NEWS | Museo Egizio, nuove indagini sul corredo funerario di Kha e Merit
La tomba di Kha e Merit
Nei pressi del villaggio di Deir-el-Medina, il “villaggio degli operai”, durante una delle missioni di scavo, Ernesto Schiaparelli riportò alla luce, nel 1906, una piccola sepoltura, caratterizzata da una ricca decorazione e dalla presenza di un importante corredo con 467 oggetti; è la Tomba di Kha, responsabile dei lavori delle sepolture reali nella XVIII Dinastia, e di sua moglie Merit.
Il corredo della sepoltura è oggi un pezzo di spicco della collezione del Museo Egizio di Torino, giunto al museo, sotto la direzione di Schiaparelli. L’importanza della sepoltura dell’architetto Kha e di sua moglie Merit risiede nella presenza dell’intero corredo funerario intatto. Oltre sulle mummie dei proprietari, sono stati condotti diversi studi su molti dei reperti rinvenuti nella tomba.
È possibile approfondire l’argomento seguendo il Direttore del Museo Egizio, Christian Greco, in alcune delle sue Passeggiate del Direttore (qui i link alla prima parte e alla seconda parte).
Nuovi studi
Negli ultimi tempi sono iniziate nuove indagini su un singolo oggetto rinvenuto nella tomba: si tratta di un vasetto in alabastro alto poco più di 20 cm. Alcune analisi precedenti, non invasive o distruttive, avevano portato gli studiosi a ritenere che il contenuto fosse di natura organica – un mix di grassi e cere. Di recente, un nuovo studio è stato svolto dalla Dottoressa Giulia Festa in collaborazione con M. L. Saladino, V. Mollica Nardo, F. Armetta, V. Renda, G. Nasillo, R. Pitonzo, A. Spinella, M. Borla, E. Ferraris, V. Turina, e R.C. Ponterio. Il lavoro prende il titolo di Identifying the Unknown Content of an Ancient Egyptian Sealed Alabaster Vase from Kha and Merit’s Tomb Using Multiple Techniques and Multicomponent Sample Analysis in an Interdisciplinary Applied Chemistry Course.
L’analisi diretta del contenuto è avvenuta sul lino che ricopriva il tappo del vaso, su cui sono presenti alcune tracce di un materiale liquido, ormai solidificato. Per l’indagine, il team di studiosi si è avvalso dell’uso di diverse tecniche diagnostiche: fluorescenza di raggi X, microscopia elettronica a trasmissione, spettroscopia di raggi X, gascromatografia-spettrometria di massa e spettroscopia di risonanza magnetica nucleare. In base ai risultati delle analisi, il team ha ipotizzato che il materiale contenuto nel vaso potrebbe essere un grasso di origine vegetale, nel dettaglio un olio. Tuttavia, è solo un’ipotesi, considerato l’elevato grado di invecchiamento e l’esigua quantità di campione analizzabile.
Un progetto particolare
In questo studio è stato eccezionale l’approccio archeometrico applicato all’indagine e il gruppo di ricerca; infatti, l’archeometria prevede l’applicazione di diverse tecniche d’analisi, appartenenti spesso a campi differenti. Pertanto, alcuni studenti universitari del corso di Chimica Applicata ai Beni Culturali dell’Università di Palermo hanno avuto la possibilità di essere introdotti alle metodologie che normalmente sono messe in atto dai ricercatori, durante lo studio di un campione di pregio e interesse archeologico.