Arriva l’approvazione al sesto pacchetto delle sanzioni europee anti-russe, che include l’embargo graduale al petrolio. A queste si aggiungono anche le sanzioni degli Stati Uniti a dirigenti governativi, oligarchi e società legate a Vladimir Putin. Il Cremlino, però, risponde alle sanzioni, ritenendole autodistruttive per l’UE.
Il sesto pacchetto di sanzioni dell’UE
La riunione degli ambasciatori dei 27Paesi membri ha approvato Il sesto pacchetto delle sanzioni antirusse. Lo annuncia su Twitter la presidente della Commissione UE, Ursula Von der Leyen. “Grazie alla presidenza francese del semestre UE abbiamo concordato un altro forte pacchetto di sanzioni contro Putin e il Cremlino“, si legge nel tweet.
Le sanzioni includono l’embargo graduale al petrolio in arrivo via mare in Europa con deroghe per il greggio trasportato via oleodotti. “Di fatto, il 90% delle importazioni russe di petrolio all’Ue sarà bandito entro la fine del 2022. Ciò ridurrà la capacità della Russia di finanziare la sua guerra”, si legge ancora nel tweet di Von der Leyen.
Tuttavia, si apprende da fonti europee, Il patriarca Kirill non fa parte della lista nera di queste sanzioni.
Sanzioni USA all’élite russa
Ma non è stata solamente l’Unione Europea ad annunciare ulteriori sanzioni verso Mosca.
Gli Stati Uniti, infatti hanno annunciato altre sanzioni che colpiscono dirigenti governativi, oligarchi e società legate a Vladimir Putin e a settori chiave dell’economia russa. Nella lista figurano la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova e l’oligarca Alexiei Mordashov, con i suoi famigliari e le sue società. Colpito anche l’oligarca immobiliarista God Nisanov, legato strettamente ai dirigenti russi.
La risposta di Mosca
Mosca risponde alle sanzioni. Lo fa attraverso il proprio Ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, che ritiene le sanzioni autodistruttive per l’Unione Europea. “È ovvio che gli elementi principali del prossimo pacchetto di sanzioni concordate con lo slogan della lotta alla dipendenza dalla Russia avranno un effetto autodistruttivo per l’Unione europea. Non è senza ragione che Bruxelles ha impiegato quasi un mese per costringere i paesi membri a questa decisiva dimostrazione di solidarietà”. Ha aggiunto il ministro.
La pace è un’esperienza difficile da realizzare. La si può ottenere con l’eliminazione dell’avversario o attraverso la ricerca di un compromesso con la parte ostile. Vi è poi l’uso dell’intimidazione, ossia l’ottenimento di un equilibrio dietro minaccia, attraverso l’uso consapevole di sanzioni, di deterrenti: punire il nemico, qualora non rispetti i patti, per logorarlo prima ancora di doverlo affrontare sul campo.
In guerra dagli inizi della storia
In certi momenti ci si chiede se l’uomo sia nato per farsi la guerra o se, invece, questa sia una degenerazione del nostro animo. In effetti, l’idea di una creatura buona a priori, originariamente paradisiaca, offre speranza per un futuro migliore. Tuttavia, non va ignorato che la prima narrazione scritta mai composta dall’uomo parla di uno stato di guerra terribile, che si conclude solo dopo aver accumulato colline e colline di cadaveri. Parole, quasi testuali, dettate da re Ur-Našše di Lagaš nel III millennio a.C. Inoltre, il fatto che gli esempi più antichi di spade risalgano alla prima età del bronzo, IV millennio a.C., aggrava la posizione dell’uomo: eravamo pronti a combatterci già agli inizi della storia, quando si cominciò a scrivere. Eppure, esistono tentativi di pace, magari imperfetti, vani, ma che la guerra cercarono di mitigarla. Non è tempo sprecato, allora, esplorare il passato a caccia di questi esempi.
Il caso della Guerra di Corinto
Una parola ridondante ai nostri giorni è “sanzioni”. La sentiamo spesso e ne siamo quasi assuefatti tanto da non chiederci quale sia il suo significato o l’origine del suo concetto. È un peccato visto che l’antecedente storico dell’uso delle sanzioni fu inventato nella culla culturale occidentale, in Grecia. In quel tempo, tra gli anni 395-387 a.C., lo stato di belligeranza tra poleis è pressoché assoluto. Non è più il periodo, edulcorato dalla tradizione, delle Guerre Persiane, in cui seppur divisi i greci riescono a unirsi contro il nemico comune. Al contrario, la successiva Guerra di Corinto vede un inasprirsi delle divisioni interne della Grecia, che favoriranno il ritorno della Persia in qualità di garante degli equilibri. Inutile discutere se la diplomazia, in questo caso, fu vincente o meno per la sorte dei greci. Meglio analizzare i fatti per capir che di che tipo di pace si parli.
Un diplomatico in guerra
La Guerra di Corinto può essere paragonata ad un fiammifero lanciato in una polveriera: innestato il primo fuoco, l’esplosione venne di seguito. Il fatto è che gli interessi economici delle diverse città finirono invero a cozzar tra di loro, e da una ristretta disputa confinaria la Grecia intera si ritrovò calpestata da eserciti e solcata da flotte nel mare. Tra i vari protagonisti che presero parte agli scontri ve n’è uno che, a differenza degli altri, ottenne un posto nella storia come mediatore, non come guerriero. Antalcida di Sparta andò in Lidia, nel 392 a.C., cercando l’appoggio persiano, e lì discusse i termini di una pace con gli altri emissari venuti da Atene e dai suoi alleati. Non se ne venne a capo e la guerra poté continuare, ma quell’incontro fu forse il primo passo diplomatico che portò alla successiva Pace di Antalcida nel 387 a.C.
La pace del Re, o di Antalcida
Dopo il fallimento della diplomazia, Atene riuscì ad estendere il proprio dominio nel Mar Egeo, ma soprattutto ad allacciare un’intesa con le potenze orientali ostili alla Persia, ossia Cipro e l’Egitto. Ciò provocò un mutamento nei rapporti tra i vari stati perché da parte persiana venne ricercato proprio l’accordo che Antalcida era venuto a proporre cinque anni prima, ossia l’intesa con Sparta. Alla fine, la pace arrivò, definitivamente nel 386 a.C., ma in modo subdolo ed inconsueto. Forte dell’appoggio persiano, Sparta poté minacciare le fazioni rivali: chi non avesse accettato e rispettato la pace, così come i suoi termini, avrebbe affrontato il Gran Re orientale. La strategia di deterrenza promossa da Sparta comportò lo smantellamento dell’egemonie e delle alleanze in Grecia, riaffermando, grossomodo, l’indipendenza di ogni città. Fu questo l’antecedente storico della minaccia di sanzioni in campo diplomatico, ossia l’uso di deterrenti per salvaguardare una pace senza scadenza.
Pace, fragile pace
A conti fatti Sparta porgeva il collo al guinzaglio tirato dal Gran Re persiano. La Grecia, che perdeva i suoi territori in Ionia, passava sotto l’influenza dell’impero orientale, e ci sarebbe rimasta fino all’emergere di Alessandro Magno, cinquant’anni più tardi. Se fu una soluzione giusta o sbagliata lo storico non se lo chiede. Sta di fatto che una pace di tutti ci fu. Tuttavia, durò poco. Nel 382 a.C. il promotore stesso del deterrente, Sparta, tentò di estendere la propria influenza. Ad esempio fece in modo d’instaurare una tirannia fedele nella città di Tebe. La pace allora crollò come un castello di carte e la Guerra Beotica ebbe inizio. Il deterrente non funzionò, anzi l’indebolimento di Sparta comportò l’abbandono persiano. Così, stando al ricordo posticcio di Plutarco, Antalcida si lasciò morire di fame resosi conto del proprio fallimento diplomatico. Una fine triste, forse, come triste fu la pace mancata.
A seguito dell’attacco indiscriminato a danno dell’Ucrainamolte aziende internazionali stanno abbandonando la Russia. Chiudono gli uffici, i negozi in loco e online. Un vero e proprio esodo di massa del businessinternazionale da Mosca: dall’energia ai trasporti, passando per i beni di consumo.
L’esodo energetico
Il primo ad aprire le danze è stato il gigante petrolifero britannico, la BP plc (British Petroleum), il 27 febbraio scorso. Il più grande investitore straniero in Russia ha ceduto la sua quota alla compagnia petrolifera di Stato russa, la Rosneft, una mossa azzardata e dolorosa dal punto di vista finanziario. Ventiquattro ore dopo anche Shell ha preso una decisione analoga, citando “l’insensato atto di aggressione militare” del Cremlino ha comunicato la cessazione della partnership con Gazprom e del suo coinvolgimento nel progetto del gasdotto Nord Stream 2, bloccato nel frattempo dalla Germania. Al coro si unisce Eni che cede le quote nel gasdotto Blue Stream che collega la Russia alla Turchia. Dal Regno unito alla Norvegia il discorso non cambia: Equinor, la più grande società energetica norvegese ha annunciato il ritiro delle sue join venture in Russia.
Via i beni di consumo
Una situazione analoga la troviamo in ambito dei beni di consumo. Stop alle vendite in Russia per HP, primo fornitore di PC in Russia, ed Apple. Ai due colossi si aggiunge Microsoft che condanna “un’ingiustificata, non provocata e illegittima invasione dell’Ucraina”. Dello stesso avviso sono la Samsung ed il tedesco Siemens, che per la Russia produce treni, offre servizi digitali e di automazione alle imprese. Volkswagen chiude la produzione di auto dichiarando che «a causa della guerra condotta dalla Russia il presidio del gruppo ha deciso di fermare la produzione di veicoli in Russia. Anche le esportazioni verranno stoppate a partire da subito». Al suo fianco troviamo la giapponese Toyota. Sono ferme le spedizioni dei beni: il gigante danese Maersk e il gruppo italiano MSC hanno bloccato temporaneamente tutte le spedizioni di container da e per la Russia, con loro è fermo anche Dhl che ha sospeso i servizi di consegna sia in Russia che in Bielorussia. L’esodo aumenta di ora in ora: tra le aziende pronte ad abbandonare la Russia di Putin troviamo Netflix, Lego, Ikea, Tik Tok, Spotify.
L’isolamento dal mondo dello Sport
Con la motivazione delle difficoltà logistiche, il 3 marzo scorso anche Nike ed Adidas hanno abbandonato il suolo russo. Adidas inoltre, come sponsor tecnico dalla Nazionale russa, ha sospeso la partnership con la Federcalcio russa già tagliata fuori dalle competizioni. Mosca si è trovata fuori da tutto il mondo sportivo: fuori da Fifa, Uefa e Cio. Lo sport internazionale sventola le bandiere ucraine e caccia la Russia da Mondiali e competizioni europee. A Mosca sembrava prevalere la linea soft, con provvedimenti come niente bandiera né inno ai playoff in Qatar ma il rifiuto categorico di Polonia, Svezia e Repubblica Ceca di scendere in campo contro la Russia ha portato la Fifa ad adottare la decisione più dura e probabilmente la meno desiderata. Ai provvedimenti si accodano il mondo del basket, del tennis e del judo, lo sport prediletto da Vladimir Putin: di tutta risposta la Federazione internazionale di judo lo ha sospeso dalla carica di presidente onorario.
Goodbye Fast Food
L’8 marzo scorso anche i colossi del fast food americano hanno annunciato la loro personale fuga dalla Russia. Ad aprire le danze troviamo McDonald’s con la temporanea chiusura di tutti ed 850 i punti ristoro del Paese. L’amministratore delegato Chris Kempczinski ha spiegato che l’azienda continuerà a pagare i 62mila dipendenti che hanno lavorato per il marchio, ma è attualmente impossibile sapere quando i ristoranti potranno riaprire. Dello stesso avviso troviamo Pepsi, Coca- Cola e Starbucks che, oltre ad aver sospeso la vendita diretta presso i suoi locali, ha sospeso anche i rifornimenti destinati ai bar russi. È stato il Ceo di Starbucks, Kevin Johnson, ad affermare: «Condanniamo gli orribili attacchi della Russia in Ucraina e siamo solidali con tutte le persone colpite. Continuiamo a monitorare i tragici eventi e oggi abbiamo deciso di sospendere tutte le attività in Russia, inclusa la spedizione di tutti i prodotti Starbucks».
Addio moneta digitale
Da sabato 5 marzo anche Visa e Mastercard hanno messo in atto la sospensione delle operazioni in Russia. Visa ha parlato di una “non provocata invasione dell’Ucraina e inaccettabili eventi a cui abbiamo assistito”, mentre Mastercard ha motivato con “la natura senza precedenti dell’attuale conflitto e la situazione economica incerta”. Domenica la stessa decisione è stata presa da American Express. Dal 12 marzo entrerà in vigore l’esclusione della Russia dal sistema SWIF (Society for worldwide interbank financial telecommunication), la principale rete di messaggistica finanziaria usata dagli istituti di credito, adibita alle transazioni monetarie internazionali. Tra le banche escluse troviamo Bank Otkritie, Novikombank, Promsvyazbank, Bank Rossiya, Sovcombank, Vnesheconombank(Veb) e Vtb Bank. In questa black list mancano attualmente la prima banca russa, Sberbank, e la terza, Gazprombank, attraverso la quale passano i pagamenti per le forniture di gas.
Fuga dalla Russia
Ad essere spaventata, per le sanzioni e le decisioni finanziarie delle multinazionali, è la popolazione russa, sempre più povera, sempre più incerta sul proprio futuro. Molti pensano ad una fuga all’estero: a segnalarlo è in primis il motore di ricerca Google che in Russia, a partire dal 24 febbraio scorso, ha avuto un’impennata di ricerche di эмиграция, ossia emigrazione, del 5000%.
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