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NEWS | Gela (CL), ritrovati i resti di pire funebri della colonia greca

Il sottosuolo di Gela torna a sorprendere gli archeologi. L’antica colonia greca, fondata nel 689-688 a.C., è una vera miniera di informazioni che riguardano il suo passato più remoto. Informazioni che negli ultimi giorni si susseguono quasi senza sosta, come se la Città avesse deciso di raccontarsi senza più riserve.

Tra i più recenti, ricordiamo i rinvenimenti dal fondale marino di Gela, che riguardano reperti databili al VI sec. a.C.

Il ritrovamento delle pire funebri 

La scoperta, che sembra databile all’VIII secolo a.C., è avvenuta in un cantiere privato, durante i lavori di demolizione di un edificio del Novecento, per la costruzione di un nuovo immobile, sul lungomare Federico II, a poche centinaia di metri dall’area archeologica di Bosco Littorio, che ospita i resti dell’emporio di età arcaica della colonia di Gela. Sul posto erano già presenti la Soprintendenza di Caltanissetta con l’arch. Daniela Vullo e la dirigente archeologica Carla Guzzone, che dispongono sempre di controlli nei cantieri privati di una città che un tempo fu un’importante colonia greca.

Sotto uno strato di terra databile al VII secolo a.C. sono state rivenute tre strutture in terra, al cui interno si è conservato uno strato di cenere, legna carbonizzata e frammenti di ossa umane. Una di queste fu utilizzata per la cerimonia funebre di un neonato di pochi mesi, a giudicare dalle dimensioni dei resti del cranio e da un piccolo ciondolo a forma di corno ritrovato tra le ceneri. Sono visibili anche i fori nel terreno per l’installazione della pira in legno, sulla quale veniva adagiato il corpo del defunto per la cerimonia funebre.

La pira funebre nella storia e l’importanza della cerimonia funeraria per i greci

L’eccezionalità del ritrovamento risiede nell’importanza del cerimoniale che aveva il compito di purificare l’anima del defunto e accompagnarla nel regno di Ade, dio dei morti.

Tale importanza è riportata in moltissime forme, dalla rappresentazione dei roghi sulla ceramica dipinta, alle rappresentazioni teatrali, fino alla forma scritta. E proprio parlando di fonti scritte, già Omero nell’Iliade dedica moltissima importanza alla cerimonia funebre degli eroi nel suo poema. Grazie alla ricchezza di dettagli che riguardano la cerimonia funebre di Patroclo, sappiamo che il funerale per gli antichi greci era un momento molto importante per i parenti e cruciale per il defunto. In gioco c’era la salvezza della sua anima e il transito da questo mondo a quello dei morti, cosa che sarebbe avvenuta solo se tutti i passaggi della cerimonia fossero stati effettuati correttamente.

Dal lavaggio del corpo, ai lamenti delle donne, al banchetto in sua memoria procedendo con la processione che accompagnava il corpo al luogo dove le sue spoglie mortali sarebbero diventate ceneri alla sepoltura: tutto doveva svolgersi seguendo i rigidi canoni della tradizione, o il defunto non avrebbe raggiunto l’Ade e sarebbe rimasto a vagare sotto forma di spirito maligno.

Il ritrovamento di Gela rappresenta solo uno di questi passaggi, il più significativo forse, ma non l’ultimo. Dopo il rogo, infatti, le ceneri e le ossa, che resistevano al fuoco, venivano raccolte in un contenitore funerario e trasportate nella tomba che le avrebbe custodite in eterno.

L’area funebre più antica di Gela

Per avere una datazione certa bisognerà aspettare la fine dello scavo archeologico e le analisi effettuate in laboratorio. Se dovesse essere confermata la datazione all’VIII secolo a.C., questa diverrebbe l’area funebre più antica della storia greca di Gela. Ma su questo gli archeologi non si pronunciano ancora.

L’attenzione è tutta sullo scavo in corso, seguito da Antonio Catalano, ispettore onorario nominato dalla Regione, dal direttore dei lavori arch. Enzo Insalaco e dal proprietario del terreno Alessandro D’Arma, che si è dichiarato molto felice per la sensazionale scoperta. Le operazioni si stanno svolgendo in stretta relazione con la Soprintendenza di Caltanissetta. Dopo la necropoli dei primi coloni in via di Bartolo, portata alla luce su area pubblica dallo stesso archeologo Gianluca Calà e che sta per diventare museo all’aperto con i fondi di Open fiber, il sottosuolo gelese continua a restituire preziosi tasselli di storia.

Resti delle pire funebri da “La Sicilia”