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La Congiura dei Pazzi, storia di un golpe rinascimentale

Firenze, 26 aprile 1478. Lorenzo e Giuliano de’ Medici si preparano per la messa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, ma non sanno che alle loro spalle qualcuno sta tramando da tempo e che, proprio nella cattedrale, i due signori di Firenze stanno per essere le vittime di quella che è passata alla storia come la Congiura dei Pazzi.

Chi erano i Pazzi, storici rivali dei Medici

Da abili commercianti, nel Quattrocento, i Pazzi erano riusciti ad arricchirsi diventando una delle famiglie più potenti di Firenze. Attraverso una serie di matrimoni combinati tra le casate più importanti della città, erano riusciti ad entrare nella vita politica di Firenze e a diventarne i membri più influenti al pari dei Medici. La politica matrimoniale di Jacopo de’ Pazzi aveva coinvolto anche la famiglia rivale. Infatti, Bianca de’ Medici, sorella di Lorenzo e Giuliano, aveva sposato Guglielmo de’ Pazzi. Il matrimonio avrebbe dovuto appianare i dissapori storici tra le due famiglie. I Pazzi, banchieri come i Medici, non avevano mai accettato la supremazia della famiglia e il loro potere su Firenze. C’era un’altra cosa che i Pazzi mal tolleravano: i Medici erano i banchieri del Papa, un privilegio che faceva certamente gola alla famiglia di Jacopo.

Sebbene sia passata alla storia con il nome dei Pazzi, la famiglia fiorentina non era l’unica a volere la morte dei Medici. Da Roma, Francesco de’ Pazzi, nipote di Jacopo, era riuscito a coinvolgere papa Sisto IV, il nipote Francesco Salviati (arcivescovo di Pisa) e il re di Napoli Ferrante D’Aragona. Ognuno di questi personaggi aveva un motivo più che valido per volere la rovina della famiglia Medici.

La questione di Imola e lo scontro con il Papa

Nel 1473, il duca di Milano, Giangaleazzo Sforza, aveva messo in vendita la città di Imola. Il Papa aveva intenzione di acquistarla e darla in dono al nipote Girolamo Riario per le sue nozze con Caterina Sforza. Con il nipote a capo della città, lo Stato Pontificio avrebbe allargato i suoi domini fino in Romagna, ma la città era entrata anche nel mirino di Lorenzo il Magnifico. Il Papa non aveva abbastanza denaro per comprarla e questo i Medici, che erano i loro banchieri, lo sapevano bene. Lorenzo allora si rivolse ai Pazzi, chiedendogli di non prestare denaro al Papa e di non rivelare le sue intenzioni sull’acquisto della città. Senza l’appoggio delle due banche fiorentine, Sisto avrebbe perso l’occasione di acquistare la fortezza romagnola, che sarebbe andata in mano ai fiorentini. I Pazzi, però, tradirono le intenzioni di Lorenzo e avvertirono il Papa dei suoi piani. Il momento di rottura fra il pontefice e la famiglia de Medici fu sancito dalla decisione di Sisto di cambiare banchiere. Da quel momento in poi sarebbero stati i Pazzi i nuovi depositari delle casse pontificie.

Il rancore di Francesco Salviati, l’arcivescovo di Pisa

Tra i protagonisti della Congiura c’era anche l’esponente di un’altra grande famiglia fiorentina, anch’essa imparentata con i Pazzi: Francesco Salviati. Nominato arcivescovo di Pisa dal Papa, nel 1474 Salviati aveva fortemente desiderato la carica di arcivescovo di Firenze, ma Lorenzo era riuscito ad impedire la sua ascesa. Se Lorenzo gli negava Firenze, il Papa gli apriva le porte di Pisa in una guerra di potere combattuta ormai alla luce del sole. A chiudere il quadro dei congiurati restavano il re di Napoli Ferrante D’Aragona e Federico da Montefeltro, duca di Urbino. Entrambi erano animati non dal rancore, ma dal calcolo politico: una Firenze politicamente debole e senza Medici non avrebbe più ostacolato le mire espansionistiche delle due città.

La Congiura prende forma

A dare il via al progetto fu Francesco de’ Pazzi. Francesco viveva a Roma, dove si occupava della tesoreria apostolica dopo che il Papa l’aveva affidata ai Pazzi. Il desiderio di eliminare fisicamente sia Lorenzo che Giuliano lo aveva spinto a parlarne con Girolamo Riario e con l’arcivescovo Salviati, ricevendo consenso da entrambi. Più riluttante era stato Jacopo de’ Pazzi, consapevole della gravità di tale progetto. Riario allora pensò che se fossero riusciti ad ottenere il consenso del Papa, Jacopo non avrebbe potuto tirarsi indietro. Il tentativo andò a segno: Sisto IV auspicava un cambio di regime a Firenze, seppur con la raccomandazione di non spargere del sangue.

Il piano originale mandato in fumo da Giuliano de’ Medici

Per i congiurati era fondamentale che Lorenzo e Giuliano morissero insieme. Secondo il piano originale, entrambi avrebbero dovuto bere un calice avvelenato durante un banchettola sera prima del 26 aprile. Ma Giuliano non stava bene e quella sera non prese parte al banchetto. Fu allora che venne deciso che i Medici sarebbero morti la mattina dopo, durante la messa in Santa Maria del Fiore. La decisione di compiere un massacro in una chiesa fu forse la decisione che risparmiò la vita a Lorenzo. Il suo assassino designato, Giovanni Battista da Montesecco, si era tirato indietro perché non se la sentiva di uccidere un uomo in un luogo sacro. Al suo posto furono incaricati due preti al soldo dei congiurati. Di Giuliano, invece, se ne sarebbe occupato Bernardo Bandini Baroncelli, un fiorentino avverso ai Medici che sperava in una Firenze libera dalla signoria.

26 aprile 1478, la Congiura dei Pazzi passa alla storia

Non appena il sacerdote finì la messa, Bandini, Francesco de’ Pazzi ed altri congiurati accerchiarono Giuliano e iniziarono a colpire il giovane fino a quando, dopo diciannove coltellate, il suo corpo morto non si accasciò per terra. Lorenzo, forse per l’esitazione dei due preti incaricati di ucciderlo, ebbe il tempo di reagire e di prendere la spada. Ferito al collo, riuscì a difendersi e a barricarsi con alcuni dei suoi uomini all’interno della sacrestia. Non aveva idea di che fine avesse fatto il fratello e, noncurante della ferita, continuava a chiamare Giuliano. Nel frattempo, secondo il piano, Jacopo de’ Pazzi fuori dalla chiesa avrebbe dovuto richiamare la folla per ottenere il loro favore, inneggiando al popolo e alla libertà. Tuttavia, i congiurati avevano sottovalutato l’amore dei fiorentini per i Medici.

La Congiura fallita e la tragica fine dei congiurati

Appena si sparse la voce di ciò che era avvenuto nella Chiesa, una folla inferocita si riversò a casa di Francesco de’ Pazzi, dove l’uomo, ferito gravemente si era recato per riprendere le forze. Fu trascinato al Palazzo Vecchio e impiccato. Stessa sorte ebbe l’arcivescovo Salviati che, secondo il piano, avrebbe dovuto conquistare Palazzo Vecchio e uccidere il gonfaloniere di giustizia. Dopo una colluttazione, il secondo ebbe la meglio sul primo, che venne sommariamente processato e impiccato, dicono, dalla stessa finestra dalla quale sarebbe stato impiccato anche Francesco de’ Pazzi. Jacopo tentò la fuga, ma poco fuori Firenze venne riconosciuto da un contadino, catturato e impiccato a sua volta. Montesecco, dopo aver raccontato i dettagli della Congiura, ottenne una grazia per essersi rifiutato di uccidere Lorenzo: gli fu concessa la decapitazione al posto dell’impiccagione.

Lorenzo de’ Medici ebbe l’occasione di ripulire Firenze da tutti i suoi avversari

Rinchiuso nel Palazzo per oltre dieci giorni dopo l’attentato, Lorenzo non perse tempo per vendicare il fratello, unica vittima della Congiura (a parte i congiurati). La famiglia de’ Pazzi venne considerata colpevole, tutta quanta. Si salvò solo Guglielmo, marito di Bianca de’ Medici, ma venne bandito dalla città. Restava un solo uomo a non aver ricevuto giustizia: Bandinelli, l’assassino di Giuliano, era riuscito a fuggire. Fu rintracciato l’anno seguente a Costantinopoli e riportato a Firenze. Nel 1479, alla sua impiccagione, era presente un ragazzo, un giovane apprendista del Verrocchio, che disegnò Bandinelli appeso per il collo: quel ragazzo eraLeonardo Da Vinci.

Bandinelli appeso per il collo nel disegno di Leonardo Da Vinci
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Lorenzo de’ Medici, il Magnifico di Firenze

L’evento 

Lorenzo di Piero de Medici, noto anche come Lorenzo il Magnifico, nacque il 1° gennaio 1449 a Firenze da Piero de’ Medici, detto “il Gottoso”, e Lucrezia Tornabuoni. Rappresentò la famiglia più importante del Rinascimento, influente non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Fu la personalità più rilevante del Quattrocento: come diplomatico, come signore di Firenze, come banchiere e soprattutto come mecenate e uomo di cultura; si circondò di poeti, artisti e scrittori, fino alla morte avvenuta l’8 aprile 1492 a causa della gotta e di un’ulcera non curata. 

Ritratto di Agnolo Bronzino di Lorenzo il Magnifico risalente al XVI sec. ca.

Contesto storico 

Lorenzo il Magnifico si trovò ad operare in un periodo storico particolare, in cui diverse famiglie cercavano di primeggiare per il controllo di Firenze. I Medici ben presto primeggiarono sulle altre famiglie di Firenze, tra cui gli Albizzi, gli Strozzi e i Pazzi. Dapprima grazie al prestigio di Cosimo, in seguito a quello del nipote Lorenzo, dal 1467 ebbero in mano tutta la Toscana, tranne Lucca, Pisa e Siena. Essi non toccarono mai ufficialmente le istituzioni comunali ma si assicurarono di averne tutte le cariche.

Piazza della Signoria e Palazzo Vecchio
(immagine presa da Italia.it)

La giovinezza di Lorenzo 

Lorenzo ricevette insieme ai fratelli un’educazione classica e umanistica così come un’eccellente preparazione politica, giacché sarebbe divenuto il prossimo a gestire gli affari. Già a dodici anni si interessò grazie a Marsilio Ficino all’Accademia neoplatonica. Inoltre, tra il 1465 e il 1466 gli vennero affidati degli incarichi diplomatici importanti a Milano, a Venezia, a Roma poiché avrebbe dovuto controllare le filiali di queste città. A Roma siglò un contratto che gli avrebbe assicurato delle miniere a Tolfa. Il suo prestigio fu tale che a diciassette anni sedette nel Consiglio dei Cento. Oltre a ciò, per rafforzare il suo legame con Roma, sposò Clarice Orsini nel 1469. Vi fu davvero affetto tra i due, come si evince dai suoi Ricordi. 

Lorenzo de’ Medici in un affresco nel Palazzo dei Medici, 1459.

Ascesa al potere 

I viaggi presso le varie corti gli diedero modo di conoscere la situazione politica ed economica italiana e di familiarizzare con l’attività di banchiere. Dopo la morte del padre nel 1469, Lorenzo prese le redini della famiglia a soli vent’anni. Il potere di Lorenzo avrebbe dovuto essere informale, tanto che restò un cittadino normale; nella realtà non fu così. Egli dominò non solo su Firenze ma anche sulla Toscana e giunse ad influire sulle sorti del resto d’Italia e d’Europa. Ciò gli valse l’appellativo di “ago della bilancia” poiché riuscì ad equilibrare i rapporti tra le varie signorie e diventare il fulcro della politica italiana. 

Politica estera 

Egli dimostrò fin da subito di voler governare Firenze, per tale motivo si assicurò la presenza di esponenti filomedicei nel Consiglio dei Cento. Ciò creò malcontento tra le altre famiglie nobili e perfino delle città vicine, che si ribellarono. La prima ad essere riportata all’ordine fu Prato poi nel 1472 toccò a Volterra, fondamentale soprattutto a livello economico dato che possedeva delle miniere di allume. Dopo una breve resistenza, Volterra capitolò e l’esercito dei Medici per ordine di Lorenzo, si macchiò della strage dei volterrani che suscitò lo sdegno pubblico. 

Moneta raffigurante Lorenzo de’ Medici. (immagine presa via web)

Conflitto con il papa 

Lo scontro di interessi portò Lorenzo ad incrinare nel 1474 il rapporto con Sisto IV; il papa voleva occupare  Imola, Faenza e Città di Castello in Umbria per poi strappare Firenze ai Medici e darla al nipote Girolamo Riario: questo avrebbe comportato l’influenza del papa su tutta l’Italia centrale e Lorenzo non poteva permetterlo, così negò il versamento di 40.000 fiorini a Roma. A questo punto il papa tramò contro Lorenzo e Giuliano, insieme all’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, Federico da Montefeltro, il re di Napoli Ferrante d’Aragona e i Pazzi.  

Nel 1478, durante la messa pasquale a Santa Maria del Fiore, i congiurati agirono e se Lorenzo riuscì a salvarsi grazie a Poliziano, lo stesso non fu per il fratello Giuliano, che perse la vita. Nel frattempo, coloro che avevano tramato vennero tutti impiccati in Piazza della Signoria, come monito per chiunque avesse voluto opporsi. Questo non fermò il papa che lo scomunicò per aver ucciso l’arcivescovo Salviati e chiuse il banco mediceo a Roma. Inoltre, dichiarò guerra a Firenze con il sostegno di Napoli, Ferrara, Lucca e Siena. Grazie alla sua pronta azione diplomatica nel 1480, il Magnifico riuscì ad ottenere l’alleanza di Napoli e Ferrara; a Sisto IV non restò che siglare la pace e togliere la scomunica. Successivamente, il Magnifico si legò al nuovo papa, Innocenzo VIII, mediante il matrimonio strategico della figlia Maddalena con il figlio del papa. Alla fine del 1487 anche Lucca e Siena erano sotto il suo controllo. 

Politica interna 

Lorenzo, grazie a questa rete di alleanze, riuscì ad imporsi ancora di più su Firenze, istituendo il Consiglio dei Settanta; in tal modo tolse l’autorità al gonfaloniere. La rotazione dei membri non era automatica come avrebbe dovuto essere in un’istituzione repubblicana. Gli ultimi anni furono segnati dal rapporto contrastato con il domenicano Girolamo Savonarola, chiamato a Firenze nel 1490, che dopo la sua morte porterà scompiglio nella città. 

L’importanza di Lorenzo detto Il Magnifico

Egli rappresentò davvero l’ago della bilancia e durante il suo operato si mantenne un certo equilibrio; dopo la sua morte, l’Italia versò nel caos e iniziarono le cosiddette Guerre d’Italia. A partire dall’1492, l’Italia subì le invasioni degli stranieri, in primis dei francesi e non si vide più durante il Rinascimento un uomo così tanto carismatico, spregiudicato e influente come Lorenzo de Medici. 

Nel 2016 è stata prodotta dalla rai una serie tv per raccontare le vicende dei Medici. (immagine presa da raiplay.it)

 

L’attività politica marciò congiunta con quella letteraria. Lorenzo fu il fautore della crescita culturale di Firenze, comportandosi come un vero e proprio mecenate. Sotto la sua tutela la città rinacque; egli fondò la prima accademia d’arte nel giardino di San Marco, che frequentò il giovane Michelangelo. In più commissionò il restauro di Santa Maria del Fiore e il rinnovo di Palazzo Vecchio. La sua corte eclettica fu assiduamente frequentata da Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Michelangelo, Leonardo da Vinci, da Poliziano, Marsilio Ficino e il Pulci. Egli stesso compose poesie in volgare e altre opere, tra cui i Canti Carnascialeschi, di cui fa parte il Trionfo di Bacco e Arianna. Lorenzo il Magnifico rappresentò a pieno l’uomo rinascimentale, dedito alla politica, al contempo alla cultura classica e alla riflessione filosofica sulla caducità della vita. D’altronde del doman non v’è certezza!

Il Giardino di San Marco nel palazzo dei Medici.
(immagine presa via web)

 

 

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ACCADDE OGGI | Nasce Raffaello, il genio del Rinascimento

Ricorre oggi l’anniversario della nascita di uno dei più noti pittori e architetti del Rinascimento: Raffaello Sanzio, nato il 6 aprile 1483.

Il celebre artista venne affascinato, in giovane età, dalle abilità pittoriche di altri due esponenti di questo movimento artistico, cioè Michelangelo e Leonardo. Quando si fermò a Firenze, tra il 1504 e il 1508, riuscì a far proprie le tecniche di entrambi, guadagnandosi l’appellativo di genio del Rinascimento.

Autoritratto di Raffaello (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1506)
La fama di Raffaello

Le cose vecchie di Masaccio, e quelle che vide nei lavori di Leonardo e Michelangelo lo fecero attendere maggiormente agli studi, e per conseguenza acquistarne miglioramento straordinario all’arte et alla sua maniera.

Con queste parole Giorgio Vasari, noto storico del Cinquecento, commenta le abilità del Sanzio, che in poco tempo diede prova di grande abilità pittorica e architettonica.

È considerato uno dei più grandi artisti di ogni tempo, per via delle numerose opere iconiche e per le modalità con cui esse vennero realizzate, oltre che per il prezioso aiuto di una bottega estremamente qualificata.

Autoritratto di Giorgio Vasari (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1571-1574)

 

                                                                                                                  

L’influenza di Leonardo e Michelangelo in Raffaello

Tra le prime opere ammirate da Raffaello a Firenze, un posto di spicco occupa il cartone con la Madonna col Bambino, Sant’Anna e San Giovannino, esposto nel convento dei Servi. Anche se l’opera oggi è perduta, vi è un altro cartone, col nome identico, esposto alla National Gallery di Londra, che presenta le caratteristiche della pittura leonardesca: paesaggio montano e roccioso, disposizione piramidale delle figure e gestualità accentuata.

Raffaello conosceva quest’opera e ciò è evidente se si prende in considerazione uno dei suoi primi lavori del periodo fiorentino, cioè La Madonna del cardellino degli Uffizi, che prende il nome dall’uccellino tenuto in mano dal piccolo San Giovanni.

Il paesaggio alle spalle dei personaggi è umbro ed è caratterizzato dagli stessi elementi compositivi di Leonardo: struttura piramidale e attenzione ai gesti. A ciò si aggiunge, però, lo studio dell’altro manierista, Michelangelo, cui fanno pensare la testa di Maria, elegantemente staccata rispetto al corpo e le proporzioni di San Giovanni.

Madonna col Bambino, Sant’Anna e San Giovannino (National Gallery, Londra, 1497-1500)

 

La Madonna del cardellino (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1506)
Raffaello e Fra Bartolomeo

Negli anni fiorentini, Raffaello ebbe numerosi scambi e contatti anche con il pittore e frate domenicano Fra Bartolomeo. Nello stesso anno 1507 in cui quest’ultimo otteneva il saldo per l’Apparizione della Vergine a San Bernardo per la Badia fiorentina, Raffaello firmava e datava la Deposizione Baglioni per la chiesa di San Francesco al Prato, a Perugia. Innegabili sono le uguaglianze tra i due dipinti: composizione bilanciata e attenzione verso il colore ricercato.

Apparizione della Vergine a San Bernardo (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1504-1507)
Focus sulla tavola della Deposizione

La nota tavola, la Deposizione, venne commissionata a Raffaello da Atalanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto, morto a Perugia nel 1500. La sua morte è legata a faccende private e di affermazione dinastica.

Nel 1400 la famiglia Baglioni aveva imposto la sua signoria sulla città fiorentina, causando contrasti e malcontenti generali.

Il figlio di Atalanta aveva ordinato la morte di quasi tutti gli esponenti maschili della stessa famiglia, volendo accentrare tutto il potere nelle sue mani, lasciando in vita solo Giampaolo Baglioni, che, per vendetta, ordinò la sua morte sotto gli occhi attoniti della madre.

Il dipinto, che vuole alludere a questa tragica vicenda, si configura come il trasporto del corpo di Cristo dalla croce al sepolcro: si riconoscono, in lontananza, il monte Gòlgota e le sue croci.

L’abilità di Raffaello, in questo caso, è quella di unire, in un ossimoro, il sacro e il profano: associa la morte di un individuo crudele e spietato, come era il Baglioni, a quella del campione della fede cristiana e dell’amore incondizionato, Gesù Cristo.

Deposizione (Galleria Borghese, Roma, 1507)
Raffaello architetto

Celebre nella pittura, Raffaello fu anche un abile architetto, al punto da prendere parte all’ambizioso progetto del cantiere romano per eccellenza, la Basilica di San Pietro.

Egli diede un importantissimo contributo alla Basilica Vaticana, ripristinandone il corpo longitudinale da innestare sulla crociera avviata da Bramante.

In base a una pianta attribuita al Sanzio, la struttura dell’opera doveva prevedere la realizzazione di una navata con cinque campate, con navate laterali, da porre davanti allo spazio cupolato bramantesco, dei pilastri con doppie paraste e, infine, una facciata costituita da un ampio portico a due piani.

Il progetto, purtroppo, non andò a buon fine perché il successore di Raffaello, Antonio da Sangallo il Giovane, presentò in un memoriale tutti i difetti del piano del suo predecessore.

Pianta di Raffaello per la Basilica di San Pietro
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NEWS | “Passato e Presente”, Barbero e Mieli raccontano Savonarola

La Firenze della fine del ‘400 sta vivendo uno dei periodi di massimo splendore della città culla del Rinascimento. Firenze è sotto il controllo di Lorenzo de’ Medici, contro la cui condotta politica si scaglia aspramente Girolamo Savonarola, un frate domenicano che nelle sue prediche appassionate si rivolge contro la ricchezza e contro lo sfruttamento del popolo da parte dei governanti. Un personaggio particolare, la cui vita è stata segnata dal crescente numero di nemici. Il partito dei Medici si scaglia contro di lui a seguito della cacciata di Piero de’ Medici, erede di Lorenzo. Si fa nemiche anche le potenze rivali di Firenze, come Milano e la Spagna. Ma il nemico principale è la Chiesa di Roma e il suo pontefice, Alessandro VI, ossia Rodrigo Borgia. Le accuse al papato di corruzione e decadenza gli valgono una scomunica dal pontefice. Ed è proprio la scomunica che convince la città, che teme ripercussioni, a processare Savonarola per eresia, fino alla condanna, nel 1498, al rogo.

Savonarola
Ritratto di Girolamo Savonarola, Fra Bartolomeo (1497)
Passato e Presente

Proprio a Savonarola è stata dedicata una puntata di Passato e Presente (Savonarola santo o eretico?), programma condotto da Paolo Mieli. La puntata fa parte della stagione 2018-2019 ed è ritornata in onda martedì 5 gennaio, prima su Rai 3, poi su Rai Storia. Ospite di Paolo Mieli è stato il professor Alessandro Barbero, che ha tracciato una biografia del personaggio articolato e complesso, che riesce a conquistare a modo suo la città fiorentina, come si legge sul sito del programma. Trattando la storia di Savonarola, si indaga sul ruolo dei predicatori nella società rinascimentale e sul rapporto tra politica e religione, un rapporto che per Savonarola ebbe un esito drammatico.

Sarà possibile rivedere la puntata su Raiplay  a questo link. Inoltre, sempre su Raiplay, sono disponibili tutte le puntate di tutte le edizioni di Passato e presente, cliccando qui.

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ARCHITETTURA | I luoghi di culto nel Rinascimento

Altro modello, oggetto di interpretazione della cultura rinascimentale, fu rappresentato dal luogo di culto. Sulle chiese infatti si sperimentarono, in ordine all’applicazione dei nuovi stilemi, le forme geometriche elementari e la pianta centrale.

In tale ambito, tra i più illustri architetti dell’epoca, spicca la figura di Filippo Brunelleschi. Costui fu rinomato per gli studi che condusse riguardo la prospettiva, per non parlare dell’approntamento della cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore realizzata qualche tempo prima da Arnolfo di Cambio.

La cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze.

A tale eccezionalità di intervento fecero seguito altre opere mirabili, ascrivibili allo stesso, quali: la Sagrestia Vecchia, la Cappella dei Pazzi e la Rotonda di Santa Maria degli Angeli.

Sempre in tema di pianta centrale ricordiamo il tempietto di San Pietro in Montorio in Roma ad opera del Bramante il quale, in codesta opera, volle esprimere una nuova concezione di tale impostazione di derivazione classica.

L’opera che forse più di tutti ha rappresentato il mondo della cristianità, sempre ascrivibile al Bramante, fu la basilica di San Pietro in Vaticato, ove l’artista si è cimentato nel suo disegno originario concependolo come un imponente complesso a croce greca dominato al centro da una gigantesca cupola semisferica.

San Pietro, Roma.

Riguardo all’utilizzo della pianta a croce latina, il Brunelleschi ideò le chiese fiorentine di San Lorenzo e Santo Spirito; sulla scia di tale modello ricordiamo: la basilica di Sant’Andrea a Mantova di Leon Battista Alberti e le chiese veneziane del Redentore e di San Giorgio Maggiore di Andrea Palladio.

Riguardo le facciate, si riscoprirono i motivi decorativi dell’antichità quali: i pronai, i frontoni e gli archi trionfali; tra gli esempi più insigni ricordiamo: le facciate di Santa Maria del popolo a Roma e Santa Maria Novella a Firenze disegnata dall’Alberti.