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NEWS | Pompei arcaica, cosa hanno detto le grandi voci dell’Archeologia

Come annunciato, ieri, 10 dicembre 2020, si è svolto l’Approfondimento dell’Accademia Nazionale dei Lincei su Pompei arcaica. Grandi voci dell’Archeologia si sono alternate ai microfoni: ha introdotto il professor Roberto Antonelli, vicepresidente dell’Accademia; a seguire gli interventi del professore Fausto Zevi, di Massimo Osanna, direttore generale dei musei MiBACT, e del professore Carlo Rescigno. L’intervento finale è stato curato dal professore Carmine Ampolo e al professore Pier Giovanni Guzzo sono state affidate le conclusioni.

Sul Sarno le origini della città immortale

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I resti dell’abitato di Longola di Poggiomarino (NA)

Il professor Fausto Zevi, emerito di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana alla Sapienza di Roma, ha parlato di un primissimo insediamento sia a livello archeologico che storiografico. Le più antiche evidenze all’ombra del Vesuvio sembrano risalire all’Età del Bronzo: si tratta del sito di Longola di Poggiomarino (NA) che ospitava un abitato di capanne in legno sul Medio Sarno. Le palafitte dovevano estendersi su isolotti ricavati nella laguna del fiume, per un’estensione complessiva di circa sette ettari. L’abitato fu abbandonato entro la prima metà del VI secolo a.C. e mai più ricostruito.

Dal punto di vista storiografico, Pompei non sembra avere una storia prima dei contatti con i Romani. Una delle primissime fonti è Strabone: nell’ottica dei Greci la storia del luogo era stata segnata da due genti, i Tirreni e i Pelasgi

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Il parco archeo-fluviale di Longola di Poggiomarino (NA)

Valle del Sarno, cos’è accaduto nel territorio tra Pompei e Nocera?

Il professor Zevi conclude il suo intervento parlando del sinecismo della Valle del Sarno. Durante l’età arcaica si assiste, infatti, ad un passaggio repentino, da piccoli villaggi autonomi a veri e propri organismi urbani. Si tratta di trasformazioni ambientali decisive e sicuramente non facili, se non traumatiche. Questo fenomeno ha richiesto un elemento catalizzatore: i Pelasgi “costruttori di mura”, se si segue Strabone; in realtà gli artefici del modello urbano vero e proprio sono stati i Greci, installatisi tra Pithecussa e Cuma da più di un secolo.

Amedeo Maiuri, il grande archeologo di Pompei nel secolo scorso, ha identificato nelle mura due fasi arcaiche: una prima parte in tufo, risalente al 500 a.C., e una parte successiva in calcare secondo il tipo greco. Le mura abbracciavano Pompei in tutta la sua estensione (70 ettari ca.) e conservano tracce dell’organismo proto-urbano, organizzato sull’incrocio di due assi principali: la cosiddetta “città vecchia” di Pompei. Gli scavi non hanno riportato in luce gli elementi sperati, ma la vecchia cinta di mura deve esser comunque data per certa.

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L’organismo urbano di Pompei nella Valle del Sarno

Dentro i santuari di Pompei

Massimo Osanna ha parlato dei luoghi di culto della Pompei arcaica. I santuari più antichi di Pompei sono extraurbani: Bottaro, Fondo Iozzino e Sant’Abbondio; il tempio urbano di Apollo aveva invece posizione centrale, quello di Ercole (forse anche di Minerva) era prospiciente al mare. I tre santuari extraurbani erano situati attorno alle grandi vie di comunicazione, tutti hanno restituito materiale arcaico e sono rimasti in uso fino all’età romana. 

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Pompei e i suoi luoghi di culto alla fine del VI sec. a.C. (D’Alessio 2009)

In età arcaica etruschi ed altri popoli partecipavano alle celebrazioni in onore delle divinità. Le iscrizioni sul materiale votivo ricordano i nomi dei dedicanti etruschi che donavano dopo aver banchettato; sono state ritrovate anche iscrizioni capovolte su ciotole e κάνθαροι, coppe per bere. I testi attribuivano, quindi, alla città i suoi abitanti etruschi. Dalle analisi fatte sui vasi potori sono apparse tracce di erbe e spezie, che servivano a correggere il gusto delle bevande, le quali dovevano essere contenute in un’olla d’impasto. I santuari hanno restituito anche molte punte di lancia e uno scudo bronzeo.

Il melting pot architettonico

Osanna continua, dicendo che il santuario urbano di Apollo è stato spiegato come un’insieme di maestranze etrusche e greche. Ma il linguaggio architettonico che si esprime a Pompei è ben lontano dal panorama dell’Etruria propria; quindi, ci si rivolge a maestranze campane, cumane e meridionali che forniscono un ulteriore apporto stilistico. Nella moda decorativa campana l’unico elemento di collegamento con l’Etruria è la base del santuario di Apollo; il legame è confermato da architetture di Cerveteri (RM). Ben presto, però, si formano a Pompei delle maestranze locali di cui si ha prova nel santuario di Atena: un’integrazione necessaria per costruire una dimensione cittadina unitaria.

La città che segue il sole e le stelle

L’intervento di Osanna si conclude con la bellissima immagine del paesaggio di Pompei baciato dal sole. Il panorama di allora era diverso da quello attuale e la flessione di Via di Nola su Via dell’Abbondanza potrebbe ricalcare un’orientamento astronomico: nel solstizio d’estate il sole era un punto di riferimento.

La maggior parte dei diversi orientamenti dei quartieri appaiono già in età arcaica: quelli letti come riadattamenti non sono altro che divergenze presenti fin dal IV sec. a.C. Del disegno arcaico delle insule si hanno testimonianze chiare nei muri perimetrali di Vico degli Scheletri; documentati nella loro arcaicità sono anche il Vico del Fauno e la Via di Mercurio. Sembra, invece, che Via Mediana e Via delle Nozze d’Argento abbiano spezzato l’arcaica disposizione.

Tra mare e terra, il Golfo di Neapolis

Carlo Rescigno, professore di Archeologia classica all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, ha parlato della geografia del Golfo di Neapolis e degli insediamenti che lo popolavano in età arcaica. Due insiemi di dati aiutano nella lettura: gli insediamenti della penisola sorrentina nel VI e nel V secolo a.C. ed il quadro linguistico della regione. 

Ceramica attica a figure rosse dal Golfo di Neapolis

Pompei, come anche Stabiae, si affaccia sul mare e fa da raccordo tra le vie interne, ritualizzate da luoghi di culto, e la costa. Gli insediamenti tra Stabiae e Sorrento mantengono una posizione a strapiombo sul mare, in una zona che ha restituito materiali arcaici in almeno 600 m in lunghezza lineare. Arroccato su un promontorio è, invece, Vico Equense: evidenze romane nella distribuzione della necropoli permettono di identificare un insediamento che non raggiunge i 300 metri in lunghezza; ciò che lo caratterizza è la sua continuità nel corso del V sec. a.C., attestata dalla ceramica attica. Poco si può dire per Piano di Sorrento. Più informati si è per Sorrento, che conosce un passaggio ad abitato concentrato nel corso della seconda metà del VII sec. a.C. e uno sforzo di monumentalizzazione nel VI sec. a.C.; ne provengono anche ceramiche attiche a figure rosse.

Cuma, 474 a.C. e il silenzio pompeiano

Alla sconfitta etrusca nelle acque di Cuma nel 474 a.C. corrisponde il silenzio di Pompei nel corso del V secolo a.C., almeno così lo leggeva Maiuri. Ciò testimonia l’aderenza di Pompei al blocco anti-greco, insieme a Stabiae. Il record epigrafico ha confermato un’assidua presenza etrusca sul Golfo di Neapolis: dalle necropoli provengono iscrizioni in greco calcidese, etrusco ed italico. Pare che si assista anche alla nascita dell’alfabeto nucerino, diffuso soprattutto a Vico Equense: si chiama così perché la prima attestazione si ha in una necropoli nei pressi di Nuceria Alfaterna (SA).

Sulla base della cultura materiale bisogna immaginare, quindi, tante mutevoli alleanze politiche: si tratta del lavorio diplomatico di genti che non volevano far altro che garantire pace e serenità alle loro vite e ai commerci del Golfo. Internazionale controllore del delicato equilibrio è il santuario di Atena, ma con la battaglia di Cuma tutto affronta un’incredibile rottura.

Fondo Iozzino, il container epigrafico del Latium vetus 

Carmine Ampolo, professore di Storia greca della Scuola Normale Superiore di Pisa, ha parlato dello straordinario complesso di 70 graffiti su ceramica dal santuario Fondo Iozzino. Le iscrizioni offrono un’ottima statistica delle offerte fatte al santuario extraurbano: si tratta addirittura del più grande insieme di iscrizioni etrusche dal Latium vetus. Il caveat è offerto dalle pendici del Palatino (RM) da cui provenivano prima soltanto iscrizioni latine e poi etrusche. Un cambiamento radicale ci fu anche nei luoghi di culto: erano frequentati sia da comunità latinofone che etruscofone. 

Fibula Prenestina (630-20 a.C. ca.) – CIL, XIV 4123, 1 = I2 3 = ILLRP 1

Ampolo ha analizzato singoli casi. Io sono la coppa di Manile. Nessuno mi trafuga (Osanna 2017). Una forma simile a Manile, Manios, appare sulla Fibula Prenestina (630-20 a.C. ca.), è un nominativo singolare maschile con tema in -o, la quale non si è ancora oscurata in -u (più tardi diventerà Manius). Avranno così origine i due gentilizi latini Manilius e Manlius: il primo può esser riferito ad un console nel 480 a.C. ed il secondo ad un tribunus militum del 449 a.C. I Manili diventeranno importanti dal II secolo a.C., ma non è detto che sia la stessa gens: si può dire soltanto che si tratta di un nome etrusco a base latina.

Un altro caso, analizzato dal professor Ampolo, riguarda la corrispondenza tra nomi etruschi e greci. Il prenome Lephae è attestato in età arcaica anche come Lephaiae: l’epigrafista Ben Jonson sostiene che si tratti dello stesso che circolava sia in Etruria che nel mondo greco, in luoghi vicini a porti. Forse si tratta soltanto di genti penetrate nel contesto tirrenico, ma la somiglianza e la convergenza nello stesso periodo vanno tenute in considerazione.

Continuità o iato nella storia di Pompei?

Ha concluso la conferenza il professor Pier Giovanni Guzzo. Si attendono nuove scoperte in maniera tale da riconfrontare ed aggiornare le ricerche che sono state presentate in questo Approfondimento al fine di creare un nuovo campo di lavoro.