La Missione Archeologica della Sapienza nella Penisola Arabica e nel Golfo (MASPAG) ha esteso la propria ricerca al territorio presso Wadi Al-Ma’awil. Si tratta di un contesto stretto tra due crinali che, alla vista, incorniciano un’ampia piana alluvionale. Proprio su quelle montagne, in apparenza impenetrabili, sono stati individuati dei petroglifi, forse prova di una mobilità antica. Una scoperta importante per il team archeologico italiano che si propone di studiare le relazioni tra uomo e il suo ambiente agli albori della storia.
Capire la terminologia: cos’è un petroglifo
La parola petroglifo non rientra certamente nel vocabolario di uso comune. Significa letteralmente “incisione su roccia” e in ambito scientifico intende l’uso storico di affermare sé stessi, il proprio passaggio, la propria vita, attraverso immagini o scrittura graffiata sulla pietra. L’attenzione di MASPAG si è rivolta anche a questo genere di fonti, così preziose per ricostruire il passato. Il professor Agostini (Filologia Semitica – Sapienza) delinea quest’ambito di ricerca con le seguenti parole: «Con la campagna di quest’anno si è deciso di iniziare a impostare anche le successive ricognizioni epigrafiche. Nella zona sono stati già individuati alcuni petroglifi, che sono piccole incisioni su roccia che, benché spesso di difficile datazione, possono però rivelarci qualcosa di importante sul contesto socioeconomico di chi le ha incise». Più in dettaglio:«L’Oman ha inoltre restituito alcune piccole iscrizioni rupestri in una scrittura non ancora ben interpretata e si spera dunque che nelle successive campagne si possano trovare ulteriori reperti testuali che possano aiutare nella loro comprensione».
Petroglifi e come trovarli
L’archeologia è spesso sinonimo di esplorazione. Lo è almeno per la missione archeologica MASPAG presso Wadi Al-Ma’awil (Oman). Qui troviamo un contesto territoriale molto ampio e complesso da un punto di vista ambientale. Catene montuose, oasi e letti fluviali si intrecciano tra loro disegnando alla vista un paesaggio intricato, quasi labirintico. Infatti, non è facile individuare i resti archeologici che si possono osservare dal satellite, ed ancor più difficile è identificare ciò che la tecnologia non può vedere. Ad esempio, i petroglifi (incisioni su roccia) restano nascosti a qualsiasi indagine aerea. Bisogna cercarli inerpicandosi sulle montagne e spesso un aiuto fondamentale viene proprio dalla gente del posto. A volte l’arrampicata insegue il sentito dire, in altre occasioni sono proprio i locali a guidare il team di ricerca lungo sentieri improvvisati. È faticoso, ma anche appagante quando dietro lo sperone roccioso, magari nascosti e in ombra, appaiono le incisioni, testimonianze della mobilità antica.
Salita sui monti Hajar e vista sull’area indagata dal progetto MASPAG, la piana presso Wadi al-Ma’awil.
La Missione Archeologica della Sapienza nella Penisola Arabica e nel Golfo (MASPAG) opera da più di quaranta anni in Oman. L’area archeologica si trova a ridosso del Tropico del Cancro, ed è facile intendere come il contesto paesaggistico sia completamente diverso da quello nostrano. Lo wadi, l’oasi e il sistema d’irrigazione Aflaj costituiscono l’ambiente omanita, definendo il paesaggioil cui operano i ricercatori italiani impegnati presso Wadi Al-Ma’awil.
Lo Wadi, il fiume dei deserti
Lo Wadi altro non è che un torrente tendenzialmente stagionale, che si gonfia durante la stagione delle piogge e va in secca nei periodi più caldi. Al di la di questo, la differenza con il contesto italiano sta nell’ampiezza raggiunta dal letto fluviale. Ad esempio, il Wadi che domina il territorio presso il sito di Wadi Al-Ma’awil può raggiungere un chilometro di larghezza. Ne consegue che intere aree vengono sommerse, trasformando le numerose alture in isolotti prigionieri delle acque. Le piene possono essere improvvise e devastanti, per questo la scelta del luogo in cui stabilirsi era di fondamentale importanza già agli albori dell’umanità. Esistono comunque Wadi perenni come quello di Wadi Shab: un paradiso le cui immagini ben dimostranol’imponenza e l’importanza di un tale elemento nel territorio.
L’oasi, realtà oltre il miraggio
Le oasi sono letteralmente i polmoni con cui respira chiabita i deserti e le zone aride. All’ombra delle palme si articolano i villaggi, un dedalo di case e aree coltivate o dedicate al pascolo. Questa composizione è dovuta alla necessità di proteggersi dall’arsura che schiaccia l’ambiente superata l’ultima fila di alberi. Tanto oggi quanto in antico l’oasi rappresenta un elemento imprescindibile per la vita dell’uomo. Per questo l’attività di ricerca italiana presso Wadi Al-Ma’awilmira a rintracciare l’antica area verde di epoca storica, sicuramente presente nell’area indagata. L’obiettivo è infatti quello di comprendere i processi di addomesticamento delle oasi, la loro gestione, la loro difesa.Eppure,osservando il territoriorisulterebbe difficile immagine un contesto verde e rigoglioso, sostituito ormai da chilometri di terra brulla. Questo perché le oasi si spostano nel tempo, al ritmo della trasformazione del Wadi piena dopo piena, o per l’esaurimento delle falde acquifere nel sottosuolo.
Aflaj, ossia come l’uomo addomesticò l’acqua
Dire che l’Aflaj sia solo un sistema di canalizzazione è riduttivo e non rende giustizia a questa complessa ed affascinante soluzione per combattere la siccità. Affascinante è proprio la parola giusta perché furono le comunità antiche a ideare e sviluppare la canalizzazione delle acque del sottosuolo, portandole così alle aree abitate. Per approfondire abbiamo chiesto al dott. Guido Antinori di delineare il sistema: «Il falaj è il cuore dell’oasi, e quindi della vita in Oman. Le prime forme di questo tipo di canalizzazione ha permesso all’uomo di addomesticare un territorio difficile, creando piccoli paradisi verdi all’ombra della palme da dattero. Infatti, attraverso un sistema di pozzi e canali sotterranei l’acqua delle falde montane viene indirizzata verso le aree abitate a valle. L’origine del falaj anima il dibattito scientifico, e MASPAG cerca di contribuire studiandone le tracce nel paesaggio di Wadi Al-Ma’awil». Nel video a seguire può essere osservato l’ingresso a un falaj moderno, intendendone così l’aspetto e la struttura. Un colpo sempre d’occhio utile per interpretare il passato.
La Missione Archeologica della Sapienza nella Penisola Arabica e nel Golfo (MASPAG) riprende le attività in Oman. L’area indagata si divide tra il complesso funerario di Daba Al-Bayah e l’oasi di Wadi Al-Ma’awil; quest’ultima indagata per la prima volta. In quest’occasione anche ArcheoMe sarà presente sul campo con il proposito di documentare e condividere l’avanzamento dei lavori.
L’Italia al di là dell’Italia
Non si parla spesso delle missioni archeologiche italiane all’estero, a meno che un importante ritrovamento non riesca a imporsi agli occhi dei media. Si verifica un improvviso picco d’interesse nell’opinione pubblica; poi, tutto tace e la ricerca italiana all’estero torna nell’ombra. Tuttavia, l’archeologia non è sinonimo di scoperte sensazionali, non è avvenirismo, ma lavoro costante, dedizione, e spesso ostacoli difficili da immaginare. ArcheoMe e MASPAG (social: FB- maspag; IG- maspag_archaeo) credono nell’importanza di raccontare la zona d’ombra dietro le grandi scoperte, con l’obiettivo di far comprendere come si arrivi a “riscrivere la storia”, frase spesso usata senza cognizione di causa che non rende giustizia ad una realtà molto più frequente di quanto si possa pensare. Questo viaggio dietro le quinte sarà raccontato da Edoardo Zanetti, dottore in filologia e storia del mondo antico, che avrà cura di documentare una storia diversa, quella degli archeologi italiani oltre i patrii confini.
L’attività di ricerca italiana in Oman
L’Oman è un luogo per certi versi magico: sospeso tra l’oceano e le alte montagne che lo separano dall’aridità del deserto. Questo è almeno il panorama che si può osservare dalla città di Muscat, base logistica per la missione italiana che indaga il contesto archeologico presso Wadi Al-Ma’awil. Sono state, infatti, individuate tracce di un insediamento connesso ad un’ampia necropoli. L’obiettivo del team italiano sarà quella di comprendere il rapporto tra uomo e ambiente agli albori della storia. «Più di quarant’anni di ricerca archeologica in Oman ci forniscono un quadro ampio e complesso dell’origine della società araba, ma c’è ancora tanto da fare» sono le parole del Professor Genchi. Il professor Ramazzotti aggiunge che «le ricerche archeologiche in Oman centro-settentrionale sono un Grande Scavo di Sapienza dal 2019, un’altra gemma dell’archeologia orientale nel mondo». Sarà svolta, pertanto, un’intensa indagine sul territorio con interessanti aggiornamenti che ArcheoMe non mancherà di documentare nei giorni a venire.
Prima è abbandonata, poi s’insabbia, in fine riemerge alla luce. No, non si tratta del Titanic. Nemmeno parliamo del sensazionale ritrovamento dell’Endurance. Questa è invece la storia della barca di Uruk, recentemente rinvenuta in uno degli antichi canali che scorrevano presso questo antico centro sumerico. Un’occasione per imbarcarsi una una breve crociera attraverso la Mesopotamia, non solo per scoprirne l’ambiente e le dinamiche umane, ma anche ricordare i forti legami che stringono l’Italia all’Iraq, l’Italia alla storia del paese di Sumer.
Orientarsi nel Tempo
Roma venne fondata nel 753 a.C. in seguito all’aggregazione di più villaggi. Una data simbolo, uno spartiacque temporale per quanto riguarda la nostra storia. Più indietro, verso la fine del IV millennio a.C. incontriamo l’uomo del Similaun, Ötzi, il cacciatore dell’età del rame. Se invece parliamo di Mesopotamia la percezione del mondo cambia: ai tempi di Romolo e Remo, l’Impero Assiro gettava le basi per la propria egemonia nel vicino oriente, dal Levante alla Babilonia; ai tempi di Ötzi, la scrittura iniziava ad essere praticata nella città di Uruk, che già contava parecchie migliaia di abitanti e colonie sparse un po’ ovunque. Non a caso, la culla della civiltà è individuata tra i fiumi Tigri ed Eufrate, un contesto che, campagna archeologica dopo campagna archeologica, continua a offrire fonti per ricostruirne la storia. Ma quando è un’intera barca a rispuntar fuori dalla sabbia, lo stupore conquista anche l’orientalista più incallito.
Il reperto archeologico, dal canale al museo
Il merito dell’intervento va alla missione tedesco-irachena del Consiglio di Stato per le Antichità e del Dipartimento Oriente dell’Istituto Archeologico Tedesco. La barca era stata già individuata nel 2018, tuttavia il suo scavo si è realizzato solo nel mese di marzo 2022 per preservare il reperto dall’erosione. Nello specifico si tratta di un’imbarcazione costruita in materiale organico e bitume, lunga 7 m e larga fino a 1,4 m. Ovviamente il materiale organico non ha superato la prova del tempo ma ha letteralmente lasciato il proprio segno sul nero rivestimento. Per quanto riguarda la datazione, si stima che il reperto risalga alla fine del III millennio a.C., quando il canale in cui navigava s’insabbiò, imprigionando la barca sotto strati di sedimento. Un’incredibile crociera attraverso il tempo la sua: dai canali di Uruk all’Iraq Museum di Baghdad, dove i ricercatori ne studieranno i segreti.
Non solo tedeschi: italiani pionieri della ricerca
Il ritrovamento della barca di Uruk accende l’attenzione sulla questione della navigazione del mondo antico, e di conseguenza della gestione dei corsi d’acqua agli albori della storia. La ricerca ha messo in evidenza come quello che si riteneva un’arida steppa fosse invece un’immensa palude. Tema interessante soprattutto per il mondo accademico italiano che, ormai da anni, conduce importanti ricerche sul suolo iracheno. Ad esempio, l’università Sapienza di Roma finanza gli scavi nella città sumerica di Niĝen, e nel sito di Abu Tbeirah in cui è stato scavato un porto risalente al III millennio a.C. Sotto il nome Sapienza è stato anche realizzato il primo Primo Congresso di Archeologia del Paesaggio e di Geografia Storica del Vicino Oriente che ha visto, nella sua prima giornata d’incontri, una massiccia presentazione di studi in relazione al paesaggio acquatico della Mesopotamia. In quest’occasione, un’analisi sulla navigazione è stata proposta proprio da chi scrive.
Barche a confronto: da Sumer a oggi
Osservando la barca di Uruk viene spontaneo chiedersi come si navigasse quattromila anni fa. In realtà sono gli stessi sumeri a fornire la risposta. Sinteticamente gli spostamenti via fiume avvenivano in due modi distinti: a traino, nei territori a monte, o a spinta, nei territori a valle in cui la corrente era più debole. Nel primo caso si sfruttava la forza animale che, dal margine dei canali, trainava l’imbarcazione controcorrente. Nel secondo caso, si usava spingere il mezzo con un grosso palo di legno, come fosse una gondola. Ovviamente le forme erano varie: sono attestati imbarcazioni con equipaggi di un paio di persone ma anche di 20, persino 45 barcaioli. Per quanto riguarda la barca di Uruk osserviamo un mezzo di piccole dimensioni, tipologicamente simile a quello ancora in uso nelle Marshland irachene. Allora, che sia il nostro oggi la guida per immaginare il passato, come nel video che segue.
Oggi, 7 luglio 2021, alle ore 19.30, presso la Basilica di Massenzio a Roma, si terrà la conferenza dal titolo Il Colosseo, la piazza, il museo, la città. Temi & progetti. Consisterà nella presentazione di due volumi sulla ricerca in loco della Sapienza – Università di Roma e dei relativi progetti per l’area.
Sarà presente la direttrice del Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo, accompagnata dagli interventi di Daniele Manacorda, professore di Metodologie della ricerca archeologica all’Università di Roma Tre, e di Elisabetta Pallottino, professoressa di Restauro architettonico presso lo stesso Ateneo.
Per partecipare alla conferenza è necessaria la prenotazione a questo link.
Giovedì 20 maggio 2021 alle ore 9.45 si terrà l’inaugurazione della mostra virtuale Along the Nile, through the Archives, and into the Web. A Virtual Exhibition of the Archaeological Activities of Sapienza University of Rome in Sudan, promossa e finanziata dall’Ambasciata Italiana a Khartoum. La mostra, organizzata dal Dipartimento SARAS, verrà trasmessa in streaming su YouTube a questo link e abbraccia un arco cronologico che va dal 1964 a oggi, giovandosi, tra le altre risorse, di materiali documentari appartenenti ad archivi privati e in deposito presso il Museo del Vicino Oriente, Egitto e Mediterraneo (MVOEM) della Sapienza. La mostra può esser seguita in direttatramite questo link.
La Sapienza anche in Sudan
La storia delle spedizioni archeologiche condotte in Sudan dalla cattedra di Egittologia della Sapienza rappresenta un segmento importante dell’impegno italiano nella salvaguardia del patrimonio archeologico sudanese e, per quanto concerne le missioni più antiche, strettamente connesse alla campagna di salvataggio dei monumenti nubiani promossa dall’UNESCO in occasione della costruzione della “grande diga” di Assuan, che avrebbe determinato la formazione del lago Nasser e la conseguente scomparsa dei monumenti che non fossero nel frattempo stati trasferiti altrove. Raccontare, seppur brevemente, la storia di tali ricerche vuol dire dunque narrare dei lunghi, continuativi e fruttuosi rapporti di collaborazione tra l’Italia e il Sudan.
La mostra dunque mira a illustrare i risultati delle missioni “storiche” della Sapienza in Sudan – a Tamit (1964), a Sonqi Tino (1967-1970) e a Jebel Barkal (1973-2004), oltre varie altre esplorazioni compiute in quegli stessi anni tra la seconda e la quarta cataratta –, dirette dalla cattedra di Egittologia e in particolare da Sergio Donadoni prima e da Alessandro Roccati poi, ma al contempo guarda al futuro dei rapporti tra la Sapienza e il National Corporation for Antiquities and Museums (NCAM) che, attraverso una missione congiunta, lavoreranno insieme presso il tempio meroitico di Hugair Gubli e nell’area di Magal (quarta cataratta).
Dopo Bologna nel 1911, Napoli nel 1924 e Venezia nel 1958, sarà Roma a ospitare nel luglio 2024 la fase finale del Congresso Mondiale di Filosofia, nei prossimi anni sarà preceduto da una serie di incontri, seminari ed eventi preparatori che proietteranno le forze culturali e accademiche del nostro paese al centro del dibattito filosofico (e non solo) internazionale.
Dal primo congresso del 1900 che si tenne a Parigi in occasione dell’Esposizione universale, è la prima volta, in 125 anni, che il Congresso si svolge a Roma – la quarta volta per il nostro Paese, caso unico al mondo – segno evidente del riconoscimento da parte della comunità filosofica internazionale dell’importanza del contributo che l’Italia ha dato e può dare all’interno del dibattito filosofico globale. All’origine di quest’impegno è l’esigenza di avviare una riflessione pubblica sull’avvenire delle nostre società, particolarmente urgente in questo momento, confrontandosi allo stesso tempo con gli sviluppi più recenti delle ricerche filosofiche condotte nelle diverse aree del pianeta.
La preparazione al Congresso
Il Congresso rappresenta un formidabile volano di ripresa e di costruttivo confronto intellettuale, di valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, non che di sviluppo economico. La sua capacità di attrazione offre all’Italia la possibilità di rafforzare la propria presenza accademica e scientifica internazionale, collocandosi al centro di una riflessione globale sulle prospettive culturali, sociali ed economiche del mondo contemporaneo.
In occasione del Congresso, migliaia di intellettuali e accademici del mondo intero si riuniranno a Roma. Si tratterà quindi di un grande momento pubblico di riflessione, elaborazione e proposte sulle prospettive presenti e future delle nostre società. Nelle sue fasi preparatorie, esso permetterà di aggregare l’insieme delle forze intellettuali, scientifiche, accademiche del nostro Paese, a cui si uniranno voci e figure del mondo dell’economia, dell’informazione, delle imprese e delle istituzioni, in un processo di avvicinamento al Congresso che vuol essere al servizio dell’esigenza, complessa ma sempre più avvertita, di “ricostruzione intellettuale” delle nostre società.
La partecipazione di studentesse e studenti, giovani ricercatrici e ricercatori del mondo intero sarà una priorità. A loro sarà riservata un’intera sezione del Congresso. Per le giovani generazioni sarà infatti un’occasione per aprirsi al confronto con altre idee, linguaggi, culture e sensibilità e rappresenterà un’opportunità formativa e di valorizzazione dei propri studi particolarmente significativa.
In copertina: la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma.
Mercoledì 28 aprile 2021, alle ore 10:00, si terrà il workshop “Fluid Crescent. Water and Life in the Societies of the Ancient Near East”, che è anche il nome del progetto PRIN 2017 del quale saranno presentati i risultati relativi al primo anno di ricerca del gruppo di lavoro di Sapienza e dell’Università degli Studi di Perugia. Il progetto multidisciplinare, che vede la partecipazione di archeologi, paleobotanici, geologi e filologi, intende analizzare e studiare le diverse forme del paesaggio acquatico nelle aree della Mezzaluna Fertile, con particolare attenzione ai casi della Mesopotamia meridionale (incentrata sui dati raccolti nello scavo di Tell Zurghul/Nigin), della Siria settentrionale (Ebla) e del Levante centrale e meridionale con l’analisi dei contesti costieri (Tiro) e delle oasi (Damasco). Il progetto si inserisce nell’ambito delle attività di scavo e ricerca sul campo già avviate e ha altresì promosso l’apertura di collaborazioni internazionali sugli aspetti geo-morfologici, archeologici e culturali del rapporto uomo-ambiente.
Per partecipare collegarsi all’indirizzo Zoom indicato (ID riunione: 940 4591 1928; Codice: iuMn86).
Il pensiero degli studenti fuori sede cade spesso nel dimenticatoio in questo difficile periodo, anche quando, raramente, il Governo si ricorda delle Università e dei suoi studenti. Lo studente fuori sede ha dovuto affrontare problemi nuovi con il Covid, non soltanto di natura pratica e logistica: affitti, tasse, borse di studio, ma anche altro. Nessuno può testimoniare meglio di uno studente di Archeologia fuori sede quanto la DAD abbia dato e tolto: ha diminuito le distanze con la famiglia, ma ha allontanato da scavi e laboratori. Un interessante punto di vista a riguardo è offerto da GerlandoDario Fiaccabrino, studente triennale che, partendo da Agrigento tre anni fa, ha deciso di intraprendere il Corso di Scienze Archeologiche alla Sapienza di Roma.
“Essere uno studente fuori sede non è facile, né piacevole, porta ad allontanarti da ciò che ami. Luoghi in cui sei nato e cresciuto, affetti personali: sei costretto a lasciare tutto nella speranza di poterti ricongiungere con essi il prima possibile. Ma esiste qualcosa che mi ha dato la forza di staccarmi dalla mia Sicilia: la passione per l’archeologia. Essa mi ha portato fino a Roma, dove ho avuto la possibilità, tramite laboratori ed esperienze di scavo, di toccare con mano quello che ho letto sui libri, di vivere una storia che parla attraverso la cultura materiale. È sullo studio di quest’ultima che l’archeologia moderna si fonda: è quindi indispensabile per un aspirante archeologo, secondo il mio parere, l’esperienza sul campo che a causa della pandemia è venuta meno. Nonostante la distanza da casa si facesse sempre sentire, amavo la mia nuova vita a Roma. Mi è stata però sottratta dall’emergenza Covid che, come è noto, tra le tante cose, ha portato a sospendere tutto il necessario per la formazione di un archeologo. La DAD, per quanto utile, non può di certo colmare tal vuoto. Mi chiedo se sarà possibile recuperare in futuro le esperienze che avrei dovuto fare quest’anno, se ciò non inciderà sulla mia formazione. Mi domando quando potrò tornare a studiare i reperti e ad emozionarmi osservandoli. Se pur, dunque, la situazione attuale mi abbia permesso di tornare a casa e di stare con la mia famiglia, rimpiango il tempo in cui potevo studiare nei musei o partecipare a scavi archeologici. Rimpiango, per certi versi, anche il sentimento di lontananza da casa, che però sono pronto a sopportare pur di far ciò che amo: vivere l’archeologia“.
Alla Sapienza – Università di Roma torna lo scettro per il settore Classics & Ancient Historynel Ranking QS 2021. È la seconda volta che l’ateneo romano conquista tale posizione: primo in classifica già nel 2018; nel 2019 era andato giù di una sola posizione, secondo solo all’Università di Oxford.
Il QS Ranking by Subject 2021 è stato pubblicato nella tarda serata di ieri: La Sapienza è l’unica università italiana a vantare un primo posto assoluto a livello internazionale. L’Ateneo si colloca al 10° posto a livello internazionale con Archaeology (al primo posto in Italia); cresce poi nella macroarea Arts & Humanities, collocandosi al 65° posto (+16 posizioni rispetto al 2020).
Cos’è QS World University Rankings?
QS World University Rankings è una delle più note classifiche universitarie al mondo. Viene pubblicata annualmente e stilata sui settori disciplinari dei vari dipartimenti delle università mondiali. La Classifica si basa su quattro indicatori per ognuna delle discipline considerate:
Academic Reputation, riguarda la reputazione accademica degli atenei a livello mondiale;
Employer Reputation, sulla base delle valutazioni dei datori di lavoro sui laureati assunti;
Citations per Paper, cioè l’impatto della ricerca scientifica riguardo la disciplina in un determinato ateneo;
H-index, ovvero una valutazione complessiva dell’impatto scientifico e dei contributi alla ricerca.
I parametri valutati in QS Ranking by Subject per i primi tre atenei classificati
Ecco perché La Sapienza è un’eccellenza mondiale
Progetto Theatron, Polo Museale e Grandi Scavi
“Questo brillante risultato, frutto di impegno e di passione. Si inserisce nel solco della tradizione di eccellenza nel campo degli studi classici del nostro Ateneo; tanti sono i corsi di laurea interamente in inglese e gli spazi per studiare tra statue e fregi decorativi nel Museo di Arte classica. Ruolo essenziale anche quello del Progetto Theatron in cui gli studenti adattano e mettono in scena i testi greci e latini. Parliamo di un ambito disciplinare che è base valoriale fondante della nostra società e, come tale, va custodito e trasmesso alle nuove generazioni. Inoltre, offre strumenti di analisi e competenze trasversali, che fanno la differenza in un mercato del lavoro e in un contesto socio-culturale che si evolve con estrema rapidità”. Commenta così Antonella Polimeni, rettrice dell’ateneo romano.
Il Teatro antico anche a distanza
Il progetto “Theatron. Teatro Antico alla Sapienza” è coordinato da Anna Maria Belardinelli, docente di Filologia classica dell’Ateneo. Dal 2010 Theatron produce traduzioni di testi teatrali antichi su cui si basano le relative rappresentazioni. Il Progetto si articola quindi in due laboratori paralleli: uno di traduzione, cui partecipano gli studenti del Corso di Laurea Magistrale in Filologia, Letterature e Storia del Mondo Antico, e uno di messa in scena, cui partecipano gli studenti iscritti alle diverse Facoltà che animano La Sapienza. La traduzione, che si basa su un rigoroso lavoro di critica-testuale, di esegesi e di ricostruzione drammaturgica dell’opera in programma, è “messa alla prova” e trova conferma nel laboratorio teatrale vero e proprio.
Quest’anno la pandemia non ha fermato il Progetto: come le lezioni e tutte le altre attività, anche Theatron si è attivato a distanza! Oltre 30 collegamenti virtuali per lo studio del testo, 12 sessioni notturne per la registrazione, più di 35 partecipanti di cui una in Sud America, circa 60 ore di lavoro di post produzione multimediale, un’ora di spettacolo rappresentato su una piattaforma virtuale. Sono questi in numeri della tragedia “Agamennone”, lo spettacolo teatrale messo “in scena” quest’anno da Theatron.
Theatron a distanza durante l’a.a. 2019-2020
Il Museo dell’Arte classica: studiare tra le statue antiche
Il Museo occupa una superficie di oltre 3000 mq, con molte sale che accolgono gli oltre 1200 calchi in gesso di opere di scultura greca (originali e copie di età romana), esistenti in musei e collezioni di ogni parte del mondo. L’esposizione è organizzata in modo da illustrare agli studenti ed ai visitatori lo svolgimento storico della plastica greca. Gli studenti possono comodamente studiare nelle sale del Museo, le aule per seguire le lezioni di Archeologia e Storia Antica si trovano nella stessa sede.
Nota anche come “Museo dei Gessi”, la Gipsoteca della Sapienza fu fondata da Emanuel Löwy, Professore di Archeologia e Storia dell’Arte, che nel 1889-1890 si adoperò per creare una raccolta di calchi di sculture greche, originali e copie romane, sul modello delle gipsoteche europee. L’atrio di ingresso dal lato posteriore dell’edificio di Lettere e Filosofia accoglie il pubblico con il calco del colossale κοῦρος di Samo (570 a.C. ca.); le vetrine alle pareti contengono riproduzioni di statuette e altri materiali, dal periodo minoico e miceneo a quello greco classico ed ellenistico.
Il κοῦρος di Samo all’ingresso posteriore del Museo
Ercole Farnese
Apollo del Belvedere
Nike di Paionos
μοσχοφόρος
Area degli acquerelli dalle tombe etrusche
Atena contro i Giganti dall’Altare di Pergamo
Alcuni dei Gessi del Museo dell’Arte classica della Sapienza (via Roma Instaurata – WordPress)
Grandi Scavi, studiare Archeologia nelle terre del mondo
I Grandi Scavi rappresentano da quarant’anni una delle più rilevanti prospettive di ricerca della Sapienza. Erano costituiti inizialmente da un numero limitato di ricerche di eccezionale importanza; nel tempo sono aumentati: oggi comprendono un elevato numero di missioni scientifiche (24) e coinvolgono numerosi docenti, ricercatori e studenti. Gli scavi coprono un ambito geografico molto esteso (Italia, Vicino e Medio Oriente, Africa orientale e sahariana) e interessano un arco cronologico amplissimo, dal Paleolitico al Medioevo, costituendo un patrimonio eccezionale di conoscenze che pone la Sapienza nella posizione di eccellenza nel campo dell’Archeologia.
Missione archeologica a Mozia (via MAM – Sapienza)
Missione archeologica a Pyrgi, Lazio (via Pyrgi – Sapienza)
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