Un patrimonio sommerso, complesso e ricco di biodiversità, che deve essere però tutelato. L’Università diMilano-Bicocca e il governo delle Maldive danno quindi il via a una partnership che punta a studiare le tecniche di restauro delle scogliere coralline più efficaci, sostenibili e all’avanguardia. La cerimonia di firma dell’accordo tra l’Università di Milano-Bicocca e il governo della Repubblica delle Maldive si terrà dunque mercoledì 24 febbraio 2021, alle ore 10, in diretta streaming.
Ma non solo: la partnership si inserisce all’interno di un progetto più ampio. Sono passati oltre dieci anni, infatti, da quando sull’isola di Magoodhoo, nell’arcipelago delle Maldive, è attivo il centro di ricerca e alta formazione MaRHE. L’Università di Milano-Bicocca studia dunque soluzioni di sviluppo sostenibile in collaborazione con il governo delle Maldive, con università e centri di ricerca stranieri. L’evento sarà anche l’occasione per il lancio di CorallaMiB, una call for ideas aperta agli studenti e finalizzata a individuare azioni in grado di ridurre l’impatto antropico sulle barriere coralline.
Intervengono: Giovanna Iannantuoni, Rettrice dell’Università di Milano-Bicocca; Abdulla Shahid, Ministro degli Esteri, Repubblica delle Maldive; Ibrahim Hassan, Ministro dell’Istruzione, Repubblica delle Maldive; Zaha Waheed, Ministro della Pesca, risorse marine e agricoltura, Repubblica delle Maldive; Fabrizio Sala, Assessore per l’Istruzione, università, ricerca, innovazione e semplificazione, Regione Lombardia; Anna Scavuzzo, Vicesindaco del Comune di Milano; Roberta Cocco, Assessora alla Trasformazione digitale e servizi civici, Comune di Milano; Rita Giuliana Mannella, Ambasciatrice d’Italia in Sri Lanka e alle Maldive; Paolo Glisenti, Commissario generale dell’Italia a Expo 2020 Dubai; Giorgia Marazzi, Console Onorario d’Italia alle Maldive. Modera Paolo Galli, Direttore del MaRHE Center, Università di Milano-Bicocca.
In Italia “più di 37.500 siti culturali sono soggetti a fenomeni franosi e circa 30.000 sono a rischio alluvioni”: questo il messaggio d’allarme molto chiaro lanciato da Rosario Santanastasio, presidente dell’organizzazione “Archeoclub Italia”. Una delle principali minacce ai Beni culturali è quella idrogeologica. È necessario porsi come obiettivo fondamentale non solo quello della salvaguardia, ma anche della valorizzazione e promozione dei Beni culturali.
Il Centro di documentazione archeologica “Archeoclub Italia” opera, infatti, su tutto il territorio nazionale, allo scopo di limitare i danni connessi al dissesto idrogeologico, attuando gli approcci di salvaguardia ritenuti più idonei.
Il messinese, zona rossa della Sicilia orientale
Nella terra siciliana, ricca di realtà archeologiche e culturali, l’area del messinese costituirebbe la “zona rossa” della Sicilia orientale.
Il geologo e rappresentante siciliano di Archeoclub, Salvatore Caruso, sottolinea i rischi connessi a questa zona, che è stata soggetta, in passato, a forti alluvioni, di cui quella del 2009 ne costituisce una drammatica prova. In quell’occasione il fango, ricoprendo per oltre 500 metri il comune di Scaletta Zanclea (ME), oltre a distruggere le abitazioni, provocò ingenti danni al Castello Rufo Ruffo, voluto da Federico II di Svevia nel XIII secolo e arroccato sul punto più alto del paese.
L’area di Tripi e le trasformazioni geologiche
Ad oggi, sono ancora le aree del territorio messinese a essere più a rischio nel sottile equilibrio idrogeologico dell’isola. Non sfuggono, alla triste problematica, quelle dell’entroterra: “L’area di Tripi e le limitrofe sono soggette a trasformazioni metamorfiche d’indebolimento, causate dall’azione dell’acqua nel corso degli anni”, afferma Caruso. Proprio a Tripi, in contrada Cardusa, il sito archeologico maggiormente a rischio è la necropoli monumentale risalente al IV-III secolo a.C., di quella che un tempo era la città di Abakainon.
Fondata dai Siculi, forse già nel 1100 a.C., raggiunse l’apice con i Greci. La necropoli, per la bellezza e finezza architettonica dei monumenti funebri – sormontati da una stele epitymbion di forma rettangolare (segnacoli tombali, posizionati sopra le sepolture, in pietra arenaria) – e per la preziosità dei reperti rinvenuti nelle tombe, è stata definita dagli archeologi come il luogo di sepoltura riservato ai cittadini più facoltosi della città. Inoltre, gli studiosi hanno rilevato l’impianto dell’area urbana, delimitata da un muro di terrazzamento, nelle cui vicinanze correva un largo canale per il defluire delle acque. Il muro serviva a delimitare una grande piazza, probabilmente il foro dell’antica Abakainon.
Il triste “lancio della moneta” per la salvaguardia dei siti archeologici siciliani
A complicare la già infelice situazione delle realtà culturali siciliane, sottoposte ad un alto rischio di dissesto idrogeologico, vi sono le norme che regolano “la scelta” nei confronti dei siti archeologici da salvaguardare. È il rapporto tra grado di rischio del dissesto e la percentuale d’insediamento umano a giocare il ruolo principale in questa partita. La Regione Siciliana destina i fondi necessari per la messa in sicurezza prevalentemente ad aree a rischio elevato, ma che siano densamente abitate (cosiddette R4 come indicate dal P.A.I., il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico). Questo va a scapito di piccoli comuni, come nel caso di Tripi.
Il piccolo centro dell’entroterra tirrenico in provincia di Messina, sebbene conti all’incirca solo 800 abitanti, nasconde evidenze culturali molto importanti. È necessario, dunque, trovare un altro modo per salvaguardare il patrimonio culturale, oltre che naturale e umano, anche di piccole realtà come questa. Il geologo Caruso afferma come costituisca un obbligo da parte di tutte le amministrazioni, che operano in aree a rischio, dimostrarsi “sensibile agli interessi ed alle esigenze territoriali”, come attualmente quella di Tripi sta facendo.
Valorizzazione, salvaguardia, promozione
In Sicilia, la Onlus Archeoclub si è interessata anche di fare il punto sulla delicata questione dei problemi di staticità del Castello Svevo di Augusta, in provincia di Siracusa. Il castello, risalente al XIII secolo, sebbene assurga a simbolo della città, si trova in completo stato di abbandono e da anni ormai è chiuso al pubblico per rischio crolli. Solo nel maggio scorso ha preso il via un bando di gara per il consolidamento e il restauro dell’edificio, nonché per la sua futura fruizione. “Occorre agire in fretta, perché salvaguardare un bene significa renderlo fruibile valorizzandolo”, spiega Santanastasio.
Inoltre, non vanno dimenticate le parole di Sebastiano Tusa, ex assessore ai Beni Culturali della Regione Siciliana, tragicamente scomparso nell’incidente aereo di Bishoftu, in Etiopia, nel marzo 2019, su come “la salvaguardia di un bene prescinde dalla sua valorizzazione, che non può che coincidere con la sua promozione attiva e partecipe di quello che non può, anzi non deve, essere dimenticato”.
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