Riprendono gli scavi nell’area archeologica dell’antica Solunto, nei pressi di Santa Flavia (Pa) , effettuati dall’Università di Palermo dopo alcuni ritrovamenti dello scorso anno.
I lavori
I lavori fanno parte del programma didattico dei corsi di laurea magistrale in Archeologia e laurea triennale in Beni culturali sotto la supervisione dei professori Elisa Chiara Portale e Gilberto Montali.
Parco archeologico di Solunto
La zona interessata dalle ricerche è l’area sacra, dove si trova al santuario a monte del teatro; per l’inizio dei lavori si sono resi necessari alcuni interventi di pulizia preliminare ed in seguito l’apertura di alcuni saggi finalizzati alla verifica stratigrafica. Gli scavi hanno mostrato un legame tra il teatro e il terrazzo superiore con il tempio a due celle (della metà del II sec. a.C. circa). La stratigrafia dell’area mostra il passaggio dalle fasi antiche del IV secolo fino alla sistemazione architettonica, attualmente visibile, della metà del II secolo a.C.
Gli studenti dell’Università di Palermo durante i lavori di pulizia dei saggi
Nuove possibilità
I dati che arrivano dai saggi confluiranno nel lavoro in corso di rilievo, documentazione ed elaborazione digitale e di ricostruzione virtuale. Infatti, queste nuove indagini vanno di pari passo con la ricostruzione virtuale, realizzata dal professor Massimo Limoncelli.
Le ricostruzioni virtuali non solo permettono una riorganizzazione delle conoscenze acquisite, ma permettono di comprendere nella sua completezza tutta l’area di scavo, oltre alla possibilità di una migliore valorizzazione delle aree ricostruite.
Le parole di Alberto Samonà
Il cantiere appena avviato si pone l’obiettivo ambizioso di rendere nuovamente fruibile il percorso antico, che saliva, costeggiando la cavea del teatro, dalla zona centrale della città ai terrazzi sacri, e di valorizzare lo straordinario complesso teatro-santuario. Un’attesa che aprirà nuovi spunti nella lettura urbanistica della città di Solunto. L’archeologia è, infatti, materia viva, capace di regalarci continuamente nuove pagine nella lettura del meraviglioso libro che è la storia antica della Sicilia
Alberto Samonà, assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
L’archeologia dell’Università di Catania incrementerà la sua presenza in Medio Oriente.
Dopo le scoperte archeologiche nel Caucaso meridionale, infatti, sarà avviato nel 2022 il primo progetto di archeologia urbana a Baghdad promosso dal prof. Nicola Laneri del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania. Il progetto è reso possibile grazie alla collaborazione con l’Iraqi State Board of Antiquities and Heritage (SBAH), diretto dal prof. Hussein Laith. Il progetto archeologico è stato definito nel corso dell’incontro avvenuto in questi giorni a Baghdad dove il prof. Laneri siglerà la prossima settimana l’accordo di collaborazione tra l’Università di Catania con le autorità irachene. Gli scavi si svolgeranno nel sito di Tell Muhammed a Baghdad.
Il commento del Prof. Laneri
<<L’accordo che sarà siglato prevede uno scambio di know-how per il quinquennio 2022-26 e avrà l’obiettivo di far ripartire la ricerca archeologica – spiega il prof. Laneri, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente. Ma soprattutto – continua – una progettualità che possa permettere a Baghdad di tornare ad essere un polo d’attrazione turistica dopo le guerre che hanno martoriato l’Iraq durante il corso degli ultimi vent’anni. L’Urban Archaeology a Baghdad sarà anche una straordinaria opportunità per studiosi e studenti dell’Università di Catania di scoprire le vestigia di antiche società della Mesopotamia, la Terra tra i due fiumi culla delle prime civiltà, lungo il corso del fiume Tigri>>.
L’accordo – che verrà sottoscritto dal docente etneo con il prof. Hussein Laith, direttore dell’Iraqi State Board of Antiquities and Heritage – prevede anche un supporto da parte di studiosi e studenti dell’Università di Catania nello scavo dell’antica città di Baghdad che si trova lungo la sponda orientale del fiume Tigri.
Museo di Baghdad, il prof. Nicola Laneri accanto al Vaso di Warka
Nel corso della missione a Baghdad il prof. Nicola Laneri ha incontrato anche l’ambasciatore italiano in Iraq, Bruno Pasquino. <<L’ambasciatore italiano – spiega il prof. Laneri – ha evidenziato l’importanza strategica del progetto che potrebbe consentire di mettere a disposizione delle autorità locali la conoscenza e la tradizione italiana nello studio, restauro e promozione del patrimonio archeologico della città di Baghdad creando così il primo parco archeologico urbano della capitale irachena. A partire dal 2022 l’Università di Catania avrà quindi un’altra opportunità per promuovere le straordinarie capacità dei suoi studiosi nello studio delle società antiche>>, conclude il docente etneo.
Da sinistra i docenti Nicolò Marchetti (Università di Bologna), Tim Harrison (Università di Toronto), Hussein Laith (direttore generale SBAH) e Nicola Laneri (Università di Catania)
La Scuola Normale di Pisa insieme al Parco Archeologico di Segesta tornano a Entella: ripartono gli scavi nel sito di Entella, a Contessa Entellina (PA).
Il sito
Entella era una delle antiche città della Sicilia tradizionalmente attribuite agli Elimi (assieme ad Erice, Segesta e Iaitas). Sorgeva sulla Rocca di Entella, lungo il corso del fiume Belice sinistro. Nel 404 a.C. subì la conquista da parte di soldati mercenari campani; nei successivi secoli IV e III a.C. ebbe alterni rapporti con i Cartaginesi e coi Greci. Durante la prima guerra punica, si schierò dalla parte dei Romani.
Parte degli scavi effettuati su Rocca d’Entella
Il sito fu occupato dall’Eneolitico e dall’età del Bronzo, il pianoro e le pendici di Rocca d’Entella mostrano eloquenti resti della città antica, fiorente dall’età arcaica alla prima età imperiale, e poi ancora nel medioevo, fino al definitivo e forzato abbandono nel 1246.
Nuova campagna di scavo
La nuova campagna è svolta in unione tra il Parco Archeologico di Segesta e la Scuola normale di Pisa.
Palazzo Carovana, sede della Scuola Normale Superiore di Pisa
Le ricerche e lo studio su Entella dal 2018 rientrano anche nel “Progetto Elymos”, voluto dalla Direttrice del Parco Archelogico di Segesta, Rossella Giglio per la quale «è giunto il momento di raccogliere le fila di trent’anni di ricerche archeologiche e ricominciare a parlare degli Elimi, di Segesta, di Erice, Entella e di tutti quei siti che, grazie alla ricerca scientifica, hanno offerto alla storia nuove interpretazioni sulle nostre origini».
La direttrice del Parco Archeologico di Segesta, Rossella Giglio
Le aree dove si concentrano gli scavi di questa ultima missione saranno il complesso monumentale del Vallone est e il Palazzo fortificato medievale. Nel vallone orientale sono state riprese indagini mirate alla conoscenza del grande complesso pubblico che, tra il VI e il III secolo a.C., si articolò su quattro terrazze digradanti, costituendo il fulcro della città antica; qui si ipotizza possa trovarsi anche l’agorà.
Lì dove la bellezza della natura si incontra con la storia è avvenuta una grande scoperta. Siamo in Puglia, precisamente a Torre Guaceto (BR), dove è stata rinvenuta una necropoli della tarda Età del Bronzo, riconducibile al villaggio ubicato sul promontorio della Torre, simbolo dell’area protetta.
Gli scavi archeologici nella necropoli di Torre Guaceto (BR)
Nella sola area interessata dagli scavi sono state ritrovate ben quindici tombe risalenti al XIII-XII sec a.C. È un’area in cui l’inumazione era stata sostituita dalla cremazione, probabilmente a causa di problemi epidemiologici o grazie a un’evoluzione ideologica, spiega il professore Cavazzuti, direttore dello scavo.
Le urne funerarie sono state ritrovate in depressioni naturali della roccia o all’interno di pozzetti appositamente scavati. Queste contenevano, oltre ai resti umani, anche oggetti di corredo che, al momento della cremazione, venivano bruciati insieme al defunto.
I ritrovamenti durante lo scavo archeologico della necropoli di Torre Guaceto (BR)
Gli studiosi ritorneranno sul campo tra un anno, quando saranno terminate le analisi sui dati raccolti e non appena si riuscirà a ricostruire la storia della necropoli.
«Il nostro obbiettivo è proseguire sulla strada già intrapresa e implementare notevolmente la divulgazione scientifica in tema archeologico» – ha dichiarato il presidente Malatesta – «La nostra comunità e gli utenti tutti meritano di sapere cosa è stata Torre Guaceto nella storia e di fruire dei suoi beni. Il prossimo passo da fare è quello di realizzare un grande evento divulgativo già nel prossimo autunno per raccontare come proseguiranno i lavori di ricerca e progettare nuovi sistemi di fruizione sostenibile».
Tra giugno e luglio riprendono gli scavi con laboratori di catalogazione, GIS, rilievo fotogrammetrico e aerofotoinferpretazione, presso il sito medievale di Montecorvino (FG). Lo scavo, aperto a tutti gli studenti, garantisce vitto e alloggio e prevede due turni di circa quindici giorni: 21 giugno – 9 luglio e 12 luglio – 31 luglio 2021.
Trowel alla mano, dunque! Per adesioni o informazioni basta mandare una mail a scavomontecorvino@gmail.com o un messaggio in direct all’account Instagram.
In copertina: torre medievale di Montecorvino (FG), vista aerea da sud-ovest – foto: Scavi Archeologici di Montecorvino.
Il tratto diella Via Clodia emerso ad Anguillara Sabazia (RM) – foto: Roma Today
Dalle fonti si sa che questa parte dell’antica viabilità romana collega Roma con i centri dell’Etruria interna. La soprintendente Margherita Eichberg si è così espressa: «Il rinvenimento di questi due ulteriori tratti contribuisce a fare luce su quale fosse il suo esatto tracciato, andando ad aggiungere un ulteriore importante tassello alla conoscenza della viabilità antica e ad arricchire il variegato panorama dei beni culturali di Anguillara Sabazia».
Anche l’amministratore delegato di Italgas, Pier Lorenzo dell’Orco, ha voluto esprimere il suo pensiero sul rinvenimento: «I ritrovamenti testimoniano come l’approccio verso i territori in cui operiamo sia costantemente ispirato alla salvaguardia del patrimonio storico e archeologico del nostro Paese. Un impegno volto alla massima collaborazione con le Soprintendenze, anche oltre le norme, per favorire il recupero e la valorizzazione dei singoli ritrovamenti. Un valore per la comunità».
Il percorso dell’antica Via Clodia (da anticaviaclodia.it)
Il tracciato si presenta in buono stato di conservazione, tanto che si possono ancora ammirare i solchi lasciati dai carri. Una prima parte è stata rinvenuta sotto la strada moderna verso Nord. L’altra porzione è venuta fuori verso Occidente ed è visibile parzialmente, ma sarà studiata al meglio nei giorni a venire. Sappiamo inoltre che si conservano poche centinaia di metri della Via Clodia in località Cancelli (FI), restituiti da scavi della fine dell’Ottocento. Doveva essere una strada larga circa 4 metri e mezzo, secondo il parare degli studiosi.
Una porzione della Via Clodia nei pressi di Saturnia (GR), in Toscana (foto: Podere Santa Pia)
La pandemia da Covid-19 ha portato al mutamento di tante delle nostre abitudini, anche nel settore dell’archeologia e dei beni culturali.Università, musei, poli culturali, scavi archeologici hanno dovuto fare i conti con la realtà e adattarsi alle nuove esigenze anche con l’aiuto dei mezzi tecnologici e informatici. Incalcolabili i danni e i disagi causati dalle restrizioni anti-Covid, soprattutto in ambito accademico e didattico: a soffrire di più sono le migliaia di studenti costretti non solo a una didattica oramai quasi esclusivamente a distanza, ma anche all’interruzione di tutte quelle attività formative come seminari, convegni, scavi didattici.
Lo stato degli scavi archeologici
Molte sono le campagne di scavo archeologico mai partite a causa della pandemia. Altre invece, sono state condotte con un numero ridotto di personale e per periodi di tempo più brevi.Non sono mancati le eccezioni come gli scavi proseguiti senza troppe limitazioni e che al contrario hanno incrementato notevolmente i risultati della ricerca sul campo, come nel caso di Pompei e dei suoi recenti e straordinari ritrovamenti.
Una discussione a parte merita la questione degli scavi didattici. Durante l’estate del 2020, il rallentamento dell’ondata epidemica e le temperature favorevoli, hanno permesso una piccola e claudicante ripresa degli scavi rivolti agli studenti. Ripresa che si è bruscamente arrestata con la nuova ondata epidemica, che ha causato un rallentamento della ricerca e un ingente danno per accademici e studenti.Non è cosa facile riuscire a fotografare in maniera universale la situazione degli scavi archeologici, soprattutto didattici, in Italia. L’incertezza lavorativa che ha contraddistinto il 2020, continuerà, probabilmente, ancora nel 2021, ma con una nuova e maggiore consapevolezza della situazione. L’impressione e l’intenzione è quella di ripartire, di scavare e lavorare sul terreno, a maggior ragione se i grandi spazi aperti lo permettono.
Le limitazioni ai viaggi e agli spostamenti peseranno ancora molto: i gruppi di lavoro saranno meno numerosi e quando necessario si preferirà lavorare da remoto, con tutti i vantaggi e gli svantaggi.Un aspetto positivo, effetto della pandemia, si potrà rilevare nell’ambito della sicurezza. Le regole di igiene e distanziamento porteranno a una maggiore attenzione alle condizioni di lavoro e di alloggio di archeologi esperti e studenti; si tenderà sempre meno all’utilizzo di strutture spartane e di fortuna.
La testimonianza dall’Università di Pisa
“Un conto è la teoria, un altro è la pratica” e uno studente di archeologia questo lo sa bene.
Non importa quanto bene abbiamo studiato i testi di Carandini, quanti matrix abbiamo disegnato alla lavagna la notte prima dell’esame di metodologie dello scavo archeologico. Ogni studente ricorderà perfettamente l’esatto momento in cui, il primo giorno su un cantiere di scavo, Carandini & co sono spariti in una nuvola di fumo per fare spazio alla realtà di scavo nuda, cruda, e irresistibile.Ma se da un lato, la didattica a distanza ha permesso agli studenti di continuare a studiare l’archeologia sui pesanti manuali e sulle slide, meno fortuna ha avuto la parte più importante della formazione di un archeologo: lo scavo didattico.
Dall’inizio della pandemia molti sono stati i cantieri abbandonati e rimandati in un futuro prossimo(si spera!). Lo scavo archeologico, oltre ad essere una palestra indispensabile per i futuri archeologi, è un banco di prova. Molti ragazzi non hanno idea di come possa essere la vita durante un cantiere, e capita qualche volta che per quanto si possa amare l’idea dell’archeologia, ci si rende conto che quella non è la vita che fa per tutti. Questo è un aspetto molto importante, che i nuovi iscritti ai corsi di archeologia non hanno potuto sperimentare. Per non parlare del problema dello studio dei reperti e delle analisi di laboratorio post campagna di scavo. Tutto si è fermato, le ennesime cassette di materiali messe a prendere polvere nei magazzini!
Lo stop ai lavori non ha risparmiato nessun ateneo italiano, e noi di ArcheoMe abbiamo raccolto qualche testimonianza di studenti, docenti e ricercatori che ci hanno raccontato dei disagi che tutto ciò ha comportato.
Il dott. Gianluca Martinez, responsabile dei rilievi di scavo
Gianluca Martinez, responsabile dei rilievi e del GIS per gli scavi diretti dal dipartimento di Archeologia medievale dell’Università di Pisa, ci parla dei progetti che hanno dovuto interrompere e dell’importanza delle attività di laboratorio post scavo, che quest’anno sono rimaste ferme:
“L’Università stava indagando su tre diversi siti tardo antico-medievali: San Genesio, nel comune di San Miniato (PI), la villa dell’Oratorio a Capraia e Limite (FI) e uno scavo in Sicilia, in provincia di Ragusa. Essendo tutti fuori dal comune di Pisa, non abbiamo potuto proseguire con la campagna di scavo da quando è iniziata la pandemia. La nostra preoccupazione più grande è non sapere quanti e quali danni abbiano riportato le strutture parzialmente scavate e in che condizione troveremo la stratigrafia che avevamo messo in luce nelle scorse campagne di scavo. Probabilmente troveremo un terreno diverso da quello con cui ci eravamo rapportati gli anni scorsi“.
Un secondo problema è stato quello dello studio dei dati provenienti dallo scavo:
“Molti pensano che l’attività di ricerca si limiti al cantiere di scavo, tanti ragazzi passano con noi 2 o 3 settimane e poi vanno via, non sanno che la maggior parte del lavoro continua nei laboratori e dura tutto l’anno. Quest’anno tutto il materiale proveniente dai tre siti indagati è rimasto nelle cassette, ci sarà molto lavoro arretrato che dovremo svolgere giorno e notte se vorremo rimetterci al passo con le prossime campagne”.
Ma il dipartimento di Archeologia medievale non è rimasto completamente immobile ed è andato avanti, aprendo un nuovo cantiere nel cuore pulsante di Pisa: è nato così il San Sisto project che ha permesso agli studenti di continuare le attività di scavo, nel pieno rispetto delle normative anti Covid-19. Anche le attività di laboratorio hanno trovato modo di raggiungere gli studenti a distanza: “Anche se non possiamo lavorare sui reperti, abbiamo portato avanti le attività di laboratorio in maniera del tutto digitale, con l’informatizzazione delle schede di cantiere e concentrandoci sulle tecniche di rilievo e GIS che saranno sempre di più parte integrante e fondamentale di uno scavo archeologico”.
(In copertina: studenti dell’Università di Pisa durante le prime campagne di scavo alla Villa dei Vettii (Oratorio, PI), 2010.
Veduta aerea dell’impianto termale della Villa dei Vertici, anche detta dell’Oratorio (Capraia e Limite, FI)Cripta dell’insediamento religioso di San Genesio (PI)Mosaico della “caccia al cinghiale”, Villa dell’Oratorio (Capraia e Limite, FI)
La testimonianza dall’Università di Messina
Come già accennato, sono poche le università che hanno deciso di gestire degli scavi in una situazione tanto complessa. La maggior parte delle università, invece, ha bloccato ogni esperienza diretta sul campo. Una di queste è l’Università di Messina, come testimonia la prof.ssa Caterina Ingoglia, docente di Metodologie dello scavo archeologico:
“Come in molte altre università si sono interrotte le attività, sia all’aperto che dentro i depositi. Si sono interrotti i tirocini di scavo e tutti i laboratori che non potevano essere svolti se non in presenza. Abbiamo quindi incrementato soprattutto le attività seminariali che non richiedono presenza. Un anno di interruzione dell’attività di scavo può favorire lo svolgimento di altri tipi di ricerca, ma con le biblioteche chiuse, o comunque parzialmente utilizzabili, anche quello non è facile”.
Ma il clima di incertezza e sconforto non si sofferma solo sul fermo scavi. “I rischi sono seri ovviamente” – continua la prof.ssa Ingoglia – “Bisogna evitare il contagio. Non è facile poter garantire agli studenti una stanza ed un bagno ciascuno, la possibilità di pranzare e cenare a distanza, etc. etc. quindi aspettiamo di essere tutti vaccinati, docenti e studenti”.
Ciò che è certo è che moltissimi studenti stanno perdendo l’opportunità di fare esperienza diretta sul campo, un’esperienza fondamentale in un contesto come quello archeologico. La professoressa si augura “di poter fare recuperare, per quello che riguarda il mio ruolo, l’attività di formazione sul campo a tutti gli studenti che sono stati penalizzati dal covid, ma potrò organizzare questi recuperi solo quando ci sarà la garanzia della sicurezza della salute“.
La testimonianza dall’Università di Milano
“Nel mio piccolo, ho sperato fino alla fine che i tirocini si potessero portare avanti. Ma così non è stato. Molti tirocini sono stati accantonati, non solo nell’ambito dell’archeologia, a causa dell’emergenza sanitaria dando, giustamente, priorità allo svolgimento dei tirocini per le aree mediche. Ciò che però dev’essere sottolineato è l’importanza fondamentale che il tirocinio, l’esperienza diretta sul campo, riveste per noi del settore archeologico. Durante la quarantena, inoltre, la mia speranza era quella di poter riprendere gli scavi in estate. Quando ho capito che non sarebbe stato possibile, la reazione non è stata sicuramente delle migliori”.
Uno stato di sconforto, dunque, quello che emerge con chiarezza dalle parole di Clelia Marchese, laureata in Archeologia all’Università di Messina e studentessa di Archeologia all’Università di Milano. La speranza di tornare alla normalità, però, non ricade solo ed esclusivamente sull’aspetto pratico degli scavi didattici. Le attività di tirocinio sul campo tengono viva una passione personale non indifferente, passione che nell’ultimo anno ha trovato appagamento solo per pochi fortunati.
Scavi di emergenza
L’unico settore, per quanto riguarda l’Archeologia e i Beni Culturali, a subire meno variazioni è quello degli scavi di emergenza. Al contrario si è notata una maggiore attenzione alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Fondi e incognite sul futuro
In che modo ripartirà il settore archeologico e in generale dei Beni Culturali? Ci saranno nuovi fondi e maggiori investimenti?
Le incognite sono ancora molte, non solo in riferimento agli aiuti economici, ma anche e soprattutto per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro sul campo per gli addetti ai lavori di tutte le fasce, studenti compresi.
Maria Carmela D’Angelo, Oriana Crasì e Vera Martinez
Via a nuove operazioni di scavo archeologico per portare alla luce le diverse fasi di vita del Foro di Cesare. Le indagini avranno come oggetto di studio il lato orientale tra i Fori Imperiali e il Belvedere. Lo scavo potrà essere attuato grazie alla donazione di 1.500.000 euro dall’Accademia di Danimarca con la Fondazione Carlsbers di Copenaghen e la Aarhus University Research Foundation. Le operazioni verranno invece condotte dalla Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Il finanziamento è frutto di un accordo rinnovato tra Soprintendenza e Accademia in vigore già dalle prime fasi di scavo del sito, pubblicate nel 2017.
“Roma ci riserva continue sorprese: l’avvio degli scavi del Foro di Cesare ci consente di riportare alla luce diverse fasi di vita di questo settore urbano che presenta una stratificazione molto ricca, come emerso dalle indagini condotte dalla Soprintendenza negli ultimi decenni. Ringrazio Sua Maestà la Regina di Danimarca Margherita II e l’Accademia di Danimarca per questo importante atto di mecenatismo. Con il sostegno di tutti continuiamo a scoprire la nostra storia“. Ha dichiarato così Virginia Raggi.
Foro di Cesare (RM)
Gli obiettivi del nuovo scavo archeologico del Foro di Cesare
Lo scopo del progetto è ampliare l’area archeologica del Foro di Cesare e recuperarne membrature architettoniche dal sottosuolo. Le ipotesi degli archeologi contemplano la possibile presenza di parti del Tempio di Venere Genitrice e del portico orientale della piazza.
Parte del Tempio di Venere Genitrice (RM)
Durante la pulitura dell’intera area archeologica nel 2019, sono riemersi edifici del secolo scorso abbattuti per l’apertura dei Fori Imperiali. Inoltre, precedentemente all’avvio dello scavo, sono state attuate numerose ricerche e studi interdisciplinari sulle fasi del complesso monumentale, da studio di reperti degli scavi 1998-2000 e indagini bibliografiche.
“Lo scavo del Foro di Cesare costituisce una nuova importante occasione di ampliamento della conoscenza dell’area forense nella sua integrità. Scopo condiviso con Roma Capitale da sempre è quello di restituire al pubblico e alla comunità scientifica un viaggio nella storia di Roma“. Queste sono le parole della Direttrice del Parco archeologico del ColosseoAlfonsina Russo.
Infatti, gli archeologi inizieranno con lo scavo del primo lotto esplorando 400 mq su una superficie totale di 13.300 mq. Le indagini dovrebbero concludersi nel mese di agosto del 2021.
Da alcuni giorni hanno avuto inizio le operazioni di rilievo archeologico dell’area archeologica di Carminiello ai Mannesi. L’area archeologica di età romana imperiale si trova in via Duomo, nel Centro Storico di Napoli.
Precedentemente, a Settembre 2020, erano state effettuate numerose opere di riqualificazione dell’area. Infatti, il sito verteva in condizioni di abbandono talmente gravi da essere ignorato dai turisti. Tale incuria ha pregiudicato la valorizzazione e la fruizione dell’area, nonostante questa risulti essere di capitale importanza: il sito è una delle poche aree archeologiche napoletane ad aria aperta, essendo la città moderna costruita sulle rovine antiche.
Area Archeologica di Carminiello ai Mannesi (NA) prima della riqualificazione.
Il Centro Storico di Napoli è patrimonio UNESCO, queste nuove operazioni possono essere interpretate come un riavvio degli scavi archeologici, nell’ottica del progetto UNESCO per la sua valorizzazione.
L’area archeologica di Carminiello ai Mannesi
Il sito archeologico si trova nella zona di Forcella, in Via Duomo, nelle vicinanze della grande opera dell’artista Jorit rappresentante il grande San Gennaro.
I resti appartengono al periodo romano-imperiale (I sec. a.C.- II sec. d.C.) e consistono in un grande complesso edilizio, con la presenza anche di terme e di un santuario di Mitra. Le rovine scoperte durante la seconda guerra mondiale e messe in luce dopo i bombardamenti del 1943, sono uno dei pochi siti visibili dell’antica Neapolis e sono tutelati dalla Soprintendenza Archeologica napoletana.
Area Archeologica di Carminiello ai Mannesi (NA).L’Area Archeologica vista da Via Duomo-Forcella (NA).
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