È stata annunciata la quinta campagna di scavo del progetto “ArcheoTroina”, svolta nell’ambito dell’insegnamento di Metodologie della Ricerca Archeologica dell’Università degli Studi di Messina, sotto la direzione scientifica della Prof.ssa Caterina Ingoglia, e coadiuvata dal Dott. Lorenzo Zurla, in convenzione con il Parco Archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina insieme al Comune di Troina.
Troina, offerta e Partecipazione
La campagna avrà durata dal 29 Agosto al 7 Ottobre 2022. Coinvolgerà i partecipanti in attività di scavo e post-scavo: per la parte relativa alla necropoli, sono previste attività di ricerca archeo-antropologica, laboratori e studio dei reperti. Vitto e alloggio sono garantiti dal comune di Troina, e ai partecipanti verrà rilasciata una certificazione.
La call è aperta a studenti e laureati in Discipline Antropologiche e affini dell’Università degli Studi di Messina così come sono ben accetti studenti di altri Atenei, sia italiani che stranieri. I posti disponibili sono 16 e le domande di partecipazione dovranno essere inviate entro e non oltre Venerdì 8 Luglio 2022. È preferibile la partecipazione per l’intera campagna di scavo.
English Version
It has been announced the fifth excavation campaign as part of the “ArcheoTroina” project, which will be led by Professor Caterina Ingoglia, supported by Dr. Lorenzo Zurla.
The campaign will last from August 29th to October 7th and its participants will be involved in excavation and post-excavation activities. There will also be archeo-anthropological research activities regarding the necropolis. Laboratories and study of the findings will also be included. Room and board will be offered by the town of Troina.
Participation is open to all students and graduates of Anthropolgoical Disciplines and the like of the University of Messina and/or other Italian or foreign universities. There are 16 places available. Applications will have to be sent by Friday 8 July 2022.
In copertina: una parte dell’area oggetto di indagine (immagine via ArcheoTroina).
AcheoKids, associazione di giovani archeologi che racconta l’archeologia ai più piccoli, presenta un manuale di scavo dedicato ai bambini! Disponibile dal 3 giugno, Scava con ArcheoKids. Manuale del giovane archeologo si ripropone di provare a spiegare ai più piccoli cosa fa per davvero l’archeologo. Al bando, dunque, gli stereotipi cinematografici come Indiana Jones o Lara Croft! Via libera, invece, a stratigrafia, Harris e trowel!
Che cos’è l’archeologia? Come si diventa archeologi? Cosa si intende per stratigrafia? Dal lavoro sul campo all’esposizione al museo, passando per famose scoperte di siti archeologici (Pompei, Troia, Machu Picchu etc.). Scritto da cinque appassionati archeologi, il manuale racconta ai bambini, in modo leggero e lineare, una delle professioni più affascinanti di sempre.
I giovani appassionati scopriranno come si scava e quali sono gli indizi per scegliere dove farlo; conosceranno la differenza tra manufatti ed ecofatti, e quella tra tracce positive e negative; impareranno a stilare una relazione di scavo e a riconoscere le impronte del passato sugli edifici. Dal lavoro sul campo all’esposizione nel museo, gli autori costruiscono un percorso ricco di attività che coinvolgono i bambini e li aiutano a fissare quanto appreso. Il tutto accompagnato dalle coloratissime illustrazioni di Stefano Tognetti.
La parte finale del volume, inoltre, prevede una serie di schede di approfondimento per conoscere alcuni dei siti/reperti archeologici più famosi: Troia, l’Esercito di terracotta, Machu Picchu, Pompei, Stele di Rosetta, Grotte di Lascaux.
Il volume, edito da Editoriale Scienza, è disponibile per l’acquisto su Amazon e su Giunti.
Al Parco Archeologico di Segesta (TP) si conclude la sessione di scavi condotta conlaScuola Normale Superiore di Pisa, con la quale si consolida una più che decennale e fruttuosa collaborazione. La ricerca ha visto in campo l’équipe della Scuola Normale di Pisa, con studenti specializzandi e dottorandi provenienti da varie università. In particolare sono riprese le indagini nell’Agorà dove sono stati fatti importanti ritrovamenti. Fra questi, l’ingresso del monumentale accesso all’Agorà con l’iscrizione, rinvenuta qualche settimana fa, e la base di una statua in perfetto stato di conservazione.
Le indagini sono state quindi dirette dalle professoresse Anna Magnetto (Direttrice Laboratorio SAET, Scuola Normale Superiore) e Maria Cecilia Parra (docente di Archeologia della Magna Grecia e della Sicilia antica, Università di Pisa) e il dott. Riccardo Olivito (ricercatore IMT di Lucca) ha coordinato il lavoro sul campo; Carmine Ampolo, professore emerito della Scuola Normale, è stato presente, come già in passato, per lo studio del materiale epigrafico e degli aspetti storici. Presente in situ anche l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà.
In luce l’ingresso dell’Agorà, la base di statua e l’iscrizione
La piazza – Agorà – fu costruita, dal II secolo a.C., su tre terrazze digrandanti rifacendosi a modelli urbanistici e monumentali diffusi nelle città e nei santuari del Mediterraneo, dall’Asia Minore all’area egea e italica.
Lo scavo è stato condotto sul versante meridionale della grande piazza, dove un portico (stoà) monumentale chiudeva l’agorà. Il portico è stato realizzato facendo grandi tagli nella roccia con possenti opere di sostruzione lungo il pendio; un complesso imponente quindi quanto quello sul lato nord, riportato alla luce negli anni passati. Un portico superiore si affacciava sulla piazza e un corpo monumentale aveva una facciata a livello inferiore su un percorso viario. Qui si apriva un’ampia porta d’accesso con vani che dovevano avere funzione pubblica.
Un’iscrizione greca, riemersa durante gli scavi in prossimità della porta, arricchisce il quadro delle testimonianze di munificenza per la comunità (evergetismo) della Segesta ellenistico-romana: vi compare lo stesso nome che era iscritto su una base di statua nel teatro di Segesta, forse era il nome del suo finanziatore. Tutte queste testimonianze mostrano dunque il ruolo che avevano le grandi famiglie nella storia della Sicilia antica.
È stato ritrovato a San Giusto (Trieste) quello che può essere identificato come un focolare preromano. I resti archeologici sono stati scoperti durante i lavori di risanamento e ammodernamento delle reti gas, acqua ed energia elettrica; AcegasAspAmga ha eseguito i lavori sul Colle di San Giusto, nella piazza della Cattedrale e sotto sorveglianza continua da parte di Archeotest S.r.l., impresa archeologica specializzata.
Evidenze materiali e ipotesi
Il ritrovamento dei resti del focolare protostorico conferma la tesi di un insediamento di epoca preromana sul castello di San Giusto. I materiali ceramici, rinvenuti in sequenza stratigrafica, sono riferibili a un periodo compreso fra la fine dell’Età del Bronzo e l’Età del Ferro (IX-VI secolo a.C.).
Scoperta anche una superficie pavimentale, riconducibile alla fase più antica della presenza romana a Trieste. Conserva tre dei quattro lati ancora coperti da intonaco bianco, dello stesso tipo di altri frammenti recuperati e risalenti all’età repubblicana. Gli elementi inducono a riconoscere la presenza sul Colle di San Giusto di un edificio pubblico antecedente alla colonia cesariana, sul margine settentrionale del ripiano.
A due passi dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano è venuta alla luce una grande area di interesse archeologico. Si trova in via Zecca Vecchia, una zona circondata da palazzine in cui erano stati avviati dei lavori di edificazione di un albergo. In questo spazio, infatti, sede dell’ex garage/rimessa Sanremo e da poco demolito, la ditta ha interrotto le attività per indagare meglio il sito rinvenuto.
Quest’area è molto vicina alla zona di piazza San Sepolcro, dove si trovava il Foro romano di Mediolanum. Alla luce di ciò, gli archeologi prevedono uno scavo difficile e importante al medesimo tempo, atto a comprendere qualcosa in più riguardo la stratigrafia dell’area e ad identificare, quindi, le fasi di transizione. La Soprintendenza di Milano è già sul campo per coordinare le operazioni: Annamaria Fedeli ha ottenuto la direzione scientifica dello scavo; l’obiettivo è indagarenon solo le preesistenze romane, ma anche le probabili tracce del periodo precedente. Purtroppo, le operazioni richiederanno tempo e l’impresa sarà abbastanza delicata: questa parte del centro milanese, soprattutto nel periodo fascista, ha subito opere di abbattimento e riedificazione.
Da pochi giorni si sono concluse le operazioni di scavo della prima campagna di ricerche presso la necropoli messapica di Monte d’Elia ad Alezio (LE). Prosegue invece lo studio dei dati di scavo nell’ambito del Laboratorio di Archeologia Classica dell’Università del Salento da parte del team che include ricercatori del CNR – ISPC (soprattutto i Dott. Ivan Ferrari e Francesco Giuri), archeologi professionisti formati presso l’Università del Salento (in particolare i Dott. Patricia Caprino e Francesco Solinas) e studenti tirocinanti del corso di Laurea Magistrale in Archeologia (le Dott.sse Irina Bykova ed Elisa Lauri).
Alcuni saggi di scavo hanno permesso di recuperare informazioni sulla morfologia dell’area, sull’andamento del rilievo collinare che accoglie la necropoli di Alezio (LE); dalla sommità è possibile osservare sia il mare che l’antico insediamento messapico. Di estrema importanza è poi il dato che concerne l’identificazione di una grande piazza cerimoniale intorno alla quale si concentravano i gruppi di tombe appartenenti a nuclei di famiglie o clan; essa costituiva il punto di arrivo delle processioni che accompagnavano il defunto nell’ultimo viaggio dalla casa al luogo del seppellimento.
Identificata anche una fossa scavata nel terreno, dotata di pavimento in blocchi di calcare e di cornice in carparo; al suo interno erano accumulati i resti di almeno 12 individui, con alcuni oggetti da corredo: una lucerna, un piatto, una trozzella, due pesi da telaio ed un puntale di giavellotto. Alcuni di questi sono indicatori di genere, ovvero identificativi del sesso del defunto: la trozzella per le donne, le armi per gli uomini. Si tratta in sostanza di un ossario collegato al funzionamento della necropoli e alla prassi del riuso delle strutture funerarie per varie deposizioni.
Ossuario in corso di scavo nella necropoli di Alezio (LE)
Riposa lì anche un bambino
Un altro rinvenimento molto importante è costituito dalla tomba di un bambino, sepolto in un piccolo sarcofago con alcuni oggetti di corredo: un bicchiere per il vino (skyphos, σκύφος), un’anforetta, un sonaglio, un astragalo con funzione di giocattolo e anche uno strigile. Quest’ultimo è elemento che contraddistingue gli atleti e dunque sembra costituire un dono che sottolinea il mancato raggiungimento dell’età adulta.
Intorno alla tomba si dispongono numerose deposizioni secondarie: i resti di inumati precedentemente collocati all’interno di sarcofagi potevano essere rimossi e spostati per accogliere nuove deposizioni. Le ossa e gli oggetti di ornamento personale, come anelli e spille, venivano religiosamente raccolti e ricollocati nelle immediate vicinanze delle tombe. Un dato di straordinario rilievo è rappresentato dal rinvenimento di olive, quali offerte alimentari destinate ad accompagnare il viaggio nell’aldilà.
Tomba di bambino e deposizioni secondarie (Alezio, LE)
E’ uscito ieri il comunicato stampa della Soprintendenza del Friuli Venzia Giulia relativo alle indagini archeologiche fatte a Palù di Livenza. Dagli scavi, durati un mese e mezzo, gli archeologi hanno riportato alla luce ben tre villaggi palafitticoli e interessanti manufatti neolitici.
L’area archeologica di Palù
Il Palù di Livenza si estende in un bacino naturale alle pendici dell’altopiano del Cansiglio. Nell’Ottocento, oltre agli interventi di bonifica, ci furono i primi rinvenimenti di pali lignei e, durante lo scavo del Canal Maggiore nel 1965, fu scoperto un insediamento preistorico di notevole rilevanza archeologica.
A partire dai primi anni ’80 iniziarono le ricerche sistematiche, che portarono alla luce una parte del villaggio palafitticolo. L’area è parte dei Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino iscritti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO dal 27 giugno 2011. Dopo una lunga interruzione, gli archeologi hanno ripreso le indagini nel 2013, proseguendo con due campagne nel 2016 e nel 2018, per poi continuare con l’attuale scavo.
Una panoramica di Palù di Livenza (Archivio fotograico SABAP FVG). Da MICHELI 2017.
I villaggi palafitticoli sono infatti monumenti importanti per la comprensione della più antica civiltà agricola europea e delle forme di adattamento alle aree umide della regione alpina praticate dai gruppi preistorici. Michele Bassetti
Lo scavo archeologico del settore 3
Agli scavi ha partecipato la Società Archeologica CORA srl di Trento, sotto la direzione del Funzionario archeologo dott. Roberto Micheli. Per il progetto è stata essenziale la collaborazione dei Comuni di Caneva, Polcenigo e Aviano e il supporto del Gruppo Archeologico di Polcenigo. L’obiettivo era quello di scavare gli strati più antichi del Settore 3. Gli archeologi avevano ripreso le ricerche di questo settore già dal 2013, continuando anche nel 2018: la scelta dell’area è dovuta a un miglior stato di conservazione del deposito e alla vicinanza a strutture lignee dell’abitato neolitico.
Scavo del settore 3 nel 2018. Da MICHELI 2017.Settore 3 (2020).
Un ostacolo alla ricerca: la pioggia
L’area del Palù di Livenza è nota per le frequenti piogge e per l’umidità, ed è molto difficile prevedere gli improvvisi cambiamenti del tempo. Lo scavo è stato quindi rallentato molto dalle intense precipitazioni, che hanno interessato l’area dell’alto pordenonese. Spesso le indagini sono state sospese completamente, nonostante la presenza di un sistema di drenaggio.
I reperti archeologici
Negli scavi neolitici sono sempre numerosi i resti ossei di animali, i frammenti ceramici e gli strumenti di selce. Nel settore 3 si rilevano negli strati più profondi numerose mele selvatiche carbonizzate, oltre che abbondanti resti combusti di corniolo, ghiande di quercia e semi di farro, che suggeriscono la presenza di scorte alimentari bruciate.
A Palù gli archeologi, quest’anno, hanno raccolto due frammenti di asce in pietra levigata. Questi strumenti erano fondamentali per la trasformazione del legno e la produzione di manufatti in un periodo in cui non vi sono prove della lavorazione del metallo. Anche in questa campagna di scavo, così come negli scavi precedenti del settore 3, gli archeologi hanno scoperto numerse pintadere. Frequenti nelle culture neolitiche dei Balcani e dell’Europa centrale, sono stampi di terracotta che recano linee decorative incise o in rilievo, di vario genere: curvilinee, lineari, a zig zag e a reticolo.
Alcune pintadere rinvenute nel deposito tardoneolitico di Palù dallo scavo del 2016. Da MICHELI 2017.
Stupisce infine il ritrovamento di un cucchiaio di legno, perfettamente integro: questo dimostra le grandi capacità degli artigiani neolitici nella lavorazione del legno.
Il cucchiaio integro trovato nel settore 3 di Palù di Livenza.
Un grande progetto all’orizzonte
La campagna di scavo si conclude oggi, ma non finiscono le ricerche. Gli archeologi sperano di poter riprendere l’anno prossimo gli scavi e aspettano nuovi finanziamenti. L’obiettivo della Soprintendenza è quello di finire il prima possibile le indagini del settore 3, ultimo pezzo del puzzle. Tutti i dati raccolti dall’inizio delle indagini nel 2013 fino al completamento del settore 3 saranno poi oggetto di studio per ricostruire l’articolata storia dei diversi abitati individuati in questo sito.
Bibliografia
Micheli R. (ed.) 2017. Il Palù di Livenza e le palafitte del sito UNESCO: nuovi studi e ricerche, Pagine dall’ecomuseo 17 – Percorso acqua. Maniago (PN).
Micheli, R. et alii 2018. Nuove ricerche al Palù di Livenza: lo scavo del Settore 3. In Borgna, E., Cassola Guida, P. & S. Corazza (eds.), Preistoria e Protostoria del Caput Adriae, Studi di Preistoria e Protostoria 5: 481-490. Firenze: IIPP.
Si è quasi conclusa la prima campagna di scavo archeologico del San Sisto Project, progetto triennale promosso dall’Università di Pisa e diretto da Federico Cantini, professore ordinario di Archeologia cristiana e medievale. Lo scavo ha interessato la Chiesa di San Sisto di Pisa.
Il giardino della chiesa: una curtis longobarda?
La scelta dell’area di scavo è presto detta: il toponimo Cortevecchia, attestato nelle fonti dal 1027, è un probabile indicatore dell’esistenza del centro amministrativo di età longobarda. Dalla cartografia storica pisana il giardino della chiesa risulta da sempre uno spazio libero da edifici e questo sembra confermare l’ipotesi che quest’area fosse un centro del potere politico e, in particolare, una curtis gastaldale longobarda.
Non solo indagare, ma anche raccontare: quando l’archeologia è social
Foto, hashtag, emoticon e tanta voglia di condividere
Il San Sisto Project è molto attivo sul web; non solo ha una pagina web personale, ma anche un profilo Facebook e un profilo Instagram. Sui social gli amministratori caricano quotidianamente notizie dallo scavo archeologico, per permettere a tutti gli utenti di seguire, passo dopo passo, le nuove scoperte e le interpretazioni degli archeologi.
La trowel in una mano, lo smartphone nell’altra, per immortalare i momenti di vita di cantiere, al momento giusto! (@sansistoproject)
Foto dalla pagina Facebook San Sisto ProjectLa pagina Facebook di San Sisto Project
Cosa è emerso dallo scavo archeologico
Gli archeologi hanno scavato l’area 5000, l’area 1000 e l’area 10.000, raggiungendo strati del XIII-XIV secolo. Nell’area 5000 sono stati rinvenuti numerosi materiali ceramici, alcuni impreziositi da stemmi familiari, che in questa fase preliminare sono stati attribuiti al Seicento. Dal giardino della Chiesa sono emersi reperti ossei e molti elementi architettonici in marmo e pietra serena. Tra questi, uno dei reperti più interessanti è senza dubbio la cosiddetta “pietra sacra”, una lastra quadrata di pietra con una croce incisa nel centro. Questa doveva ospitare delle reliquie e doveva essere collocata sulla mensa d’altare.
Frammenti ceramici recuperati nello scavo, alcuni datati al V sec. a.C. Foto dalla pagina Instagram @sansistoproject.La cosiddetta pietra sacra, che doveva far parte di una mensa d’altare. In foto, il Professor Riccardo Belcari, responsabile dell’analisi di reperti e manufatti lapidei. (Fonte: @sansistoproject)Elementi lapidei frammentari in marmo e pietra serena trovati nel giardino della Chiesa di San Sisto. (Fonte: @sansistoproject)
Verso nuovi orizzonti di indagine
Dal ritrovamento di alcuni reperti in questa prima fase degli scavi sembra certa una lunga e antica frequentazione dell’area. Gli archeologi del San Sisto Project non vedono quindi l’ora di tornare sul campo e di continuare a scavare, per riportare alla luce le fasi più antiche della città.
Non resta che attendere ulteriori notizie dal #sansistoteam e aspettare la prossima campagna di scavo.
Il recinto delle feste, scavato tra il 1929 e il 1931 da Antonio Taramelli, e definito dal Giovanni Lilliu come luogo dedicato alla collettività, dopo degli interventi negli ultimi decenni da parte di Ercole Contu e Fulvia lo Schiavo, grazie ad un contributo statale nell’ambito dei fondi a valere sulla ripartizione della quota dell’8 per mille dell’IRPEF a diretta gestione statale per l’anno 2016, è stato possibile programmare l’inizio di una prima campagna di indagine al fine di conservare, valorizzare e salvaguardare tutta l’area. La campagna di scavo è iniziata il primo ottobre del 2019per un importo di 110.000 euro, grazie ad un progetto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna che interesserà varie aree archeologiche della Sardegna.
Il progetto di scavo
Il progetto di scavo interesserà tutto il villaggio di Santa Vittoria, la prima parte di tale progetto è stata avviata il primo ottobre scorso e la seconda vedrà l’avvio nei prossimi mesi, grazie ad un progetto della Soprintendenza che interesserà varie aree archeologiche del Sud Sardegna.
L’area archeologica di Santa Vittoria di Serri si trova all’estremità sud-occidentale della Giara di Serri, in un’area di oltre venti ettari, solo in parte riportata alla luce a partire dal 1907 grazie alle prime campagne di scavo ad opera dall’archeologo Antonio Taramelli. Dagli studi è emerso che tale sito archeologico abbia goduto di una continuità insediativa, dal periodo nuragico fino all’età medievale, e può essere considerato un grosso e strategico centro religioso, con ampia valenza storico-culturale e artistica.
Conferenza e apertura al pubblico
A partire dalle ore 11:30, nell’area archeologica di Santa Vittoria, verranno presentate le attività di scavo e ricerca nell’area dalla Soprintendente, la Dott.ssa Maura Picciau, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna, insieme alle direttrici dello scavo, le Dott.sseGianfrancaSalis e Chiara Pilo, entrambe funzionare archeologhe nel medesimo ufficio, e Samuele Antonio Gaviano, Sindaco di Serri.
Il cantiere archeologico è aperto al pubblico: curiosi, turisti e comunità locale potranno vedere gli archeologi al lavoro.
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