La ditta AdArte Srl – Rimini, Italia ha condotto diversi scavi nell’area dell’ex Filanda Bosone di Fano, dove si trovano i resti del teatro romano. Qui è stata ritrovata l’ala sinistra del criptoportico del Tempio della Fortuna.
Nella foto si può vedere come alcuni dei setti radiali che compongono la struttura inizino a riemergere dal terreno. «Un importantissimo tassello della storia della città di Vitruvio sta tornando alla luce» , si legge nel post della Soprintendenza.
Cronaca di un rinvenimento annunciato
Ma Gabriele Baldelli, già archeologo della Soprintendenza marchigiana, fa sentire la propria voce forte e chiara proprio sotto lo stesso post che dà la notizia. «Non posso più stare zitto», dice. E continua: «Questi ultimi scavi non sono che la riapertura ed estensione verso via De Amicis del saggio da me aperto e diretto nel 2006. Tale saggio, richiuso nello stesso anno per ragioni di sicurezza e amministrative, fu da me illustrato agli amministratori e cittadini fanesi in visite guidate e in almeno una pubblica conferenza, tanto che Luciano De Sanctis potè riferirne sinteticamente il risultato in due suoi lavori a stampa del 2011 e 2012. Il rinvenimento del ventaglio di sette radiali e del muro con lesene del podio a cui si appoggia non rappresenta quindi, da allora, alcuna novità. Che il tempio impostato sul podio fosse quello della dea Fortuna rimane poi solo una congettura».
Una critica diretta e piena di amarezza quella che l’archeologo Baldelli rivolge all’attuale Soprintendenza marchigiana. Una situazione spiacevole, che getta ombre sull’operato della Soprintendenza e toglie merito, invece, all’operato di chi ci aveva già lavorato con passione e dedizione.
Nonostante la polemica, tuttavia, si tratta di un rinvenimento importante, che aggiunge un grandioso tassello in più alla nostra storia.
La missione archeologica egiziana del Consiglio Supremo delle Antichità opera da tempo presso il sito del forte di Gebel Shisha nel Governatorato di Assuan.
Già negli anni ’20 del secolo scorso, il sito era stato parzialmente indagato sotto la direzione dell’egittologo tedesco Hermann Junker. Ad un secolo di distanza sono state riprese le indagini che hanno riportato alla luce nuove realtà. L’area aveva già restituito tracce di edifici romani. Kom Ombo, a circa quaranta chilometri da Assuan, aveva restituito i resti di un tempio romano che porta i nomi degli imperatori Domiziano (81-96 d.C.) e Adriano (117-138 d.C.).
La missione annuncia adesso la scoperta, nei pressi di Gebel Shisha, dei resti di una chiesa copta su un forte romano su un tempio tolemaico. Una matriosca di edifici che sottolinea una stratigrafia secolare e la continuità di utilizzo dell’area.
Il dottor Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità, ha spiegato che la missione aveva scoperto all’interno del forte un gruppo di elementi architettonici del tempio tolemaico. Tra i rinvenimenti vi sono dei blocchi in arenaria incisi con fronde di palma, cartigli dei re tolemaici e un’iscrizione tardo-ieratica. L’edificio tolemaico, dunque, era stato riutilizzato ed ampliato per diventare il forte romano che, a sua volta, era stato riutilizzato per la costruzione di una chiesa con annesso monastero.
Sul lato nord della chiesa si trovano quattro stanze, un salone trasversale e una scala ascendente, mentre il lato meridionale presenta forni per la combustione della ceramica. Sono state rinvenute, inoltre, tegole in pietra su due livelli poste sul lato orientale, sotto la chiesa. Presenti anche vasi di ceramica e parte di una volta in mattoni rossi risalenti all’era copta.
Il dottor Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità egiziano, ha dichiarato che una nuova importante scoperta archeologica interessa la necropoli di Saqqara. La vasta area ospita più di una dozzina di piramidi ed è una necropoli dell’antica capitale egiziana di Menfi, a circa 30 km a sud del Cairo. La scoperta è stata possibile grazie alla missione egiziana congiunta tra il Consiglio Supremo delle Antichità ed il Centro Zahi Hawass per l’Egittologia presso la Biblioteca di Alessandria, che opera nell’area delle antichità di Saqqara vicino alla piramide di Teti.
Ed è proprio nei pressi della sepoltura del sovrano della VI Dinastia (Antico Regno) che sono stati riportati alla luce sarcofagi, resti umani (sia all’interno sia all’esterno dei sarcofagi), un importante papiro lungo circa 4 metri e un tempio funerario dedicato a Nearit, una delle spose di Teti. I rinvenimenti risalgono all’Antico Regno, al Nuovo Regno e all’Epoca Tarda, i periodi di maggiore frequentazione dell’area funeraria di Saqqara.
Il Ministero delle Antichità egiziano, che ha annunciato il nuovo rinvenimento, lo definisce come un eccezionale ritrovamento di un nuovo tesoro.
Il dott. Zahi Hawass ha affermato che la missione ha trovato il tempio funerario della regina Nearit (o Naarat), una delle spose di Teti. Già le missioni precedenti avevano individuato parte della struttura templare, realizzata in pietra. Adesso si procede a mettere in luce l’intero edificio. Nei pressi del lato sud-orientale del tempio sono presenti anche tre magazzini, realizzati con mattoni e fango, necessari alla conservazione delle offerte e degli strumenti utili a svolgere i rituali. Inoltre, sono stati trovati 52 pozzi funerari, di profondità compresa tra 10 e 12 metri, all’interno dei quali si trovavano più di 50 sarcofagi lignei, datati al Nuovo Regno.
I sarcofagi sono antropoidi (a forma umana) e sono interamente decorati. Ognuno presenta sia motivi decorativi, con le figure divine legate al culto funerario, sia alcune formule funerarie (Testi dei Sarcofagi) che aiutano il defunto nel suo viaggio nell’aldilà. Secondo quanto riportato nel comunicato del Ministero delle Antichità egiziano, i ricercatori ritengono che queste sepolture facessero parte del culto di Teti divinizzato, culto che si è sviluppato dopo la morte del sovrano. Sembra che il culto sia rimasto attivo per più di un millennio.
L’interno dei pozzi presenta un gran numero di manufatti archeologici e statuette di divinità. Ma è una scoperta unica ad attirare maggiormente l’attenzione: un papiro lungo fino a quattro metri e largo un metro, su cui è presente il capitolo XVII del Libro dei Morti e che reca il nome del proprietario, Pukhaef (pw-ka-f, “è il suo ka“).
Lo stesso nome è presente su quattro statue di shabti.
In più, sono presenti diverse maschere funerarie di legno, oltre a molti giochi che il defunto avrebbe usato nell’aldilà, come il gioco della senet, paragonabile agli odierni scacchi.
Sono stati trovati anche manufatti che rappresentano uccelli (come l’oca), un’ascia di bronzo, che indica che il suo proprietario era uno dei capi dell’esercito nel Nuovo Regno, e molte pitture parietali con scene del defunto e di sua moglie.
Uno dei più belli è una stele funeraria in pietra calcarea, in buono stato di conservazione, databile alla XIX Dinastia. Su di essa è raffigurato il defunto di nome Khu-Ptah, sovrintendente del carro reale, insieme alla moglie Mwtemwia. La parte superiore raffigura il defunto e la moglie in atto devozionale di fronte al dio Osiride, mentre la parte inferiore raffigura la coppia di fronte ai loro sei figli disposti, per genere, su due file.
Sono state trovate anche ingenti quantità di ceramiche risalenti al Nuovo Regno, comprese ceramiche che stabiliscono relazioni commerciali dell’Egitto con Creta, Siria e Palestina.
La missione ha già studiato la mummia di una donna che è risultata essere affetta da una malattia nota come “febbre mediterranea”. La malattia, cronica, proviene dal contatto diretto con gli animali e porta ad un ascesso epatico. Inoltre, il dott. Sahar Selim, professore di radiologia al Qasr al-Aini, ha effettuato gli studi necessari sulle mummie scoperte, tra cui la mummia di un bambino, determinandone le cause di morte e l’età.
Il dott. Zahi Hawass ha affermato che questa è già una delle scoperte archeologiche più importanti dell’anno. Saqqara si conferma importante destinazione culturale e turistica. Secondo Hawass, la scoperta riscriverà la storia di Saqqara durante il Nuovo Regno, oltre a confermare l’importanza del culto di Teti durante la XIX Dinastia.
L’espressione di potenza di Akràgas, il Tempio della Concordia, è il tempio greco più famoso della Sicilia. Gli abitanti dell’antica Agrigento edificarono ben 10 templi nel corso del V secolo a.C., in un’accanita sfida all’ultimo capitello contro Siracusa. Il cosiddetto Tempio della Concordia, in particolare, fu costruito nel 430 a.C. e oggi si trova all’interno della famosa Valle dei Templi di Agrigento. Il monumento deve il nome Concordia all’interpretazione che lo storico Tommaso Fazello fece di una epigrafe latina rinvenuta nelle vicinanze, ma che, in realtà, nulla ha a che fare con il tempio.
Pianta del Tempio della Concordia
Si tratta di un periptero esastilo in stile dorico: un quadrilatero con sei colonne sulla fronte e tredici sui lati lunghi (segue, dunque, il canone classico, che vuole che le colonne dei lati lunghi siano il doppio più uno rispetto a quelle sulla fronte). La peristasi perfettamente conservata poggia direttamente su un crepidomacomposto di quattro gradini e si compone di sole colonne doriche: fusto non particolarmente slanciato e terminante in un capitello dalla forma semplice. Ogni colonna è dotata di venti scanalature e, verso i 2/3 dell’altezza, presenta un’armoniosa entasi. La peristasi sostiene una trabeazione composta da architrave, fregio decorato a metope e triglifi e un timpano non scolpito.
Pianta, prospetto e foto del tempio della Concordia
Il naos interno (la cella), accessibile attraverso un gradino, è preceduto da un pronao in antis (inquadrato tra due colonne) ed è seguito da un altro vestibolo. Questo secondo spazio, denominato opistodomo, era solitamente adibito alla custodia del tesoro, dei donativi e dell’archivio del tempio. Di notevole interesse è la presenza, ai lati del pronao, di piloni con scale d’accesso al tetto. Allo stesso modo, sulla sommità delle pareti della cella e nei blocchi della trabeazione della peristasi, sono ben visibili gli incassi per la travatura lignea di copertura. Gli studi hanno dimostrato che l’esterno e l’interno del tempio erano rivestiti di stucco policromo. L’ipotesi cromatica fatta dagli esperti ha ipotizzato un rivestimento in stucco bianco candido per tutta la struttura, a eccezione del fregio e del timpano che, invece, dovevano essere colorati di rosso e blu.
Da Tempio a Chiesa
Alla fine del VI secolo d.C., il Tempio della Concordia fu trasformato in una basilica cristiana dal vescovo Gregorio II e dedicata ai santi Pietro e Paolo. Tale metamorfosi comportò una serie di cambiamenti, che contribuirono alla sopravvivenza della struttura fino ai giorni nostri: il rovesciamento dell’orientamento antico, l’abbattimento del muro dell’opistodomo, la chiusura degli intercolumni e la realizzazione di dodici aperture arcuate nelle pareti della cella; tutto ciò permise di costituire le tre navate canoniche. Le fosse, invece, che si trovano all’interno e all’esterno della chiesa, si riferiscono a sepolture alto-medievali. Nel 1748 il tempio tornò alle sue forme antiche, con la riapertura del colonnato, e smise di essere utilizzato per il culto.
Con uno dei simboli dell’arte classica di Sicilia si chiude la prima fase di vita di questa rubrica dal sapore siculo. Dal 2021, infatti, la rubrica Archeologia Sicilia cambierà “location” e verrà pubblicata sulla rivista di ArcheoMe. Non potevamo certo ridurre la storia della nostra terra a poche righe: l’archeologia siciliana ha ancora tanto da raccontare e io continueró a essere la sua umile portavoce. A presto!
Secondo una dichiarazione dell’Università di Tübingen, un team di ricercatori tedeschi ed egiziani ha riportato alla luce i colori originali delle iscrizioni e delle decorazioni del tempio di Esna, in Egitto. I lavori di recupero sono frutto della cooperazione tra l’Institute for Ancient Near Eastern Studies (IANES) dell’Università di Tübingen e il Ministero Egiziano del Turismo e delle Antichità.
Il tempio di Esna
Esna si trova sulla riva Occidentale del Nilo, a circa 60 km a sud di Luxor. Del tempio rimane solamente il vestibolo, o pronao, che si è salvato dallo smembramento per il recupero di materiali, durante l’industrializzazione dell’Egitto, grazie alla sua posizione al centro della città.
Facciata del vestibolo, o pronao, di Esna, inserito nel profilo della moderna città (fonte Wikimedia Commons)
Fatto costruire di fronte alla struttura templare originale dall’imperatore Claudio tra il 41 e il 54 d.C., il pronao in arenaria misura 37 m di lunghezza, 20 m di larghezza e 15 m di altezza. Il tetto è sorretto da 24 colonne e i capitelli di 18 colonne indipendenti sono decorati con motivi vegetali.
Capitello restaurato, Esna 2019 (credit Ahmed Amin, fonte Phys.org)
I ricercatori stimano attorno ai 200 anni il tempo per la realizzazione di tutte le decorazioni e iscrizioni. Il cartiglio più recente inscritto sulle pareti del tempio è quello dell’imperatore romano Decio del 249 d.C.
Il tempio è famoso per il suo corpus di iscrizioni geroglifiche, considerato il più recente e coerente fino a ora pervenuto, e per la grandiosa decorazione del soffitto astronomico.
Il progetto di restauro
Il progetto, guidato dal professor Christian Leitz, aveva riportato alla luce una nuova iscrizione, comprendente i nomi egiziani delle costellazioni presenti sul soffitto. L’iscrizione era stata impressa sulle pareti con inchiostro, invece di essere stata cesellata nella pietra.
Costellazione egiziana, iscrizione inedita. A destra, lo scarabeo alato con testa di ariete. Sono due manifestazioni del dio sole fuse insieme che arrivano sulla terra, all’alba, trasportate dal vento dell’Est (Credit Ahmed Amin, fonte Phys.org)
Liberati da strati di sporco e fuliggine di circa 2000 anni, i colori potranno adesso essere ammirati in tutta la loro brillantezza e vivacità. Inoltre, è importante la nuova prospettiva di ricerca per gli studiosi, poiché, sostiene Leitz, “i geroglifici indagati da Sauneron erano spesso scolpiti solo in modo molto approssimativo e i dettagli venivano applicati solo dipingendoli a colori. Ciò significa che sono state studiate solo le versioni preliminari delle iscrizioni. Solo ora possiamo avere un’immagine della versione finale.”
Un abaco di colonna prima del restauro, Esna (credit Ahmed Amin, fonte Phys.org)Un abaco di colonna dopo il restauro, Esna (Credit Ahmed Amin, fonte Phys.org)
Dal 2018, i ricercatori dell’Università di Tübingen collaborano con le autorità egiziane per scoprire, preservare e documentare gli strati della pittura. I lavori continuano nonostante la pandemia da Coronavirus, grazie a un team di 15 restauratori guidato da uno dei capi conservatori del Ministero Egiziano. I risultati vengono documentati fotograficamente e all’Università di Tübingen le scoperte sono rese disponibili attraverso le pubblicazioni.
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