Nelle acque della tonnara del Secco a San Vito Lo Capo (TP) è stato recuperato un antico bacile di ceramica. Il reperto, quasi intatto, è stato localizzato dall’istruttore subacqueo Marcello Basile, il quale ha poi dato notizia a Pietro Selvaggio, funzionario della Soprintendenza del Mare.
Il recupero
Il bacile, recuperato dalla Soprintendenza del Mare, sarebbe stato identificato in un un louterion, oggetto di tipo rituale, utilizzato tanto a terra che sulle navi nell’antichità. Ulteriori studi ne chiariranno la datazione, che sarebbe da collocarsi fra epoca greca e romana. Il recupero è avvenuto per opera dei sub Marcello Basile e Andrea Mineo, con la presenza in immersione di Ferdinando Maurici, Soprintendente del Mare.
Il bacile localizzato a San Vito Lo Capo
“Il nostro mare – sottolinea Alberto Samonà, assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – continua a restituire interessanti reperti archeologici, che testimoniano la ricchezza storico culturale della Sicilia. Un patrimonio immenso, che vede la Soprintendenza del Mare costantemente impegnata con azioni di individuazione, interventi di recupero e una capillare e incessante attività di valorizzazione”.
Ricade su Ferdinando Maurici la nomina di soprintendente del mare della Regione siciliana, scelto del dirigente generale del dipartimento di beni culturali Franco Fazio. Si apre così un’era di grandi sfide per la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico subacqueo dei mari di Sicilia e delle sue isole minori.
Ferdinando Maurici, nuovo soprintendente del mare della regione siciliana
Chi è Ferdinando Maurici?
Ferdinando Maurici, 62 anni, nativo di Palermo, è un appassionato ricercatore, specializzato in archeologia cristiana e medievale, con all’attivo diverse docenze universitarie e oltre 300 pubblicazioni. Da sempre impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale siciliano, è stato insignito di incarichi prestigiosi, tra cui: la dirigenza del parco archeologico di Monte Lato, del Museo interdisciplinare di Terrasini e della Fototeca del centro Regionale Inventario e catalogazione delle sezioni archivistica e bibliografica. Recentemente ha seguito la documentazione videografica, con rilievi in 3D, di un relitto d’epoca romana, insieme a un cumulo di anfore, nel fondale dell’isola di Ustica, situati a circa 200 metri di profondità e 80 metri dalla costa.
Carico di anfore romane provenienti da un relitto
Nell’estate 2021 ha preso parte alla localizzazione del ventiquattresimo rostro nel fondale dell’isola di Levanzo, nell’arcipelago delle Egadi, a bordo della nave oceanografica “Hercules”. Ha inoltre collaborato alla rilevazione di un nuovo possibile itinerario sommerso a Marettimo, che andrà ad arricchire il patrimonio archeologico sommerso delle isole Egadi, teatro della sanguinosa battaglia navale del 241 a. C, tra romani e cartaginesi. È stato infine co-progettista dei lavori di scavo e indagine preliminare del relitto della nave romana denominata “Marausa 2“, risalente al III secolo d. C., recuperato a 150 metri dalla costa di Trapani.
Le indagini archeologiche subacque nel nuovo itinerario di Marettimo
La soprintendenza del mare
L’istituto rappresenta l’approdo di un percorso avviato nel 1999, con l’istituzione di un gruppo per la ricerca archeologica subacquea: G. I. A. S. S. (Gruppo Indagine Archeologica Subacquea Sicilia) evolutosi poi in S. C. R. A. S. (Servizio Coordinamento Ricerche Archeologiche Sottomarine). La struttura nasce ufficialmente nel 2004, per volontà di Salvatore Tusa, con l’obiettivo di gestire, tutelare e valorizzare il patrimonio storico, naturale e demo-antropologico dei mari di Sicilia e delle sue isole minori, evidenziando l’evoluzione dell’inscindibile legame tra l’uomo e il mare nel corso dei secoli. Tra i maggiori successi dell’istituto, annoveriamo: il satiro di Mazara del Vallo, la nave romana Marausa, il relitto di Cala Minnola a Levanzo e, soprattutto, la localizzazione ,a nord/nord ovest dell’isola di Levanzo, del luogo che probabilmente fu il teatro della battaglia delle Egadi del 241 a. C. che pose fine alla prima guerra punica.
Uno dei rostri ritrovati al largo delle Egadi, testimone della battaglia del 241 a.C
Nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale siciliano troviamo un nuovo progetto di indagine e documentazione dei fondali marini, alla scoperta di nuovi potenziali siti sommersi, ampliando così il terreno d’indagine per l’archeologia subacquea in Sicilia.
I finanziamenti
È con oltre mezzo milione di euro che è stato finanziato, dalla presidenza della Regione Sicilia e dalla Soprintendenza del mare, il progetto di salvaguardia dei siti e valorizzazione del patrimonio culturale sommerso intorno all’isola, con lo scopo di gettare le basi per l’istituzione di un Centro di eccellenza dell’archeologia subacquea.
Le attività saranno gestite dalla Soprintendenza del mare. Sul campo una squadra formata da archeologi subacquei, documentaristi e ricercatori si muoverà con l’ausilio di reti di sensori che forniranno in tempo reale dati utili per la sorveglianza dei siti e lo stato di conservazione dei reperti. La prima fase sarà dedicata alla ricerca a campione e la mappatura dei fondali ad una profondità batimetrica tra i 50 ed i 200 metri di profondità, interessando i fondali di Palermo, Ustica, Isole Eolie e delle province di Catania, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Agrigento e Trapani.
La durata del progetto
Il progetto, come sottolineato dall’assessore dei Beni culturali e dell’identità siciliana, Alberto Samonà, avrà la durata di circa tre mesi e si avvarrà dell’utilizzo di un drone subacqueo, l’ AUV (Autonomous underwater vehicles), un vero e proprio robot autonomo, in grado di analizzare il fondale effettuando scansioni con strumenti sonar incorporati e riportare le immagini a bordo.
Esempio di AUV, autonomous underwater vehicle
“I fondali siciliani – afferma il presidente della Regione, Nello Musumeci – ci hanno restituito negli anni e continuano a custodire tesori preziosi, testimonianza di millenni di storia e di cultura. L’importante lavoro di ricerca che il governo regionale ha finanziato permetterà di creare una mappatura dettagliata della situazione sottomarina da mettere a disposizione non solo degli specialisti del settore, ma anche degli studenti, turisti, appassionati di storia, gli interessanti ritrovamenti archeologici”.
Musei sommersi
Sono 25 i percorsi archeologici attualmente attivi nei fondali siciliani. Questi itinerari culturali consentono di ammirare i reperti in situ, ossia direttamente nel contesto di rinvenimento. L’arco temporale spazia dal periodo greco fino a giungere all’epoca contemporanea: basti pensare, ad esempio, all’area archeologica di San Vito Lo Capo dove a pochi metri di profondità, oltre ad alcune ancore risalenti al VII secolo a. C, è possibile osservare i resti del relitto di una nave commerciale moderna, il Kent, naufragata nel 1978. In prossimità dei singoli reperti archeologici sono presenti cartellini impermeabili che descrivono tipologia, datazione, provenienza e l’utilizzo del reperto stesso, dando così l’opportunità all’osservatore di comprendere ciò che sta ammirando, come un vero e proprio museo sott’acqua. I percorsi sono rivolti a tutte le tipologie di subacquei, dai più semplici percorsi in snorkeling, ai siti profondi che richiedono brevetti tecnici.
Mappa degli itinerari archeologici subacquei presenti in Sicilia
Grazie alla fine tecnologia di un sottomarino a comando remoto (ROV – Remotely Operated Vehicle), una nave romana di II secolo a.C., con un grandecarico di anfore, è adesso sotto gli occhi vigili della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana. Giace a ben 92 metri di profondità nelle acque dell’Isola delle Femmine, parte del territorio palermitano.
Le prime anfore del carico individuate dal ROV – foto: Alberto Samonà
L’assessore ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, Alberto Samonà, lo ha definito uno dei ritrovamenti più importanti degli ultimi mesi; ha posto l’accento anche sul grande spirito di collaborazione tra la Soprintendenza del Mare e l’Arpa Sicilia (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente). Infatti, i due organismi regionali hanno individuato il relitto durante una campagna di ricognizione subacquea condotta in sinergia.
Il ROV a lavoro a più di 80 metri di profonditàL’assessore Alberto Samonà – foto: Gazzetta del SudLa soprintendente Valeria Li Vigni e gli altri esperti a bordo dell’imbarcazione alla guida del ROV
Un carico straordinario
Il carico è in buono stato di conservazione: le anfore, secondo gli esperti, sono vinarie, della tipologia Dressel 1A. Dressel 1 è infatti la tipologia di anfore più esportata nel Mediterraneo dal II-I secolo a.C.; le anfore Dressel 1A persistono infatti fino alla metà del I secolo a.C.
Il mare antistante Filicudi (ME) ha restituito altri splendidi tesori. Si tratta di tre anfore integre, individuate durante le operazioni di controllo effettuate dalla Soprintendenza del Mare. La soprintendente Valeria Li Vigni ha presenziato alle operazioni assieme a Pietro Selvaggio del Nucleo subacqueo. Non poteva mancare l’ispettore onorario per i Beni Culturali sommersi delle Isole Eolie, Salvino Antioco. In aggiunta, la collaborazione dell’armatore del catamarano, Kaskazi Four, e dell’associazione Attiva Stromboli è stata determinante nel recupero.
I reperti rinvenuti nel mare di Filicudi (ME) – foto: Alberto Samonà
«Siamo stati tempestivi – dice la soprintendente Valeria Li Vigni – in un’operazione di monitoraggio e recupero che ha salvaguardato la pubblica fruizione dei beni, che da oggi saranno visibili al Museo Archeologico di Lipari “Bernabò Brea”, nella sezione distaccata di Filicudi. Un’operazione che ci riempie quindi di gioia e ci motiva giornalmente nell’attività di vigilanza, recupero e tutela dei beni custoditi in fondo al mare».
La soprintendente Valeria Li Vigni
LE ANFORE DI FILICUDI
Il ritrovamento riguarda due anfore di più piccole dimensioni, della tipologia MGS 2 (datata al III secolo a.C.), e una più grande della tipologia greco-italica (datata al II secolo a.C.). Quest’ultima, in particolare, porta inscritta la lettera greca eta interpretata come la probabile sigla del costruttore, effettuata prima della cottura. Inoltre, insieme a questo gruppo, sono stati rinvenuti alcuni frammenti di un’anfora del tipo Keay XXV, di provenienza tunisina. Tutti i reperti saranno visibili al MArE di Lipari.
Frammenti dell’anfora del tipo Keay XXV – foto: Alberto SamonàLe due anfore del tipo MGS 2 – foto: Alberto Samonà
«Il mare delle Eolie – sottolinea l’assessore ai Beni Culturali Alberto Samonà – si rivela ricco di reperti che testimoniano la vitalità dei traffici commerciali che hanno animato il mare della Sicilia nel passato. Ancora una volta, la collaborazione tra le associazioni e la Soprintendenza del Mare si è rivelata preziosa. Ha consentito di recuperare e proteggere un prezioso patrimonio che rimane nella sua sede di ritrovamento, nel senso di una continuità di lettura».
L’assessore Alberto Samonà
Infine, alle parole dell’assessore fanno eco quelle del direttore del Parco Rosario Vilardo: «Il Parco archeologico delle Eolie è felice di accogliere ed esporre nelle sue sale il prezioso patrimonio recuperato dalla Soprintendenza del Mare. Un’operazione che permette quindi di mantenere sul posto ciò che è stato restituito dal mare; nel segno di un’unitarietà di lettura scientifica che ci consente di ricostruire, nelle sale museali delle Eolie, oltre 8000 anni di storia testimoniata».
Rosario Vilardo, direttore del Parco e del Museo di Lipari – foto: Tempo Stretto
Domenica 20 giugno 2021, tra le acque ricche di storia che circondano l’Isola delle Femmine (PA), si è svolta la giornata conclusiva del progetto S.UND.A.I. (Sustainable Underwater Archaeological Itineraries project). Il progetto, la cui finalità è rendere fruibile il patrimonio culturale sottomarino tramite una serie di itinerari archeologici subacquei con impatto zero sull’ambiente, ha ottenuto riconoscimenti come EU Green Week e European Maritime Day in My Country, entrambe iniziative annuali della Commissione Europea per gli Affari Marittimi e la Pesca. La realizzazione di un itinerario subacqueo, che rispetti i canoni di sostenibilità ambientale, è opera della collaborazione tra LAS – Laboratorio di archeologia subacquea del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova e la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana.
Come si crea un itinerario archeologico subacqueo?
Il mar Mediterraneo è uno scrigno prezioso di reperti archeologici di ogni epoca, testimonianze del passaggio di civiltà diverse che lo hanno solcato, arrivando nelle nostre coste. Anche le acque basse sono dei potenziali punti d’interesse. Ed è proprio dai fondali bassi che parte il progetto. Dopo aver individuato i punti d’interesse archeologico e culturale, si procederà con l’installazione di pannelli descrittivi che ne raccontano la storia. Questi pannelli, insieme alle corde e alle boe di segnalazione, saranno costruiti in materiali ecosostenibili. La lotta per la cultura si unisce alla lotta contro l’inquinamento del mare, una realtà troppo tristemente diffusa che sta martoriando acque e fondali di tutto il mondo.
Installazione dei pannelli descrittivi vicino a resti di colonne nei fondali di Marzamemi (SR) – foto: MeteoWeb
L’itinerario archeologico subacqueo dell’Isola delle Femmine (PA)
L’isola delle femmine sarà il prototipo dal quale il Progetto prenderà il via. Le sue acque, infatti, custodiscono testimonianze del passaggio della civiltà romana e di quella bizantina. Alla giornata conclusiva del S.UND.A.I. era presente l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Alberto Samonà che ha espressoparole ricche di fiducia nel progetto:
«La possibilità di far conoscere i nostri tesori sommersi, proteggendoli da attività predatorie dei cosiddetti tombaroli del mare e dall’inquinamento ambientale nel rispetto del paesaggio marino, è l’obiettivo che il Governo regionale realizza attraverso la Soprintendenza del Mare. Il progettoS.UND.A.I. ha il merito di riconoscere e valorizzare a livello internazionale un impegno portato avanti nel compimento di un’attività sostenibile di conoscenza e tutela del mare, trasmettendo all’Europa e a tutti una buona pratica».
L’assessore Alberto Samonà
La fruizione degli itinerari archeologici subacquei
Nell’ambito del Progetto, seguendo il tema dell’inquinamento Zero, saranno migliorate anche l’archeo-snorkeling e l’archeo-apnea in acque basse (fino a 10 metri di profondità); si tratta di buone pratiche per un migliore approccio al mare e al suo mondo. Il Progetto mira a portare, inoltre, benefici riguardo all’implementazione di pratiche di sostenibilità nelle strutture subacquee presentando nuovi strumenti applicabili ovunque.
Un grande passo in avanti per l’archeologia e per la fruizione del patrimonio culturale che potrà essere esplorato nella cornice meravigliosa che è il nostro mare. Alla bellezza si aggiunge altra bellezza. Alla cultura si aggiunge il senso di responsabilità nei confronti di un mondo che abbiamo condiviso con civiltà oramai scomparse, da cui abbiamo ereditato tanto e la cui memoria abbiamo l’obbligo di preservare. Così come abbiamo l’obbligo di preservare lo stesso mare che ne ha custodito i segreti per secoli.
Itinerario archeologico subacqueo a San Vito Lo Capo (TP) – foto: MeteoWeb
I fondali di Porticello (PA) hanno restituito un’anfora “a siluro”. Si tratta di un’operazione coordinata, ancora una volta, dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana con il gruppo subacqueo di Stefano Vinciguerra; sono però intervenute anche la Capitaneria di Porto di Porticello (PA), la Guardia di Finanza con il maresciallo del Nucleo sommozzatori, Riccardo Nobile.
“La collaborazione dei volontari e lo scrupoloso controllo della SopMare sul patrimonio sommerso hanno permesso di assicurare un prezioso reperto al patrimonio della Regione. L’importante operazione di recupero – dichiara l’assessore Alberto Samonà – è frutto di quella collaborazione costante tra le istituzioni e i cittadini. A tutti loro va il ringraziamento del Governo Regionale per la costante vigilanza e attenzione”.
Il recupero dell’anfora dalle acque di Porticello (PA)
Cos’è un’anfora “a siluro”?
L’anfora recuperata è stata datata alla seconda metà del IV secolo a.C. ed appartiene alla tipologia delle anfore “a siluro”; è stata classificata così per la sua particolare morfologia longilinea. Già a partire dal V secolo a.C. l’arcipelago maltese produceva anfore da trasporto con forme tipiche del repertorio fenicio-punico, quindi, molto probabilmente il nostro è proprio uno di questi casi. Tali contenitori sono caratterizzati, oltre che dal corpo a siluro, da assenza di collo e da anse ad orecchia impostate sul corpo. Inizialmente, nella loro fase arcaica, queste anfore presentavano un corpo ovoide ed un labbro arrotondato e leggermente estroflesso; poi subiscono un’evoluzione formale per cui il corpo tende ad affusolarsi. La produzione delle anfore a siluro sembra prolungarsi anche in età romana, almeno fino al II secolo a.C.: lo si deduce dal ritrovamento dei recipienti in contesti funerari.
Le anfore punico-maltesi (Baldacchino 1951). Scala 1:10Corpo frammentario di un’anfora a siluro del IV sec. a.C. dal Museo dei Bretii e del Mare (CS)
Le anfore “a siluro” dovevano servire al contenimento e al trasporto del garum, la salsa di interiora di pesce amata prima dai Fenici e poi dai Romani. Informazioni riguardo la sua preparazione le riferisce Plinio il Vecchio nel XXXI Libro nella sua Naturalis Historia (v. 93 e seguenti); altra fonte importante, ma avversa al garum, è Seneca: in una lettera a Lucilio contro gli eccessi alimentari definisce il condimento “costosa poltiglia di pesci guasti”.
Il weekend della settimana appena scorsa ha regalato ben due reperti e grandi emozioni: un cannone del XVI secolo è riemerso a Maddalusa (AG) e una piccola anfora dal mare di Carini (PA). La Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, che ultimamente è sempre in azione, si è occupata del recupero di entrambi in seguito alle segnalazioni.
Il cannone di Maddalusa (AG)
Il sub Gianluca Lopez ha segnalato il reperto alla Capitaneria di Porto di Porto Empedocle (AG); la Soprintendenza ha quindi avviato delle perlustrazioni nelle acque dal 24 al 26 novembre 2020. Il cannone giaceva a una profondità di ben 7 metri e a 300 metri dalla costa; la Soprintendenza e il R.O.A.N. della Guardia di Finanza di Palermo lo hanno recuperato e portato a galla con dei palloni.
L’operazione di recupero del cannone
Il sito di Maddalusa (AG) era già noto per aver restituito un altro cannone del tardo XVI secolo nel 2007. I due cannoni sembrano simili: forse quello specchio di mare aveva visto il naufragio di una nave che traportava artiglieria. Il reperto verrà restaurato nel laboratorio del Parco archeologico della Valle dei Templi.
“Mentre il mondo della Cultura subisce le conseguenze delle restrizioni dovute all’emergenza Covid, il mare siciliano continua a ricordarci l’etica della ricerca e della memoria. Viviamo in un’Isola ricca di preziose testimonianze che a mare, come in terraferma, ci ricordano che la Sicilia sin dai tempi più lontani è stata crocevia di rotte culturali e commerciali, rendendo la nostra Isola un unicum a livello mondiale.” – commenta l’assessore Alberto Samonà su Facebook.
All’operazione di recupero ha partecipato anche Mauro Sinopoli, ricercatore biologo ed ecologo marino della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Palermo. Lo studioso sarà in grado di ricostruire il ritmo con cui i reperti sono stati coperti e riemersi, attraverso lo studio degli organismi e dai carotaggi fatti in situ.
L’anfora di Carini (PA)
L’ultimo intervento della Soprintendenza è avvenuto a Carini (PA) in seguito alla segnalazione del sub Francesco Conigliaro che ha rinvenuto vari cocci fittili e una piccola anfora. Il responsabile del nucleo subacqueo della Soprintendenza, Stefano Vinciguerra, si è occupato del sopralluogo delle acque e ha recuperato un’anfora di 15 cm a 2 metri di profondità.
L’Archeologia subacquea sta dando un grande contributo in un momento difficile per la Ricerca. L’attività della Soprintendenza del Mare della Sicilia è in incremento: è un trampolino di rilancio prezioso per la storia e l’archeologia della Regione. Ci auguriamo di leggere altre notizie come questa!
Sulla spiaggia di Bulala di Gela (CL) riemergono dei reperti di VI secolo a.C., tra questi una kotyle (dal greco κοτύλη) e uno skyphos (dal greco σκύφος), due coppe di uso potorio. Se ne sono subito occupati gli operatori della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, diretta da Valeria Li Vigni, che ormai sono di casa nella zona.
“Ancora una volta Gela si conferma come uno scrigno che racconta una parte importante della nostra storia antica. Il ritrovamento, da parte della Soprintendenza del Mare, dimostra l’impegno costante portato avanti dalla Regione Siciliana” – commenta il governatore Nello Musumeci.
I fortunati fondali di Gela (CL)
Stefano Vinciguerra, responsabile del gruppo subacqueo della Soprintendenza del Mare, ha diretto la missione di ricerca. Nei giorni scorsi, date le buone condizioni di visibilità del mare, il Gruppo si era recato nell’area della Bulala di Gela (CL) per la documentazione fotografica e il rilievo tridimensionale di un carro armato sommerso; ma il relitto era ricoperto da un banco di sabbia e ciò ha vanificato l’impresa.
Questo inconveniente ha spostato la ricerca su un’area vicina dove è stata individuata un’ancora in ferro, infissa per metà nel fondale sabbioso. Nei pressi dell’ancora, sono stati rinvenuti la kotyle, integra e con vasca profonda, e lo skyphos, dotato di una vasca bassa: le due coppe sono entrambe acrome, non colorate. È riemersa anche una base quadrata su cui si imposta una piccola colonna a base circolare; lo stato di conservazione al momento non consente di dire altro, tranne che le piccole dimensioni potrebbero riferirsi a una statuetta di bordo, proprietà personale di un membro dell’equipaggio.
“Malgrado le difficoltà oggettive dovute alla scarsa visibilità del mare di Gela, ogni intervento dei subacquei della Soprintendenza del Mare riesce a regalarci emozioni sempre nuove. Grazie alla segnalazione del nostro referente, il sub gelese Franco Cassarino, siamo pervenuti in questi giorni al ritrovamento di interessanti reperti che erano nascosti nei fondali. Questo mentre continua il lavoro di ricerca relativamente al relitto Gela 2 con uno scavo sistematico”- ha affermato la Soprintendente del Mare Valeria Li Vigni.
Hanno contribuito al successo l’equipaggio della motovedetta V.805 della Guardia di Finanza di Licata su comando del R.O.A.N. di Palermo e quello della motovedetta della Guardia Costiera di Gela. Prezioso è il ruolo svolto da Gaetano Lino, Salvatore Ferrara e Alessandro Urbano del Gruppo sub Bc Sicilia.
Prime foto di alcuni rinvenimenti
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