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NEWS | Tutankhamon, una scoperta passata alla storia

Il Centro Studi di Egittologia e Civiltà Copta “J. F. Champollion” di Genova organizza un ciclo di lezioni online su piattaforma “Zoom”, per 4 giovedì a partire dal 7 gennaio 2021 dalle ore 18.00 alle 19.30 su uno dei più noti faraoni della necropoli tebana.

Il direttore del Centro Studi, nonchè membro del Comitato Scientifico della Rivista ArcheoMe, il professor Giacomo Cavillier racconterà la storia della scoperta della sepoltura di Tutankhamon nella Valle dei Re.

Date le numerose richieste di partecipazione, il seminario sarà replicato nei venerdì successivi alle date previste (8, 15, 22, 29 gennaio 2021) per coloro che si iscriveranno dopo il 30 dicembre 2020; basta inviare un’email all’indirizzo della segreteria del Centro: segreteria.centrochampollion@gmail.com.

Archeologia e mito di un faraone

Dopo sei lunghe e deludenti stagioni di scavo, lo sconforto era ormai sovrano nella Valle dei Re. Howard Carter e, soprattutto, il suo “sponsor” George Edward Stanhope Molyneux Herbert, V Conte di Carnarvon, stavano davvero perdendo ogni speranza di trovare qualcosa nella Valle. Il finanziatore inglese aveva ottenuto le concessioni di scavo dall’allora direttore del Servizio delle Antichità, Gaston Maspero, nel 1914 e i risultati erano decisamente al di sotto delle aspettative. Carter stava per dichiararsi sconfitto e, sempre in cerca di fortuna, stava per destinare altrove le sue attenzioni, quando un colpo di zappa cambiò il corso della storia.

L’emozione della scoperta

Il 4 novembre, recandosi alla necropoli, Carter avvertì uno strano silenzio… i lavori erano fermi. Questa cosa insospettì immediatamente l’archeologo che, infatti, fu accolto dai suoi con la notizia che sotto la prima baracca demolita avevano trovato qualcosa: forse un gradino tagliato nella roccia. Possiamo solo immaginare con quanta concitazione ed emozione, nonché stupore, Carter si precipitò di corsa a verificare di persona… con il cuore in gola diceva a sé stesso che sarebbe stato troppo bello se si fosse trattato realmente di un gradino di accesso ad una tomba e che, magari, poteva trattarsi proprio della sepoltura del faraone che tanto desiderava trovare. Gli bastò ripulire un po’ la roccia dai detriti e dalla sabbia, quando si rese immediatamente conto che si trattava proprio di una rampa, scavata nella pietra con una tecnica comune agli altri accessi sepolcrali della Valle. I lavori proseguirono alacremente per tutto il giorno e la mattina seguente; ma soltanto nel pomeriggio del 5 novembre la rampa venne completamente scavata ed apparve il primo vero gradino di una scalinata. Un’emozione quasi febbrile pervase Carter; ormai ciò che stava riportando alla luce era indubbio, gli indizi portavano tutti verso una direzione: avevano trovato una tomba!

Howard Carter davanti al sarcofago con la mummia del faraone Tutankhamon
Un dialogo passato alla storia

È il 24 novembre 1922. Siamo nella Valle dei Re, a Tebe Ovest, quindi sulla sponda occidentale del Nilo, davanti a Luxor, sulla riva opposta. Quel breve dialogo, che è passato alla storia dell’archeologia, intercorre tra l’archeologo Howard Carter e il suo finanziatore Lord Carnarvon e sancisce la conferma di una scoperta che avrebbe lasciato il segno non solo negli studi egittologici ma nel costume della società: la tomba del faraone Tutankhamon. Ma solo il successivo 17 febbraio 1923, quando l’anticamera era stata sgombrata, furono ammessi i primi visitatori per assistere all’apertura della tomba: membri del governo e scienziati. E la notizia fece il giro del mondo.

La prima pagina del New York Times del febbraio 1923 con la notizia della scoperta della tomba di Tutankhamon

“Era venuto il momento decisivo. Con mani tremanti praticammo una piccola apertura nell’angolo superiore sinistro…”

“Potete vedere qualche cosa?”

“Sì, cose meravigliose.”

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ANTICO EGITTO | La Valle della Bellezza

La Valle delle Regine, la più meridionale delle necropoli tebane, è il luogo dove, a partire dalla XVIII Dinastia, vennero inumati dapprima i principi e le principesse di sangue reale, insieme a personaggi che vivevano nell’ambiente di corte; in seguito, a partire dall’epoca di Ramesse II, anche le regine alle quali era dato il titolo di “spose reali”. Successivamente, durante la XX Dinastia, Ramesse III ripristinò la tradizione e fece allestire nella valle le tombe di alcuni dei suoi figli.

La Necropoli delle Regine

In origine, gli Egiziani la indicavano come ta set neferu, espressione che si presta a svariate interpretazioni, ma che verosimilmente può essere tradotta “il luogo della bellezza”, interpretazione generalmente più diffusa.

La necropoli sorge in fondo ad una valle, circondata da ripide alture, situata dietro la collina dell’attuale villaggio di Qurna. In essa si trovano circa 70 tombe, depredate nell’antichità e poi riutilizzate dalle comunità locali.

Il sito fu scelto perché ritenuto sacro e, quindi, adatto alla sua funzione di necropoli reale, sia per la sua vicinanza con la cima tebana, sia per la presenza sul fondovalle di una grotta-cascata la cui forma e i fenomeni naturali a essa connessi potevano suggerire un concetto religioso e funerario. La grotta avrebbe, infatti, rappresentato il ventre o l’utero della Vacca Celeste, una delle raffigurazioni della dea Hathor, dal quale sgorgavano le acque che annunciavano l’imminente rinascita dei defunti sepolti in questo luogo privilegiato.

Champollion nell’800, durante un suo viaggio, ne documentò circa una decina, le uniche disponibili in quel tempo.

Nel 1904, un italiano scopriva nella Valle delle Regine, a Tebe Ovest, quella che probabilmente è la tomba più bella d’Egitto. L’italiano era Ernesto Schiaparelli, l’allora direttore del Museo Egizio di Torino, mentre la tomba apparteneva alla celeberrima Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramesse II (1279-1212 a.C.).

Schiaparelli
Ernesto Schiaparelli

Nonostante l’opera dei saccheggiatori, che lasciarono ben poco del corredo originario, la QV66 resta un gioiello per la sua struttura architettonica, paragonabile a quelle che si trovano nella Valle dei Re, e, soprattutto, per il magnifico ciclo pittorico che abbellisce le pareti e il soffitto.

Nefertari
Decorazione pittorica dalla Tomba di Nefertari (QV66)

La planimetria della tomba è piuttosto articolata, perché ha molte similitudini con quella di Ramesse nella Valle dei Re. Ha una lunga scalinata d’entrata, una grande camera centrale e una scala di accesso attraverso la quale si accede alla sala del sarcofago, dotata di quattro piloni e di quattro stanze annesse.

Fu solo nel 1970 che nella Valle ebbe inizio una serie di missioni annuali effettuate dal Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) di Parigi, dal Museo del Louvre, dal Centre d’Études et Documentation sur l’Ancienne Egypte (CEDAE) e dall’Egyptian Antiquities Organization, oggi Supreme Council of Antiquities.

Agli scavi di Schiaparelli si deve la scoperta di tutte le più importanti tombe del sito, come quelle appartenenti ai figli di Ramesse III, Seth-her-khepshef (QV 43), Kha-em-waset  (la QV 44), Amon-(her)-khepshef (QV 55).

La bellezza di questa valle, la assapori al tramonto, seduta su una pietra, attendendo che il sole scenda attraverso le spaccature rocciose, che dal color ocra passano attraverso le varietà del color rosa, ma dal silenzio sacro ai faraoni ecco apparire sul mio capo il volteggiare del Dio Falco…

 

Ai gentili lettori diamo appuntamento con la rubrica sull’Antico Egitto nella nuova rivista bimestrale di Archeome da febbraio 2021.

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NEWS | Conferenze all’Egizio, Christian Greco presenta la tomba di Ramose

Martedì 1 dicembre, alle ore 18:00, il Museo Egizio di Torino presenterà sui propri canali social una conferenza dal titolo Un monumento dimenticato a Tebe. La tomba di Ramose (TT132), responsabile del tesoro del sovrano Taharqa, tenuta dal Direttore Christian Greco.

La particolarità della camera sepolcrale della tomba di Ramose (TT 132) risiede, tra le altre cose, nell’accurata descrizione del sapere cosmografico dell’antico Egitto.
Le pareti presentano immagini e testi dipinti, contenenti tutte le informazioni necessarie al defunto per compiere il suo viaggio oltre la vita, per completare con successo il suo rito di passaggio da una vita terrena ad una vita nuova. Il defunto, infatti, raggiunge la camera sepolcrale nel suo stato pre-liminale. Abbandona il mondo dei viventi per entrare nell’aldilà. In questo particolare stato, il defunto viene associato ad Osiride ed ha bisogno di essere protetto durante la veglia notturna.

Il viaggio notturno del defunto nell’aldilà, Tomba di Ramose (TT132), Fonte ©2020 Francis Dzikowski

L’iconografia della camera sepolcrale rappresenta gli episodi cruciali per la rinascita del defunto. Nel suo stato post-liminale, dopo il risveglio dal torpore della morte ascende al cielo, entra nel grembo di Nut ed inizia il viaggio assieme al dio sole (Museo Egizio di Torino).

La conferenza sarà in lingua italiana e verrà trasmessa in live streaming sul canale Youtube e sulla pagina Facebook del Museo Egizio.

L’evento è realizzato in collaborazione con ACME, Amici e Collaboratori del Museo Egizio.

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ANCIENT EGYPT | Deir el-Medina and the artists of the afterlife

Everyone knows the Valley of the Kings, which houses the burials of the pharaohs of the 18th, 19th and 20th dynasty; not everyone, however, knows Deir el-Medina, the village where workers and artisans responsible for the construction of the royal tombs lived. This village is a very important source of documentary information regarding urban planning, social, funerary customs, and literature in ancient Egypt.

A village hidden in a small valley, between the spurs of the Thebes mountain and the hill of Gurnet Murai, Deir el-Medina owes its present name to a small monastery, built not far from the Ptolemaic temple consecrated to Hathor-Maat. The Arabic toponym that indicates this place, in fact, means “monastery of the city”.

The layout of the village

The complex includes about 120 houses and is surrounded by a wall, while inside there are walls that separate the different districts; from the point of view of the dimensions it is rather modest, but what is striking is precisely the careful planning of the spaces, used for housing and for public use, a division that guaranteed the isolation of the community from the outside, fundamental for the protection of the royal necropolis.

Deir el-Medina was inhabited by about 500 people, divided into two sections through a main road running from north to south; on the spot there was the team of “workers”, but actually they were not considered as such, since they were made up of scribes, painters, engravers, sculptors, draftsmen, that we would refer to them today as “artists”, flanked by the workforce of unskilled workers, quarrymen, cement workers and miners, who took turns periodically.

The houses were made of raw bricks (bricks whose mixture of clay and chopped straw was left to dry in the sun), on a base of rough stone that rested directly on the ground, without foundations, and they are all very similar.

Those of the workers, despite being small and simple, are composed of an entrance hall, where an altar was located for domestic offerings, as a place of welcome and prayer. Continuing the exploration, we find a main room with a high ceiling, supported by a central column and equipped with a window with a grate for lighting, then a living room, a kitchen with a cellar below and, finally, the terrace, a place of meeting and refreshments.

 

Section (top) and partial plan (bottom) of a house in Deir el-Medina

Religion come into houses

Ancestor worship at home was very important, and so was the religion in general; we have the cults of Osiris, the God of the Underworld and prince of eternity as he reflects the incarnation of the life cycle; Ptah, the God of Creator and patron of cratftmens; Thoth, god-ibis patron of the scribes; Hathor, the celestial cow that swallows the sun at sunset to give it life in the morning, as well as the “lady of the necropolis”, who welcomes the dead into the afterlife, as well as Amon-Ra, king of all the gods of the Egyptian pantheon. The devotion to these deities was manifested through some stelae, in which various hymns and prayers appear: forgiveness for sins, as well as protection and health are asked.

A school in Deir el-Medina

In addition to stelae, Deir el-Medina has left us many other evidence, not only administrative documents, but also private ones, mainly in the form of ostraka (pottery shards). There are scholastic ostrakas, which therefore attest to the presence of a school (for painters and scribes) in this village, and which report passages from the Kemit, a text that contains models of letters, advice and rules of life, useful for future scribes .

Among the literary texts reproduced in these ostraka, there are mainly passages from the “Satire of the Trades” and the “Teaching of Amenemhat”. The Satire of the Trades includes writings that exalt the virtues of one’s trade, the scribe, compared to other trades, often described in sarcastic terms; this trade is therefore exalted, since an official like this is considered a true teacher of life. The “Teachings”, on the other hand, are a very widespread typology of texts, in which life advice, instructions and teachings are given, in fact, from father to son.

 

The democratization of funerary architecture

The maximum artistic expressiveness, however, must be sought in the tombs of the workers: in this period we are witnessing the birth of a real workers ‘ necropolis, in which the burials have nothing to envy to the noble tombs, in terms of decoration. Originally, there was no pre-established overall plan, only with the nineteenth dynasty the family tombs will be concentrated on the north-western side of the necropolis.

These are tombs with so-called “composite” architecture: the superstructure consists of a small pyramid (hence the definition of “pyramid tomb”), built in poor and perishable material, which demonstrates the democratization process started with the transcription, on papyrus, of the “Book of the Dead; then there is a hypogeum with an underground room, covered by a brick vault. The reliefs and pictorial works on the walls are often of the highest quality and, rare in Egypt, we are witnessing the use of “fresco” painting by the pisé technique (clay mixed with mud on which plaster is applied, which serves as a basis for painting).

 


Diagram of a burial in the Workers’ Village of Deirel-Medina:
a. Pylon; b. Courtyard; c. Water well; d. Hypogeum that housed the mummy / s; e. Chapel; f. Heliopolitan pyramid; g. Dormer window

https://archeome.it/wp-admin/post.php?post=7469&action=edit

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ANTICO EGITTO | Deir el-Medina e gli artisti dell’Aldilà

Tutti conoscono la Valle dei Re, che ospita le sepolture dei faraoni della XVIII, XIX e XX dinastia; non tutti, però, conoscono Deir el-Medina, il villaggio dove vivevano gli operai e gli artigiani preposti alla realizzazione delle tombe reali. Questo villaggio è una fonte documentale molto importante per quanto riguarda l’urbanistica, le abitudini sociali, funerarie, e la letteratura nell’antico Egitto.

Villaggio nascosto in una piccola valle, tra i contrafforti della montagna tebana e la collina di Gurnet Murai, Deir el-Medina deve il nome odierno a un piccolo monastero, sorto non lontano dal tempio tolemaico consacrato ad Hathor-Maat. Il toponimo arabo che indica questo luogo, infatti, significa “monastero della città”.

Struttura del villaggio

Il complesso comprende circa 120 abitazioni ed è circondato da una cinta muraria, mentre all’interno vi sono muri che separano i diversi quartieri; dal punto di vista delle dimensioni è piuttosto modesto, ma ciò che colpisce è proprio l’accurata pianificazione degli spazi, adibiti alle abitazioni e ad uso pubblico, divisione che garantiva l’isolamento della comunità dall’esterno, fondamentale per la protezione della necropoli reale.

Deir el-Medina era abitato da circa 500 persone, suddiviso nel quartiere di “destra” e di “sinistra” attraverso una via principale che corre da nord a sud; in loco si trovavano le squadre degli “operai”, ma che tali non erano, poiché erano composte da scribi, pittori, incisori, scultori, disegnatori, che oggi chiameremmo “artisti”, affiancati dalla forza lavoro composta da manovali, cavapietre, cementisti e minatori, che si avvicendavano periodicamente.

deir el-medina
Sezione (in alto) e pianta parziale (in basso) di una casa a Deir el-Medina

Le case erano realizzate in mattoni crudi (mattoni il cui impasto di argilla e paglia tritata veniva lasciato essiccare al sole), su un basamento di pietra grezza che poggiava direttamente sul terreno, senza fondamenta, e sono tutte molto simili.

Quelle degli operai, pur essendo piccole e semplici, sono composte da un vano d’ingresso, dove era situato un altare per le offerte domestiche, quale luogo di accoglienza e di preghiera. Proseguendo nell’esplorazione, troviamo una sala principale con un soffitto alto, sorretto da una colonna centrale e dotato di una finestra con grata per l’illuminazione, poi un vano soggiorno, una cucina con cantina sottostante e, infine, il terrazzo, luogo di incontro e di rinfresco.

La religione entra nelle case

Il culto domestico degli antenati era molto importante, e, in generale, lo era la religione; abbiamo i culti di Osiride, dio dei morti e principe dell’eternità in quanto incarnazione del ciclo vitale; Ptah, dio demiurgo e patrono degli artigiani; Thot, dio-ibis patrono degli scribi; Hathor, la vacca celeste che al tramonto inghiotte il sole per ridargli vita al mattino, nonché “signora della necropoli”, che accoglie i morti nell’aldilà, oltre ovviamente ad Amon-Ra, re di tutti gli dèi del pantheon egizio. La devozione a queste divinità era manifestata attraverso alcune stele, in cui compaiono vari inni e preghiere: si chiede perdono per i peccati, oltre che protezione e salute.

Una scuola a Deir el-Medina

Oltre alle stele, Deir el-Medina ci ha lasciato molte altre testimonianze, documenti non solo amministrativi, ma anche privati, sotto forma soprattutto di ostraca (cocci di ceramica). Ci sono ostraca scolastici, che attestano, quindi, la presenza di una scuola (per pittori e scribi) in questo villaggio, e che riportano brani della Kemit, un testo che contiene modelli di lettere, consigli e regole di vita, utili ai futuri scribi.

Fra i testi letterari riprodotti in questi ostraca, sono presenti soprattutto brani della “Satira dei mestieri” e dell’”Insegnamento di Amenemhat”. La Satira dei mestieri comprende scritti che esaltano le virtù della propria professione, lo scriba, rispetto ad altri mestieri, descritti in termini spesso sarcastici; viene, quindi, esaltata questa professione, in quanto un funzionario del genere è considerato un vero e proprio maestro di vita. Gli “Insegnamenti”, invece, sono una tipologia molto diffusa di testi, in cui si danno consigli di vita, istruzioni e insegnamenti, appunto, di padre in figlio.

La democratizzazione dell’architettura funeraria 
deir el-medina
Schema di una sepoltura del Villaggio Operaio di Deir el-Medina:
a. Pilone; b. Cortile; c. Pozzo; d. Ipogeo che ospitava la/e mummia/e
e. Cappella; f. Piramide “eliopolitana”; g. Finestra “abbaino”

La massima espressività artistica però, va ricercata nelle tombe degli operai: si assiste, in questo periodo, alla nascita di una vera e propria necropoli operaia, in cui le sepolture nulla hanno da invidiare alle tombe nobiliari, quanto a decorazione. Originariamente, non esisteva un piano di insieme prestabilito, solo con la XIX dinastia le tombe di famiglia si concentreranno sul lato nord-occidentale della necropoli.

Si tratta di tombe ad architettura cosiddetta “composita”: la sovrastruttura è costituita da una piccola piramide (da cui la definizione di “tomba a piramide”), costruita in materiale povero e deperibile, che dimostra il processo di democratizzazione iniziato con la trascrizione, su papiro, del “Libro dei morti; vi è, poi, un ipogeo con un vano sotterraneo, coperto da una volta in mattoni. I rilievi e le opere pittoriche presenti sulle pareti sono spesso di altissima qualità e, caso raro in Egitto, si assiste all’impiego di pittura “a fresco” su “pisé” (argilla mista a fango su cui viene applicato l’intonaco, che serve da base per la pittura).