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ACCADDE OGGI | Il ritrovamento della Stele di Rosetta

Era il 15 luglio 1799 quando Pierre-François Bouchard, capitano durante la campagna napoleonica in Egitto, ritrovò la stele nera destinata a divenire uno dei reperti più famosi al mondo. La Stele di Rosetta, in granito nero, deve il suo nome alla località in cui fu rinvenuta, Rosetta, nome latinizzato di Rashid, nel governatorato di Buhayra, nel Delta del Nilo. A lungo contesa tra Francia e Inghilterra, la stele raggiunse la sua attuale sede già nel 1802, divenendo una delle attrazioni principali del British Museum.

LA Stele di Rosetta al British Museum (immagine via Cultura – Biografieonline)

 

Il rinvenimento

La lastra granitica, di dimensioni decisamente notevoli (112,3×75,7×28,4 cm), ritornò alla luce durante dei lavori per la riparazione del forte di Rosetta, Fort Julien, da parte dei francesi. Il rinvenimento è, solitamente, attribuito al capitano Bouchard. Tuttavia, fu un soldato ignoto a tirarla fuori durante i lavori. Si deve però proprio a Bouchard l’intuizione che si trattasse di qualcosa di importante. Il capitano, infatti, la mostrò e consegno al generale Jacques François Menou con cui, ad agosto, arrivò ad Alessandria.

Fort Julien in un disegno del 1803 (fonte Wikimedia Commons)

Nel 1801 i francesi furono costretti ad arrendersi agli inglesi. Di conseguenza, la maggior parte dei reperti egizi partì per l’Europa su navi inglesi e, tra questi, anche la stele diretta a Londra.

Un passo verso la decifrazione dei geroglifici

La fama della stele risiede nel suo fondamentale ruolo nella decifrazione dei geroglifici. Nonostante l’ampia porzione di testo mancante, la stele contiene un testo riportato in tre diverse grafie su tre registri: geroglifico, demotico e greco. Sebbene geroglifico e demotico fossero la stessa lingua, si tratta di due grafie differenti destinate ad ambienti differenti.

Possibile ricostruzione della parte mancante della stele (fonte Wikimedia Commons)

Il geroglifico, infatti, è la scrittura sacra, usata dai faraoni e dai sacerdoti per rivolgersi, principalmente, alle divinità. I templi, infatti, ne sono pieni, così come anche molti monumenti. È la scrittura monumentale, quella delle comunicazioni solenni. Il demotico, d’atro canto, è la “scrittura del popolo”, quella corsiva e sbrigativa, utilizzata per le lettere, per il commercio e per gli affari. Nell’Epoca Tarda, inoltre, il demotico veniva anche usato per i testi ufficiali a causa della conoscenza dei geroglifici oramai limitati alla sola classe sacerdotale

La parte in greco, invece, si cala perfettamente nel tempo a cui appartiene la stele. Su essa, infatti, è riportato un decreto tolemaico del 196 a.C. per un’assemblea sacerdotale in onore del faraone Tolomeo V Epifane, allora tredicenne, in occasione del primo anniversario della sua incoronazione, un decreto destinato a raggiungere tutti. Secondo l’iscrizione, inoltre, analoghi testi del decreto dovevano comparire in ognuno dei principali templi egizi.

La stele di Rosetta (fonte Wikimedia Commons)

La stele, unitamente allo studio di testi di epoche precedenti, garantì al mondo degli studiosi un nuovo punto di partenza fondamentale per il lavoro di decifrazione dei geroglifici compiuto, nel 1822, da Jean-François Champollion.

Ed è proprio nella città natale di Champollion, Figeac, che l’artista Joseph Kosuth ha realizzato una riproduzione ingrandita (14mx7,9m) della stele, scolpita in granito nero dello Zimbabwe, in omaggio dello studioso e della sua impresa.

Riproduzione della stele di Rosetta a Figeac, opera di Joseph Kosuth (fonte Wikimedia Commons)
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NEWS | Alessandria, tra scoperte archeologiche e mummie con la lingua d’oro

La missione egiziano-dominicana dell’Università di Santo Domingo, sotto la direzione della dott.ssa Kathleen Martinez, ha riportato alla luce 16 sepolture di oltre 2000 anni. Queste si presentano scolpite nelle pareti rocciose e, quindi,  tipiche del periodo greco-romano. La scoperta è avvenuta nei pressi del tempio di Taposiris Magna (città fondata da Tolomeo II tra il 280 e il 270 a.C. circa), non lontano da Alessandria.

Una delle maschere funerarie del recente ritrovamento (© Ministero delle Antichità egiziano)

Le sepolture presentano un certo numero di mummie, tutte in cattivo stato di conservazione, che evidenziano le caratteristiche di mummificazione d’epoca greca e romana.
Sono stati rinvenuti resti di cartonnage dorato (maschere funerarie realizzate alternando strati di lino e papiri, stuccati e dipinti), oltre ad amuleti in lamina d’oro. Tra questi spicca il ritrovamento di una mummia con una lingua in lamina d’oro in bocca. Si suppone potesse far parte di uno specifico rituale funerario che garantisse al defunto la capacità di parlare nell’aldilà, di fronte alla corte di Osiride, signore dell’oltretomba e giudice dei defunti.

Mummia con lingua in lamina d’oro (© Ministero delle Antichità egiziano)

La dottoressa Kathleen Martinez ha spiegato che tra le mummie ce ne sono due che presentano frammenti di papiri e resti  di cartonnage. Su una sono evidenti resti di decorazioni dorate che rimandano al dio Osiride. L’altra mummia indossa la corona Atef, decorata con corna, e il serpente cobra sulla fronte. Sul petto di quest’ultima sono stati rinvenuti i resti dorati di una, verosimilmente, ampia collana da cui pende un amuleto a forma di testa di falco, simbolo del dio Horus.

Una missione ricca di scoperte

Il dottor Khaled Abu Al-Hamd, direttore generale dell’Alexandria Antiquities, ha affermato che durante questa campagna di scavo la missione ha rinvenuto diversi reperti archeologici. Tra questi vi sono: la maschera funeraria femminile, otto lamine d’oro che rappresentano le foglie di un ghirlanda e otto maschere di marmo risalenti all’epoca greco-romana. Le maschere mostrano un’elevata precisione nella scultura e nella raffigurazione delle caratteristiche dei proprietari.

Maschere marmoree (© Ministero delle Antichità egiziano)

Alcuni rinvenimenti si trovano già al Museo Nazionale di Alessandria, altri, invece, sono ancora nel magazzino di el-Hawaria, ad Alessandria occidentale.

Uno dei frammenti scultorei della recente scoperta (© Ministero delle Antichità egiziano)

Vale la pena notare che negli ultimi dieci anni la missione ha scoperto un importante gruppo di reperti archeologici che hanno cambiato la percezione del tempio di Taposiris Magna. Dall’interno delle mura del tempio, infatti, provengono alcune monete recanti il ​​nome e l’immagine della regina Cleopatra VII. Oltre a questi, diversi frammenti scultorei di statue che si pensa ornassero i giardini del tempio. Inoltre, le missioni precedenti, avevano rivelato i pannelli di fondazione del tempio, che ne dimostravano la costruzione al tempo del re Tolomeo IV (regnante dal 222 al 204 a.C. circa).