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NEWS | Padi-Iset e la sua rinascita tra le sabbie di Tuna el-Gebel

La tomba di Padi-Iset, il supervisore della tomba reale della XXVI dinastia, ha visto la luce a Tuna el-Gebel nel governatorato di Minya, a circa 240 km a sud del Cairo, grazie alla missione archeologica guidata dal dott. Mostafa Waziri, Segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità in Egitto.

Tuna el-Gebel

La zona del ritrovamento interessa la città di Tuna el-Gebel, antica necropoli sacra al Dio Thot ed è qui che si trova la tomba del sommo sacerdote di Thot, dio della luna, della sapienza, della scrittura, della magia, della misura del tempo, della matematica e della geometria.

Situata ad una profondità di circa dieci metri, nel fondo di un pozzo funerario, il ritrovamento consiste in un grande vano con nicchie scavate nella roccia, circondate da pareti rivestite con lastre di forma rettangolare tagliate in modo regolare nella pietra.

La tomba ospita altri sei membri della famiglia del supervisore del tesoro reale Padi-Iset, inumati con il proprio corredo funerario composto da diversi gruppi di vasi canopi in pietra calcarea e alabastro, amuleti e scarabei e 1000 statuine ushabti in faience, un impasto di sabbia, silice, ossido di calcio e alcali monovalenti, che mescolati e cotti a una determinata temperatura sprigionano quel meraviglioso blu cobalto che ci lascia stupiti.

I magici ushabti

Il termine ushabti, ovvero “colui che risponde” (dal verbo usheb, “rispondere”), indica una categoria di statuette funerarie che gli antichi Egizi collocavano nelle tombe dal Medio Regno sino all’epoca Tolemaica.

Le statuette venivano animate magicamente grazie al capitolo VI del Libro dei Morti, che portavano, quasi sempre, iscritto o dipinto sul corpo: “O ushabti! se io sarò chiamato, e se io sarò numerato per eseguire ogni sorta di lavori che sono eseguiti nel mondo sotterraneo… e sarò numerato in qualunque tempo per fare prosperare i campi, per irrigare le rive, per trasportare le sabbie dall’oriente ad occidente, “eccomi”, dici tu allora”.
L’ushabti può, così, contribuire alla sopravvivenza eterna del defunto, sostituendolo nei lavori agricoli nell’oltretomba e utilizzando a tale scopo gli strumenti agricoli, la zappa e l’aratro, oggetti che stringe nelle mani, mentre sulla schiena tiene il sacchetto per le sementi.

All’interno della tomba sono state trovate due statue litiche (una di donna e l’altra del toro Api, animale sacro nell’antico Egitto, considerato l’incarnazione di Osiride o di Ptah), oltre ad amuleti e vasi in ceramica del periodo saitico (XXVI-XXX dinastia), 400 statuette ushabti in faience blu e verde, recanti il nome del defunto e, infine, meravigliosi vasi canopi in alabastro, definiti dallo stesso Waziri “tra i più belli mai trovati”. I vasi rappresentano i quattro figli di Horus – Imseti, Hapi, Duamutef e Qebehsenuef, rispettivamente protettori di fegato, polmoni, stomaco e intestino – e recano incisi il nome e i titoli del proprietario.

Gli scavi continuano e altre sorprese potrebbero ancora incantarci…