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ARCHEOLOGIA | Sigismondo Pandolfo Malatesta “DIVO”, le medaglie come glorificazione del Signore di Rimini (RN).

A partire dalla loro origine le monete, così come le medaglie, hanno avuto un ruolo fondamentale per evidenziare lo status di un personaggio potente, come avveniva per gli imperatori romani. Le medaglie, in particolare, avevano questo scopo celebrativo e, prima di cadere in disuso, andando a identificare delle monete fuori circolazione, il termine “metalla” o “medaglia” veniva utilizzato ancora nel Medioevo per indicare il “mezzo denaro” o “l’obolo”.

Le medaglie malatestiane

Nel 1438, in Italia, il Pisanello riprende la produzione di questi oggetti ma come medaglie commemorative, realizzandone una per Giovanni VIII. Vicino al Pisanello vi era anche Mattia de’ Pasti da Verona, attivo a Rimini (Rn) fin dal 1446 presso la Corte dei Malatesta. Celebri sono le Medaglie Malatestiane, uniche nel loro genere, che rappresentano Sigismondo Pandolfo Malatesta, Signore di Rimini, a mezzo busto, o sempre nello stesso modo ma con testa laureata alla maniera degli imperatori romani.

Mattia de’ Pasti, medaglia malatestiana, Sigismondo Pandolfo Malatesta a mezzo busto rivolto a sinistra, Museo “L. Tonini”, Rimini. (fotografia di libero utilizzo da internet)

Non casualmente Sigismondo fu autore anche di un’altra opera a Rimini: il cosiddetto “Tempio Malatestiano”, Duomo della città. La dicitura “Tempio” deriva dall’architettura progettata dal Leon Battista Alberti, che ricorda in tutto un tempio della classicità. Ad avvalorare l’immagine da imperatore del Malatesta, il Signore di Rimini si fa commemorare sul suo sarcofago monumentale entro il Duomo (insieme alla sua amata Isotta) come “DIVO”, andando contro ai canoni imposti dalla Chiesa in quei tempi. Il Duomo venne rappresentato anche sulle medaglie di Sigismondo, ma in un disegno che non rispecchiava la struttura originale. Infatti, questa prevedeva una cupola sulla sua sommità che non fu mai realizzata, probabilmente per mancanza di fondi.

Mattia de’ Pasti, medaglia malatestiana, Tempio Malatestiano con cupola, Museo “L. Tonini”, Rimini. (fotografia di libero utilizzo da internet)

ARCHAEOLOGY | Sigismondo Pandolfo Malatesta “DIVO”, medals as glorification of the Lord of Rimini.

Since their origins, coins as well as medals have played a fundamental role in highlighting the status of a powerful person, as was the case for Roman emperors. Medals, in particular, had a celebratory purpose, and before they fell into disuse and were identified as obsolete coins, the term metalla or ‘medal’ was still used in the Middle Ages to indicate ‘half money’ or an offering.

Malatesta’s medals

In 1438, in Italy, Pisanello resumed the production of these objects as commemorative medals, and made one for John VIII Palaeologus. Alongside Pisanello there was also Matteo de’ Pasti from Verona, active in Rimini at the House of Malatesta since 1446. Famous are the unique Malatesta Medals, where Sigismondo Pandolfo Malatesta, Lord of Rimini, is depicted half-length, often with a laurel-crowned head as the like of Roman emperors.

Matteo de’ Pasti, Malatesta medal, Sigismondo Pandolfo Malatesta depicted half-length facing to the left, Museum ‘L. Tonini’, Rimini.

It comes as no surprise that Sigismondo became the author of another work in Rimini: the so-called ‘Tempio Malatestiano’, the city’s Cathedral. The word Tempio (i.e., temple) derives from the architecture designed by Leon Battista Alberti, which is reminiscent of a classical temple. In order to corroborate the image of Malatesta as an emperor, the Lord of Rimini is commemorated on his monumental sarcophagus inside the Cathedral (together with his beloved Isotta) as ‘DIVO’, going against the Church canons of the time. The Cathedral was also depicted on Sigismondo’s medals, though in a design that did not reflect its original structure. In fact, this included a dome on its top which was never built, probably due to lack of funds.

Matteo de’ Pasti, Malatesta medal, the Tempio Malatestiano with a dome, ‘L. Tonini ‘, Rimini.

Traduzione a cura di Cristina Carloni