scoperta archeologica

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NEWS | Egitto, a Saqqara ritornano alla luce sarcofagi dipinti e statuette bronzee

La missione archeologica egiziana, operante nel cimitero degli Animali Sacri nell’area della necropoli di Saqqara, ha riportato alla luce il primo e più grande deposito del sito risalente al periodo tardo. Il deposito comprende 150 statuette bronzee di divinità e circa 250 sarcofagi lignei dipinti.

Le 150 statue bronzee

Il dott. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità e capo della missione, ha affermato che il deposito scoperto include appunto 150 statue bronzee di varie dimensioni. Le statuette rappresenterebbero diverse divinità antico-egiziane, tra cui Anubi, Amon-Min, Osiri, Iside, Nefertum, Bastet e Hathor.

Statuetta bronzea di Bastet (Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)

Insieme alle statuette, sono stati rinvenuti un gruppo di vasi in bronzo legati ai rituali della dea Iside e una statua in bronzo, acefala, dell’ingegnere Imhotep, che si distingue per l’ottima qualità dell’esecuzione.

Le statue bronzee rinvenute nella necropoli degli Animali Sacri a Saqqara (Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)
I sarcofagi dipinti

I ricercatori egiziani, alla quarta missione nell’area, hanno individuato un nuovo gruppo di pozzi funerari. Da questi, sono stati riportati alla luce circa 250 sarcofagi in legno colorato del periodo tardo (VII-IV sec. a.C.), risalenti al 500 a.C. circa. I sarcofagi presentano al loro interno delle mummie in buono stato di conservazione. Sono stati rinvenuti, inoltre, anche amuleti, scatole di legno dipinte e statue lignee, alcune delle quali con il volto dorato. Dallo scavo di uno dei pozzi funerari è stato rinvenuto, inoltre, un sarcofago in buono stato di conservazione che sembrerebbe contenere capitoli del Libro dei Morti, prontamente trasferito nei laboratori di restauro del Museo Egizio di Piazza Tahrir, al Cairo.

 

Statuette lignee di Iside e Nephtys (Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)
L’indagine dell’area

La missione archeologica egiziana ha iniziato suoi lavori nell’area nel 2018. Era state rinvenute la sepoltura di un sacerdote della V Dinastia e, anche, sette tombe rupestri, quattro dell’Antico Regno e tre del Nuovo Regno. Questa stessa indagine, inoltre, aveva recuperato oltre un migliaio di amuleti di maiolica, decine di statue lignee di gatti e gatti mummificati.

Nel 2020, poi, la missione aveva già ritrovato oltre 100 sarcofagi ancora sigillati e in perfetto stato di conservazione, risalenti al Periodo Tardo e Periodo Tolemaico. Questa scoperta era stata corredata anche dal ritrovamento di circa 40 statue della divinità della necropoli di Saqqara Ptah-Sokar, che presentavano parti dorate, e 20 scatole lignee del dio Horus.

 

Fonte: Ministry of Tourism and Antiquities.

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GEMMOLOGIA | “100 anni di una scoperta”, anche in Italia iniziano le celebrazioni per la scoperta della tomba di Tutankhamon

A Genova si celebrano i 100 anni di una esperienza umana e scientifica senza precedenti, la scoperta della tomba del faraone Tutankhamon da parte dell’archeologo inglese Howard Carter.

Genova celebra la scoperta con un’opera teatrale

È stata eseguita, il 28 maggio 2022, al Teatro Rina e Gilberto Govi di Genova, l’opera teatrale Le tre regine d’Egitto, dialoghi sull’enigma del tempo a cura dell’Egittologo Giacomo Cavillier. Lo spettacolo si è svolto grazie al lavoro della compagnia teatrale di Anna Giarrocco e Andrea Benfante, con coreografie e danze egizie di Ailema mille e una notte di Genova.

Foto scattata durante la rappresentazione teatrale

Si parte dunque con l’opera teatrale e si proseguirà con le iniziative estive presso i suggestivi scenari delle ville di Cornigliano: conferenze e presentazione di volumi sulla tematica, per poi concludere con la giornata del 4 novembre dedicata a Carter presso la Sala Solimena di villa Durazzo Bombrini. Qui la gemmologa Stefania Ferrari e il Regista Enrico Cirone cureranno il collegamento con la diretta dalla Carter House di Luxor, nei pressi della Valle dei Re, con il prof. Giacomo Cavillier che illustrerà gli affascinanti luoghi dove Howard Carter ha pianificato e realizzato il suo metodo di ricerca della tomba del faraone. Scenografie, misticismo e incanti dei luoghi e dei momenti costituiscono il vero e il più tangibile segno della più straordinaria scoperta dell’archeologia.

La dott.ssa Ferrari e il prof. Cavillier (da sinistra) alla presentazione dell’inizio delle celebrazioni

 

Un Diadema d’altri tempi

Lo stargate, la porta del tempo nell’opera teatrale, è rappresentato da un diadema, un lapislazzuli da 66 ct che legherà nell’enigma del tempo le tre regine, diadema coevo nella sua realizzazione, curata dalla gemmologa genovese Stefania Ferrari, sia per la scelta della gemma, a taglio cabochon (con la superficie a cupola e la parte inferiore piatta, spesso grezza), sia per la lavorazione dell’oro.

 

 

La ricchezza delle risorse naturali

L’Egitto e la Nubia sono da sempre regioni ricche di risorse naturali, risorse minerarie come metalli e pietre preziose. Si possono, tuttavia, rintracciare alcune località primarie di rinvenimento ed estrazione: Turchese e Malachite in Sinai, Diaspro rosso dalla Catena Arabica, Lapislazzuli lato Afghanistan, Smeraldo sulle coste meridionali del Mar Rosso e Ametista nelle regioni di Assuan. Ma sono presenti anche Calcare, Arenaria, Basalto, Porfido e Granito.

E, nell’Antico Egitto, ogni gemma e colore ha un significato ben preciso. Ne sono un esempio il Lapislazzuli, il cielo, la Turchese, il Nilo, e il Diaspro Rosso, il sole al tramonto, ma anche il sangue, nel suo legame con la procreazione.

 

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NEWS | Oxford celebra Howard Carter e Lord Carnarvon a cento anni dalla scoperta della tomba di Tutankhamon

Alla Bodleain Library è stata allestita, fino a febbraio 2023, una piccola mostra con i diari di scavo e le relative foto della scoperta di Tutankhamon; Oxford celebra Carter per la scoperta di Tutankhamon.

La scoperta
Howard Carter mentre esamina il sarcofago di Tutankhamon

Nell’autunno del 1922, Carter sta scavando all’ingresso della tomba di Ramses VI, quando, fortuitamente, si imbattono in alcuni gradini di una tomba ancora sconosciuta. La tenacia fu premiata con l’inattesa scoperta della tomba di Tutankhamon, il faraone bambino destinato a gloria imperitura.

Una mattina di novembre il giovane archeologo decise di effettuare un buco nella porta della tomba, la quale risultava intatta e presentava ancora il sigillo di corda degli antichi sacerdoti egizi; all’interno della stanza vi erano ammassati centinaia di oggetti. Tutto è rimasto intatto per oltre 3000 anni e quello è il primo occhio che ci posa.

Prima pagina del 17 febbraio 1923 del New York Times sulla scoperta di Tutankhamon

 

La complessa tomba sotterranea che venne alla luce era così ricca di reperti, che per lo sgombero degli oggetti, tutti scrupolosamente catalogati e rimossi, ci vollero dieci anni.

La mostra

L’esposizione, Tutankhamon: excavating the archive, è formata da una piccola stanza all’ingresso del complesso librario. La curatrice Daniela Rosenow si è concentrata a non allestire l’ennesima mostra sul faraone egiziano, ma sulla storia della scoperta della tomba.

È una mostra d’archivio, basata sui diari e sui documenti donati dallo stesso Carter alla sua morte nel 1945; a supporto del materiale dell’archeologo vi sono gli scatti originali del fotografo Harry Burton che fu chiamato appositamente per testimoniare lo storico evento.

È una sorta di “Dietro le quinte” di Tutankhamon che racconta i vari passaggi del lavoro che archeologo e operai hanno dovuto svolgere, come ad esempio: una mini-ferrovia portatile e smontabile con la quale hanno potuto trasferire i reperti trovati fino al Nilo da cui, poi, hanno raggiunto il museo del Cairo.

Howard Carter vicino ad uno dei carrelli con cui hanno trasportato i reperti

La mostra è stata inaugurata il 13 aprile 2022 e terminerà a febbraio 2023.

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NEWS | L’Università Ca’ Foscari di Venezia riporta alla luce 140 sepolture dell’antica Equilo

Nell’area del monastero di San Mauro, in prossimità delle “Antiche Mura”, tornano alla luce i resti degli abitanti dell’antica Equilo; il lavoro è stato svolto dagli archeologi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia coordinati dal professor Sauro Gelichi.

La campagna 2021
Veduta dall’alto dell’area di scavo del monastero di San Mauro

L’attività di ricerca e indagine degli studiosi di quest’anno si è concentrata sull’area del monastero di San Mauro. L’obiettivo che si stanno dando ora i ricercatori è quello di fare luce sulle tradizioni e stili di vita degli abitanti; infatti, tra il 2018 e il 2020 è stato portato alla luce un grande corpus di patrimonio biologico. A queste scoperte fanno eco le parole del direttore di scavo, il professor Sauro Gelichi: “Con lo scavo che abbiamo intrapreso quest’anno il progetto archeologico sull’antica Equilo ha indiscutibilmente segnato un ulteriore salto di qualità, non solo per l’autorevolezza e l’internazionalità delle collaborazioni avviate, ma anche per le tematiche affrontate. Lo scavo di Jesolo si sta proponendo come il progetto archeologico più innovativo e promettente per quanto riguarda la storia della laguna nella post-antichità e, in relazione all’aspetto archeo-biologico, tra i principali in Italia”.

Il professor Sauro Gelichi

 

Le analisi sui resti biologici

Per completare lo scavo ed effettuare uno studio accurato sui resti osteologici è stata attivata una collaborazione con il laboratorio di Antropologia Fisica dell’Università del Salento (Professor Pierfrancesco Fabbri) e con l’Università di Harvard (professor David Reich) per l’analisi del Dna.

Il campione di studio è numeroso, 140 individui databili tra l’VIII e il XII secolo, che gli archeologi sperano di poter raddoppiare nelle prossime missioni.

Pulizia dei resti osteologici nell’area del monastero di San Mauro

Da queste analisi gli studiosi si aspettano di ricevere notizie riguardo alla dieta alimentare, malattie e livello di stratificazione sociale. Lo studio tafonomico, unito a quello antropologico e archeologico, consentiranno di comprendere maggiormente i comportamenti dei gruppi familiari in uno spazio di uso collettivo.

Le parole del sindaco

Le indagini che gli archeologi dell’Università di Venezia stanno conducendo nel sito archeologico di Jesolo portano alla luce ogni anno incredibili novità che raccontano un pezzo dell’antica storia della nostra città. Il lavoro svolto nel 2021 è stato, una volta ancora, eccezionale, e ci consentirà di scoprire le storie dei nostri antenati, di chi viveva su questo territorio ai suoi albori e del modo in cui si relazionavano tra loro le persone.

Il sindaco di Jesolo, Valerio Zoggia
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NEWS | Una missione archeologica della Sapienza riporta alla luce un abitato precolombiano in Repubblica Dominicana

Una nuova area di età arcaica appartenente a una comunità di tradizione pre-agricola è stata scoperta nella penisola di Samanà, a nord-est della Repubblica Dominicana.

Il rinvenimento è avvenuto nell’ambito della Missione Archeologica e Antropologica Sapienza nell’Arcipelago Caraibico coordinata dal Dipartimento di Storia, antropologia, religioni, arte e spettacolo della Sapienza. Il tutto grazie al contributo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MEACI) ed il supporto dell’Ambasciata della Repubblica Dominicana di Roma.

Un po’ di storia

Le informazioni archeologiche relative al primo popolamento delle isole del Centro America sono piuttosto scarse. Gli unici dati che abbiamo risalgono all’incirca a cinquant’anni fa e sono stati ottenuti a seguito di ricerche sporadiche condotte in maniera non totalmente scientifica e pubblicate non sistematicamente. Inoltre l’insediamento successivo di gruppi agriculturalisti che hanno popolato l’Isola Hispaniola ha contributo a cancellare le tracce del popolamento più antico, soprattutto nelle isole maggiori.

Repubblica Dominicana, cartina turistica

Mentre studi precedenti (in particolare una pubblicazione del gruppo di ricerca della Sapienza sulla rivista Nature sulla genomica dei popoli caraibici) hanno evidenziato in modo chiaro il modello del popolamento dei gruppi agriculturalisti Taino, l’origine delle popolazioni arcaiche preceramiche resta ancora irrisolta. Le sole informazioni che si hanno al riguardo è che i gruppi che popolavano le isole caraibiche nel periodo pre-agricolo erano caratterizzati da una mobilità stagionale. Essi basavano la loro sussistenza sulla caccia di piccoli animali, la pesca e soprattutto la raccolta di grandi e piccoli molluschi, marini e terrestri, e si stabilivano principalmente a ridosso della costa.

Collaborazioni d’eccezione

Oggi un nuovo tassello viene aggiunto con il ritrovamento di un raro abitato precolombiano di età arcaica nel sito di El Pozito, località della penisola di Samanà nel nord-est della Repubblica Dominicana. La scoperta è avvenuta nell’ambito della Missione Archeologica e Antropologica Sapienza nell’Arcipelago Caraibico del Dipartimento di Storia, antropologia, religioni, arte e spettacolo della Sapienza. È il dott. Francesco Genchi a dirigere la missione, con la collaborazione di ricercatori dei dipartimenti di Scienze odontostomatologiche e maxillo facciali e di biologia Ambientale dello stesso Ateneo, del Museo del Hombre Dominicano di Santo Domingo. Fondamentale il contributo della Direzione generale per la promozione del sistema Paese del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MEACI) e il supporto dell’Ambasciata della Repubblica Dominicana di Roma.

Il team di ricercatori (fonte ANSA)

 

L’abitato e i ritrovamenti più importanti

L’area identificata si riferisce a un abitato caratterizzato principalmente da un’ampia porzione di una officina  di lavorazione di materie prime come grandi molluschi marini quali lumache (Strombus Gigas anche detta conchiglia regina e Cittarium pica, la gazza di gabbiano) e i bivalvi (come la Codakia orbicularis, conosciuta anche come tigre lucina). Oltre a questi, anche una incredibile quantità di molluschi terrestri (es. Caracol excelens), sfruttati sia per uso alimentare che per la produzione di strumenti. Ma non solo, è stata rinvenuta anche la presenza di bacche selvatiche e resti di pesci di notevole dimensione.

Resti di conchiglie e utensili (fonte ANSA)

Le installazioni prevedevano ripari leggeri del tipo shelter, con allineamenti semicircolari di buche di palo, al cui esterno sono riconoscibili ampie aree di cenere e carboni, risultato delle attività di cottura delle risorse marine.

Lo strumentario è composto da un centinaio di arnesi in pietra locale levigata, quali pestelli, martelli, incudini e grandi macine adatte alla triturazione dei semi, delle radici e delle conchiglie, sui quali le analisi mostrano, oltre a marcati segni di usura, tracce di residui vegetali.

Tra questi, lo strumento più caratteristico è l’ascia mariposoide (a forma di farfalla) che si ritiene venisse utilizzata nell’abbattimento e nel taglio degli alberi con cui costruire canoe e remi. Questo strumento è distintivo dei gruppi pre-agricoli tardivi e fondamentale per circoscrivere le fasi arcaiche.

 

Il ritrovamento più importante, tuttavia, fa riferimento a 12 pestelli (majadores) di pregevole fattura. I pestelli si trovavano all’interno di un pozzetto rituale e differiscono tra loro sia per la materia prima utilizzata che per la manifattura. Anche su questi strumenti sono visibili tracce di usura e numerosi residui perfettamente conservati. La scelta di deporre questi strumenti in un’area adibita alla lavorazione delle risorse primarie, necessarie alla sussistenza del gruppo, induce a credere che si tratti di una sorta di offerta rituale riferibile alla sfera cultuale di questi gruppi, ma connessa anche alle pratiche di sussistenza.

Tracce delle prime comunità delle isole del Centro America

<<La misura del valore di questa scoperta>> – commenta Francesco Genchi del Dipartimento di biologia ambientale della Sapienza – <<è direttamente proporzionale alle nostre conoscenze, pressoché inesistenti, tanto sulle pratiche di vita quotidiana quanto su quelle connesse all’economia di sussistenza e alla sfera rituale delle popolazioni che abitavano i Caraibi prima del periodo agriculturalista>>.

Dott. Alfredo Coppa

<<I risultati ottenuti all’interno di questo nuovo sito dai caratteri arcaici>> – conclude Alfredo Coppa – <<ci proietta finalmente sulle tracce delle prime comunità che hanno colonizzato le isole del Centro America. Un ulteriore passo sarà realizzato dalla ricerca della necropoli, la quale consentirà di avviare analisi genetiche per far luce sulla provenienza dei gruppi che lo abitavano>>.

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NEWS | Dal mare israeliano riemerge una spada crociata

Le acque della Carmel Coast sono ricche di tesori archeologici, grazie alle numerose calette dove le navi si rifugiavano dalla tempesta sin dall’antichità; infatti, il mare israeliano ci regala una spada crociata insieme ad alcuni manufatti in metallo, in pietra e frammenti di ceramiche.

La scoperta

I reperti sono stati scoperti in una delle numerose calette, nella Carmel Coast, che, fin dall’età del bronzo, ben 4.000 anni fa, le imbarcazioni utilizzavano come riparo naturale.

La zona era sotto monitoraggio dalle autorità archeologiche sin da giugno ma, a causa delle correnti marine i ritrovamenti sono molto elusivi, perché appaiono e scompaiono a seconda del movimento della sabbia.

Lo scopritore della spada, il sub Shlomi Katzin

A individuare la spada e gli altri reperti è stato il sub Shlomi Katzin, il quale li ha subito consegnati alla Israel Antiquities Authority, la quale ha effettuato l’annuncio della scoperta sensazionale.

Il direttore dell’Unità di Archeologia Marina della Israel Antiquities, Jacob Sharvit, ha così parlato della scoperta, ipotizzando anche la cronologia della spada:

“La recente scoperta della spada suggerisce che la caletta naturale sia stata utilizzata anche nel periodo crociato, circa 900 anni fa”.

Il direttore dell’Unità di Archeologia Marina della Israel Antiquities, Jacob Sharvit
La spada
La spada ricoperta di conchiglie e incrostazioni

Il reperto più sensazionale è sicuramente la spada, sia per dimensioni che per stato di conservazione; l’arma risulta essere formata da un’elsa di 30 centimetri e una lama lunga un metro. Nir Distelfeld, ispettore dell’Unità di prevenzione dei furti dell’Autorità israeliana per le antichità ha così espresso il suo stupore:

“La spada, che è conservata in perfette condizioni. È un reperto bello e raro ed evidentemente apparteneva a un cavaliere crociato”.

Dirstelfeld ha poi aggiunto:

“È stato trovato incrostato di organismi marini, ma a quanto pare è di ferro. È emozionante incontrare un oggetto così personale, che ti riporta indietro di 900 anni nel tempo in un’era diversa, con cavalieri, armature e spade”.

L’ispettore dell’Unità di prevenzione dei furti dell’Autorità israeliana per le antichità, Nir Distelfeld

 

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NEWS | Nella Valle dei Templi di Agrigento riaffiora una casa “restaurata”

Agrigento torna al centro delle scoperte archeologiche; infatti, nella Valle dei Templi riaffiora una casa “restaurata” già tra il III e il II secolo avanti Cristo. È l’eccezionale scoperta di queste ultime settimane nel Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento, dove è stata riportata alla luce una serie di straordinarie pitture parietali e una pavimentazione in cocciopesto e a mosaico, perfettamente integra, parte di un’abitazione nel cosiddetto quartiere ellenistico-romano. La casa era crollata, o era stata demolita per qualche motivo, e le macerie accumulate hanno “salvato” mosaici e pavimenti in stile pompeiano.

I pavimenti decorati
La scoperta

La casa è stata ritrovata nel quartiere ellenistico-romano (dove è stato ritrovato anche l’anfiteatro) durante la sesta campagna di scavo dell’Università di Bologna; il progetto è stato avviato in collaborazione con il Parco Archeologico, sotto la direzione di Giuseppe Lepore del Dipartimento di Beni culturali del Campus di Ravenna.

Dal 2016 e con cadenza annuale il team dell’Università di Bologna si è dedicato all’indagine di un intero isolato (il terzo del Quartiere), con particolare attenzione alla Casa III M. È stata proprio quest’ultima a restituire un contesto che gli archeologi giudicano di altissimo valore scientifico, con pavimenti e pitture in perfetto stato di conservazione.

Quartiere ellenistico-romano visto dall’alto

La casa è stata ristrutturata, insieme al resto del quartiere, tra la fine del III e gli inizi del II secolo avanti Cristo ed è stata dotata di un complesso sistema di pitture parietali e di pavimenti in cocciopesto e in mosaico.

Gli ambienti rinvenuti

 

La casa

Probabilmente già nella prima età imperiale la casa ha subìto un crollo, forse una demolizione intenzionale, che ha permesso, come detto, la conservazione delle pitture parietali e dei pavimenti in cocciopesto e in mosaico.

Pavimenti e pitture si possono datare, ad una prima analisi, ad un rifacimento degli inizi del I secolo a.C.. Si tratta di ambienti che appartenevano ad un ceto gentilizio con stanze ricche di statue, tappezzeria, arazzi, argenti, con pareti affrescate e pavimenti a mosaico.

Il crollo della casa

L’abitazione si estendeva per circa 400 mq ed era formata da un monumentale spazio porticato dal quale si aprivano i tre vani principali. Il focus della campagna di scavo è stato il settore centrale; Il piano terra ha restituito il pavimento in cocciopesto con inserti di pietre colorate che formano una decorazione a meandro. Il crollo, invece, ha restituito parti del mosaico policromo, con motivi a meandro, del piano superiore e le relative pitture parietali in stile pompeiano.

Elementi decorativi riaffiorati durante gli scavi

 

Riportare alla luce le testimonianze del passato ci dà la possibilità di costruire il futuro della Sicilia – Alberto Samonà

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NEWS | Siti fenici sulla costa del Libano, la scoperta dell’Università di Udine

Conclusa la quinta campagna di scavo della missione archeologica dell’Ateneo friulano. In cinque anni individuati 120 siti in Libano.

La quinta campagna della missione archeologica in Libano settentrionae si è svolta sotto la direzione di Marco Iamoni (Università di Udine) e May Haider (Università Libanese – Third Branch di Tripoli), con la partecipazione dell’Institut Français du Proche Orient di Beirut.

I fenici sulle coste libanesi

Il risultato più importante riguarda il ritrovamento di materiali ascrivibili al periodo fenicio nella fascia costiera settentrionale, indice della presenza di siti fenici. La scoperta – spiega Iamoni – amplia l’area delle regioni finora considerate chiave per lo studio del mondo fenicio-punico. Le scoperte di siti fenici nella fascia costiera arricchiscono il quadro dei ritrovamenti rilevati in cinque anni dalla campagna italo-libanese, che a oggi ammontano a un totale di 120 siti individuati.

Alcune immagini dei siti rinvenuti (foto via friuli.it)

Quest’anno la missione si è concentrata nei settori a ridosso della costa, indagando anche l’area di Qalhat, un importante crocevia fra fascia costiera e pianura interna. Il rinvenimento di numerosi siti nella zona confermerebbe il ruolo strategico di Qalhat all’interno dell’area interna di Koura. Tale zona, infatti, sarebbe stata un’area fiorente in epoca tardo antica/bizantina. Vi sono tracce di un massiccio insediamento umano presente in maniera stabile già dal III millennio a.C., con importanti attestazioni in epoca preclassica e classica/tardo antica.

Alcune immagini dei siti rinvenuti (foto via ilFriuli.it)

Le indagini archeologiche si sono svolte grazie al permesso rilasciato dalla Direzione Generale delle Antichità libanesi e a finanziamenti forniti dall’Università di Udine e dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione (Maeci). Si prevede, inoltre, una nuova campagna per il 2022, mirata a estendere le ricerche nell’area di Koura.

Immagini via ilFriuli.it

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NEWS | A Roma ritorna alla luce un tratto dell’antica via Latina

Un tratto dell’antica Via Latina è ritornato alla luce nel settore più meridionale della Villa di Sette Bassi a Roma Vecchia, l’estesa area archeologica caratterizzata da resti imponenti compresa tra la via Tuscolana, il Parco degli Acquedotti e il quartiere di Lucrezia Romana.

Ritrovamento e contesto archeologico

Il ritrovamento è avvenuto la scorsa settimana nell’ambito delle ricerche condotte da tempo su un nucleo edilizio in netto distacco dal settore più monumentale dei resti, dislocato nella zona meridionale dell’area archeologica.

Un tratto della Via Latina

La tradizionale denominazione di questo corpo di fabbrica, noto come Dépendance, è stata influenzata presumibilmente dalla prossimità con la via Latina e dalla conseguente interpretazione come primo ingresso alla Villa; i più recenti studi indicano in queste strutture antiche un edificio termale risalente al II secolo d.C., precocemente riutilizzato per l’allestimento di un luogo di culto paleocristiano.

Il passaggio della strada in questo punto era ipotizzato da tempo sulla base dei tratti affioranti rispettivamente nel parco degli Acquedotti e nell’area del deposito officina della Metro A di Osteria del Curato. La distanza tra queste evidenze, superiore a 1,5 km, non aveva però consentito, finora, di ricostruire con certezza l’andamento della strada e l’eventuale condizionamento esercitato sul suo sviluppo dalla estrema prossimità dei resti pertinenti alla Villa.

I protagonisti dello scavo

Le attività di scavo, promosse e dirette dal Parco Archeologico dell’Appia Antica con il coordinamento dei Funzionari Responsabili, si sono basate sulle ricerche in corso sulle strutture della c.d. Dépendance coordinate dalla Prof. Carla Maria Amici (Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento) e dalla Prof. Alessandra Ten (Dipartimento di Scienze dell’Antichità di Sapienza Università di Roma), in convenzione con lo stesso Parco Archeologico dell’Appia Antica, e si sono avvalse della proficua collaborazione del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Roma Tre. Sotto il coordinamento scientifico del Prof. Andrea Benedetto, infatti, ha messo a disposizione le competenze scientifiche e le tecnologie più avanzate mirate al rilevamento di possibili evidenze interrate l’indagine con i georadar ha infatti circoscritto con puntuale efficacia le aree oggetto di sondaggi ove, con estrema precisione, sono state portate alla luce le preesistenze archeologiche.

Le Tombe di Via Latina

 

Le parole del prof. Benedetto

Il prof. Benedetto ha posto in evidenza come <<il risultato ottenuto è di singolare importanza non solo per la ricerca, poiché oltre a fornire un contributo significativo alla comprensione dell’assetto della rete viaria antica e di aspetti connessi alla vita anche quotidiana della società romana, fornisce delle soluzioni per molte applicazioni dell’ingegneria civile quando ricorrono interferenze tra valori archeologici e nuove realizzazioni di infrastrutture>>.

La strada, rintracciata ad una profondità di cm 50 circa, come previsto dai rilievi, è risultata perfettamente coerente con il tracciato rettilineo precedentemente solo ipotizzato. Nella porzione riportata in luce la carreggiata stradale è larga m 3.80 circa; il basolato si presenta sconvolto ma ben definito lungo i margini.

Il nuovo tratto di Via Latina

 

Parole d’ordine: valorizzazione, fruizione e riqualificazione

La prof. Ten afferma che i risultati conseguiti indirizzano le prospettive di ricerca delle Università coinvolte e del Parco Archeologico dell’Appia Antica a sondare il punto di intersezione tra la strada e la diramazione dell’Acquedotto privato della Villa che, provenendo da sud, doveva oltrepassare la Via per raggiungere la cisterna collocata presso il suo nucleo orientale, così da incrementare il livello di conoscenza relativo all’antico tracciato, progettare la sua conservazione e valorizzazione.

<<L’intervento sulla Via Latina avvia la riscoperta della villa di Sette Bassi attraverso una serie di progetti che verranno realizzati nei prossimi mesi per la conservazione del patrimonio, il miglioramento dell’accessibilità e della fruizione e la riqualificazione e rifunzionalizzazione degli immobili. L’ampliamento della conoscenza consentirà inoltre, dopo anni di chiusura, di riconsegnare alla cittadinanza un bene straordinario per tutti e fortemente identitario per la comunità locale>> –  conclude, infine il direttore del Parco Archeologico dell’Appia Antica Simone Quilici.

 

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NEWS | Ercolano restituisce nuovi resti delle vittime del Vesuvio

Gli archeologi hanno effettuato una nuova scoperta, un nuovo “fuggiasco” a Ercolano mutilato dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C.

La scoperta

I resti sono stati trovati sulla spiaggia della cittadina; qui, nell’ultima campagna di scavi degli anni ’90, vennero riportati alla luce nei magazzini più di 300 fuggiaschi che avevano cercato riparo nell’attesa di essere portati in salvo dalla flotta di Plinio il Vecchio.

I resti del “fuggiasco” da poco scoperti

I resti dell’uomo, un maschio di età matura sono stati trovati alla base del muro di pietra lavica che oggi chiude l’antico fronte a mare. Era riverso con la testa all’indietro in direzione del mare e circondato da pesanti legni carbonizzati, persino la trave di un tetto che potrebbe avergli sfondato la testa.

Le teorie sull’individuo
Il direttore del Parco di Ercolano, Francesco Sirano, che analizza i nuovi resti

Gli archeologi del parco si sono subito interrogati sull’identità di questa nuova vittima e sul suo ruolo nelle ultime ore della città. Ad esempio Francesco Sirano ipotizza: “Potrebbe trattarsi di un soccorritore, un compagno dell’ufficiale di Plinio che negli anni ’80 era stato trovato ad una ventina di metri di distanza da questo punto, sempre sulla spiaggia… Oppure uno dei fuggiaschi, che si era allontanato dal gruppo per raggiungere il mare sperando di riuscire a imbarcarsi su una delle lance di salvataggio”. In aggiunta a questo alcune ipotesi porterebbero nella direzione che potesse essere di vedetta in attesa delle navi da soccorso.

Le parole del ministro Franceschini
Il ministro Dario Franceschini

Il ministro descrive così la scoperta da poco effettuata:

“La sensazionale scoperta dei resti di un fuggiasco nel sito archeologico di Ercolano è una bellissima notizia, innanzitutto perché il ritrovamento è dovuto alla ripresa in questo luogo, dopo quasi un trentennio, degli scavi scientifici condotti dal personale tecnico del ministero…”.

Franceschini pone l’attenzione sullo studio dei resti: “…Le affascinanti ipotesi intorno al mistero che circonda la morte di quest’ultima vittima ritrovata dell’eruzione del 79 d.C. sono ora nelle mani degli studiosi, che possono gioire per questo risultato dovuto anche al sostegno del Packard Humanities Institute”.