sepoltura

News

NEWS | Piazza Indipendenza a Palermo, scoperta sepoltura del III secolo

Gli scavi per la realizzazione del collettore fognario sud-est di Palermo hanno riportato alla luce una sepoltura, probabilmente databile al III secolo a.C., secondo quanto dichiarato da Alberto Samonà, Assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana.

La scoperta

Le attività di scavo, coordinate dal RUP Ing. Francesco Morga, sono attualmente sotto la vigilanza e la direzione tecnico-scientifica della Soprintendenza dei Beni culturali di Palermo, diretta da Selima Giuliano.

L’area del ritrovamento, al di sotto di Piazza Indipendenza, sta confermando quanto già emerso dalle indagini precedentemente condotte dalla Sezione archeologica nelle zone limitrofe. Le attività di scavo  in via Imera hanno permesso di riportare alla luce 116 ipogei, di ancora incerta datazione, usati come “butti”, ossia cavità progettate e atte allo sversamento di rifiuti, dal periodo islamico (X secolo) a quello normanno (XII secolo).

Già nel 2009, nella parte nord-orientale di Piazza Indipendenza, venne individuata una tomba a camera risalente al III secolo a.C. Secondo gli studiosi, la sepoltura rinvenuta fa parte dell’ area della necropoli punica.

Lo scheletro contenuto nella sepoltura rinvenuta
Le indagini

Al momento, le indagini si concentrano su un’area di circa 225mq dalla quale è emersa una porzione di cava, probabilmente utilizzata per l’estrazione di materiale da costruzione in età punica. Nell’area, una tomba a fossa, contenente uno scheletro con un vasetto di corredo, attesta l’uso sepolcrale della zona. Della tomba manca la parte superiore che sembra sia andata perduta già nell’antichità, durante un’ulteriore attività estrattiva.

L’area fu frequentata in età medievale, a testimonianza di ciò vi è il rinvenimento del pozzo a pianta quadrata. Il pozzo ha restituito manufatti di età islamica e normanna, dimostrando la continuità dell’usufrutto del sito.

Si tratta, chiaramente, di notizie preliminari. Le attività di scavo sono tuttora in corso, e solo le analisi successive potranno fornire una lettura maggiormente accurata del contesto.

News

NEWS | Svelata una sepoltura femminile a Kozani, in Macedonia

Gli scavi condotti a Kozani, nella Macedonia greca occidentale, nell’area di Mavropigi hanno riportato alla luce, a circa un metro e mezzo sotto il livello di calpestio, una sepoltura femminile datata al I secolo a.C. A rendere nota la notizia è stato il direttore dall’Ephorate of Antiquities di Kozani, Areti Chondrogianni-Metoki, durante una conferenza.

Decorazione bronzea di una testa di sirena (immagine ©GreekReporter)
La sepoltura

Gli scavi sono stati condotti nell’area di Mavropigi dall’Ephorate of Antiquities di Kozani tra il 2019 e il 2021, in una miniera di lignite. Tra i vari rinvenimenti, gli archeologi hanno scoperto una sepoltura femminile. Sebbene sia provato che nell’antichità alcune culture seppellivano i loro morti con i loro giacigli (generalmente sotto le pavimentazioni delle abitazionio o nelle immediate vicinanze), questa è stata la prima volta che gli archeologi hanno rinvenuto una persona sepolta secondo questa usanza in Grecia

La defunta doveva appartenere alla nobiltà locale, ipotesi sostenuta dalla ricchezza del corredo. Tuttavia, c’è anche la possibilità che fosse una personalità di rilievo in ambito cultuale, il che giustificherebbe la tipologia degli oggetti sepolti con l’inumata.

Finalmente, a seguito di studi e restauro, i resti della donna sono stati resi pubblici ed esposti nel Museo Archeologico di Aiani, assieme alla riproduzione a grandezza naturale del letto rinvenuto come parte della sepoltura.

Ricostruzione e riproduzione del letto in legno e bronzo (immagine ©GreekReporter)

 

Devota di Apollo

La donna è stata trovata distesa su un letto di legno e bronzo, impreziosito da montanti decorati da teste di sirene. Tra le decorazioni spicca un uccello che tiene in bocca un serpente, simbologia che rimanda al culto di Apollo. Nel sito di Xirolimni, nei pressi di Kozani, era presente un santuario extraurbano dedicato al dio, come attestato dal gran numero di iscrizioni e sculture rinvenuti.

Oltre al letto di bronzo, le cui parti lignee non si sono conservate, sono stati rinvenuti quattro vasi in ceramica e uno in vetro. Sulla testa della donna erano presenti delle foglie d’oro che rievocano le foglie di alloro (foglie dell’albero sacro ad Apollo), forse parte di una ghirlanda. Ad impreziosire le mani sono state rinvenute tracce di fili d’oro, probabile testimonianza di un ricamo. La tipologia di corredo permette di datare la tomba alla fine del I secolo a.C., ma si attendono ulteriori analisi sul corpo della donna per poter fornire dati più certi, tra cui l’età e la causa del decesso. 

Foglie d’alloro in lamina d’oro (immagine ©GreekReporter)
Il sito

“Non sappiamo molto della storia di questa zona durante il I secolo a.C.“, ha affermato Chondrogianni-Metoki. Sappiamo che in origine la città di Kozani era vicina ad un altro importante centro urbano chiamato Mavropigi, ad oggi un piccolo villaggio abitato, dove si trovava locato un santuario dedicato al dio Apollo. Il record archeologico mostra chiaramente che nel I secolo l’area era sotto l’influenza romana. Lo studio della stratigrafia dell’area ci riporta allo strato corrispondente all’espansione di Roma verso la Grecia dopo la presa di Corinto nel 146 a.C. 

News

GEMMOLOGIA | “100 anni di una scoperta”, anche in Italia iniziano le celebrazioni per la scoperta della tomba di Tutankhamon

A Genova si celebrano i 100 anni di una esperienza umana e scientifica senza precedenti, la scoperta della tomba del faraone Tutankhamon da parte dell’archeologo inglese Howard Carter.

Genova celebra la scoperta con un’opera teatrale

È stata eseguita, il 28 maggio 2022, al Teatro Rina e Gilberto Govi di Genova, l’opera teatrale Le tre regine d’Egitto, dialoghi sull’enigma del tempo a cura dell’Egittologo Giacomo Cavillier. Lo spettacolo si è svolto grazie al lavoro della compagnia teatrale di Anna Giarrocco e Andrea Benfante, con coreografie e danze egizie di Ailema mille e una notte di Genova.

Foto scattata durante la rappresentazione teatrale

Si parte dunque con l’opera teatrale e si proseguirà con le iniziative estive presso i suggestivi scenari delle ville di Cornigliano: conferenze e presentazione di volumi sulla tematica, per poi concludere con la giornata del 4 novembre dedicata a Carter presso la Sala Solimena di villa Durazzo Bombrini. Qui la gemmologa Stefania Ferrari e il Regista Enrico Cirone cureranno il collegamento con la diretta dalla Carter House di Luxor, nei pressi della Valle dei Re, con il prof. Giacomo Cavillier che illustrerà gli affascinanti luoghi dove Howard Carter ha pianificato e realizzato il suo metodo di ricerca della tomba del faraone. Scenografie, misticismo e incanti dei luoghi e dei momenti costituiscono il vero e il più tangibile segno della più straordinaria scoperta dell’archeologia.

La dott.ssa Ferrari e il prof. Cavillier (da sinistra) alla presentazione dell’inizio delle celebrazioni

 

Un Diadema d’altri tempi

Lo stargate, la porta del tempo nell’opera teatrale, è rappresentato da un diadema, un lapislazzuli da 66 ct che legherà nell’enigma del tempo le tre regine, diadema coevo nella sua realizzazione, curata dalla gemmologa genovese Stefania Ferrari, sia per la scelta della gemma, a taglio cabochon (con la superficie a cupola e la parte inferiore piatta, spesso grezza), sia per la lavorazione dell’oro.

 

 

La ricchezza delle risorse naturali

L’Egitto e la Nubia sono da sempre regioni ricche di risorse naturali, risorse minerarie come metalli e pietre preziose. Si possono, tuttavia, rintracciare alcune località primarie di rinvenimento ed estrazione: Turchese e Malachite in Sinai, Diaspro rosso dalla Catena Arabica, Lapislazzuli lato Afghanistan, Smeraldo sulle coste meridionali del Mar Rosso e Ametista nelle regioni di Assuan. Ma sono presenti anche Calcare, Arenaria, Basalto, Porfido e Granito.

E, nell’Antico Egitto, ogni gemma e colore ha un significato ben preciso. Ne sono un esempio il Lapislazzuli, il cielo, la Turchese, il Nilo, e il Diaspro Rosso, il sole al tramonto, ma anche il sangue, nel suo legame con la procreazione.

 

News

NEWS | Sepolture nel Cilento: scoperta a Pontecagnano (SA) la numero 10.000

Pontecagnano Faiano (SA) è stato protagonista, nei giorni scorsi, di una scoperta archeologica che conferma l’eccezionale popolosità dell’insediamento etrusco-campano. È stata rinvenuta, infatti, la sepoltura numero 10.000 in una zona occupata, senza soluzione di continuità, dagli inizi del IX secolo a.C. fino all’età romana.

Pontecagnano
La sepoltura numero 10.000 di Pontecagnano (immagine via CilentoNotizie)

Ancora una volta, gioca un ruolo fondamentale l’archeologia preventiva, portata avanti dalla Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino nel corso della realizzazione di un complesso residenziale.

Presenti sul cantiere di scavo: il Soprintendente arch. Francesca Casule, il sindaco di Pontecagnano Faiano Giuseppe Lanzara, il funzionario archeologo direttore del Museo di Pontecagnano Luigina Tomay, la prof.ssa Antonia Serritella dell’Università di Salerno e il dott. Bruno Baglivo, archeologo responsabile dei lavori.

L’arch. Casule ha sottolineato come la capillare attività di tutela messa in campo dalla Soprintendenza abbia consentito di raggiungere risultati importantissimi sul piano della conoscenza e della valorizzazione dell’insediamento antico di Pontecagnano.

Pontecagnano
La scoperta della sepoltura n° 10.000
La sepoltura n° 10000

L’ultimo rinvenimento fa parte di un’ampia necropoli, con datazione dalla fine del V secolo a.C. fino alle prime fasi dell’insediamento romano. La necropoli presenta la maggior parte delle sepolture con datazione al periodo sannitico (fine V – metà III secolo a.C.). Fornisce un’utile immagine delle usanze funerarie del periodo, con sostanziali differenze riconducibili allo stato sociale, al genere e alla classe d’età dei defunti.

L’area di scavo – Pontecagnano (SA), foto: Salerno Notizie

La tomba 10.000 si caratterizza principalmente per la tipologia sepolcrale. Si tratta infatti di una tomba a cassa litica, molto frequente nella necropoli. La particolarità, tuttavia, risiede nel materiale di costruzione impiegato: al posto dell’abituale travertino, pietra locale di facile reperimento, è stato impiegato tufo grigio campano, sicuramente importato. Anche la lavorazione della cassa e della copertura attestano la ricercatezza e la cura nella messa in opera della tomba. Tre blocchi in tufo modanati costituivano la copertura della cassa, realizzata con blocchi perfettamente squadrati.

Blocchi in tufo grigio (immagine via Gazzetta del Sud)
Il corredo

Il proprietario della sepoltura è, con ogni probabilità, un adolescente (a giudicare dalla lunghezza dello scheletro e dalle dimensioni delle ossa). Sebbene si conservi perfettamente la parte inferiore, dal bacino ai piedi, la parte superiore presenta un grave danneggiamento a causa delle infiltrazioni di radici e di attività animali. Nel corredo funerario spiccano un grande cinturone di bronzo e due coppe a vernice nera collocate ai piedi, di cui una con anse (coppa destinata al consumo del vino, skyphos). Il cinturone bronzeo sembra ricondurre alla sfera guerriera oltre a configurarsi come simbolo dello status sociale. Tuttavia, manca nel corredo l’arma da lancio (giavellotto o lancia), peculiare dei maschi adulti della comunità.

Frammenti del cinturone ancora indossato dal defunto (immagine via Gazzetta del Sud)
News

NEWS | La scoperta di un unguentario “egizio” in una sepoltura etrusca intatta a Vulci (VT)

Già qualche anno fa, prima nel 2013 e poi nel 2016, alcuni reperti provenienti dall’area di Vulci (VT) sottolineavano un collegamento con l’Egitto. Si trattava, come scrive in un suo articolo il dott. Mattia Mancini, di tre scarabei che si inserivano perfettamente in quella che era una fase Orientalizzante” (VIII-VI sec. a.C. circa). Durante questo periodo si assistette a una larga diffusione, in tutto il Mediterraneo, di diverso materiale proveniente da Egitto, Mesopotamia, Siria, Anatolia e Cipro, prevalentemente.

È di pochi giorni fa, invece, l’annuncio dell’apertura della sepoltura di una donna, databile al VI sec. a.C., inviolata da 2600 anni, nella necropoli dell’Osteria. Al suo interno erano presenti i resti ossei, ancora in connessione anatomica, di una donna di circa 20 anni. Aveva un corredo funerario comprendente vaghi di collana in ambra, un’olla chiusa da una coppa greca in stile ionico e tre in bucchero (ceramica tipicamente etrusca); ma anche un kyathos (attingitoio) e un’oinochoe (brocca da vino).

vulci
Un’immagine del ritrovamento (fonte: Il Mattino)

Nell’edizione del 18 giugno 2021 del TGR Regione Lazio è possibile vedere, al minuto 9 circa, il servizio sull’apertura della tomba inviolata.

Un rinvenimento particolare

Ad attirare maggiormente l’attenzione degli studiosi su questa sepoltura è un piccolo oggetto in faience azzurra, un unguentario che rappresenta una donna accovacciata con la schiena coperta da una pelle maculata, probabilmente di leopardo (gialla con macchie nere), con una acconciatura corta e riccioluta e, tra le gambe, un grande contenitore ceramico chiuso con un tappo a forma di rana (di cui manca la testa).

«Non è un oggetto unico, ma molto raro», afferma Carlo Casi, a capo dell’equipe della Fondazione Vulci. «La nostra tomba è molto importante perché intatta e questo ci consente di poter ricostruire l’identikit del defunto. Abbiamo un’ipotesi un po’ ardita. La ragazza potrebbe essere stata in vita un’addetta alla mescita del vino. Anche il balsamario, con la chiusura in pelle del vaso rimanda al processo della fermentazione di liquidi (forse la birra). Nell’Antico Egitto la birra era molto consumata e per essere prodotta doveva subire un lento processo di fermentazione. La chiusura (dell’unguentario, ndr) in pelle serviva a facilitare la fermentazione».

Unguentario da Vulci (immagine via Scienzenotizie)
Gli unguentari del Nilo

Il realtà, almeno nel loro contesto originario, questa tipologia di unguentari, detta “Nilo”, fungeva da contenitori per l’acqua del sacro fiume e, in un secondo momento, come hanno chiarito le analisi chimiche svolte su tali oggetti, erano stati utilizzati come contenitori per latte o sostanze oleose. Da “fiaschette” per l’acqua sacra del Nilo erano divenuti veri e propri unguentari per oli e profumi, molto in voga nei corredi funerari femminili. La giara tenuta dalla figurina, alla luce di ciò, non può fungere da contenitore per vino o birra e, nel contesto di Vulci, difficilmente può dare una conferma circa l’identità (quantomeno lavorativa) della defunta (fonte Djed Medu). Spetterà alle analisi scientifiche chiarire il contenuto del piccolo contenitore, qualora fosse possibile analizzarne eventuali residui.

Unguentario di ispirazione egiziana prodotto a Rodi (VI-V sec. a.C.), molto simile all’esemplare di Vulci

Sia la pelle di leopardo, sia l’acconciatura, sia il materiale in cui è realizzato l’oggetto fanno propendere per l’attribuzione della sua origine a un contesto egiziano. Tuttavia, sottolinea il dott. Mancini, di questi vasetti antopomorfi se ne trovano diversi esemplari soprattutto fuori dal’Egitto, come in Grecia (principalmente a Rodi) e nella Magna Grecia (Sicilia, Campania ed Etruria). Molti studiosi ritengono che si tratti, invece, di una serie di oggetti prodotti nell’isola di Rodi, frutto di un mix di elementi iconografici greci ed egiziani: la parrucca “hathorica” (legata ad Hathor), corta e riccioluta, ad esempio, richiama anche quella della dea cananea Astarte.

News

NEWS | Oggi Samonà presenterà il restauro della cripta della chiesa di San Domenico (CL)

Oggi, lunedi 24 maggio alle ore 10 a Caltanissetta, sarà presentato il restauro della cripta della chiesa di San Domenico. All’evento, sarà presente anche l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Alberto Samonà.

Il restauro è stato finanziato con risorse F.S.C. 2014-2020 “Patto per la Sicilia”, per 360.000,00 di euro. Il lavoro è stato curato dalla Soprintendenza ai BB.CC. di Caltanissetta e in collaborazione con i funzionari Michele Miccichè e Filippo Ciancimino. La ditta che ha eseguito il progetto è la C.M.C. di Mussomeli (CL). L’assessore, dunque, oggi restituirà alla curia nissena, proprietaria dell’immobile, proprio la cripta della chiesa di San Nicola dopo i lavori. Parteciperà anche la soprintendente dei Beni Culturali di Caltanissetta, che ha diretto i lavori, nella figura di Daniela Vullo. Saranno presenti inoltre il vescovo mons. Mario Russotto e il sindaco di Caltanissetta, Roberto Gambino.

Navata centrale della chiesa di San Domenico di Caltanissetta – foto: Typical Sicily
La storia della cripta e il restauro

La cripta di San Domenico si trova all’interno della chiesa ed è stata realizzata nel 1758. Occupa quasi interamente lo spazio sottostante la navata centrale della chiesa domenicana. In origine si accedeva alla cripta proprio dalla chiesa, dove si trovava una cappella di cui restano poche tracce a causa di un crollo pavimentale, avvenuto a metà del ‘900. Il grande spazio sotterraneo è suddiviso in vari ambienti, separati da un corridoio centrale e destinati alla sepoltura dei defunti. Elemento caratterizzante di molte cripte siciliane è la presenza di tre tipologie di colatoi in uso a quel tempo: quelli costituiti da sedili in muratura, aventi un foro al centro ove si raccoglievano i resti organici, altri con sostegni laterali in muratura e ripiano superiore realizzato con “catusi” in terracotta, dove il defunto veniva collocato in posizione supina, e altri ancora come piccole nicchie, dove il cadavere veniva posto in piedi fino alla completa decomposizione organica.

cripta
La cripta della chiesa di San Domenico (CL) con i colatoi dopo i restauri (via Regione Siciliana – Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana)

Nella zona in cui è avvenuto il crollo, che è accessibile attraverso l’ingresso della cripta, dopo il restauro è stato collocato un servoscala per consentire l’ingresso anche ai portatori di handicap. Sono state eliminate le infiltrazioni d’acqua dal sottosuolo e i colatoi sono stati restaurati. Si è poi rimessa in luce la vecchia scala che portava dalla chiesa alla cripta. Grazie a un supporto in vetro sarà possibile vedere la cripta sottostante, con parte della pavimentazione in cotto, direttamente dalla chiesa. Una lapide commemorativa ricorda simbolicamente le sepolture.

cripta
La cripta della chiesa di San Domenico (CL) dopo i restauri (via Regione Siciliana – Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana)
Le parole di Samonà

«La restituzione della cripta della chiesa di San Domenico dopo i lavori di restauro effettuati dalla Soprintendenza di Caltanissetta – sottolinea l’assessore dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonàè un’occasione importante per ribadire, dal cuore della Sicilia, l’attenzione e il valore che l’amministrazione regionale dedica al proprio patrimonio culturale. In quest’occasione desidero evidenziare l’importante opera di vigilanza, progettazione e direzione dei lavori svolta quotidianamente dalle Soprintendenze di tutta la Sicilia, nell’attività di custodia e valorizzazione dei beni culturali».

L’assessore Alberto Samonà
News

NEWS | Scoperta una sepoltura nell’Arena di Verona

La scoperta è avvenuta durante i lavori di restauro nell’arcovolo 31 dell’Arena. Si tratta di una sepoltura in fossa semplice contenente uno scheletro in ottime condizioni di conservazione.

Dalle analisi preliminari effettuate sullo scavo, gli archeologi hanno stabilito che si tratta dello scheletro di una donna, deposta con le braccia conserte sul petto. Le ossa verranno portate in laboratorio, dove analisi più dettagliate potranno stabilire l’età della donna al momento della morte, le sue condizioni di salute e stile di vita. La datazione stratigrafica colloca la sepoltura tra il III e VI secolo d. C.

Sul posto anche il Sindaco di Verona

Il primo cittadino, Federico Sboarina, ha mostrato grande entusiasmo e interesse per il ritrovamento, che ha subito voluto visitarlo di persona. Ad accompagnarlo, l’archeologa Brunella Bruno, l’assessore ai lavori pubblici Luca Zanotto, il soprintendente Vincenzo Tinè e l’antropologa Irene Dori.  

Ora è il tempo delle analisi approfondite – dice il sindaco –  dopodiché sarà valutata la modalità migliore per valorizzare questo reperto e la sua collocazione, che potrebbe arricchire il percorso museale all’interno dell’anfiteatro che prenderà forma alla fine del cantiere.

Una scoperta eccezionale, ma non l’unica

Già nel 2014, proprio l’Arena di Verona aveva  restituito altre sepolture, sempre collocate negli arcovoli di accesso all’arena. Si tratta di sepolture altomedievali, datate tra il VII e il IX secolo. La presenza di sepolture nei monumenti e nelle strutture pubbliche in disuso, fra l’età tardoantica e altomedioevale, è un fenomeno ormai ben noto in numerosi centri urbani e nella stessa Verona. «Basti pensare alle sepolture impiantatesi alla metà del IV secolo nell’area del Teatro Romano e in molti altri siti. L’occupazione funeraria, in questo arco di tempo, caratterizzò anche altri anfiteatri, tra cui il Colosseo», dice la dottoressa Brunella Bruno, che dopo le sepolture del 2014 è tornata a occuparsi anche di quella scoperta nei giorni scorsi.

News

ARCHEO-ANTROPOLOGIA | Ricostruire la vita attraverso la morte

Nell’Alegoría de la Muerte, un dipinto a olio dell’artista Tomás Mondragón del 1856, la scena rappresentata è suddivisa in due parti simmetriche: a sinistra vi è una donna ricca, ben vestita, accompagnata dagli usi e costumi del suo tempo, a destra, invece, nella sua immagine riflessa allo specchio, quello che ci accomuna tutti, uno scheletro. La vita e la morte sono sempre state concepite come due realtà distinte. Cio è manifesto nella separazione dei cimiteri dalle città, del mondo dei vivi da quello dei morti.

Alegoría de la Muerte, dipinto a olio dell’artista Tomás Mondragón del 1856

Il grande archeotanatologo (archeologo che studia la morte e le modificazioni del corpo che avvengono dopo la sepoltura) Henry Duday utilizza la potente immagine del dipinto – slegandola dal contesto messicano della sua realizzazione –  per sottolineare il concetto di come l’Archeoantropologia possa “ribaltare le prospettive”: si parte dalla morte, ossia dall’analisi degli scheletri, per ricostruire la storia, la vita delle persone del passato, per comprendere meglio il nostro presente.

Che cos’è l’Archeo-antropologia?

Quando si parla di un contesto funerario antico, nel quale la tomba costituisce l’elemento centrale di uno scavo archeologico, ciò a cui si pensa, e che si incontra con maggiore facilità, sono i reperti ossei. Questi materiali sono, a pieno titolo, da considerarsi alla pari degli altri oggetti che caratterizzano una sepoltura. I manufatti, le strutture architettoniche e quelle funerarie sono una manifestazione materiale dell’uomo; i resti umani sono gli unici rappresentati dell’”artefice”, ossia di chi ha realizzato questi manufatti. Essi costituiscono l’ultimo collegamento biologico con i nostri antenati, nonché un’ulteriore e complementare fonte d’informazione sulla vita delle comunità antiche.  

L’Archeoantropologia altro non è che la branca dell’Archeologia che si occupa dell’analisi e del recupero delle ossa umane, seguendo criteri d’applicazione specifici. Questo costituisce il punto d’inizio di un lavoro che continua in laboratorio.

Come possiamo ascoltare ciò che le ossa umane hanno da dirci?

Si cercherà di rispondere a questa e ad altre domande, osservando gli studi, le ricerche, le analisi che nel tempo si sono sviluppate attorno ai resti umani,  durante il ritrovamento e dopo il recupero, e di illustrare il modo in cui hanno portato alla luce aspetti significativi del nostro passato. 

Un Neanderthal regge un cranio

Sepolture stravaganti e insolite credenze

Ci si focalizzerà su casi “singolari”, espressione di curiose credenze funerarie; casi che indicano la presenza di diverse modalità o luoghi di seppellimento in relazione alle diverse classi d’età dei defunti o del loro livello sociale; il ruolo e l’esplicazione nella morte degli intimi rapporti madre-figlio, donna-uomo o tra fratelli; un focus particolare sarà riposto sugli studi più recenti. Ci si concentrerà sulle pratiche funerarie, sulle scelte di sepoltura e il substrato di credenze a esse connesso. Tutto ciò sempre partendo dallo scheletro, vero protagonista delle storie e delle vicende che saranno raccontate, che è in grado di “reincarnare” la vita del passato, anche dopo la morte.

Uno scheletro allo specchio

Il principale obiettivo della rubrica vuole essere quello di spingere il lettore ad approcciare agli scheletri con un nuovo sguardo, per comprendere l’importanza degli stessi in ambito archeologico. Allontanare l’idea che essi siano solo semplici cumuli di ossa, o la macabra espressione del passato, invece che i principali testimoni del tempo che fu. Il lettore sarà invogliato a ricostruire, nella propria mente, partendo dalle carni, poi dalle vesti, dalle credenze, dalle usanze, la vita di questi uomini sepolti da tempo. 

Sarà proprio come capovolgere il quadro di Mondragón: partire dall’immagine riflessa dello scheletro, per giungere dall’altro lato dello specchio e vedere ciò che esso era per ricostruire l’uomo, gli uomini e le loro storie, provenienti dal passato, dalla preistoria e dalla protostoria, fino a giungere ai periodi più vicini a noi.

 

La rubrica Archeo-antropologia inizierà nella nuova rivista di ArcheoMe da Febbraio 2021 che, a cadenza bimestrale, ci accompagnerà per tutto l’anno….a presto.

Articolo a cura di Ilda Faiella

News

NEWS | Lo scenario di una possibile sepoltura neandertaliana

Un ampio studio pluridisciplinare sui Neanderthal, condotto da un’equipe di stampo internazionale, ha restituito importanti avanzamenti sul sito archeologico di La Ferrassie (Savignac-de-Miremont, Dordogna), in Francia. Uno dei tanti di questo periodo.

I risultati delle ricerche, volte ad approfondire le conoscenze dello scheletro di un bambino di due anni e del contesto archeologico in cui è stato rinvenuto, hanno permesso agli autori di proporre come the most parsimonious scenario (lo scenario più frugale) quello di una sepoltura volontaria, di un bambino di Neanderthal vissuto circa 41.000 anni fa.

Nel grand abri (ampio riparo sottoroccia), del sito de La Ferrassie, sarebbe stato scavato un pozzo, in un sedimento sterile, cioè privo di altre evidenze archeologiche, in cui il corpo del bambino sarebbe stato volontariamente deposto.

Per lo svolgimento delle analisi sono state applicate tutte le tecniche di ricerca più avanzate: datazioni, sia al Carbonio 14 che con la tecnica della termoluminescenza (OSL) per datare il deposito circostante, l’applicazione della spettrometria di massa ZooMS e l’elaborazione di dati relativi al DNA antico. Il tutto è stato corredato da informazioni geologiche e stratigrafiche del contesto circostante, nonché dalla rielaborazione delle informazioni spaziali provenienti sia dagli scavi del 1968-1973 , sia delle più recenti analisi del 2014.

Il lontano rinvenimento di Neanderthal

Il riparo roccioso del grand abri ha restituito, per tutto l’intero sito di La Ferrassie, il maggior numero di scheletri di Neanderthal, sia completi che parziali. La maggior parte delle collezioni sono state rinvenute all’inizio del XX secolo,  mentre l’ultimo scheletro, rinvenuto tra il 1968 e il 1973, è stato proprio “LF 8” (La Ferrassie 8), uno scheletro parziale di Neanderthal (cranio, collo e ossa del tronco, bacino e quattro falangi delle mani) di un bambino di circa due anni. Il contesto del ritrovamento è stato sempre considerato come scarsamente documentato, ma in realtà i vecchi diari di scavo (conservati presso il Musée d’Archéologie nationale e Domaine national de Saint-Germain-en-Laye, di seguito indicato MAN) contenevano un’enorme quantità d’informazione, che doveva solo essere riscoperta e rielaborata, così come hanno fatto i ricercatori per lo svolgimento della ricerca.

Nei musei gli “scrigni” del passato vengono riaperti

Nel 2014 sono stati condotti ulteriori scavi, presso il luogo di ritrovamento, per riconsiderare il deposito archeologico e raccogliere nuovi dati per le analisi geologiche, stratigrafiche e geocronologiche.

L’indagine si è concentrata, inoltre, sullo studio delle collezioni dei reperti del Museo Archeologico Nazionale di Les Eyzies e del Museo Nazionale di Storia Naturale a Parigi, e negli archivi del Musée de l’Homme e dell’Institut de Paléontologie Humaine, sempre a Parigi. In questo modo è stato possibile reinterpretare diversi reperti, sia archeologici che antropologici, facendo emergere circa cinquanta nuovi frammenti di ossa di ominidi, di cui alcuni rinvenuti in una scatola degli scavi del 1973, riconducibili all’infante LF8.

Neandertal
Analisi dei reperti ossei dal sito di La Ferrassie

Uno dei più recenti Neanderthal datati direttamente

Di particolare importanza è l’identificazione nello stesso deposito, con una tecnica di spettrometria di massa chiamata ZooMS, di un osso di ominide che, attraverso lo studio del DNA mitocondriale, è stato associato ai Neanderthal. La successiva datazione al radiocarbonio ha fornito un’età compresa tra i 41.700 e i 40.800 anni fa.

Antoine Balzeau commenta come si tratti “di una datazione non solo più recente rispetto ai resti faunistici trovati nel livello archeologico soprastante, ma anche più recente dell’età ottenuta con il metodo della luminescenza per lo strato sedimentario che circonda il bambino”, confermando dunque che si tratti di una sepoltura scavata intenzionalmente.

Evidenza di pratiche funerarie oppure no?

L’elaborazione di pratiche funerarie complesse è unica nel linguaggio umano e l’emergere di questo comportamento può essere considerato l’evidenza di complesse capacità cognitive e simboliche.

La questione se i Neanderthaliani seppellissero o no i propri morti è da tempo oggetto di un ampio dibattito, e solleva altri interrogativi sulla possibile somiglianza tra le due specie nelle pratiche funerarie e sulla questione della possibile “acculturazione”,  o trasmissione culturale, tra gli Homo Sapiens e gli ultimi Neanderthaliani: il tutto sempre ammettendo la possibilità di considerare le sepolture, di per sé, come l’espressione di un comportamento simbolico, piuttosto che dettata da un’intenzione utilitaristica.

Di là da questioni delicate, che continueranno ad essere alla base delle discussioni tra i più grandi esponenti di paleoantropologia, i risultati “mostrano quanto l’approccio multidisciplinare con cui è stata realizzata questa ricerca sia essenziale per far progredire la nostra comprensione del comportamento dei Neanderthal, comprese le pratiche funerarie”, dice in conclusione Asier Gómez-Olivencia.

Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, con il titolo “Pluridisciplinary evidence for burial for the La Ferrassie 8 Neanderthal child”. Le ricerche sono state guidate da Antoiene Balzau del CNRS e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi, insieme ad Asier Gómez-Olivencia dell’Università dei Paesi Baschi (Spagna). Tra i membri, anche l’italiana Sahra Talamo, direttrice del nuovo laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna Radiocarbon laboratory devoted to Human Evolution) presso l’Università di Bologna e dell’Istituto Max Planck di Antropologia Evolutiva (Germania), nonché Principal investigator del progetto di ricerca RESOLUTION (ERC Starting Grant N. 803147). Il progetto si basa sullo sviluppo di set di dati di calibrazione al radiocarbonio ad alta risoluzione, utilizzando alberi fossili per risolvere i periodi chiave nella preistoria europea, tra cui anche quello dell’arrivo dei Sapiens in Europa e dell’interazione con i Neanderthal.

Articolo a cura di Ilda Faiella

News

NEWS | Scoperta sepoltura gentilizia a Sirolo (AN), la tomba del Guerriero piceno

Il ritrovamento è avvenuto durante gli scavi di archeologia preventiva, guidati dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche in accordo con l’Amministrazione comunale di Sirolo (AN). 

Le indagini, dirette dall’archeologo Stefano Finocchi e condotte dalla cooperativa ArcheoLab, sono state effettuate in un terreno di proprietà comunale. In vista di un cambiamento di destinazione d’uso del terreno, i lavori di archeologia preventiva erano finalizzati alla verifica di eventuali interferenze di origine archeologica. La necessità di queste indagini era data dalla vicinanza di quest’area con la “necropoli dei Pini” e della cosiddetta “Tomba della Regina”. Queste sepolture di epoca picena, risalenti al VI secolo a.C., hanno restituito numerosissimi esempi della ricchezza dei corredi con cui le famiglie aristocratiche seppellivano i propri morti.

La sepoltura del Guerriero

L’oggetto della sensazionale scoperta effettuata a Sirolo è proprio un’altra sepoltura gentilizia. La fossa, di forma rettangolare, contiene un individuo armato di elmo, lancia, spada lunga, pugnale con fodero e un’ascia. Una serie di oggetti che lasciano pochi dubbi su quale sia stato il ruolo dell’uomo. Il Guerriero è stato deposto in posizione rannicchiata, sul fianco destro. Sul suo petto sono state trovate due fibule in bronzo, ambra e osso, probabilmente attaccate alla veste con cui era avvolto il corpo.

Ai suoi piedi si trova parte del ricchissimo corredo funerario, costituito per la maggior parte da reperti ceramici. Lo status di prestigio del defunto è testimoniato da alcuni particolari oggetti bronzei tra cui una brocca di tipo rodio (oinochoe), da attribuire forse a una produzione etrusca e connessa al consumo del vino. La presenza di due spiedi e di altri strumenti in ferro per la cottura delle carni sono importanti riferimenti alla pratica del banchetto.

Lo sgabello portatile, il simbolo più eloquente dello status sociale del Guerriero

Oltre agli spiedi, al ricco corredo ceramico e alle armi, un altro elemento ritrovato nella sepoltura racconta qualcosa in più sulla storia del Guerriero e sulle cariche che può aver ricoperto durante la sua vita: uno sgabello pieghevole. Si tratta del reperto più affascinante e rappresenta lo status e la magnificenza del personaggio qui sepolto. L’oggetto è stato realizzato con elementi e sottili aste di ferro con terminazione a borchie di bronzo inserite entro un disco d’avorio, che reggevano il piano di seduta originariamente in stoffa o cuoio.

La Soprintendenza ci viene in aiuto spiegandoci il significato dello sgabello:

«Nel mondo etrusco (e poi anche romano) lo sgabello è simbolo di alte cariche pubbliche nella vita politica della città: la presenza di questo oggetto in questa ricca deposizione potrebbe far ipotizzare che il defunto possa aver ricoperto una carica pubblica/politica nell’ambito della comunità picena di età arcaica di Sirolo/Numana.»

Questa nuova e importante scoperta è frutto della collaborazione tra la Soprintendenza e l’Amministrazione comunale che si era già concretizzata nel sostegno logistico ed economico delle nuove ricerche avviate nella necropoli “dei Pini” dalla soprintendenza delle Marche, assieme all’Università di Bologna.

Per approfondimenti sulla necropoli “dei pini” di Sirolo clicca QUI