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NEWS | Riaffiorano sepolture a San Martino dall’Argine (Mn)

Durante alcuni lavori eseguiti dal Consorzio di Bonifica Navarolo di Casalmaggiore riaffiorano sepolture a San Martino dall’Argine, in provincia di Mantova.

Gli scavi e la scoperta archeologica

Le 11 tombe sono state riportate alla luce in una fascia di circa 350 metri; tre sepolture presentano una copertura, detta “alla cappuccina”, formata da mattoni disposti a doppio spiovente; queste sembrano essere suddivise in quattro nuclei apparentemente separati.

Tomba con copertura “alla cappuccina”

Le sepolture ad inumazione hanno restituito individui adulti e alcuni bambini. L’assenza completa di elementi di corredo rende complicato arrivare ad una collocazione cronologica precisa, ma l’utilizzo, nelle tombe maggiormente strutturate, di laterizi di reimpiego fa ipotizzare un inquadramento in età alto medievale; questa ipotesi sarebbe avvalorata dal ritrovamento di alcune buche pertinenti a edifici lignei e di canali antichi, che stanno restituendo frammenti ceramici.

Sepoltura a inumazione

Dagli scavi sono emerse anche sporadiche tracce di frequentazione preistorica dell’area, attestata dalla presenza di un pozzetto di scarico con minuti frammenti ceramici ad impasto, che confermano il recupero di selce nel corso delle indagini preliminari del 2020. I dati emersi permetteranno di aggiungere tasselli per migliorare la conoscenza della storia dell’area, utili per meglio comprendere le dinamiche di popolamento antico nell’area mantovana.

Le parole del sindaco, Alessio Renoldi

“È stata una sorpresa e anche un’emozione vedere quelle tombe sepolte da circa 1.500 anni nei terreni di San Martino. Sono preziosissimi pezzi di storia che confermano insediamenti molto antichi dei nostri territori e non possono far altro che suscitare ulteriore curiosità sulle origini del nostro paese. Ovviamente cercheremo di valorizzare al meglio questo scoperte e quando sarà possibile metteremo a disposizione dei cittadini quante più informazioni possibili. Spero anche che ulteriori indagini possano far emergere nuovi frammenti di storia e di conoscenza del comune”.

Il sindaco, Alessio Renoldi

ENGLISH VERSION | Graves resurface in San Martino Dell’Argine (MN)

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NEWS | Dal Delta del Nilo (Egitto) ritornano alla luce 110 sepolture antichissime (PHOTOGALLERY)

Il dottor Sayed Al-Talhawi, direttore dello scavo nell’area archeologica di Dakahlia, governatorato a nord-est del Cairo, annuncia la scoperta di 110 sepolture. L’importanza della scoperta, avvenuta nel sito di  Kom al-Khaljan, nel Delta del Nilo, risiede nell’epoca delle sepolture. Sembra siano databili a tre diversi periodi, che scandiscono, di fatto, tre diverse fasi della civiltà egizia, dalla preistoria al Secondo Periodo Intermedio.

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Le sepolture di Kom al-Khaljan (foto: Ministry of Tourism and Antiquities)

Le più antiche, 68 sepolture, risalgono infatti a più di 5000 anni fa, alla Civiltà del Basso Egitto, conosciuta come Bhutto/Buto 1 (3900-3700 a.C.) e Bhutto/Buto 2 (3700-3350 a.C.). Cinque sepolture, invece, risalgono alla civiltà Naqada III (3500-3150 a.C.) e 37 all’epoca Hyksos (1720-1530 a.C.) durante il Secondo Periodo Intermedio. 73 sepolture, dunque, sono state realizzate prima delle piramidi, prima dei faraoni.

Le tombe più antiche

Il dottor Ayman Ashmawy, capo del settore delle antichità egizie presso il Consiglio Supremo delle Antichità, dichiara che le 68 sepolture sono fosse di forma ovale scavate nello strato sabbioso dell’isola del Delta. Al loro interno, i defunti sono stati collocati in posizione rannicchiata. La maggior parte giaceva sul lato sinistro e con la testa rivolta a ovest. All’interno di un grande vaso di argilla, inoltre, sono stati scoperti i resti di un bambino, databili al periodo Bhutto/Buto 2, sepolto insieme a un piccolo vaso di argilla sferico.

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Sepoltura a fossa ovale con resti antropici in posizione accovacciata. Dal sito di Kom al-Khalian nel Delta, risalente alla civiltà di Buto (foto: Ministry of Tourism and Antiquities)
Le sepolture con corredo di Naqada III

Anche le cinque tombe risalenti al periodo Naqada III sono fosse di forma ovale ricavate nello strato sabbioso. Tra queste, due sepolture presentano il fondo e la parte superiore ricoperti da uno strato di argilla. «All’interno delle fosse, spiega Ayman Ashmawi, la missione ha trovato un gruppo di arredi funerari caratteristici di questo periodo, come vasi cilindrici e triangolari, oltre alla ciotola del kohl, la cui superficie era decorata con disegni e forme geometriche».

Le sepolture del periodo Hyksos

Nadia Khader, capo del Dipartimento centrale del Basso Egitto presso il Consiglio Supremo delle Antichità, afferma che le tombe del Secondo Periodo Intermedio sono 37; 31 di queste sono fosse semi-rettangolari, con profondità tra i 20 cm e gli 85 cm. Presentano tutte sepolture in posizione distesa e supina con la testa verso occidente. Alcune sepolture presentano una struttura rettangolare in mattoni di argilla, a forma di edifici. Anche in questo gruppo, inoltre, è presente l’inumazione di un bambino all’interno di un grande vaso: si tratta di una tipologia di sepoltura diffusa in Oriente.

Le tombe presentano un corredo funerario di piccoli, ma significativi oggetti: vasi di argilla nera, amuleti (in particolare scarabei) in pietre semipreziose e gioielli, come anelli e orecchini in argento.

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NEWS | Scoperta una necropoli con camere inviolate a Marsala (TP)

Gli scavi archeologici preventivi per il rifacimento della rete fognaria di Marsala (TP) hanno portato in luce i resti di due camere ipogee inviolate; all’interno anche il corredo funerario e resti di corpi inumati. A questi eccezionali ritrovamenti si aggiungono circa 50 tombe, collocate ad una minore profondità, riferibili con molta probabilità a una necropoli punica.

Il primo ipogeo, databile intorno alla metà del IV secolo a.C., presenta due camere funerarie di forma quadrangolare; all’interno sono cinque i resti di corpi inumati, tre adulti e due bambini, con il corredo funerario: alcuni vasi e piccoli oggetti in metallo

Il secondo ipogeo si presenta come una struttura articolata su più livelli in cui si possono riconoscere diverse fasi architettoniche e di utilizzo che sembrano coprire almeno sette secoli. Un primo grande ambiente sembra essere il risultato dell’ampliamento e dell’unione di preesistenti sepolture puniche del IV-III secolo a.C. Questo secondo ipogeo presenta una serie di sepolture ricavate lungo le pareti: in particolare sei tombe a cassettone, otto loculi e otto nicchie. Due delle tombe a cassettone hanno conservato resti di inumati, mentre le tombe a fossa sono state scavate direttamente sul pavimento della camera funeraria. Il rinvenimento di materiale ceramico e di lucerne figurate e con bolli lascia pensare ad un utilizzo dal II al IV/V secolo d.C. con una prima fase di culto giudaico e una seconda cristiana.

I lavori, in ottemperanza alle prescrizioni dettate dalla Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani, si svolgono sotto la direzione dell’archeologa Giuseppina Mammina e sono condotti sul campo da Sharon Sabatini (SAMA Scavi Archeologici) e da Sebastiano Muratore, archeologo della ditta esecutrice. Al lavoro di scavo preventivo hanno contribuito anche gli operai Joan Sararu, Giuseppe Amodeo, Mirko Genna e Riccardo Ingarra.

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NEWS | Scoperte sepolture dell’antica Stabiae: la storia post eruzione

Durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Farnese (NA), a pochi metri dall’atrio, è riemersa la storia post eruzione con delle sepolture. Ci troviamo a Castellammare di Stabia (NA) dove, al di sotto della pavimentazione della sede comunale, sono riaffiorate delle tombe probabilmente appartenenti agli abitanti che ripopolarono l’antica Stabiae

Grazie a queste nuove scoperte, gli studiosi potranno ricostruire la storia del territorio di Stabia, ripopolato dai Romani dopo l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., e dei suoi nuovi antichi abitanti. Nelle zone limitrofe è già nota una necropoli alla quale potrebbero ricollegarsi almeno tre sepolture. 

“Le operazioni di scavo confermano ancora una volta quanto il nostro territorio sia ricco di bellezza e di Storia; come già aveva intuito Libero d’Orsi e testimoniato il Museo Archeologico di Palazzo Reale di Quisisana a lui dedicato” – commenta su Facebook di Gaetano Cimmino, sindaco di Castellammare (NA).

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NEWS | Volpiano (TO), scoperta una necropoli romana con 44 tombe del I secolo d.C

Durante i sondaggi preliminari per la costruzione del nuovo parco fotovoltaico Eni di Volpiano (TO), appena pochi centimetri sotto la superficie del terreno, è venuta in luce una necropoli di epoca romana.

La necropoli ha restituito 44 tombe, i cui corredi erano costituiti da preziose coppe in vetro, vasi in ceramica e iscrizioni in latino. Il perfetto stato di conservazione dei reperti deve la sua fortuna alla natura sterile e pietrosa del terreno: sebbene si trovasse solo pochi centimetri sotto la superficie, infatti, l’inutilizzo del terreno ha fatto si che la necropoli restasse invisibile e incorrotta fino a oggi.

La presenza romana in quest’area era già nota agli archeologi, grazie al ritrovamento di una villa rustica di età imperiale avvenuto casualmente, durante i lavori per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Milano. La villa è situata a soli 10 km dal luogo della necropoli, tra Brandizzo e Volpiano.

Proprio per la vicinanza con la villa, i lavori per la costruzione del parco fotovoltaico sono stati progettati con cautela. Eni e la Soprintendenza hanno effettuato dei sondaggi preliminari, affinché la posa dei pannelli fotovoltaici non distruggesse nulla, costringendoli a un improvviso stop dei lavori.

Il Sindaco di Volpiano, Emanuele De Zuanne, ha commentato:

“In base al presunto tracciato della centuriazione romana (l’antica organizzazione agraria del territorio) e ai precedenti ritrovamenti era ipotizzabile rinvenire qualcosa nel sito interessato dal nuovo impianto. Questi reperti sono le più antiche testimonianze presenti nel territorio di Volpiano ed è intenzione dell’amministrazione comunale mostrarli al pubblico, prima in una mostra temporanea e successivamente in una sede permanente”.

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NEWS | San Severino (SA), gli scavi restituiscono le tombe di sei bambini

Centola (SA). Durante gli scavi effettuati nel castello di epoca longobarda, gli archeologi hanno messo in luce le mura della fortezza e le sepolture di sei bambini.

“Siamo ancora in una prima fase di scavo – spiega Maria Tommasa Granese, funzionaria – archeologa della Soprintendenza – ma, grazie a questi primi interventi, è già possibile osservare alcuni ambienti del castello: la cappella, la cisterna e altre aree ancora oggetto di studio. Gli archeologi – continua la Granese – stanno elaborando dati e relazioni per ricostruire con esattezza la storia del castello. Per quanto riguarda le sepolture ritrovate – aggiunge l’esperta – stiamo analizzando i reperti per risalire all’esatta datazione”. 

I ritrovamenti fatti dagli archeologi sono stati portati via dal sito per uno studio più approfondito in laboratorio.

Il borgo fantasma di San Severino, dai Longobardi all’abbandono agli inizi del ‘900

Da ciò che si evince dalle stratificazioni archeologiche, dallo studio dei resti visibili e dalle fonti storiografiche, la prima fase di frequentazione del sito risale al X secolo, durante l’occupazione longobarda. Sempre all’epoca longobarda risale anche il nome del Borgo: i Sanseverino erano la più ricca e potente famiglia del Principato longobardo di Salerno. Uno tra i primi edifici a essere costruiti fu senza dubbio proprio il loro castello. La fortezza sorge sulla roccia che domina la sottostante Valle del Mingardo: da questo punto, infatti, era possibile avere il pieno controllo della così detta Gola del Diavolo, da cui si accedeva al borgo di San Severino. Alle prime fasi di vita dell’abitato risale anche una cappella e una torre di avvistamento.

Nonostante le successive dominazioni, quella normanna e sveva, la famiglia Sanseverino mantenne il controllo sul borgo, tramandandolo di generazione in generazione, dal X al XIV secolo. Fu solo a causa di aspri contrasti con il re spagnolo Carlo V, che nel 1552 la famiglia perse il potere e fu esiliata fuori dal Regno di Napoli.

Nel corso dei secoli, il borgo si è ingrandito, sono sorti altri palazzi e altri edifici religiosi oltre a quelli della prima fase longobarda. Lo stesso castello ha subito numerose modifiche: oggi ritroviamo degli archi a sesto acuto, una sala dai cui resti si vedono alcune finestre e una nicchia. Troviamo anche parte della cappella palatina, dell’abside e della navata.

Nel 1624 un’epidemia di peste decimò la popolazione di San Severino; proprio a questo periodo sembra appartenere la consacrazione della chiesa di Santa Maria degli Angeli, protettrice contro il morbo.

La storia del borgo arriva al capolinea nel 1888, in seguito alla costruzione della linea ferroviaria Pisciotta-Castrocucco. Agli inizi del ‘900, la popolazione era quasi tutta scesa a valle, lasciando il borgo completamente abbandonato.

Gli scavi archeologici e la rinascita del borgo di San Severino

 “Abbiamo sempre creduto nella valenza artistica e culturale del borgo e del castello di San Severino – spiega il sindaco Carmelo Stanziola – e fin dal primo giorno del nostro insediamento ci siamo attivati per reperire risorse per gli scavi e la messa in sicurezza dell’intera area. E oggi, finalmente, raccogliamo i primi risultati, le prime soddisfazioni. Faremo in modo che si continui a scavare e a studiare – continua il primo cittadino – ma soprattutto cercheremo di rendere fruibile ai turisti gli scavi e il borgo già per la prossima primavera”.

Gli scavi sono stati commissionati dal comune di Centola e finanziati dal Ministero dell’Interno. La direzione è stata affidata alla Soprintendenza “Archeologia, belle arti e paesaggio” delle province di Salerno e Avellino. La speranza del primo cittadino di Centola e degli studiosi è quella di rendere il borgo già visitabile in primavera. Il progetto di riqualificazione riguarda anche l’allestimento di un padiglione museale per contenere i resti della cultura materiale provenienti dagli scavi.

 

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NEWS | Gravina, dagli scavi emergono ricche sepolture del VI-IV secolo a.C.

L’area archeologica di Botromagno (Gravina, Puglia) è già nota agli archeologi per essere uno dei più importanti siti della Puglia preromana. Nell’ultima campagna di scavo, avviata nei giorni scorsi, i ricercatori hanno riportato alla luce alcune sepolture a semicamera databili tra il VI e il IV secolo a.C.

L’insediamento 

Il colle Petra Magna, sul quale sorge il sito archeologico, mostra tracce d’insediamento a partire dall’Età del ferro. I greci ne fecero una città, che prese il nome di Sidion. La quantità e la qualità dei reperti rinvenuti nelle varie campagne di scavo dimostrano come questo sito, proprio in epoca greca, facesse parte di una fitta rete di scambi tra Occidente e Oriente che comprendeva altre grandi città della Magna Grecia, come Taranto e Metaponto.

Sidion cambiò nome in Silvium in seguito alla conquista da parte dei romani. La città venne incendiata e gli abitanti furono fatti prigionieri. Data la vicinanza con la via Appia, il centro si trasformò in una stazione militare che l’esercito romano usava per rifornirsi. Il sito venne distrutto da un violento terremoto nel II secolo a.C.

Gli ultimi ritrovamenti

Nei giorni scorsi gli archeologi hanno ritrovato delle sepolture risalenti alla frequentazione greca. Si tratta di tombe a semicamera. L’imponenza di queste strutture funerarie basterebbe a suggerire lo status sociale degli inumati. Si tratta probabilmente di famiglie facoltose, appartenenti all’alta società di Sidion. A confermarlo potrebbero essere anche i numerosi frammenti di oggetti preziosi e ceramiche di importazione rivenuti nel sito, a conferma del fiorente periodo che la città visse tra i secoli IV e VI a.C., forse proprio grazie ai rapporti commerciali con il resto della Magna Grecia e con la Grecia.

Le indagini sul sito

Purtroppo, i tombaroli sono stati i primi a capire l’enorme potenziale del Parco Archeologico di Botromagno. Fin dal XIX secolo, ma con maggior brutalità tra gli anni ’50 e ’70 del XX secolo, hanno saccheggiato quest’area e disperso testimonianze storiche di rilievo.

Dagli anni ’70 del secolo scorso il sito è stato scavato, con metodo, da prestigiosi istituti britannici e canadesi, restituendo così una grossa mole di informazioni storiche e di reperti archeologici di un periodo compreso tra il Neolitico e la dominazione romana.

Attualmente il sito è oggetto di indagine da parte della Soprintendenza Abap per la città metropolitana. La direzione dello scavo è affidata alla dottoressa Marisa Corrente. La responsabile dello scavo ha fatto presente la sua preoccupazione per lo scarso interesse mostrato per il sito di Botromagno e fa presente la necessità di una sinergia istituzionale per salvaguardare un tesoro senza eguali. La preoccupazione riguarda soprattutto le azioni illegali degli scavatori di frodo.

Anche negli ultimi ritrovamenti, infatti, sono visibili le tracce distruttive lasciate dai predoni nel tentativo di saccheggiare le sepolture senza tener conto del contesto storico o stratigrafico, con il solo scopo di trafugare elementi preziosi che fungevano da corredo nelle sepolture.

Entusiasmo per la nuova campagna di scavi da parte del primo cittadino Alesio Valente. «Ogni azione utile a far uscire dall’ombra il destino del parco archeologico di Botromagno non può che essere accolta e salutata con favore – riferisce il sindaco -. Ancor di più lo è la nuova campagna di scavi avviata dalla Soprintendenza. Il governo deve dedicare massima attenzione a questo patrimonio. Battaglia che portiamo avanti da sempre ma che ha portato risultati purtroppo parziali».

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LOMBARDIA | La Tomba della Cà Morta: analogie e differenze con la Tomba di Vix

LA TOMBA DELLA CA’ MORTA

La Tomba del Carro della Ca’ Morta è un monumento funerario di una principessa rinvenuto, per caso, a Como,  nel 1928.  La sepoltura è una delle più ricche rinvenute in città.

Vennero trovati diversi reperti facenti parte del corredo personale della principessa, tra cui una kylix attica a figure rosse, importante per datare la sepoltura, uno stamnos in bronzo, fibule ad arco composito e a sanguisuga, anelli in bronzo ed armille; tuttavia, il più maestoso di questi ritrovamenti è, senza dubbio,  un carro a ruote dentate.

Il carro da parata, a quattro ruote, presenta un pianale sopraelevato, decorato da ricchi elementi in bronzo. Il veicolo era agganciato a una pariglia di cavalli tramite una stanga che si collegava all’asse delle ruote anteriori.

LA TOMBA DI VIX

La tomba di Vix è il sepolcro di una principessa di origine celtica risalente alla fine del VI secolo a.C.

La tomba venne scoperta nel 1953 dall’archeologo Maurice Moisson, a Vix, in Borgogna.

La camera funeraria, dalle misure di circa 3×3 metri, era foderata da assi di legno e coperta da un tumulo di pietre e terra. Il corpo della principessa  era stato adagiato sul cassone di un carro e coperto da un panno, decorato con motivi rossi e blu, di cui sono stati recuperati scarsissimi resti.

Il carro da parata a quattro ruote era stato smontato e le ruote erano deposte ordinatamente su un lato della camera sepolcrale. Il carro presentava un pianale in legno, ornato da elementi in bronzo e parti di rinforzo metalliche su cerchioni, raggi, assi e mozzi delle ruote.

La deposizione di carri all’interno delle sepolture è una tradizione antichissima, che affonda le sue radici nell’età del Bronzo, epoca in cui essi erano associati ad armi e vasellame in lamina bronzea. 

ANALOGIE E DIFFERENZE

Il carro della Ca’ Morta trova precisi confronti con la tomba di Vix.

Entrambe sono tombe femminili di individui di alto rango, con un ruolo importante all’interno della società: molto probabilmente, si trattava di sacerdotesse; entrambe le tombe presentano un ricco corredo con numerosi oggetti di ornamento, diversi recipienti in lamina bronzea e in ceramica, legati al rituale del simposio aristocratico, e un ricco carro da parata a quattro ruote in legno e metallo; inoltre, le due sepolture sono separate tra loro da un intervallo cronologico di qualche decennio, ma si collocano entrambe nel momento di maggiore fioritura dei commerci tra mondo mediterraneo e mondo celtico, quando nell’Europa continentale le aristocrazie hallstattiane raggiungono l’apice del proprio potere mentre, al di qua delle Alpi, la cultura di Golasecca perviene alla sua massima fioritura.
Non ci deve, perciò, sorprendere il ritrovamento di così tanti elementi in comune tra due sepolture – quella di Vix ad inumazione e quella di Como ad incinerazione, secondo i rispettivi costumi funerari delle due civiltà – separate da circa 400 km di distanza e dalla maggiore catena montuosa dell’Europa: le Alpi.

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News | Scoperte quattro tombe alla cappuccina a Milazzo

L’Archeologia Preventiva è quella branca dell’archeologia che si occupa di tutelare preventivamente qualunque zona ad alto rischio archeologico interessata da scavi di profondità.

In termini spiccioli, un team di archeologi professionisti, selezionato e coadiuvato dalla Soprintendenza responsabile, affianca e coordina qualunque azienda abbia intenzione di operare in profondità in zone in cui è più probabile intercettare tracce del passato. Lo scavo assume, quindi, criteri stratigrafici consoni ad un eventuale lavoro di recupero di materiali che il tempo ha obliato sotto metri di terra.

Ed è esattamente quanto accaduto nella giornata di oggi a Milazzo. Durante lavori di scavo, finalizzati all’inserimento dei nuovi cavi di linea elettrica, che hanno interessato la Via Giorgio Rizzo, gli archeologi impegnati nella sorveglianza del cantiere dell’Enel hanno identificato quattro tombe alla cappuccina di età greca, a circa 50 centimetri dal livello del manto stradale. 

La prima indagine e il ritrovamento dei defunti

Un rinvenimento che allarga il campo di azione rispetto a quanto identificato nel corso degli ultimi anni di studio e indagine nel territorio di Milazzo. Infatti, altri lembi di necropoli erano stati identificati in vicinanza del sito scoperto quest’oggi. E proprio per questo motivo, la zona era stata classificata dalla Soprintendenza di Messina “ad alto rischio archeologico”, rendendo di fatto possibile la scoperta di oggi.

L’area di scavo è stata rilevata e messa in sicurezza, al fine di salvaguardare queste importanti testimonianze.