Un nuovo studio internazionale ha visto la partecipazione del Dipartimento di Scienze della TerradellaSapienza – Università di Roma; la ricerca ha documentato per la prima volta la coesistenza di uomini e bertucce su un sito archeo-paleontologico. I risultati del lavoro, pubblicati su Journal of Human Evolution, forniscono ulteriori dati sulla paleoecologia del primate. Il primate era diffuso in Nord Africa e a Gibilterra, nel Pleistocene occupava gran parte del territorio europeo.
Il sito di Notarchirico, nei pressi di Venosa (Basilicata), è noto agli esperti fin dagli ’50 del Novecento; grazie ai numerosi ritrovamenti archeologici e paleontologici frutto di ricerche condotte da diversi gruppi di studio. Dal 2016 le campagne di scavi sono condotte da un team di ricerca internazionaleguidato da Marie-Hélène Moncel del Département Homme et Environnement del Museo nazionale di Storia Naturale di Parigi; vede inoltre la collaborazione di studiosi della Sapienza e dell’Università di Bologna.
Un’antichissima stratigrafia
Le ricerche più recenti hanno permesso di approfondire le conoscenze sui manufatti litici acheuleani e sui fossili di vertebrati; erano inseriti all’interno di una lunga sequenza stratigrafica e datati tra 695 e 670 mila anni fa. Ciò dimostra come in questo territorio, caratterizzato da clima caldo, spazi aperti e specchi d’acqua, fossero diffusi grandi mammiferi: elefanti, ippopotami, bisonti e cervidi.
Oggi il nuovo studio si inserisce in questo filone di ricerca, documentando quindi per la prima volta la coesistenza tra gli esseri umani e Macaca sylvanus, comunemente conosciuti come bertuccia.
“La presenza della bertuccia, documentata per la prima volta a Notarchirico – spiega Raffaele Sardella – aggiunge importanti informazioni paleoambientali e paleoecologiche. Questo primate, oggi diffuso in Nord Africa e reintrodotta a Gibilterra, nel Pleistocene occupava gran parte del territorio europeo”. “La coesistenza tra la bertuccia e gli esseri umani – aggiunge Beniamino Mecozzi – è documentata in pochissime località europee e pone interessanti interrogativi sulle interazioni tra Homo e Macaca quasi 700 mila anni fa”.
Il tema del quarto dei dialoghi verterà sull’importanza della digitalizzazione delle collezioni archeologiche; sarà fatto anche un focus sul lavoro di ricerca che in questi anni è stato svolto al Museo Egizio di Torino. Infatti, ospiti del nuovo appuntamento saranno il Direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, e la Professoressa di Egittologia dell’Università di Berkeley, Rita Lucarelli.
Sulla rivista Frontiers in Medicine, qualche giorno fa è stata pubblicata una ricerca che indaga le cause di morte di Seqenenra Tao II, faraone della XVII dinastia, forse giustiziato dagli Hyksos. La moderna tecnologia medica fornisce così il proprio contributo nel racconto della storia di un sovrano morto nel tentativo di riunificare l’Egitto, nel XVI secolo a.C. (1558-1553 a.C.).
Il dott. Zahi Hawass e il dott. Sahar Selim, professore di mummia di radiologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo, hanno indagato la mummia di Seqenenra Tao II mediante TC. Il faraone si trovava a governare l’Egitto meridionale durante l’occupazione del paese da parte degli Hyksos, che avevano occupato il Delta del Nilo, nel Basso Egitto, per un secolo (1650-1550 a.C.).
La mummia di Seqenenra Tao II è stata rinvenuta nella cachette di Deir al-Bahari nel 1881. Esaminata per la prima volta subito dopo la scoperta, la mummia era stata studiata ai raggi X negli anni ’60. Queste indagini avevano evidenziato numerose tracce di ferite gravi alla testa, senza alcuna altra traccia di ferite sul resto del corpo. Molte sono state le teorie sulla causa di morte del sovrano. Seqenenra Tao II potrebbe potrebbe essere stato vittima di una cospirazione, mentre dormiva nel suo palazzo. Oppure, essendo vissuto durante l’occupazione Hyksos, l’ipotesi più accreditata lo pone come caduto in battaglia.
Nuove tecnologie e nuove interpretazioni
Ma Zahi Hawass e Sahar Saleem, a seguito di una nuova indagine, hanno presentato un’altra interpretazione degli eventi prima e dopo la morte del sovrano. Lo studio è avvenuto mediante TC, tomografia computerizzata, una delle tecniche di imaging utilizzate per studiare i resti archeologici, mummie comprese, in modo sicuro e non invasivo.
Dalle nuove indagini sembra che Seqenenra Tao II fosse stato bloccato, con le mani dietro la schiena, impossibilitato così a fermare i colpi al volto. Alcune ferite, inoltre, non presentano segni di cicatrizzazione e sembrano essere state inferte peri-mortem. Ciò induce a pensare che ci sia stato un accanimento sul corpo del sovrano da parte di diversi Hyksos. I due studiosi ipotizzano che si tratti di una vera e propria esecuzione sul campo di battaglia. Si spiegano così l’assenza di fratture agli arti e la posizione rigida delle dita e delle mani piegate sui polsi, forse legate dietro la schiena.
Questo indica che Seqenenra era davvero in prima linea con i suoi soldati, rischiando la vita insieme ad essi per liberare l’Egitto – dice dottor Sahar Selim. Hawass e Selim sono pionieri nell’uso delle scansioni TC nello studio di molte mummie reali tra cui quelle del Nuovo Regno di Thutmosi III, Ramesse II e Ramesse III. Tuttavia, sembra che Seqenenra Tao II sia l’unico di questo illustre gruppo ad essere stato in prima linea sul campo di battaglia. O, quantomeno, che sia morto di certo sul campo di battaglia.
Una TAC della mummia ha evidenziato i più piccoli dettagli delle ferite alla testa, comprese le ferite che non erano state scoperte in precedenti esami, che gli imbalsamatori avevano abilmente nascosto.
La ricerca ha posto così l’attenzione anche sulle tipologie di armi utilizzate dagli Hyksos. Gli studiosi hanno preso in esame alcuni reperti del Museo Egizio del Cairo, tra cui un’ascia e diversi pugnali.
Sahar Selim e Zahi Hawass hanno sottolineato la compatibilità di queste armi delle ferite sul volto del re. I risultati indicherebbero che è stato ucciso da più aggressori Hyksos, colpito da diverse angolazioni e con diverse armi. Si potrebbe parlare dell’uccisione di Seqenenra come di un’esecuzione cerimoniale.Non è possibile dire con esattezza quale sia il luogo dell’esecuzione, tuttavia Hawass suppone possa trattarsi di un luogo nei pressi della fortezza di Deir el-Ballas, a nord di Tebe.
Un’imbalsamazione chirurgica!
La TC ha stabilito che il sovrano aveva circa quarant’anni alla sua morte, in base alla forma delle ossa (come l’articolazione della sinfisi pubica), fornendo la stima più accurata fino ad oggi.
Inoltre, lo studio della tomografia computerizzata ha rivelato importanti dettagli sull’imbalsamazione del corpo di Seqenenra Tao II. Gli imbalsamatori, ad esempio, hanno coperto le ferite con del materiale per imbalsamazione in un procedimento che potrebbe rientrare, oggi, nella chirurgia plastica. Ciò indica che, di fatto, la mummificazione è stata eseguita in un laboratorio di mummificazione, nonostante si fosse propensi a ritenere che invece si trattasse di un’imbalsamazione di fortuna.
La riunificazione dell’Egitto
Questo studio fornisce importanti nuovi dettagli su un punto cruciale nella lunga storia dell’Egitto. In una delicata fase della storia egiziana, come fu il Secondo Periodo Intermedio, la morte di Seqnenra Tao II funge da motore motivante per i suoi successori a continuare la lotta contro gli Hyksos e la riunificazione dell’Egitto.
In quella che è nota come stele di Carnarvon, rinvenuta a Karnak nel 1954, sono registrate le condizioni dell’Egitto sotto la dominazione degli Hyksos. Vengono riportate le battaglie di Kamose, figlio di Seqenenra Tao II, contro gli Hyksos. Ma è durante il regno di Ahmose, secondogenito di Seqenenra che avviene l’espulsione degli Hyksos e la riunificazione dell’Egitto.
Al via il servizio “Teams Biblioteche” di Ateneo per orientamento, consulenza e studio
Per tutto il periodo di chiusura delle biblioteche, a causa dell’emergenza Coronavirus, è disponibile il Sistema Bibliotecario di Ateneo (SBA) dell’Università di Messina. Il Sistema garantisce all’utenza accademica tutto il supporto possibile: assicura i servizi utili ad agevolare urgenti esigenze di orientamento, consulenza bibliografica e studio; il tutto tramite la piattaforma Microsoft Teams. I bibliotecari saranno presenti e raggiungibili sulla piattaforma dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 13. La piattaforma dispone dunque di una “stanza virtuale”, articolata in quattro canali corrispondenti ai quattro Poli Bibliotecari dell’Ateneo. Accedendo al canale della propria biblioteca, sarà quindi possibile prendere contatto con il personale eformulare le proprie richieste al fine di ottenere informazioni e consulenza.
L’accesso al sistema bibliotecario è disponibile dal cruscotto del sito dell’ateneo messinese e dalla pagina “Teams TeleDidattica”. Al di fuori degli orari indicati e per ricerche più complesse, le richieste possono essere inviate con email alla propria biblioteca di riferimento o tramite la compilazione degli appositi moduli. La fornitura documenti sarà assicurata compatibilmente con la disponibilità del formato digitale e nei limiti delle normative sul copyright.
Ricordiamo agli studenti che l’accesso alle risorse in formato elettronico sottoscritte dall’Ateneo, periodici elettronici e banche dati, è assicurata tramite connessione VPN o attraverso la rete IDEM-GARR per gli editori aderenti. Pertanto si rimanda all’elenco e alle istruzioni di accesso alla rete. È disponibile online il tutorial “GUIDA ACCESSO ALLE RISORSE BIBLIOGRAFICHE”, grazie a cui sarà possibile trovare indicazioni pratiche sulle modalità di ricerca bibliografica; ciò è molto semplice grazie al discovery service, nonché servizio di accesso ai periodici elettronici e alle banche dati in abbonamento.
Un team internazionale di genetisti, archeologi, antropologi e fisici, tra cui Alfredo Coppa del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, ha analizzato il Dna di 174 individui che vivevano più di 2000 anni fa in quelle che oggi sono le isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela. Lo studio, pubblicato su Nature, ha messo in luce la storia delle popolazioni caraibiche prima dell’arrivo degli europei, rispondendo a domande rimaste irrisolte fino a questo momento.
La prima colonizzazione dei Caraibi risale all’inizio dell’epoca arcaica, circa 6000 anni fa. Dopo circa 3/4000 anni è iniziata l’Età della ceramica e ancora altri 2000 anni dopo sono arrivati i primi navigatori europei. Molte sono le domande che riguardano le popolazioni originarie di queste terre, lavoratori della pietra prima e della ceramica dopo: se avessero o no la stessa discendenza; quanto numerose fossero al momento dell’arrivo dei colonizzatori europei e se gli abitanti moderni delle aree che oggi corrispondono alle isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela abbiano un Dna riconducibile alle antiche popolazioni.
Lo studio
Il più grande studio condotto fino a questo momento sul Dna antico, coordinato dalla Harvard Medical School e pubblicato sulla rivista Nature, ha risposto a queste domande grazie al lavoro di un team internazionale di genetisti, archeologi, antropologi e fisici, tra cui Alfredo Coppa, che ne è stato il promotore, del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma.
Lo studio ha analizzato il patrimonio genetico di 174 individui oltre ad altri 89 genomi sequenziati precedentemente. Questa mole di dati fa sì che oltre la metà delle informazioni da Dna antico oggi disponibili per le Americhe provenga dai Caraibi, con un livello di risoluzione fino a ora possibile solo in Eurasia occidentale. Di questi 174 genomi, l’80% sono stati studiati e messi a disposizione da ricercatori di Sapienza. I risultati del lavoro indicano che ci sono differenze importanti tra le popolazioni arcaiche preceramiche che lavoravano la pietra e quelle che lavoravano l’argilla, che la popolazione autoctona di queste aree era meno numerosa di quanto ritenuto fino a ora al momento dell’arrivo degli europei e infine, che l’attuale popolazione di molte isole caraibiche discende da popoli che le abitavano prima dell’arrivo dei colonizzatori.
L’origine delle popolazioni caraibiche
Inoltre i dati ottenuti hanno permesso di escludere che le popolazioni caraibiche dell’Età arcaica abbiano avuto connessioni con quelle dell’America del Nord, come ritenuto fino a oggi, e di attribuire la loro discendenza da una singola popolazione originaria o dell’America Centrale o di quella Meridionale.
Le popolazioni dell’Età della ceramica presentavano un profilo genetico differente, più simile ai gruppi del nordest dell’America meridionale (di lingua Arawak), un dato congruente con le evidenze ottenute su basi archeologiche e linguistiche. Da quanto osservato sembrerebbe, infatti, che questi popoli abbiano migrato dal Sud America verso i Caraibi almeno 1700 anni fa, soppiantando le popolazioni che lavoravano la pietra, quasi completamente scomparse all’arrivo degli europei (restava una piccola percentuale nell’isola di Cuba). Ciò conferma che gli incroci tra queste due popolazioni erano estremamente rari.
La produzione di manufatti ceramici
Quanto alla lavorazione dell’argilla per la produzione di manufatti di ceramica, lo studio ha evidenziato che nel corso dei 2000 anni trascorsi dalla loro comparsa fino all’arrivo degli europei, si sono avute differenze tra i vari stili ritenute, negli anni passati, il risultato di flussi di popolazioni provenienti da fuori i Caraibi. In realtà è emerso che a tali varietà di manifestazioni artistiche non corrispondono cambiamenti genetici o evidenze di un contributo genetico sostanziale da parte di gruppi continentali. I risultati testimoniano invece la creatività e il dinamismo di queste antiche popolazioni che hanno sviluppato nel tempo questi stili artistici straordinariamente diversi tra loro.
La presenza di reti di comunicazione tra questi gruppi che producevano vasellame potrebbero aver agito da catalizzatori nella diffusione delle transizioni stilistiche osservate attraverso tutta la regione.
I risultati genetici – spiega Alfredo Coppa della Sapienza, che per anni ha studiato la morfologia dentale delle antiche popolazioni dei Caraibi –si allineano con il riscontro fatto nelle popolazioni dell’epoca arcaica che si differenziavano significativamente da quelle dell’epoca della ceramica. Tuttavia, rimangono ancora da spiegare queste differenze e occorreranno ulteriori studi per determinare se siano dovute a forze micro-evolutive che in qualche modo risultano essere rilevabili mediante la morfologia dentale, ma non alle analisi genetiche, o se invece queste possono essere conseguenza di abitudini diverse.
Il Dna come mezzo per misurare le dimensioni di una popolazione
L’elevato numero di campioni esaminati ha infine permesso una stima della dimensione della popolazione caraibica prima dell’arrivo degli europei: il metodo, sviluppato da David Reich, co-autore dello studio e docente della Harvard Medical School e della Harvard University, usa campioni presi in modo casuale, valuta quanto siano imparentati tra loro ed estrapola dati sulla dimensione della popolazione di origine. Tanto più i campioni risultano essere imparentati, tanto più piccola sarà, plausibilmente, la popolazione di origine; meno risultano essere imparentati, tanto più grande dovrebbe essere stata la popolazione.
Essere in grado di determinare le dimensioni delle popolazioni antiche utilizzando il Dna significa avere uno strumento straordinario che, applicato nei diversi contesti mondiali, permetterà di fare luce su moltissime domande – dicono i ricercatori – ma indipendentemente dal fatto che ci siano state, nel 1492, un milione di persone autoctone o qualche decina di migliaia, non cambia ciò che è accaduto in seguito all’arrivo degli europei nei Caraibi: la distruzione di un intero popolo e della sua cultura.
Tracce delle popolazioni autoctone nelle popolazioni moderne
Infine, una delle grandi domande a cui hanno cercato di rispondere i ricercatori riguarda il patrimonio genetico delle persone che oggi abitano nei Caraibi e la riconducibilità a quello delle popolazioni autoctone precolombiane. I risultati dello studio hanno dimostrato che ci sono ancora tracce di Dna delle popolazioni autoctone pre-colonizzazione nelle popolazioni moderne e in particolare che gli attuali abitanti dei Caraibi conservano Dna proveniente da tre fonti (in proporzioni diverse nelle diverse isole): quello degli abitanti autoctoni precolombiani, quello degli Europei immigrati e quello degli Africani portati nell’isola durante la tratta degli schiavi.
Lo studio è stato finanziato da National Geographic Society, National Science Foundation National Institutes of Health/National Institute of General Medical Sciences, Paul Allen Foundation, John Templeton Foundation, Howard Hughes Medical Institute e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Sviluppare una nuova tecnologia che cambierebbe radicalmenteil modo in cui la materia viene studiata in microscopia elettronica: è l’obiettivo di SMART-electron (H2020-FETOPEN-2018-2020, Grant Agreement n. 964591). Il progetto è coordinato dal dottor Giovanni Maria Vanacore, ricercatore presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca, che studia fenomeni ultraveloci in solidi e nanostrutture. SMART-electron è uno dei 58 progetti finanziati dal programma pilota Pathfinder dell’European Innovation Council(EIC); dunque “sostiene le fasi iniziali della ricerca e dell’innovazione scientifica e tecnologica attorno a nuove idee di ricerca ad alto rischio e ad alto impatto con lo scopo di trasformarle in nuove tecnologie”.
SMART-electron e la manipolazione degli elettroni
Giovanni Maria Vanacore, il coordinatore del Progetto
La visione “rivoluzionaria” alla base del progetto è quella di stabilire un nuovo paradigma tecnologico che consenta di manipolare a piacimento le onde di elettroni attraverso l’utilizzo di impulsi di luce. Questo permetterebbe di migliorare le prestazioni di un microscopio elettronico in termini di risoluzione dell’immagine, rapidità di acquisizione, sensitività a specifiche proprietà del campione, e riduzione degli effetti di danneggiamento. Sono infatti numerosi i campi in cui la nuova tecnologia potrebbe trovare applicazione: dai computer quantistici, alle batterie, fino all’ambito biomedico.
«La nostra ambizione – spiega il coordinatore Vanacore – è sviluppare una tecnologia del tutto innovativa per rivoluzionare lo studio dei materiali in microscopia elettronica. Una tale capacità fornirebbe dunque uno strumento unico che ci aiuterebbe ad affrontare le sfide fondamentali della nostra società moderna nell’ambito dei materiali quantistici, dei dispositivi per l’accumulo di energia e nelle applicazioni di tipo drug-delivery».
Un team internazionale di genetisti, archeologi, antropologi e fisici, tra cui Alfredo Coppa del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, ha analizzato il DNA di 174 individui che vivevano più di 2000 anni fa nei Caraibi, in quelli che oggi sono le isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela. Lo studio, pubblicato su Nature, ha messo in luce la storia delle popolazioni caraibiche prima dell’arrivo degli europei; non è il primo pubblicato dall’Ateneo romano di recente.
Chi e cosa c’era nei Caraibi di 6 mila anni fa
La prima colonizzazione dei Caraibi risale all’inizio dell’epoca arcaica, circa 6000 anni fa; dopo circa 3/4000 anni è iniziata l’Età della ceramica e 2000 anni dopo sono arrivati i primi navigatori europei. Molte sono le domande che riguardano le popolazioni originarie di queste terre, lavoratori della pietra prima e della ceramica dopo: se avessero o no la stessa discendenza; quanto numerose fossero al momento dell’arrivo dei colonizzatori europei e se gli abitanti moderni delle aree che oggi corrispondono alle isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela abbiano un DNA riconducibile alle antiche popolazioni.
Il più grande studio mai condotto sul DNA antico
Recenti scavi ai Caraibi
Lo studio ha analizzato il patrimonio genetico di 174 individui oltre ad altri 89 genomi sequenziati precedentemente. Questa mole di dati fa sì che oltre la metà delle informazioni da DNA antico oggi disponibili per le Americhe provenga dai Caraibi, con un livello di risoluzione fino a ora possibile solo in Eurasia occidentale. Di questi 174 genomi, l’80% sono stati studiati e messi a disposizione da ricercatori di Sapienza. I risultati del lavoro indicano che ci sono differenze importanti tra le popolazioni arcaiche preceramiche che lavoravano la pietra e quelle che lavoravano l’argilla, che la popolazione autoctona di queste aree era meno numerosa di quanto ritenuto fino a ora al momento dell’arrivo degli europei e, infine, che l’attuale popolazione di molte isole caraibiche discende da popoli che le abitavano prima dell’arrivo dei colonizzatori.
Inoltre, i dati ottenuti hanno permesso escludere che le popolazioni caraibiche dell’Età arcaica abbiano avuto connessioni con quelle dell’America del Nord, come ritenuto fino a oggi, e di attribuire la loro discendenza da una singola popolazione originaria o dell’America Centrale o di quella Meridionale.
Popolazioni ceramiche verso i Caraibi
Le popolazioni dell’Età della ceramica presentavano un profilo genetico differente, più simile ai gruppi del nordest dell’America meridionale (di lingua Arawak), un dato congruente con le evidenze ottenute su basi archeologiche e linguistiche. Da quanto osservato sembrerebbe, infatti, che questi popoli abbiano migrato dal Sud America verso i Caraibi almeno 1700 anni fa, soppiantando le popolazioni che lavoravano la pietra, quasi completamente scomparse all’arrivo degli europei (restava una piccola percentuale nell’isola di Cuba). Ciò conferma che gli incroci tra queste due popolazioni erano estremamente rari.
Quanto alla lavorazione dell’argilla per la produzione di manufatti di ceramica, lo studio ha evidenziato che nel corso dei 2000 anni trascorsi dalla loro comparsa fino all’arrivo degli europei, si sono avute differenze tra i vari stili ritenute, negli anni passati, il risultato di flussi di popolazioni provenienti da fuori i Caraibi. In realtà è emerso che a tali varietà di manifestazioni artistiche non corrispondono cambiamenti genetici o evidenze di un contributo genetico sostanziale da parte di gruppi continentali. I risultati testimoniano invece la creatività e il dinamismo di queste antiche popolazioni che hanno sviluppato nel tempo questi stili artistici straordinariamente diversi tra loro.
Manifestazioni artistiche dei popoli dell’Età ceramica
Il metodo e i risultati dello studio
I risultati genetici – spiega Alfredo Coppa – si allineano con il riscontro fatto nelle popolazioni dell’epoca arcaica che si differenziavano significativamente da quelle dell’epoca della ceramica. Tuttavia, rimangono ancora da spiegare queste differenze e occorreranno ulteriori studi per determinare se siano dovute a forze micro – evolutive che in qualche modo risultano essere rilevabili mediante la morfologia dentale, ma non alle analisi genetiche, o se invece queste possono essere conseguenza di abitudini diverse”.
L’elevato numero di campioni esaminati ha infine permesso una stima della dimensione della popolazione caraibica prima dell’arrivo degli europei: il metodo, sviluppato da David Reich, coautore dello studio e docente della Harvard Medical School e della Harvard University, usa campioni presi in modo casuale, valuta quanto siano imparentati tra loro ed estrapola dati sulla dimensione della popolazione di origine. Tanto più i campioni risultano essere imparentati, tanto più piccola sarà, plausibilmente, la popolazione di origine; meno risultano essere imparentati, tanto più grande dovrebbe essere stata la popolazione.
Infine, una delle grandi domande a cui hanno cercato di rispondere i ricercatori riguarda il patrimonio genetico delle persone che oggi abitano nei Caraibi e la riconducibilità a quello delle popolazioni autoctone precolombiane. I risultati dello studio hanno dimostrato che ci sono ancora tracce di DNA delle popolazioni autoctone precolonizzazione nelle popolazioni moderne e, in particolare, che gli attuali abitanti dei Caraibi conservano DNA proveniente da tre fonti (in proporzioni diverse nelle diverse isole): quello degli abitanti autoctoni precolombiani, quello degli Europei immigrati e quello degli Africani portati nell’isola durante la tratta degli schiavi.
Gestisci Consenso Cookie
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.