AcheoKids, associazione di giovani archeologi che racconta l’archeologia ai più piccoli, presenta un manuale di scavo dedicato ai bambini! Disponibile dal 3 giugno, Scava con ArcheoKids. Manuale del giovane archeologo si ripropone di provare a spiegare ai più piccoli cosa fa per davvero l’archeologo. Al bando, dunque, gli stereotipi cinematografici come Indiana Jones o Lara Croft! Via libera, invece, a stratigrafia, Harris e trowel!
Che cos’è l’archeologia? Come si diventa archeologi? Cosa si intende per stratigrafia? Dal lavoro sul campo all’esposizione al museo, passando per famose scoperte di siti archeologici (Pompei, Troia, Machu Picchu etc.). Scritto da cinque appassionati archeologi, il manuale racconta ai bambini, in modo leggero e lineare, una delle professioni più affascinanti di sempre.
I giovani appassionati scopriranno come si scava e quali sono gli indizi per scegliere dove farlo; conosceranno la differenza tra manufatti ed ecofatti, e quella tra tracce positive e negative; impareranno a stilare una relazione di scavo e a riconoscere le impronte del passato sugli edifici. Dal lavoro sul campo all’esposizione nel museo, gli autori costruiscono un percorso ricco di attività che coinvolgono i bambini e li aiutano a fissare quanto appreso. Il tutto accompagnato dalle coloratissime illustrazioni di Stefano Tognetti.
La parte finale del volume, inoltre, prevede una serie di schede di approfondimento per conoscere alcuni dei siti/reperti archeologici più famosi: Troia, l’Esercito di terracotta, Machu Picchu, Pompei, Stele di Rosetta, Grotte di Lascaux.
Il volume, edito da Editoriale Scienza, è disponibile per l’acquisto su Amazon e su Giunti.
È stato ritrovato a San Giusto (Trieste) quello che può essere identificato come un focolare preromano. I resti archeologici sono stati scoperti durante i lavori di risanamento e ammodernamento delle reti gas, acqua ed energia elettrica; AcegasAspAmga ha eseguito i lavori sul Colle di San Giusto, nella piazza della Cattedrale e sotto sorveglianza continua da parte di Archeotest S.r.l., impresa archeologica specializzata.
Evidenze materiali e ipotesi
Il ritrovamento dei resti del focolare protostorico conferma la tesi di un insediamento di epoca preromana sul castello di San Giusto. I materiali ceramici, rinvenuti in sequenza stratigrafica, sono riferibili a un periodo compreso fra la fine dell’Età del Bronzo e l’Età del Ferro (IX-VI secolo a.C.).
Scoperta anche una superficie pavimentale, riconducibile alla fase più antica della presenza romana a Trieste. Conserva tre dei quattro lati ancora coperti da intonaco bianco, dello stesso tipo di altri frammenti recuperati e risalenti all’età repubblicana. Gli elementi inducono a riconoscere la presenza sul Colle di San Giusto di un edificio pubblico antecedente alla colonia cesariana, sul margine settentrionale del ripiano.
Un insediamento rurale del I secolo d.C. , forse una villa rustica, riemerge dai lavori sulla linea ferrata Catania – Palermo,in località “Manca”.
Durante i lavori per il raddoppio della linea ferrata Catania – Palermo, in località “Manca”, presso Vallelunga Pratameno (CL), emergono degli antichi resti romani. Gli archeologi hanno riportato alla luce un antico insediamento rurale del I secolo d.C. durante l’attività di sorveglianza preventiva della Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta, diretta dalla Dott. essa Daniela Vullo. L’estensione dell’insediamento si stima comprendesse un’area di circa sei ettari e che dovesse essere una villa rustica. La struttura, posizionata in un luogo strategico per ambiente, esposizione e vicinanza al fiume Salicio, doveva essere focalizzata nella produzione cerealicola. Si inizia a ricostruire, quindi, la storia di un vasto appezzamento di terra, direttamente gestito da un ricco proprietario tra il I e il II secolo d.C. e dotato di un particolare tipo di villa, una “domus a peristilio”.
Lo scavo
Marina Congiu ha diretto lo scavo archeologico, iniziato a luglio, sotto la direzione scientifica della direttrice della sezione archeologica della Soprintendenza di Caltanissetta, Carla Guzzone. L’indagine archeologica attualmente è limitata a un saggio di 225 metri quadrati. Nonostante questo, già si attestano strutture murarie che non sembrano avere confronti nei rinvenimenti di Caltanissetta. Interessanti anche i ritrovamenti tra gli strati di crollo di alcune tegole col bollo. La presenza di alcuni elementi ceramici ipercotti e di scarti di lavorazione lascia pensare anche a una o più attività produttive all’interno della villa. La struttura doveva produrre in autonomia alcuni beni necessari allo svolgimento della vita quotidiana. Rimaneggiamenti e materiali di riutilizzo, così come l’abbondanza di ceramica, sembrano confermare inoltre che il complesso ebbe lunga vita e conobbe nel tempo diverse fasi d’uso. Tra i reperti ceramici trovati nello scavo si distinguono lucerne, anfore, vasellame da mensa in terra sigillata, un tipo di ceramica caratterizzata da una vernice rossa brillante e da ornamenti a stampo in rilievo, sia italica che africana, collocabili entro un arco cronologico compreso tra il I ed il IV secolo d.C.
Una prima ricostruzione della villa
Dalle prime analisi della villa è stato possibile identificare almeno 5 o 6 ambienti che si articolano a Est, a Nord e a Sud di un lungo e ampio portico a forma di L. Il portico era delimitato a Sud e a Ovest da muri esterni che inglobavano colonne fittili, create sovrapponendo dischi in terracotta legati tra loro da uno strato di malta. La copertura del portico era probabilmente una stretta tettoia a spiovente. A Nord e a Est del portico si disponevano degli ambienti coperti e a pianta quadrangolare divisi da muri. I vani dovevano avere più e diversi utilizzi. Il ritrovamento di un dolio, un grande contenitore per la conservazione del cibo, in uno di questi ha fatto ipotizzare alla funzione di magazzino. A Sud il portico cingeva invece un atrio o un’ampia corte scoperta, anch’essa di forma quadrangolare. Si ricostruisce quindi una ricca e articolata villa dotata di un cortile a peristilio, vale a dire circondato da porticati.
Verso nuovi orizzonti di ricerca
È molto probabile che l’insediamento rurale si articolasse in due aree: una pars dominica, la zona residenziale del padrone e della sua famiglia, e una pars rustica, lo spazio in cui si lavorava e produceva. La prosecuzione dello scavo avrà come prima finalità la precisa identificazione di tali spazi funzionali . Non solo: sarà estremamente importante mettere in luce gli ambienti posti a Nord e a Ovest del portico, zone che al momento sono occultate sotto le pareti corrispondenti del saggio.
Durante i lavori per le fognature sono state trovate tombe e ipogei forse appartenenti alla necropoli di Lilibeo
A Marsala, durante le operazioni per i lavori fognari, alcuni operari hanno fatto per caso una scoperta impressionante. A pochi metri di profondità i lavoratori, scavando, scorgono alcuni resti antichi. Ed ecco che riaffiorano ben 37 tombe e due ipogei, facenti parte della Necropoli di Lilibeo. Il luogo del ritrovamento è in Via de Gasperi, a Marsala.
Tra tutti i rinvenimenti, quelli che fanno più parlare sono gli ipogei: questi sono stati scavati per oltre 8 metri di profondità e nasconderebbero due camere. Una volta resisi conto del ritrovamento, gli archeologi hanno immediatamente fermato i lavori e allertato la Soprintendenza dei Beni Culturali di Trapani.
Lilibeo, l’antica Marsala
Le tombe e gli ipogei che sono riemerse a Marsala potrebbero essere un essenziale strumento per chiarire definitivamente l’importante storia dell’antica Lilibeo. Proprio sotto Marsala si estendeva, nell’antichità, la città di Lilibeo. Questa, di fondazione punica, successivamente fu modificata e sviluppata in età romana imperiale. In particolare, a testimonianza della fase romana, persiste l’area di Capo Boeo, che conserva i resti di una villa romana di fine II – inizi III secolo d.C. provvista di terme e pavimenti musivi.
L’ipogeo di Crispia Salvia
Tutti, insomma, sono con gli occhi puntati verso i due nuovi ipogei appena scoperti. Non è da escludere che sotto via de Gasperi a Marsala ci siano siti importanti come l’ipogeo di Crispia Salvia. Questo ipogeo, situato in un luogo non molto distante dal luogo dell’ultima scoperta e rinvenuto nel 1994, è molto interessante. Si tratta di un’area sepolcrale punica, che venne poi utilizzata, da pagani e cristiani, fino alla tarda età romano-imperiale e paleocristiana.
A Santa Marinella (RM) gli archeologi hanno scoperto il foro dell’antica colonia romana di Castrum Novum
Si è appena conclusa a Santa Marinella, presso Torre Chiaruccia (RM), la campagna di ricerca archeologica nel sito dell’antica colonia romana di Castrum Novum. Gli scavi sono a cura del Museo Civico del Mare e della Navigazione Antica di S. Severa. Il Direttore degli scavi Flavio Enei, archeologo, ha coordinato i lavori.
All’altezza del km 64.300 della via Aurelia, a ridosso del mare, gli archeologi hanno scoperto l’area del foro. Il foro era il centro pulsante di ogni città romana. Molto probabilmente intorno al foro di Castrum Novum si aprivano ambienti pubblici, portici, un’aula rettangolare e un probabile sacello. Sono emersi anche i resti del podiodi un tempio, posto su un lato dello stesso foro. L’indagine estensiva ha esplorato diverse fasi dell’insediamento, comprese tra il III secolo a.C. e la fine del V – inizi VI secolo d.C.
La storia di Castrum Novum
Castrum Novum fu una colonia romana fondata appunto nel III secolo a.C. e abbandonata nel VI secolo d.C.
Scoperta nel 1600, solo un secolo dopo viene scavata per la prima volta, grazie alla Reverenda Camera Apostolica. Gli scavi portarono alla luce numerose statue, ora custodite principalmente nel Museo Pio-Clementino presso i Musei Vaticani.
Le ricerche a Castrum Novum sono proseguite grazie al Gruppo Archeologico del Territorio Cerite, a partire dal 2015, con la collaborazione di istituzioni scientifiche ed universitarie italiane ed europee.
I ritrovamenti della campagna del 2019 hanno riguardato l’esposizione della porta di accessoEst alla città e parte del relativo Decumano. Lungo il suo fronte sono stati messi in luce i resti di basi di colonne e capitelli che documentano l’esistenza di un lungo portico appartenente ad un importante edificio pubblico.
Risale al periodo ellenistico (III-II sec. a.C.) l’urbanizzazione nell’enigmatica area dei Praedia di Iulia Felix
I praedia di Iulia Felix
I Praedia di Iulia Felixsono un complesso situato nella Regio II aPompei, da alcuni anni oggetto di ricerche archeologiche dell’Università di Pisa e della Scuola IMT Alti Studi di Lucca. I Praedia sono composti da un’abitazione privata (domus), un giardino con fontane, terme e un vasto parco. Il sito è molto importante: infatti, è collocato in un settore delimitato da una porta urbica, dalla necropoli di Porta Nocera, dall’Anfiteatro e dall’arteria stradale più importante della città, via dell’Abbondanza.
Le ultime scoperte
Durante la terza campagna di scavo, che si è conclusa pochi giorni fa, gli archeologi hanno fatto più chiarezza sul sito. Se gli scavi precedenti avevano portato alla luce la fase di prima età imperiale, quest’ultimo scavo ha aperto diversi orizzonti di indagine. Nella zona settentrionale del parco si è rinvenuta traccia di una più antica lottizzazione dell’area, certamente databile al periodo ellenistico. Questo dà la conferma che, prima dei praedia, ci fosse un più articolato assetto urbano. Il recupero di materiali votivi di età arcaica e classica impone anche una riflessione relativa ai luoghi di culto nelle fasi più antiche di Pompei.
PraediaProject: un prezioso contributo all’edilizia domestica di Pompei
Dal 2016 l’Università di Pisa ha avviato lo scavo dell’area dei Praedia di Giulia Felice. Il progetto Praedia, acronimo di Pompeian Residential Architecture Enviromental, Digital and Interdisciplinary Archive, si è svolto in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei, il Laboratorio Smart della Scuola Normale Superiore di Pisa (Sns) e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Lo scopo è quello di indagare il settore dell’edilizia domestica di Pompei con un approcciomultidisciplinare. Coordinatori del progetto sono Riccardo Olivito, ricercatore presso gli Alti Studi di Lucca, e Anna Anguissola, professoressa presso l’Università di Pisa e collaboratrice col laboratorio LARTTE nell’ambito del progetto “Solone”.
BIBLIOGRAFIA
Paesaggi domestici. L’esperienza della natura nelle case e nelle villeromane Pompei, Ercolano e l’area vesuviana, a cura di A. Anguissola, M. Iadanza, R. Olivito, Roma, L’Erma di Bretschneider 2020, Studi e Ricerche del Parco Archeologico di Pompei, 42
Dallo scavo l’insediamento risulta abitato in modo continuo dall’età preistorica a quella medievale.
Dal sito archeologico nel Comune di Montecilfone, tuttora in fase di scavo, stanno emergendo interessanti scoperte. Come riportano il Sindaco Giorgio Manes e la Soprintendenza archeologica del Molise, gli archeologi hanno già identificato l’esistenza di un insediamento antico, con una stratificazione complessa. Il luogo è rimasto attivo e abitato per un periodo molto esteso, che va dalla preistoria all’età medievale.
Lo scavo archeologico è preventivo: gli archeologi hanno iniziato le indagini in occasione dei lavori per la realizzazione del metanodotto Larino-Chieti. La Soprintendenza Archeologica Belle arti e Paesaggio del Molise, la cui Direttrice è la Dottoressa Dora Catalano, ha la direzione scientifica dello scavo.
I risultati dello scavo
Lo scavo, ancora da completare, ha già dato molti frutti. Tra i rinvenimenti di particolare interesse vi sono un tracciato viario, i resti di un tempio di età romana e due fornaci a pianta rettangolare. In particolare, le fornaci si sovrappongono a un abitato databile all’età preistorica, epoca risalente all’8.000 a.C. Durante lo scavo gli archeologi hanno anche trovato la sepoltura di un infante di età neolitica: insieme allo scheletro sono stati rinvenuti un corredo vascolare e i resti di due ovini.
La scoperta è di grande spessore storico e culturale, perché testimonia l’antica origine della popolazione del territorio. Per questo il Comune di Montecilfone ha avviato già alcuni progetti in vista della creazione di un complesso museale: il fine è quello di valorizzare e tutelare il sito, nonché di conservare i reperti, sia quelli già scoperti, sia quelli futuri.
Dagli scavi preventivi riemergono molte tracce di una villa romana rustica di età romano-imperiale
Gli archeologi di Lecce hanno rintracciato una villa romana rustica di età romano-imperiale. Il luogo di rinvenimento è nella zona 167, dove è posto il cantiere per l’impianto sportivo polifunzionale di via Potenza. Gli archeologi hanno fermato i lavori per l’impianto per effettuare gli scavi preventivi, dai quali stanno riemergendo molte testimonianze di un antico insediamento romano. I lavori nel cantiere dell’impianto sportivo sono, quindi, sospesi per i primi ritrovamenti archeologici, successivi a interventi di diserbo e pulizia dell’area. Tra i ritrovamenti vi sono un silos, un pozzo a pianta circolare, recante sulle pareti interne intonaco in cocciopesto, e due grandi cisterne a pianta rettangolare.
I primi ritrovamenti risalgono agli anni Settanta
Gli archeologi avevano già scoperto in passato tracce di un ricco edificio privato, in quest’area. La villa romana era emersa dai lavori di demolizione della Masseria denominata S. Elia alle Secare (S. Elia delle serpi), lavori fatti nei primi anni Settanta del secolo scorso.
La villa era già stata attribuita alla gens Marcia e aveva un’area sepolcrale. Qui i ricercatori avevano trovato rocchi di colonna a fusto liscio o scanalato e cippi funerari con iscrizioni, conservati presso i depositi della Soprintendenza. In particolare, di notevole interesse storico, è il cippo di Marcia Ianuaria. Questi reperti, scoperti negli anni Settanta, sono oggi custoditi presso il Museo Provinciale Sigismondo Castromediano.
BIBLIOGRAFIA
G. UGGERI, Notiziario topografico salentino, Contributi per la carta archeologica, 1971, pp. 288.
C. PAGLIARA, Note di epigrafia salentina III, pp. 72-74.
A. MARINELLI: Lecce, S. Elia a le Secare – Fattoria ed epigrafi sepolcrali di età romana imperiale – Notiziario Topografico Salentino, contributi per la Carta Archeologica, 1971. pag 288.
Gli archeologi, sotto la direzione di Rosa Maria Cucco, funzionaria archeologa della Soprintendenza palermitana, hanno portato alla luce un’anfora tombale. Il reperto è stato rinvenuto sulla strada provinciale 9bis, che collega Scillato a Collesano, vicino Himera. L’Associazione “Sicilia Antica” di Scillato ha scoperto e segnalato l’anfora alla Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Palermo. L’anfora è riemersa a causa della pioggia, che ha smosso il terreno ai lati della strada. Il personale della Direzione Viabilità della Città Metropolitana di Palermo ha facilitato le operazioni: questo dimostra quanto sia fondamentale la collaborazione tra gli Enti.
Particolarmente interessante è la tipologia tombale: una sepoltura a enchytrismòs. Attestata tra la fine del VI e l’inizio del IV secolo a.C., questa tomba si crea tagliando il vaso per lungo, per permettere l’inserimento del corpo del defunto e procedere quindi alla sepoltura. Il tipo di vaso più utilizzato in epoca imperiale è l’anfora, nonostante la sua natura commerciale. Le anfore tombali molto spesso contengono ossa di neonati e di bambini. All’interno dell’anfora gli archeologi hanno trovato anche un’anfora più piccola, con al suo interno il corredo funerario.
Nuovi orizzonti di indagine
Il ritrovamento di quest’anfora tombale potrebbe aprire gli archeologi verso nuovi orizzonti di indagine. Il sito infatti è poco distante dalla città di Himera, colonia greca fondata nel 648 a.C. dai Calcidesi provenienti da Zancle, l’odierna Messina (per approfondire clicca qui). Himera inoltre è stata teatro di grandi battaglie, in particolare contro Cartagine, che la distrusse nel 408 a.C. Gli archeologi quindi auspicano nuove ricerche, alla ricerca di una eventuale necropoli.
BIBLIOGRAFIA
CAMINNECI, V. 2012, Enchytrismòs. Seppellire in anfora nell’antica Agrigento, in V. CAMINNECI (a cura di), Parce Sepulto: il rito e la morte tra passato e presente, Agrigento 2012, pp. 111-132.
MAETZKE, G. 1964, Florinas (Sassari). Necropoli a enchytrismòs in località Cantaru Ena, Notizie degli Scavi di Antichità 1964, pp. 280-314.
Si è quasi conclusa la prima campagna di scavo archeologico del San Sisto Project, progetto triennale promosso dall’Università di Pisa e diretto da Federico Cantini, professore ordinario di Archeologia cristiana e medievale. Lo scavo ha interessato la Chiesa di San Sisto di Pisa.
Il giardino della chiesa: una curtis longobarda?
La scelta dell’area di scavo è presto detta: il toponimo Cortevecchia, attestato nelle fonti dal 1027, è un probabile indicatore dell’esistenza del centro amministrativo di età longobarda. Dalla cartografia storica pisana il giardino della chiesa risulta da sempre uno spazio libero da edifici e questo sembra confermare l’ipotesi che quest’area fosse un centro del potere politico e, in particolare, una curtis gastaldale longobarda.
Non solo indagare, ma anche raccontare: quando l’archeologia è social
Foto, hashtag, emoticon e tanta voglia di condividere
Il San Sisto Project è molto attivo sul web; non solo ha una pagina web personale, ma anche un profilo Facebook e un profilo Instagram. Sui social gli amministratori caricano quotidianamente notizie dallo scavo archeologico, per permettere a tutti gli utenti di seguire, passo dopo passo, le nuove scoperte e le interpretazioni degli archeologi.
La trowel in una mano, lo smartphone nell’altra, per immortalare i momenti di vita di cantiere, al momento giusto! (@sansistoproject)
Cosa è emerso dallo scavo archeologico
Gli archeologi hanno scavato l’area 5000, l’area 1000 e l’area 10.000, raggiungendo strati del XIII-XIV secolo. Nell’area 5000 sono stati rinvenuti numerosi materiali ceramici, alcuni impreziositi da stemmi familiari, che in questa fase preliminare sono stati attribuiti al Seicento. Dal giardino della Chiesa sono emersi reperti ossei e molti elementi architettonici in marmo e pietra serena. Tra questi, uno dei reperti più interessanti è senza dubbio la cosiddetta “pietra sacra”, una lastra quadrata di pietra con una croce incisa nel centro. Questa doveva ospitare delle reliquie e doveva essere collocata sulla mensa d’altare.
Verso nuovi orizzonti di indagine
Dal ritrovamento di alcuni reperti in questa prima fase degli scavi sembra certa una lunga e antica frequentazione dell’area. Gli archeologi del San Sisto Project non vedono quindi l’ora di tornare sul campo e di continuare a scavare, per riportare alla luce le fasi più antiche della città.
Non resta che attendere ulteriori notizie dal #sansistoteam e aspettare la prossima campagna di scavo.
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