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NEWS | Stromboli, ricerca italiana mette in guardia dal rischio di eruzioni

Un nuovo studio, coordinato dal prof. Marco Viccaro del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania, presenta dati all’avanguardia sulle eruzioni vulcaniche a Stromboli.

La necessità di nuovi interventi per incrementare il livello di allerta sull’isola

Lo studio, pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista Scientific Reports del gruppo Nature, ha definito i processi e i tempi di innesco delle eruzioni parossistiche, altamente esplosive, del vulcano Stromboli nell’estate del 2019. Al tempo stesso suggerisce la necessità di nuovi interventi per incrementare il livello di allerta sull’isola, per mitigare i rischi associati ai fenomeni eruttivi.

La ricerca, dal titolo Shallow conduit dynamics fuel the unexpected paroxysms of Stromboli volcano during the summer 2019, è coordinata da Marco Viccaro, docente di Geochimica e Vulcanologia al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’ateneo catanese. L’analisi è stata sviluppata in collaborazione con un team di ricercatori dell’Università di Catania, dell’Università della Calabria, dell’Università di Perugia e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

L’elaborazione dei dati micro-analitici alla base della ricerca

Alla base della ricerca l’elaborazione di dati micro-analitici d’avanguardia, ottenuti su cristalli portati alla luce e inclusi nei prodotti piroclastici emessi nel corso della straordinaria attività eruttiva dello Stromboli del 3 luglio e del 28 agosto 2019. Le informazioni sono state integrate anche con dati geofisici relativi alle deformazioni dei fianchi del vulcano registrate nei minuti precedenti le eruzioni parossistiche.

L’interesse della vulcanologia moderna verso questa tipologia di attività deriva dal carattere spiccatamente inaspettato di queste fenomenologie eruttive, che incrementa esponenzialmente i rischi per la popolazione e per le attività antropiche, specialmente turistiche, sull’isola, in quanto risulta pressoché “invisibile” agli attuali strumenti di early warning propedeutici per la mitigazione dei rischi stessi, ha spiegato il prof. Marco Viccaro.

“Attraverso modelli di diffusione intra-cristallina avanzati, capaci di estrarre i tempi di movimento di specifici elementi volatili contenuti all’interno dei cristalli, e l’integrazione delle informazioni relative alle deformazioni del suolo, il gruppo di ricerca ha ricostruito i meccanismi e i tempi che portano all’escalation di fenomeni in grado di scatenare simili eruzioni parossistiche allo Stromboli“, continua il docente dell’ateneo catanese. “Finora la letteratura scientifica ha attribuito le cause primarie per lo sviluppo delle eruzioni parossistiche a processi bottom up, ovvero a ricariche veloci di magmi ricchi in gas, provenienti dai livelli più profondi del sistema di alimentazione del vulcano. L’innovazione apportata con il presente studio si basa sul fatto che l’innesco di eruzioni parossistiche sia, invece, da attribuire a processi top down del tutto accidentali, dovuti ad esempio a repentine modifiche della geometria delle parti più superficiali dei condotti, oppure a ostruzioni transienti degli stessi. Ne consegue che le tempistiche per l’attivazione dei fenomeni eruttivi dell’estate 2019 a Stromboli siano risultate estremamente rapide, ovvero comprese in un range da poche decine di secondi e fino a 2-3 minuti”.

Le implicazioni emergenti da questo studio – conclude il prof. Marco Viccaro – sono rilevanti poiché mettono di fronte alla comunità scientifica vulcanologica e alle autorità preposte alla protezione civile un quadro di sostanziale incapacità, dell’attuale sistema di early warning presente sull’isola, di anticipare con sufficiente preavviso eventi eruttivi di questa portata, stimolando dunque la ricerca di nuovi parametri e segnali precursori utili per incrementare il livello di allerta a preludio di queste fenomenologie.

 

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ARCHEOLOGIA | Il sito archeologico di San Vincenzo a Stromboli

Il sito archeologico di San Vincenzo a Stromboli è stato scoperto, nel 1980, da Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, che lo scavano parzialmente. Successivamente, l’Università di Modena e Reggio Emilia conduce regolari campagne di  scavo dal 2009. Le campagne avvengono in collaborazione con il CNR-ICEVO e con il Servizio Beni Archeologici della Soprintendenza ai Beni Culturali di Messina. Inoltre, il gruppo di ricerca si è avvalso del supporto della Circoscrizione Comunale di Stromboli, nella persona di Carlo Lanza, e dell’Associazione Preistoria Attuale.

Le campagne di scavo hanno interessato una superficie di 500 m² e portato alla luce tracce che vanno dal Neolitico al Medioevo, passando per l’Età del Bronzo e l’età romana. Alcune zone del sito di San Vincenzo, infatti, restituiscono abbondanti reperti di varie epoche, tra cui ceramica a vernice nera, terra sigillata, anfore, lucerne, balsamari in vetro, tegole, ceramica invetriata e maioliche.

Il sito di San Vincenzo nell’Età del Bronzo

Il villaggio dell’età del Bronzo risale alla prima metà del II millennio a.C. e sorgeva alle pendici del vulcano, su un pianoro formato da una colata lavica. Dalla sua posizione nord-orientale gli abitanti potevano avere una buona visuale su parte del Tirreno: dallo stretto di Messina all’arcipelago flegreo. Il sito archeologico di San Vincenzo è formato da una serie di terrazzamenti, delimitati e sorretti da gradoni in pietrame. Un gran numero di persone abitava questo villaggio. Ciò è testimoniato dalle numerose capanne ovali o rotonde in pietra lavica, di dimensioni variabili (alcune arrivano fino a 10 m di diametro). Le capanne erano costruite con muri a secco. Lo spazio interno, alle volte, era suddiviso in ambienti, per alcuni dei quali è ancora possibile intravedere resti di focolari.

Il villaggio raggiunse il suo massimo splendore nelle fasi avanzate della cultura di Capo Graziano. Caratteristica tipica della ceramica stromboliana, rispetto quella coeva di Filicudi e Lipari, è la compresenza di vasi prodotti da altre isole. Insieme a questi, è stato rinvenuto vasellame prodotto fuori dall’Arcipelago: sono vasi le cui forme testimoniano i fitti scambi commerciali che l’isola intratteneva con le altre isole dell’Arcipelago e con la Calabria, la Sicilia e l’area egea. Infatti, non mancano reperti egei come vasi micenei dipinti e perle di pasta vitrea, che testimoniano come anche Stromboli rientrasse nelle rotte commerciali micenee.

Alcuni studiosi pensano che, proprio a causa di questa sua evidente ricchezza, l’isola divenne preda di pirati intorno alla metà del II millennio a.C. Infatti, proprio in questo periodo il villaggio di San Vincenzo venne abbandonato e gli abitanti si spostarono su alture meglio difendibili. 

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ARCHEOLOGIA | L’antica Strongyle, uno dei vulcani più antichi de mondo

L’antica Strongyle, con la sua forma rotondeggiante, da cui il nome, possiede la seconda vetta più alta delle Eolie. Caratteristica geografica molto nota è la presenza dell’omonimo vulcano, sempre attivo, che ogni tanto risveglia i timori degli abitanti e dei turisti. Il vulcano di Stromboli è ritenuto uno dei più attivi al mondo, e la sua caratteristica attività eruttiva, a condotto aperto, ha meritato l’epiteto di “stromboliana”.

La storia di Stromboli

Della sua storia si conosce poco ma possiamo immaginare vicende simili a quelle vissute dalle altre isole minori. Complessivamente, le ricerche archeologiche hanno rivelato abitazioni di varie epoche, dal Neolitico all’età romana. Diversi ritrovamenti sembrano concentrati i piedi del vulcano.   

Sul Serro Fareddu è testimoniato un piccolo insediamento della facies culturale di Piano Conte (prima me6tà del III millennio a.C.). Invece, sulla dorsale che va dalla chiesa di San Vincenzo alla località Semaforo, sorgeva un abitato riferibile cultura di Capo Graziano (Bronzo Antico – prima metà del II millennio a.C.). Questo è stato ampiamente indagato e poi ricoperto, al fine di garantirne la conservazione. Gli scavi hanno portato alla luce alcune capanne in pietra, paragonabili ai rinvenimenti sul Castello di Lipari, e frammenti ceramici tipici del periodo.

Dopo questa parentesi il sito non sembra essere abitato almeno fino alla fase greca. A questo periodo appartiene una piccola necropoli con sepolture databili tra il IV e la prima metà del III secolo a.C. Le sepolture, a incinerazione in vasi o a in sarcofagi lapidei, mostrano un ricco corredo, con vasi attribuibili al Pittore di Lipari e alla sua bottega, terrecotte teatrali e gioielli. Tutte le testimonianze ivi rinvenute sono conservate o esposte al Museo Archeologico Regionale Eoliano.

La vita di Stromboli continua anche in età romana, espressa da numerosi frammenti ceramici, resti architettonici e sepolture a cappuccina.

Come le altre isole, anche Stromboli, probabilmente, non fu abitata nei secoli VIII e IX d.C., a causa delle continue incursioni arabe. Dobbiamo aspettare il XVII secolo per trovare l’isola nuovamente e stabilmente abitata. Grazie alla fertilità del terreno, data dalla presenza del vulcano, ben presto Stromboli si riempie di vigneti e uliveti e diventa centro delle rotte commerciali che passavano per lo Stretto di Messina.