vault. The reliefs and pictorial works on the walls are often of the highest quality and, rare in Egypt, we are witnessing the use of “fresco” painting by the pisé technique (clay mixed with mud on which plaster is applied, which serves as a basis for painting).

 


Diagram of a burial in the Workers’ Village of Deirel-Medina:
a. Pylon; b. Courtyard; c. Water well; d. Hypogeum that housed the mummy / s; e. Chapel; f. Heliopolitan pyramid; g. Dormer window

https://archeome.it/wp-admin/post.php?post=7469&action=edit

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ANTICO EGITTO | Deir el-Medina e gli artisti dell’Aldilà

Tutti conoscono la Valle dei Re, che ospita le sepolture dei faraoni della XVIII, XIX e XX dinastia; non tutti, però, conoscono Deir el-Medina, il villaggio dove vivevano gli operai e gli artigiani preposti alla realizzazione delle tombe reali. Questo villaggio è una fonte documentale molto importante per quanto riguarda l’urbanistica, le abitudini sociali, funerarie, e la letteratura nell’antico Egitto.

Villaggio nascosto in una piccola valle, tra i contrafforti della montagna tebana e la collina di Gurnet Murai, Deir el-Medina deve il nome odierno a un piccolo monastero, sorto non lontano dal tempio tolemaico consacrato ad Hathor-Maat. Il toponimo arabo che indica questo luogo, infatti, significa “monastero della città”.

Struttura del villaggio

Il complesso comprende circa 120 abitazioni ed è circondato da una cinta muraria, mentre all’interno vi sono muri che separano i diversi quartieri; dal punto di vista delle dimensioni è piuttosto modesto, ma ciò che colpisce è proprio l’accurata pianificazione degli spazi, adibiti alle abitazioni e ad uso pubblico, divisione che garantiva l’isolamento della comunità dall’esterno, fondamentale per la protezione della necropoli reale.

Deir el-Medina era abitato da circa 500 persone, suddiviso nel quartiere di “destra” e di “sinistra” attraverso una via principale che corre da nord a sud; in loco si trovavano le squadre degli “operai”, ma che tali non erano, poiché erano composte da scribi, pittori, incisori, scultori, disegnatori, che oggi chiameremmo “artisti”, affiancati dalla forza lavoro composta da manovali, cavapietre, cementisti e minatori, che si avvicendavano periodicamente.

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Sezione (in alto) e pianta parziale (in basso) di una casa a Deir el-Medina

Le case erano realizzate in mattoni crudi (mattoni il cui impasto di argilla e paglia tritata veniva lasciato essiccare al sole), su un basamento di pietra grezza che poggiava direttamente sul terreno, senza fondamenta, e sono tutte molto simili.

Quelle degli operai, pur essendo piccole e semplici, sono composte da un vano d’ingresso, dove era situato un altare per le offerte domestiche, quale luogo di accoglienza e di preghiera. Proseguendo nell’esplorazione, troviamo una sala principale con un soffitto alto, sorretto da una colonna centrale e dotato di una finestra con grata per l’illuminazione, poi un vano soggiorno, una cucina con cantina sottostante e, infine, il terrazzo, luogo di incontro e di rinfresco.

La religione entra nelle case

Il culto domestico degli antenati era molto importante, e, in generale, lo era la religione; abbiamo i culti di Osiride, dio dei morti e principe dell’eternità in quanto incarnazione del ciclo vitale; Ptah, dio demiurgo e patrono degli artigiani; Thot, dio-ibis patrono degli scribi; Hathor, la vacca celeste che al tramonto inghiotte il sole per ridargli vita al mattino, nonché “signora della necropoli”, che accoglie i morti nell’aldilà, oltre ovviamente ad Amon-Ra, re di tutti gli dèi del pantheon egizio. La devozione a queste divinità era manifestata attraverso alcune stele, in cui compaiono vari inni e preghiere: si chiede perdono per i peccati, oltre che protezione e salute.

Una scuola a Deir el-Medina

Oltre alle stele, Deir el-Medina ci ha lasciato molte altre testimonianze, documenti non solo amministrativi, ma anche privati, sotto forma soprattutto di ostraca (cocci di ceramica). Ci sono ostraca scolastici, che attestano, quindi, la presenza di una scuola (per pittori e scribi) in questo villaggio, e che riportano brani della Kemit, un testo che contiene modelli di lettere, consigli e regole di vita, utili ai futuri scribi.

Fra i testi letterari riprodotti in questi ostraca, sono presenti soprattutto brani della “Satira dei mestieri” e dell’”Insegnamento di Amenemhat”. La Satira dei mestieri comprende scritti che esaltano le virtù della propria professione, lo scriba, rispetto ad altri mestieri, descritti in termini spesso sarcastici; viene, quindi, esaltata questa professione, in quanto un funzionario del genere è considerato un vero e proprio maestro di vita. Gli “Insegnamenti”, invece, sono una tipologia molto diffusa di testi, in cui si danno consigli di vita, istruzioni e insegnamenti, appunto, di padre in figlio.

La democratizzazione dell’architettura funeraria 
deir el-medina
Schema di una sepoltura del Villaggio Operaio di Deir el-Medina:
a. Pilone; b. Cortile; c. Pozzo; d. Ipogeo che ospitava la/e mummia/e
e. Cappella; f. Piramide “eliopolitana”; g. Finestra “abbaino”

La massima espressività artistica però, va ricercata nelle tombe degli operai: si assiste, in questo periodo, alla nascita di una vera e propria necropoli operaia, in cui le sepolture nulla hanno da invidiare alle tombe nobiliari, quanto a decorazione. Originariamente, non esisteva un piano di insieme prestabilito, solo con la XIX dinastia le tombe di famiglia si concentreranno sul lato nord-occidentale della necropoli.

Si tratta di tombe ad architettura cosiddetta “composita”: la sovrastruttura è costituita da una piccola piramide (da cui la definizione di “tomba a piramide”), costruita in materiale povero e deperibile, che dimostra il processo di democratizzazione iniziato con la trascrizione, su papiro, del “Libro dei morti; vi è, poi, un ipogeo con un vano sotterraneo, coperto da una volta in mattoni. I rilievi e le opere pittoriche presenti sulle pareti sono spesso di altissima qualità e, caso raro in Egitto, si assiste all’impiego di pittura “a fresco” su “pisé” (argilla mista a fango su cui viene applicato l’intonaco, che serve da base per la pittura).