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FLASH | Modica (RG), è morta l’archeologa Annamaria Sammito

È morta dopo una lunga malattia l’archeologa Annamaria Sammito, aveva 56 anni. Dal 2008 al 2012 ha ricoperto la carica di assessore alla Cultura nella giunta Antonello Buscema ed è stata dirigente archeologo presso la Soprintendenza di Ragusa.

Annamaria Sammito era professoressa di Archeologia tardoantica e medievale presso l’Università di Catania, nonché direttrice onoraria del Museo Civico di Modica (RG) dal 2002.

Tra le sue pubblicazioni sono presenti alcuni studi sull’archeologia preistorica, tardoantica e medievale. Nel cuore di Modica, la Sammito ha studiato a fondo la chiesa rupestre di San Nicolò Inferiore, cui ha dedicato gran parte della sua carriera.

Annamaria Sammito, 56 anni, scomparsa oggi
Annamaria Sammito, 56 anni
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SPECIALE GIORNO BUIO | Nel ricordo delle vittime di mafia: Nino D’Uva nelle parole del figlio Gennaro

Il 6 maggio del 1986 a Messina venne ucciso Nino D’Uva, avvocato penalista e difensore del maxiprocesso contro la mafia messinese, iniziato il 14 aprile dello stesso anno. Su 283 imputati, esponenti di spicco delle associazioni mafiose cittadine, una ventina avevano scelto lui come difensore; il processo fu estremamente complesso e D’Uva dimostrò tutta la sua professionalità cercando dialogo costruttivo tra le parti in causa. Nonostante ciò, circa un mese dopo, nell’ufficio del legale, nella centralissima via di San Giacomo a Messina, si consumò il suo brutale omicidio. Nino D’Uva spalancò inconsciamente le porte al suo assassino, che lo colse alle spalle, durante una telefonata, piantandogli un colpo di pistola alla nuca

Uva
L’avvocato Nino D’uva

Lunga e complessa è stata la vicenda giudiziaria che ha seguito l’assassinio D’Uva. In occasione della Giornata e dello speciale dedicatoparla per la nostra redazione Gennaro D’Uva, figlio di Nino; ringraziamo il deputato Francesco D’Uva, figlio di Gennaro, per averci messo in contatto con il padre.

Gennaro D’Uva, figlio di Nino D’Uva
Che persona era Nino D’Uva? Si sente di condividere con noi qualche ricordo in particolare di suo padre?

Non parlo di papà come avvocato, parlavamo pochissimo della sua attività professionale. Papà era un uomo di svariati interessi: se non avesse fatto l’avvocato avrebbe potuto fare l’insegnante di lettere, il critico d’ arte, magari lavorare in un teatro. Quando finiva la sua attività in studio ascoltava musica classica. Amava giocare a carte con gli amici: briscola e tressetteAmava tanto la buona cucina ed il mare e faceva lunghissime nuotate. Mi ha insegnato ad amare la musica. Ricordo che da piccolo mi portò a Taormina, in piazza Duomo eseguivano l’Histoire du soldat di Stravinsky e fu il primo dei tanti concerti insieme.

Quando compii 21 anni lo accompagnai a Roma in Cassazione e poi mi portò all’Auditorium di via della Conciliazione per ascoltare Natal Milnstein che eseguiva i concerti per violino di Mozart e Bruch e poi l’indomani al teatro dell’Opera in loggione per Cavalleria Rusticana e Pagliacci. Fino alla riapertura del Teatro «Vittorio Emanuele» con la difesa sulla Gazzetta del Sud della compagnia polacca – mediocre in verità – che eseguiva le opere: “Spezzo una lancia in favore dei polacchi” era il titolo. Vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno.

Come ha appreso la notizia della sua scomparsa? Ricorda il momento?

Ero a Roma per il primo giorno di corso di medicina del lavoro, un corso di 8 settimane. Alloggiavo all’hotel King in via Sistina ed avevo cenato al Circolo Ufficiali delle Forze Armate al Palazzo Barberini, ritornavo in albergo e vidi la gente che sfollava dal Teatro Sistina. Vidi gli zii romani di mia moglie e pensai che avessero preso parte allo spettacolo, ma, quando mi comunicarono la notizia, feci i bagagli, pagai il conto, il mio collega Stefano Tiano che aveva appreso la notizia dalla TV mi diede un tranquillante. Gli zii mi accompagnarono a Roma Tiburtina e presi il treno notturno per la Sicilia.

Il treno era deserto, feci un viaggio allucinante. La mattina a Villa San Giovanni mi prese mio cognato e mi accompagnò a casa di papà. La salma non c’era, era all’Istituto di Medicina Legale.

L’avvocato Nino D’Uva
Secondo lei oggi a Messina esiste ancora un circuito mafioso articolato oppure, negli ultimi anni, la lotta alle mafie sta debellando questa piaga?

Non so rispondere con vera cognizione. Ho l’impressione che la lotta alla mafia stia dando dei risultati qui a Messina. Ma la battaglia è ancora lunga e le recenti retate della Polizia indicano quanto ci sia ancora da fare.

E in Sicilia o, più in generale, in Italia?

La mafia mi pare di capire che abbia cambiato pelle e cerchi di insinuarsi nelle istituzioni, nelle gare d’appalto, nella grande corruzione. Magari spara di meno, ma per questo forse è ancora più pericolosa perché riesce a mimetizzarsi molto meglio. E ricordiamoci come la ‘ndrangheta stia proliferando al Nord e all’estero. Quando apprendo le notizie di arresti di colletti bianchi qui in Sicilia mi sento cascare le braccia.

Oggi è la ricorrenza della “Giornata più buia di Italia” che corrisponde agli omicidi di Aldo Moro, Peppino Impastato e generalmente di tutte le vittime delle mafie. Cosa prova in questo giorno particolare?

Magari tutti i Siciliani avessero lo stesso coraggio di Impastato. Ho vissuto il caso Moro, ero imbarcato su Nave Proteo quando arrivò la notizia. Il caso Moro è una delle pagine più buie della nostra Repubblica. Ancora oggi la verità non è venuta fuori, la sapremo mai?

Cosa si sente di dire a chi, come lei, ha vissuto situazioni simili o di consigliare a chi magari le sta vivendo ancora?

Io, malgrado tutto, continuo ad avere fiducia nello Stato, non mi voglio arrendere. Bisogna lavorare sui giovani, inculcare loro il valore della legalità, della correttezza e della giustizia. Assistiamo purtroppo a casi di mala politica, mala giustizia ecc… ebbene, non tutto è così! Ecco guardiamo come faceva papà al bicchiere mezzo pieno perché, nonostante tutto, io sono come lui: un ingenuo ottimista. Prima o poi ne verremo fuori.

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NEWS | “Addio, amato marito”, la regina Elisabetta annuncia la scomparsa del principe Filippo

Lutto nel Regno Unito: si spegne il principe Filippo, 99enne consorte della regina Elisabetta.
Il principe, nonché duca di Edimburgo, era stato dimesso di recente dopo alcune settimane in ospedale a Londra a causa di una non meglio precisata infezione – non legata al Covid, assicura ansa.it – cui si erano aggiunti problemi al cuore.

A dar l’annuncio è direttamente la regina in una nota diffusa da Buckingham, in cui la sovrana esprime “profonda tristezza” per la perdita “dell’amato marito”.

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Il principe Filippo e la regina Elisabetta a Broadlands per le loro nozze di diamante  (©Tim Graham/Getty Images)
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NEWS | È scomparsa Edda Bresciani, stimata egittologa italiana

Edda Bresciani è scomparsa ieri, 29 novembre 2020, in seguito a un ricovero nella clinica Barbantini di Lucca. La grande egittologa ed archeologa è stata ricordata con affetto dalle parole dei colleghi dell’Università di Pisa, dove insegnava, e dal sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini.

La nostra Redazione, addolorata per la grande perdita, vuole ricordare la Professoressa e la sua splendida carriera

Chi era Edda Bresciani

Edda Bresciani è stata archeologa ed egittologa, professoressa dell’Università di Pisa, nonché vero e proprio “mito” dell’Egittologia italiana.
Nata a Lucca il 23 settembre del 1930, dopo gli studi classici si iscrisse alla Facoltà di Lettere a Pisa. La Facoltà di Lettere, ricordava la Bresciani, era, all’epoca, l’unica considerata davvero adatta ad una donna, perché si riteneva fosse poco impegnativa intellettualmente. Tuttavia, la giovanissima Edda riuscì fin da subito a sovvertire l’ordine costituito, preparando la propria tesi di laurea su una materia che in Italia, negli anni ’50, era quasi sconosciuta: l’Egittologia, di cui all’epoca c’erano in Italia solo due cattedre, una a Milano, l’altra a Pisa, entrambe affidate a Sergio Donadoni.

Edda Bresciani
Edda Bresciani in un ritratto degli anni ’60

Medinet Madi e il Fayyum

La vita di Edda Bresciani non si legava soltanto alla cattedra pisana di Egittologia, ma anche, e forse soprattutto, alla regione del Fayyum, dove ha lavorato fino al 2011. Qui, dalla metà degli anni ’60 erano riprese le attività di scavo, dapprima con l’università di Milano, fino al 1969, poi con quella di Pisa. Già dal 1966 Bresciani era Direttrice responsabile della missione a Medinet Madi, il grande sito della regione del Fayyum, già investigato da Achille Vogliano negli anni ’30.
Medinet Madi è stato protagonista anche di una serie di progetti di cooperazione internazionale con l’Egitto per il  restauro e la musealizzazione. Negli anni 2000, oltre alle ricerche sul terreno, sono stati avviati due progetti: la realizzazione di un grande Centro visitatori e un progetto di restauro finalizzato alla creazione del Parco archeologico (progetto ISSEMM, in collaborazione con il Consiglio supremo delle Antichità egiziano e con il Ministero degli Esteri italiano). Dal 2011 Medinet Madi è un Parco archeologico amministrato dal governo egiziano.

Edda Bresciani
Edda Bresciani a Medinet Madi

Cercando un altro Egitto

Nel 1974 Edda ottenne per l’Università di Pisa la concessione di scavo alla necropoli di Saqqara, scavando la tomba di Bakenrenef, visir di Psammetico I – fondatore della XXVI dinastia saitica (664-624 a.C.) – che, nonostante fosse stata depredata già nel 1800, ha restituito splendidi reperti e pitture murali. Notevole il ritrovamento di una grande tela dipinta a tempera, risalente ad epoca romana, attualmente esposta al Museo del Cairo.
Dal 1978 diresse poi anche gli scavi a Gurna, presso Tebe, dove gli operai le regalarono una statuina, che la raffigura come un Faraone, con il suo nome scritto in geroglifici. Nello stesso anno fondò la rivista Egitto e Vicino Oriente, di cui era direttrice.  La sua personalità e la spontaneità con la quale si rapportava a colleghi e operai le valsero, nel Fayyum, l’appellativo di Mudira (dall’arabo mudir, “capo”), parola che, al femminile, fino ad allora non esisteva.

Archeologia e primavere arabe

Sebbene Edda Bresciani non avesse mai preso ufficialmente posizione nei riguardi dei vari rivolgimenti politici seguiti alla cosiddetta “stagione delle primavere arabe” dal 2011 in poi, l’archeologa toscana aveva continuato a gestire i rapporti bilaterali in ambito culturale lavorando per la conservazione e la tutela dei beni archeologici che aveva contribuito a riscoprire per quasi mezzo secolo. Numerose sono le onorificenze di cui l’egittologa è stata insignita: dalla Medaglia del Presidente della Repubblica ai benemeriti per la Scienza e la Cultura nel 1996, al “Campano d’Oro” dell’Università di Pisa nel 2012.