Giovedì 4 marzo 2021, alle ore 9:00, si terrà il convegno “Archeologhe della Sapienza. Antonia Ciasca a venti anni dalla scomparsa (2001-2021)”. L’iniziativa si svolge in occasione dei 20 anni dalla scomparsa dell’insigne archeologa della Sapienza; la Prof.ssa Ciasca è stata la prima docente al mondo di Archeologia fenicio-punica e Antichità puniche.
La Sapienza ricorderà inoltre le numerose figure di archeologhe che hanno condotto ricerche di primo piano in ogni ambito dell’Archeologia del Vicino e Medio Oriente e del Mediterraneo. Al saluto della rettrice Antonella Polimeni seguiranno gli interventi di Marcella Frangipane, Frances Pinnock, Marta D’Andrea, Paola Buzi; ma anche di Francesca Balossi, Maria Giulia Amadasi, Maria Pamela Toti, Federica Spagnoli, Gilda Bartoloni, Clementina Panella, Francesca Romana Stasolla, Eugenia Equini Schneider, Maria Vittoria Fontana. Serena Maria Cecchini concluderà l’incontro. Inoltre, per avere informazioni aggiuntive sui temi che verranno trattati, è possibile consultare il booklet del Convegno a questo link. Si riporta anche il link della conferenza che si svolgerà su Meet; sarà disponibile anche in diretta Facebook sulla pagina del Museo del Vicino Oriente, Egitto e Mediterraneo della Sapienza (MVOEM). Segue il programma.
Un team internazionale di genetisti, archeologi, antropologi e fisici, tra cui Alfredo Coppa del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, ha analizzato il Dna di 174 individui che vivevano più di 2000 anni fa in quelle che oggi sono le isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela. Lo studio, pubblicato su Nature, ha messo in luce la storia delle popolazioni caraibiche prima dell’arrivo degli europei, rispondendo a domande rimaste irrisolte fino a questo momento.
La prima colonizzazione dei Caraibi risale all’inizio dell’epoca arcaica, circa 6000 anni fa. Dopo circa 3/4000 anni è iniziata l’Età della ceramica e ancora altri 2000 anni dopo sono arrivati i primi navigatori europei. Molte sono le domande che riguardano le popolazioni originarie di queste terre, lavoratori della pietra prima e della ceramica dopo: se avessero o no la stessa discendenza; quanto numerose fossero al momento dell’arrivo dei colonizzatori europei e se gli abitanti moderni delle aree che oggi corrispondono alle isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela abbiano un Dna riconducibile alle antiche popolazioni.
Lo studio
Il più grande studio condotto fino a questo momento sul Dna antico, coordinato dalla Harvard Medical School e pubblicato sulla rivista Nature, ha risposto a queste domande grazie al lavoro di un team internazionale di genetisti, archeologi, antropologi e fisici, tra cui Alfredo Coppa, che ne è stato il promotore, del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma.
Lo studio ha analizzato il patrimonio genetico di 174 individui oltre ad altri 89 genomi sequenziati precedentemente. Questa mole di dati fa sì che oltre la metà delle informazioni da Dna antico oggi disponibili per le Americhe provenga dai Caraibi, con un livello di risoluzione fino a ora possibile solo in Eurasia occidentale. Di questi 174 genomi, l’80% sono stati studiati e messi a disposizione da ricercatori di Sapienza. I risultati del lavoro indicano che ci sono differenze importanti tra le popolazioni arcaiche preceramiche che lavoravano la pietra e quelle che lavoravano l’argilla, che la popolazione autoctona di queste aree era meno numerosa di quanto ritenuto fino a ora al momento dell’arrivo degli europei e infine, che l’attuale popolazione di molte isole caraibiche discende da popoli che le abitavano prima dell’arrivo dei colonizzatori.
L’origine delle popolazioni caraibiche
Inoltre i dati ottenuti hanno permesso di escludere che le popolazioni caraibiche dell’Età arcaica abbiano avuto connessioni con quelle dell’America del Nord, come ritenuto fino a oggi, e di attribuire la loro discendenza da una singola popolazione originaria o dell’America Centrale o di quella Meridionale.
Le popolazioni dell’Età della ceramica presentavano un profilo genetico differente, più simile ai gruppi del nordest dell’America meridionale (di lingua Arawak), un dato congruente con le evidenze ottenute su basi archeologiche e linguistiche. Da quanto osservato sembrerebbe, infatti, che questi popoli abbiano migrato dal Sud America verso i Caraibi almeno 1700 anni fa, soppiantando le popolazioni che lavoravano la pietra, quasi completamente scomparse all’arrivo degli europei (restava una piccola percentuale nell’isola di Cuba). Ciò conferma che gli incroci tra queste due popolazioni erano estremamente rari.
La produzione di manufatti ceramici
Quanto alla lavorazione dell’argilla per la produzione di manufatti di ceramica, lo studio ha evidenziato che nel corso dei 2000 anni trascorsi dalla loro comparsa fino all’arrivo degli europei, si sono avute differenze tra i vari stili ritenute, negli anni passati, il risultato di flussi di popolazioni provenienti da fuori i Caraibi. In realtà è emerso che a tali varietà di manifestazioni artistiche non corrispondono cambiamenti genetici o evidenze di un contributo genetico sostanziale da parte di gruppi continentali. I risultati testimoniano invece la creatività e il dinamismo di queste antiche popolazioni che hanno sviluppato nel tempo questi stili artistici straordinariamente diversi tra loro.
La presenza di reti di comunicazione tra questi gruppi che producevano vasellame potrebbero aver agito da catalizzatori nella diffusione delle transizioni stilistiche osservate attraverso tutta la regione.
I risultati genetici – spiega Alfredo Coppa della Sapienza, che per anni ha studiato la morfologia dentale delle antiche popolazioni dei Caraibi –si allineano con il riscontro fatto nelle popolazioni dell’epoca arcaica che si differenziavano significativamente da quelle dell’epoca della ceramica. Tuttavia, rimangono ancora da spiegare queste differenze e occorreranno ulteriori studi per determinare se siano dovute a forze micro-evolutive che in qualche modo risultano essere rilevabili mediante la morfologia dentale, ma non alle analisi genetiche, o se invece queste possono essere conseguenza di abitudini diverse.
Il Dna come mezzo per misurare le dimensioni di una popolazione
L’elevato numero di campioni esaminati ha infine permesso una stima della dimensione della popolazione caraibica prima dell’arrivo degli europei: il metodo, sviluppato da David Reich, co-autore dello studio e docente della Harvard Medical School e della Harvard University, usa campioni presi in modo casuale, valuta quanto siano imparentati tra loro ed estrapola dati sulla dimensione della popolazione di origine. Tanto più i campioni risultano essere imparentati, tanto più piccola sarà, plausibilmente, la popolazione di origine; meno risultano essere imparentati, tanto più grande dovrebbe essere stata la popolazione.
Essere in grado di determinare le dimensioni delle popolazioni antiche utilizzando il Dna significa avere uno strumento straordinario che, applicato nei diversi contesti mondiali, permetterà di fare luce su moltissime domande – dicono i ricercatori – ma indipendentemente dal fatto che ci siano state, nel 1492, un milione di persone autoctone o qualche decina di migliaia, non cambia ciò che è accaduto in seguito all’arrivo degli europei nei Caraibi: la distruzione di un intero popolo e della sua cultura.
Tracce delle popolazioni autoctone nelle popolazioni moderne
Infine, una delle grandi domande a cui hanno cercato di rispondere i ricercatori riguarda il patrimonio genetico delle persone che oggi abitano nei Caraibi e la riconducibilità a quello delle popolazioni autoctone precolombiane. I risultati dello studio hanno dimostrato che ci sono ancora tracce di Dna delle popolazioni autoctone pre-colonizzazione nelle popolazioni moderne e in particolare che gli attuali abitanti dei Caraibi conservano Dna proveniente da tre fonti (in proporzioni diverse nelle diverse isole): quello degli abitanti autoctoni precolombiani, quello degli Europei immigrati e quello degli Africani portati nell’isola durante la tratta degli schiavi.
Lo studio è stato finanziato da National Geographic Society, National Science Foundation National Institutes of Health/National Institute of General Medical Sciences, Paul Allen Foundation, John Templeton Foundation, Howard Hughes Medical Institute e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Il Dipartimento di Scienze dell’AntichitàdellaSapienza – Università di Roma ha lanciato dei seminari di Letteratura greca; il ciclo è dedicato a Luigi Enrico Rossi, grecista e filologo italiano che studiò appunto nel prestigioso ateneo romano. Le conferenze mirano ad approfondire la conoscenza del grande tragediografo ateniese Euripide. Ad un primo incontro del 28 gennaio 2021 ne seguiranno ben altri quattro, il prossimo si terrà il 18 febbraio 2021 dalle ore 15 alle ore 18.
Seguiranno quindi altri incontri per proseguire la ricerca: verranno prima analizzate alcune tragedie per tematiche e personaggi, al fine di costruire confronti. Tutte le conferenze si svolgeranno, come le altre di recente, online su Zoom, le modalità di accesso verranno indicate di volta; per l’incontro del 18 febbraio le credenziali d’accesso sono indicate in locandina sopra questo paragrafo. L’iniziativa è inoltre valida per l’aggiornamento del corpo docenti della scuola secondaria e per il conseguimento di crediti formativi negli atenei aderenti. Si prega anche di iscriversi sulla piattaforma Classroom a seconda del proprio profilo usando i codici riportati nella parte bassa di ogni locandina. Segue la locandina relativa al ciclo seminariale completo.
(In copertina: rilievo con Euripide che riceve in dono una maschera teatrale).
Un team internazionale di genetisti, archeologi, antropologi e fisici, tra cui Alfredo Coppa del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, ha analizzato il DNA di 174 individui che vivevano più di 2000 anni fa nei Caraibi, in quelli che oggi sono le isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela. Lo studio, pubblicato su Nature, ha messo in luce la storia delle popolazioni caraibiche prima dell’arrivo degli europei; non è il primo pubblicato dall’Ateneo romano di recente.
Chi e cosa c’era nei Caraibi di 6 mila anni fa
La prima colonizzazione dei Caraibi risale all’inizio dell’epoca arcaica, circa 6000 anni fa; dopo circa 3/4000 anni è iniziata l’Età della ceramica e 2000 anni dopo sono arrivati i primi navigatori europei. Molte sono le domande che riguardano le popolazioni originarie di queste terre, lavoratori della pietra prima e della ceramica dopo: se avessero o no la stessa discendenza; quanto numerose fossero al momento dell’arrivo dei colonizzatori europei e se gli abitanti moderni delle aree che oggi corrispondono alle isole di Bahamas, Cuba, la Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadeloupe, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela abbiano un DNA riconducibile alle antiche popolazioni.
Il più grande studio mai condotto sul DNA antico
Recenti scavi ai Caraibi
Lo studio ha analizzato il patrimonio genetico di 174 individui oltre ad altri 89 genomi sequenziati precedentemente. Questa mole di dati fa sì che oltre la metà delle informazioni da DNA antico oggi disponibili per le Americhe provenga dai Caraibi, con un livello di risoluzione fino a ora possibile solo in Eurasia occidentale. Di questi 174 genomi, l’80% sono stati studiati e messi a disposizione da ricercatori di Sapienza. I risultati del lavoro indicano che ci sono differenze importanti tra le popolazioni arcaiche preceramiche che lavoravano la pietra e quelle che lavoravano l’argilla, che la popolazione autoctona di queste aree era meno numerosa di quanto ritenuto fino a ora al momento dell’arrivo degli europei e, infine, che l’attuale popolazione di molte isole caraibiche discende da popoli che le abitavano prima dell’arrivo dei colonizzatori.
Inoltre, i dati ottenuti hanno permesso escludere che le popolazioni caraibiche dell’Età arcaica abbiano avuto connessioni con quelle dell’America del Nord, come ritenuto fino a oggi, e di attribuire la loro discendenza da una singola popolazione originaria o dell’America Centrale o di quella Meridionale.
Popolazioni ceramiche verso i Caraibi
Le popolazioni dell’Età della ceramica presentavano un profilo genetico differente, più simile ai gruppi del nordest dell’America meridionale (di lingua Arawak), un dato congruente con le evidenze ottenute su basi archeologiche e linguistiche. Da quanto osservato sembrerebbe, infatti, che questi popoli abbiano migrato dal Sud America verso i Caraibi almeno 1700 anni fa, soppiantando le popolazioni che lavoravano la pietra, quasi completamente scomparse all’arrivo degli europei (restava una piccola percentuale nell’isola di Cuba). Ciò conferma che gli incroci tra queste due popolazioni erano estremamente rari.
Quanto alla lavorazione dell’argilla per la produzione di manufatti di ceramica, lo studio ha evidenziato che nel corso dei 2000 anni trascorsi dalla loro comparsa fino all’arrivo degli europei, si sono avute differenze tra i vari stili ritenute, negli anni passati, il risultato di flussi di popolazioni provenienti da fuori i Caraibi. In realtà è emerso che a tali varietà di manifestazioni artistiche non corrispondono cambiamenti genetici o evidenze di un contributo genetico sostanziale da parte di gruppi continentali. I risultati testimoniano invece la creatività e il dinamismo di queste antiche popolazioni che hanno sviluppato nel tempo questi stili artistici straordinariamente diversi tra loro.
Manifestazioni artistiche dei popoli dell’Età ceramica
Il metodo e i risultati dello studio
I risultati genetici – spiega Alfredo Coppa – si allineano con il riscontro fatto nelle popolazioni dell’epoca arcaica che si differenziavano significativamente da quelle dell’epoca della ceramica. Tuttavia, rimangono ancora da spiegare queste differenze e occorreranno ulteriori studi per determinare se siano dovute a forze micro – evolutive che in qualche modo risultano essere rilevabili mediante la morfologia dentale, ma non alle analisi genetiche, o se invece queste possono essere conseguenza di abitudini diverse”.
L’elevato numero di campioni esaminati ha infine permesso una stima della dimensione della popolazione caraibica prima dell’arrivo degli europei: il metodo, sviluppato da David Reich, coautore dello studio e docente della Harvard Medical School e della Harvard University, usa campioni presi in modo casuale, valuta quanto siano imparentati tra loro ed estrapola dati sulla dimensione della popolazione di origine. Tanto più i campioni risultano essere imparentati, tanto più piccola sarà, plausibilmente, la popolazione di origine; meno risultano essere imparentati, tanto più grande dovrebbe essere stata la popolazione.
Infine, una delle grandi domande a cui hanno cercato di rispondere i ricercatori riguarda il patrimonio genetico delle persone che oggi abitano nei Caraibi e la riconducibilità a quello delle popolazioni autoctone precolombiane. I risultati dello studio hanno dimostrato che ci sono ancora tracce di DNA delle popolazioni autoctone precolonizzazione nelle popolazioni moderne e, in particolare, che gli attuali abitanti dei Caraibi conservano DNA proveniente da tre fonti (in proporzioni diverse nelle diverse isole): quello degli abitanti autoctoni precolombiani, quello degli Europei immigrati e quello degli Africani portati nell’isola durante la tratta degli schiavi.
Gli studenti del Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza di Roma hanno progettato una mostra nel Museo dell’Arte classica dal titolo “Oltre le colonne di Media“. Pannelli espositivi raccontano le attività della Missione Archeologica Sapienza in Iran (SAMIra), per l’occasione è stato allestito uno spazio dedicato alla tecnologia applicata ai Beni Culturali.
Alla scoperta di Media
Mercoledì 16 dicembre, presso il Museo dell’Arte classica, si è svolta la presentazione dell’esposizione “Oltre le colonne di Media” alla presenza della Rettrice Antonella Polimeni, di sua Eccellenza Hamid Bayat, Ambasciatore della Repubblica Islamica d’Iran in Italia, del Preside della Facoltà di Lettere e filosofia Stefano Asperti, del Direttore del Dipartimento di Scienze dell’antichità Giorgio Piras e del Direttore del Polo Museale Sapienza Marcello Barbanera. I pannelli espositivi raccontano le attività della Missione Archeologica della Sapienza in Iran (SAMIra), ricostruendo mappe e presentando fotografie di monumenti, rilievi e ritrovamenti. Il tutto è frutto del laboratorio didattico dei docenti Carlo Giovanni Cereti e Gianfilippo Terribili.
La mostra conduce il visitatore nell’Iran occidentale, attraverso l’esplorazione di uno dei principali percorsi di quella estesa rete di comunicazione, nota col nome di “Via della seta”. L’attenzione si focalizza sul tratto che attraversava il cuore della regione storica della Media e che, nel corso dei secoli, si configurò come luogo di transizione fra la Piana Mesopotamica e l’Altopiano Iranico. È grazie alla conformazione fisica del territorio che l’area dell’odierna provincia delKermanshah è un privilegiato luogo di incontro fra civiltà diverse. Molte sono le evidenze archeologiche sul territorio che testimoniano tanto la persistenza nel tempo di tali interazioni culturali, quanto l’importanza strategica di tale percorso nella gestione di vasti imperi. Il percorso espositivo segue uno sviluppo diacronico, che parte dalle testimonianze dell’Età del Ferro per poi dar spazio alle grandi compagini di Achemenidi, Arsacidi e Sasanidi. Diversi personaggi hanno contribuito a scrivere la grande storia degli imperi.
Il miracolo della stampa 3D
Per l’occasione ha avuto spazio la tecnologia applicata ai Beni Culturali con riproduzioni in stampa 3D di monumenti iraniani e del Vicino Oriente, una strumentazione usata per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio. Nella mostra, in particolare, viene proposta la realizzazione di modelli 3D attraverso l’uso di fotocamere reflex con obiettivo a lunghezza focale fissa. Questo procedimento viene utilizzato per digitalizzare l’oggetto in analisi, in questo modo viene riprodotta un’immagine sorella, Digital Twin. Attraverso il modello digitalizzato si possono fornire precisazioni riguardo il rilevamento. Tutto questo permette di creare una stampa tridimensionale dell’oggetto inizialmente fotografato.
L’esibizione, sostenuta dall’Ambasciata d’Italia a Teheran e dall’Ambasciatore Giuseppe Perrone, è il frutto della sinergia fra la Missione Archeologica della Sapienza in Iran, il Dipartimento di Scienze dell’Antichità e il Ministry of Cultural Heritage, Tourism and Handicrafts of the Islamic Republic of Iran. Tale collaborazione, nata nel 2019, ha reso possibile avviare un articolato progetto volto allo studio e valorizzazione del patrimonio archeologico della provincia del Kermanshah. Le attività sul campo (2019), condotte congiuntamente con la controparte iraniana, si sono incentrate sulla documentazione delle evidenze architettoniche del sito monumentale di Kangavar e hanno visto la partecipazione di un nutrito gruppo di studenti e dottorandi della Sapienza.
Il nome di Ebla è entrato nella storia dell’archeologia orientale quando, nel 1975, undici anni dopo l’inizio degli scavi nel sito di Tell Mardikh, l’archeologo Paolo Matthiae e il suo team portarono alla luce i resti degli Archivi della antica città siriana, situata a circa 60 km a sud-ovest di Aleppo, nella Siria settentrionale.
La scoperta di migliaia di tavolette cuneiformi, risalenti agli anni compresi tra il 2350 e il 2300 a.C., stupì il mondo scientifico internazionale, colpendo fortemente l’opinione pubblica mondiale. Queste tavolette costituiscono un patrimonio inestimabile di informazioni sulla struttura economica, le relazioni internazionali, le credenze religiose, l’amministrazione statale e la cultura letteraria della antica città di Ebla.
La professoressa Maria Giovanna Biga – docente di Storia e Religioni del Vicino Oriente Antico all’Università di Roma La Sapienza – terrà una conferenza online dal titolo Ebla 1975-2020: gli studi eblaiti 45 anni dopo la scoperta del Grande Archivio. La conferenza potrà essere seguita attraverso la piattaforma Google Meet a questo link, martedì 24 novembre dalle 13 alle 14.30.
Storica, filologa e orientalista, Maria Giovanna Biga è specialista di scrittura cuneiforme e delle lingue sumerica, accadica ed eblaita. Ha contribuito negli anni al notevole lavoro filologico di ricostruzione dei testi eblaiti insieme ad altri studiosi.
Dalle tavolette in argilla al database virtuale
Recentemente è stato sviluppato un progetto di digitalizzazione di questi antichi testi con gli Ebla Digital Archives (EbDA), database in cui sono conservati e digitalizzati i testi degli archivi eblaiti.
Foto del sito di Tell Mardikh, antica Ebla, vista dall’alto (da http://ebda.cnr.it)
Basato su una partnership con la Missione Archeologica di Ebla, il progetto mira a fornire un’edizione digitale dell’intero corpus di testi di Ebla. Esso comprende tutti i documenti pubblicati finora nella collana ARET (“Archivi Reali di Ebla – Testi”) e in altre monografie e riviste.
Il progetto degli Archivi Digitali di Ebla fornisce a studiosi e studenti uno strumento di ricerca facile da usare per lo studio dei testi eblaiti. Gli utenti possono consultare i documenti individualmente o interrogare il database in modo semplice, grazie alla rappresentazione digitale dei documenti cuneiformi. Una bibliografia ampia, ricercabile e aggiornata di tutto il materiale pubblicato finora, completa la piattaforma.
Manca veramente poco alla 3a edizione del Convegno annuale IAS, Incontri di Archeologia Sapienza, previsto per le intere giornate del 19 e del 20novembre 2020.
La call for papers di quest’anno ricercava valide proposte su due tematiche principali: Digital Humanities & Landscape Archaeology; già attiva dal 10 giugno 2020, ha registrato tantissimi contributi fino alla deadline, prevista per il mese successivo. La versione integrale del programma IAS 2020 è disponibile a questo link.
Lo scopo degli Incontri
Uno degli scopi alla base del progetto IAS è senza alcun dubbio la possibilità di offrire, attraverso collaborazioni e non solo, uno spazio editoriale di ampio respiro, dove giovani ricercatori e studenti di archeologia possano muovere i primi passi. La call for papers di ogni edizione è aperta a studenti che devono conseguire la laurea magistrale, specializzandi e specializzati, dottorandi e ricercatori, sia della Sapienza che non.
Incontri di IAS dentro le aule universitarie della Sapienza di Roma
Durante il suo secondo anno d’età, IAS ha visto il progetto uscire dalle aule universitarie della Sapienza per raggiungere alcuni tesori culturali della regione Lazio. Tutti gli incontri hanno previsto una visita guidata gratuita presso i musei e i borghi visitati.
Incontri itineranti di IAS tra i piccoli borghi laziali
Un team di ricercatori della Sapienza, Università di Roma, in collaborazione con l’Università TAU di Tel Aviv, ha scoperto il metodo di conservazione del cibo usato circa 300.000 anni fa.
Cristina Lemorini, responsabile del Laboratorio di analisi tecnologica e funzionale dei manufatti preistorici (LTFAPA) del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, in collaborazione con il laboratorio DANTE (Sapienza) e con l’Università di Tel Aviv, ha diretto la ricerca. L’articolo, pubblicato sulla rivista scientifica PlosOne, dimostra come, già dal Paleolitico Inferiore, una comunità di ominidi vissuti a Qesem Cave (Israele) conservassero cibo e altri materiali deperibili. Utilizzavano una sostanza naturale con un altissimo potenziale antibatterico: la cenere di legna.
“L’eccezionale scoperta retrodata l’utilizzo di tecniche di conservazione di materiali deperibili, finora mai individuate in periodi cronologici così antichi, e ridisegna l’immagine dei nostri antenati mettendo in luce una complessità cognitiva e culturale già a partire dal Paleolitico Inferiore” – spiega Cristina Lemorini.
Le micro-tracce sulle lame litiche osservate al microscopio
La testimonianza dell’uso della cenere di legna per conservare cibo e la pelle delle prede uccise, posponendone così la lavorazione, è data da particolari modificazioni microscopiche dei margini d’uso delle lame litiche a cui sono associati dei micro-residui. I risultati sono supportati da una sperimentazione ad hoc, che ha riprodotto lo stesso tipo di evidenze utilizzando repliche di lame litiche per manipolare materiali organici trattati con cenere di legna.
Archeologia sperimentale su materiali organici trattati con cenere di legna
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