ArcheOfficina, società cooperativa archeologica, in un momento di sconforto per i Beni Culturali ci restituisce po’ di entusiasmo: il 23 maggio 2021 riapre al pubblico la catacomba paleocristiana di Porta d’Ossuna a Palermo. La società, infatti, si occupa della gestione e della fruizione del sito, contribuendo concretamente alla ricerca, alla valorizzazione e alla promozione in quanto a oggi rappresenta il più grande cimitero ipogeo paleocristiano di Palermo. Gli archeologi della cooperativa, accompagneranno la vostra incredibile esperienza per circa 40 minuti, addirittura in programma una suggestiva visita serale prevista per sabato 19 giugno dalle 18 alle 22. Per il resto, la catacomba sarà aperta tutte le domeniche dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 a un prezzo a dir poco irrisorio di 5 euro per gli adulti e 3,50 euro per i minori e gli studenti universitari. Comprensibilmente, in ottemperanza alle norme anti Covid, i gruppi saranno contingentati con l’obbligo di indossare la mascherina oltre che di prenotare.
Ecco tutti i dettagli per info e prenotazioni:
Insomma, ora avete tutto quello che vi occorre, dunque…prenotate il prima possibile e non lasciatevi scappare quest’occasione unica!
Load up on guns, bring your friends. It’s fun to lose and to pretend.
Erano gli inizi degli anni ’90 quando queste parole vennero trasmesse per la prima volta nelle radio di tutto il mondo. Parole destinate a diventare l’inno di un’intera generazione. Apatici, cinici e privi di valori: così vennero definiti i giovani di quella “Generazione X” di cui Kurt Cobain divenne il portavoce. Era attraverso le sue canzoni che questo “poeta punk”, “l’angelo maledetto del grunge” raccontava le inquietudini di un’epoca sedotta dall’eroina che aveva dato vita all’antieroe nichilista, sfiduciato, senza più alcun valore in cui credere.
Siamo nel 1989 e quella barriera invalicabile che nel tempo era divenuta il simbolo della divisione tra due mondi viene finalmente abbattuta da gioie e picconate, abbracci e idranti, urla e sorrisi; creando l’illusione che il mondo sia pronto a cambiare, ma lasciando in bocca ai giovani quel senso di “amaro” e di incompletezza, facendoli sentire i veri reietti della società e addossando loro la colpa del declino. Il 5 aprile 1994, il poeta maledetto del grunge muore sparandosi un colpo di fucile alla tempia. Muore il “portavoce” di una generazione, ma, purtroppo, non se ne va con lui il senso di inadeguatezza che continua ancora oggi ad accompagnare gli animi ribelli dei giovani di tutto il mondo.
E adesso vi chiederete, cosa collega il capostipite del grunge al movimento femminista?
Fu proprio durante i moti del ’68 che una donna francese, considerata poi la madre del femminismo moderno, si inserì in un contesto di rivoluzioni sociali con il suo “Manifesto delle 343 puttane” (Manifeste des 343 salopes). Questo, firmato da 343 intellettuali, scrittrici e personaggi francesi denunciava la legge antiabortista francese che prevedeva dal 1920 l’esecuzione di chi avesse fatto ricorso o procurato l’aborto. La donna in questione era Simone de Beauvoir e chi adesso ha la possibilità di esprimersi liberamente lo deve anche un po’ a lei, ad una vera e propria “donna di mondo”, alla “filosofa elegante” con il suo immancabile foulard annodato in testa o i suoi capelli impeccabilmente raccolti. L’autrice, all’interno della sua opera pricipale, “Il secondo sesso”, attua una cesura con il primo movimento femminista, ponendosi in un atteggiamento critico. Il suffragio femminile è stato l’obiettivo principale della prima ondata femminista, che vedeva in esso il passo decisivo per la liberazione della donna e per la conquista di tutti gli altri diritti civili, politici e sociali.
Simone però si rese conto che, nonostante le donne avessero ottenuto il diritto di voto, la loro condizione non era di fatto migliorata all’interno della società. La de Beauvoir pensò dunque ad una rifondazione teorica del femminismo per dare dignità alla figura della donna, partendo dalla sua condizione di subordinazione rispetto al sesso maschile, individuandone possibili cause, fino a raggiungere l’emancipazione e la sua piena consapevolezza di sé. Simone de Beauvoir utilizzò una prospettiva filosofica esistenzialista sostenendo che ogni individuo, uomo e donna in quanto cosciente, era sostanzialmente libero. In modo particolare le donne, secondo l’autrice, dovevano cambiare necessariamente il loro modo di vivere diventando esseri per sé.
Fu proprio lei a riprendere le tematiche femministe di orientamento marxista considerate più adatte rispetto alle posizioni più liberali. Si schierò sempre contro il sistema dello stato capitalista, ritenendo che una politica di tipo socialista avrebbe potuto eliminare ogni tipo di sfruttamento. Le donne, lavorando in un contesto paritario, avrebbero potuto finalmente conquistare la loro dignità di essere umano, eliminando così la mediazione dell’uomo con la realtà sociale. L’unica via possibile per l’emancipazione femminile, secondo l’autrice, era quella della “donna indipendente” che era costituita da due momenti fondamentali: la presa di consapevolezza della propria condizione e la partecipazione ad un movimento collettivo. Le donne devono unirsi tra loro e anche con gli uomini per combattere tutti assieme contro le disuguaglianze affinché tutti gli individui possano avere pari diritti, dignità e opportunità sociali, politiche ed economiche.
Kurt Cobain ebbe un occhio di riguardo per il mondo femminile, e dopo aver letto “Provocations: Collected Essays on Art, Feminism, Politics, Sex, and Education” di Camille Paglia, sociologa femminista statunitense, espresse un suo pensiero a riguardo:
“…era una femminista militante con delle idee incredibili. Tutti l’hanno definita pazza perché le sue
idee sono piuttosto violente. Il suo libro dice praticamente che le donne dovrebbero governare la terra, e sono
d’accordo.”
Ma questa non fu l’unica volta che Cobain prese le difese del movimento femminista. Durante un concerto a Buenos Aires rispose in maniera esemplare ad un pubblico sessista, che insultò pesantemente la band di supporto, tutta al femminile, dei Nirvana. Ma lo stesso poeta del grunge fu per Camille, definita la “femminista dissidente”, una delle fonti d’ispirazione principali, insieme alla filosofa Simone de Beauvoir, di cui abbiamo già parlato in precedenza, e al fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud. La sociologa statunitense in più interviste espresse la sua opinione nei confronti della sua generazione, cresciuta proprio in quei rivoluzionari anni ’60. La sua generazione ereditò il fascino per il buddismo dai poeti della beat generation e dagli artisti degli anni Cinquanta, ma fu l’induismo, con la sua teatralità, la sensualità, il senso della commedia e la legge del karma a conquistarla definitivamente. I giovani di quella generazione erano affascinati da tutti i rituali, anche se, sfortunatamente, troppi di loro usavano droghe psichedeliche e funghetti allucinogeni per sostenere la loro ricerca spirituale; diversamente da loro, Camille seppe prendere, in qualche modo, le distanze da questo “suicidio” della società. Lei stessa ama tutt’ora definire la sua corrente “critica psichedelica” perché, pur non avendo mai provato LSD, fu comunque profondamente influenzata dal rock psichedelico di quegli anni e dalle sue distorsioni mistiche.
Il corpo come mezzo di emancipazione
Anche il mondo dell’arte è stato sempre ostile con l’universo femminile. Lo slogan Do women have to be naked to get into the Met. Museum? diventa il cavallo di battaglia per una generazione di artiste che rivendicano il ruolo femminile nella storia dell’arte. A partire dagli anni Settanta, un gruppo di artiste decide di usare il corpo come campo di battaglia per contrastare le differenze dei generi. Impossibile non citare la madre della body art, una delle artiste più celebri dell’arte contemporanea, stiamo parlando di Marina Abramovic. Le dinamiche da lei messa in evidenza, basti pensare alle indagini sulla dinamica dei rapporti realizzata con Ulay e l’emblematica “Rhytm 0”, svolta a Napoli nel 1974.
La donna si propone vittima sacrificale immobile (chiara allusione ai ruoli tradizionali della donna) che, diventa ben presto vittima innocente di barbarie: dal taglio dei vestiti fino alla messa in mano di una pistola carica. Dopo sei lunghe estenuanti ore di performance, l’artista torna ad essere persona e non più oggetto, di fronte allo scontro così diretto della realtà, la folla incapace del confronto, si dilegua velocemente. Quindi, in quel presente che è tutt’oggi, dove l’incontro tra sé e l’altro sembra intriso di un profondo romanticismo e al tempo stesso di grande violenza. Abramovic mostra nella sua performance l’offerta e il sacrificio del corpo femminile, aiutandoci a ripensare ad un’ideologia del visibile e ad una politica degli sguardi che riguarda la differenza sessuale nel momento in cui qualsiasi meccanismo del guardare e dell’essere guardata contiene il tentativo di stabilizzare le differenze e reprimere il sessuale. Sarebbero tante le donne da citare, artiste che sono arrivate a dare la propria vita per difendere la dignità della donna, di ogni donna, ma, prima di concludere, vogliamo brevemente presentarvi un’altra figura, Hanna Wilke.
La Wilke, ha usato il suo stesso corpo come mezzo di emancipazione, cercando un senso di erotismo svincolato dallo stesso sguardo maschile. Accusata dalle stesse femministe di narcisismo ed esibizionismo, Hanna Wilke, non fece altro che universalizzare la questione femminile utilizzando la propria persona. In questo senso, una delle sue performance più emblematiche fu la “S.O.S. Starification Object Series: An Adult Game of Mastication”, dove la donna si fa fotografare in pose da pin up con appiccicate sul corpo le gomme masticate dagli spettatori alla performance. Neanche nella malattia smise di lottare, citando la sua opera “Intra-venus”, che risulta essere la tragica cronaca del suo stravolgimento fisico dovuto al linfoma che la condurrà alla morte.
Per concludere, condividiamo con voi una frase di un uomo che ha fatto della rivoluzione la sua vita, Che Guevara:
Siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo: è la qualità più bella di un rivoluzionario.
Da aprile del 2020 il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini prometteva un «Netflix della cultura». La conferma ufficiale è arrivata in pieno lockdown e “ItsArt” è il nome della società per azioni costituita a Roma il22 dicembre scorso; dunque, la nuova società è stata subito iscritta al registro delle imprese, il giorno prima di Natale, il 24 dicembre. Il Ministro aveva già dovuto incassare il rifiuto della Rai, ma non è tutto…
Che c’entra Chili con “ItsArt”?
Dopo tale rifiuto, Franceschini si è rivolto a Stefano Parisi, ex direttore generale Confindustria e con diversa esperienza politica – e non d’arte – alle spalle. Parisi è uno dei co-founder di Chili S.p.A., una piattaforma che trasmette film e serie tv on demand; ma, pur essendo attiva da più di 8 anni (inaugurata nel 2012), non è mai riuscita a raggiungere il successo di Netflix. Da qui sorge il primo problema e la relativa discussione: Sony e 20th Century Fox, due colossi della video distribuzione, possiedono delle quote in Chili; così, inevitabilmente, “ItsArt” diventerebbe meno italiana di quello che si vuol far credere.
Per Chili è tutto di guadagnato: il bilancio della pseudo-Netflix è in calo di anno in anno e la prospettiva dei milioni del Recovery Fund stanziati dal MiBACT fanno gola! Alla luce di tutto questo, sorge quindi spontanea la domanda: perché canali e programmi con obiettivi analoghi – come Sky Arte o Arte.Tv – non si sono fatti avanti? La polemica che ha invaso i social da pochi giorni ha invece evidenziato che la Rai è stata esclusa senza ragione e che la “gara” pubblica è forse stata visibile in una brevissima finestra temporale, tra il 3 e 6 agosto 2020. La verità è che non esistono evidenze: non c’è stato alcun bando, alcuna trasparenza, solo l’ufficiale costituzione della società.
Si salverà almeno il CdA?
Svelati i membri del Consiglio di Amministrazione di “ItsArt”: il Presidente è Antonio Garelli, responsabile Cassa Depositi e Prestiti delle aree Finanza e Iniziative Digitali e Sociali. Interessante e necessario, il profilo di Sabrina Fiorino, storica dell’arte del MiBACT, restauratrice, cultural manager e titolare della società “Artis“. Si aggiungono Antonio Caccavale, pubblicitario e media manager per TIM; Ferruccio Ferrara,socio di maggioranza di Chili S.p.A.; Giano Biagini, Direttore Amministrativo e Finanziario anche lui di Chili. Quindi, tirando le somme, Sabrina Fiorino sembra essere l’unico membro del CdA con competenze adeguate nel settore artistico.
TeCHNIC è l’acronimo di Tools for Cultural Heritage maNagement In urban Contexts. Si tratta di un progetto di ricerca specialistica e multidisciplinare condotto da CNR ISPC, sede di Catania, per la creazione di strumenti innovativi, orientati alla crescita sociale, culturale ed economica di un territorio.
Il progetto è finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, in regola con il bando per i progetti Proof of Concept, il cui scopo è la verifica del potenziale industrialmente innovativo di idee e conoscenze sviluppate nell’ambito di attività di ricerca fondamentale (avviso D.D. n. 467 del 2 marzo 2018).
TeCHNIC
La ricerca si basa su analisi di tipo archivistico e documentario. Si potranno, così, ricostruire i fenomeni socio-culturali, portare avanti indagini storico-archeologiche, effettuare rilievi topografici e architettonici, analisi tecniche di monumenti ed edifici storici, svolgere indagini territoriali e pianificazione urbana. Il tutto grazie all’utilizzo di strumenti all’avanguardia nel settore della documentazione geospaziale.
Da OpenCity a TeCHNIC
OpenCity è stato un progetto che prevedeva l’analisi e la condivisione dei dati storico – archeologici utili per comprendere l’evoluzione storica di Catania.
Dalla polis greca, alla colonia romana, dalla cittadella fortificata di età bizantina a quella araba, normanna, spagnola, edifici civili ed opere pubbliche, spazi collettivi e luoghi sacri, Catania rappresenta, dunque, il contesto ideale per l’applicazione di strumenti innovativi che, basandosi sullo studio dell’evoluzione storica di un paesaggio urbano complesso nella sua costante interazione con l’ambiente naturale, possa produrre e rendere disponibile conoscenza utile a incentivare sviluppo e opportunità di crescita future – spiega l’organizzatore dell’evento.
Proprio da OpenCity muove i suoi passi il nuovo progetto TeCHNIC.
Il test-site del progetto è la via Crociferi, a Catania, una strada che vede un concentrato di edifici religiosi e palazzi storici, simbolo dell’architettura barocca, testimonianza della ricchezza civile e del fervore religioso della città moderna.
E riguardo via Crociferi è stato sviluppato un questionario online, RiscopriAMO via Crociferi, per rilevare i bisogni del territorio e la percezione che cittadini e attività locali hanno rispetto al proprio patrimonio culturale. Il questionario è rivolto a tutta la comunità etnea (e non solo) e sarà possibile partecipare fino al 18 dicembre 2020.
I prodotti multimediali disponibili online
È stato da poco pubblicato Anàmnesi. Interrogare per ritrovare, il volume digitale dedicato al racconto delle vicende e all’illustrazione dei significati storici che ruotano intorno alla straordinaria scoperta archeologica della stipe votiva di piazza San Francesco, adesso fruibile online o da scaricare sul proprio dispositivo.
Sul sito del progetto, inoltre, si trovano i podcast delle interviste radiofoniche a Daniele Malfitana, responsabile scientifico del progetto, Antonino Mazzaglia, coordinatore delle attività scientifiche e di general management e Antonella Pautasso, archeologa impegnata nello studio e nell’edizione scientifica della stipe di Piazza S. Francesco.
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