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Approfondimento

“Bella ciao”, storia di un inno popolare

Una mattina mi son svegliato, / o bella, ciao! Bella, ciao! Bella, ciao, ciao, ciao! / Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor! è impossibile non leggerla cantando! Ormai da decenni questo canto popolare è entrato a far parte delle nostre vite e si è diffuso anche a livello internazionale. Il testo canta gli ideali della libertà, della resistenza contro le dittature e gli estremismi. Per questo Bella Ciao è considerata il simbolo della resistenza italiana.

Associato alla Giornata della Liberazione, il 25 Aprile, Bella Ciao è un canto popolare di cui non si conosce l’autore. Raggiunge la sua fama a seguito della Liberazione perché idealmente legato al movimento partigiano.

bella ciao

Un po’ di storia

Nei diversi studi, alcuni storici della canzone italiana vedrebbero all’origine di Bella Ciao un canto del mondo contadino. Sembra che fosse intonato dalle mondine che, in una prima versione, cantavano dello sfiorire della giovinezza causata dal duro lavoro nelle risaie. Un’altra versione la lega, invece, a una ballata francese del Cinquecento. Una terza versione trova che le melodie abbiano influenze Yddish, in particolare la canzone Koilen registrata da un fisarmonicista Klezmer di origini ucraine, Mishka Ziganoff, nel 1919 a New York.

La Bella ciao partigiana invece, secondo i più, riprendeva nella parte testuale la struttura diFior di tomba, un canto diffuso nel nord Italia.

Sebbene il canto inizi a coincidere con il simbolo dell’intero partito partigiano solo a guerra finita, uno studio di Cesare Bermani dimostra che alcuni gruppi partigiani lo avevano scelto come proprio inno. “Non è vero che Bella ciao non sia stata cantata durante la Resistenza” – dice lo studioso. Continua: “Era l’inno di combattimento della leggendaria Brigata Maiella in Abruzzo, cantato dalla brigata nel 1944. I suoi componenti lo portarono a Nord dopo la liberazione del Centro Italia, quando aderirono come volontari al corpo italiano di liberazione”.

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La Brigata Maiella per la liberazione di Bologna (fonte: La Prima Pagina)

Secondo Bermani, non si pensa ad associarla, di fatto, a tutti i partigiani per un errore di prospettiva. Si tende a pensare maggiormente che la Resistenza, e quindi il canto partigiano, fossero un fenomeno settentrionale. 

Un inno che attraversa la storia

La popolarità internazionale di Bella ciao inizia tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’50, in occasione dei numerosi “Festival mondiali della gioventù democratica” in molte città, tra cui Vienna, Berlino e Praga. In queste occasioni veniva cantata dai delegati italiani e tradotta in molte altre lingue. Raggiunse, così, una grandissima diffusione negli anni Sessanta, soprattutto durante le manifestazioni operaie e studentesche.

Ma, nel corso dei decenni, furono molte le versioni di Bella Ciao e molte le occasioni in cui venne cantata. La prima volta in televisione fu nel 1963, nella trasmissione Canzoniere Minimo, eseguita da Gaber, Maria Monti e Margot. Una versione a cui mancava, però, l’ultima strofa: questo è il fiore di un partigiano / morto per la libertà. Venne poi incisa da Gaber su 45 giri nel 1967.

Sempre nel 1965, venne cantata da I Gufi, nell’album i Gufi cantano due secoli di Resistenza e, successivamente, nel 1972 venne incisa da un partigiano ligure, Paolo Castagnino, con il suo gruppo folk italiano.

LP Bella Ciao – La Resistenza In Italia: Testimonianze Sonore, 1972

La sentiamo nuovamente in televisione quando, nel 2002, Michele Santoro la intona in apertura del programma Sciuscià. E, ancora, tra le riedizioni più popolari in Italia ci sono quella del gruppo folk Modena City Ramblers e quella del gruppo ska Banda Bassotti. Anche il gruppo spagnolo Ska-P ne ha realizzato una propria versione. 

Un inno internazionale di libertà

Bella ciao, ad oggi, è cantata in 40 lingue diverse e in numerose versioni. Di recente, per dimostrare vicinanza e solidarietà agli italiani durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, un’intera via della città tedesca di Bamberga dedica all’Italia Bella ciao.

Nonostante sia un brano italiano, legato a vicende nazionali, viene usato in molte parti del mondo come canto di resistenza e di libertà. Durante le manifestazioni contro Erdoğan avvenute nella piazza Taksim di Istanbul e in tante altre città turche nel 2013, alcuni manifestanti hanno intonato il motivo della canzone. Inoltre, gli indipendentisti curdi l’hanno fatta propria durante la guerra civile siriana in corso.
Nic Balthazar, regista e attivista belga, nel 2012 aveva realizzato un video per la manifestazione ambientalista Sing for the climate in cui i manifestanti cantavano Do it now, sulle note dei Bella ciao. Il brano è stato così adottato come inno per l’ambiente in occasione delle manifestazioni di “Fridays for future”.

Sing for the Climate

Sempre guardando oltre i nostri confini, possiamo apprezzare l’esecuzione del brano del musicista bosniaco Goran Bregović, che la include regolarmente nei propri concerti e che ha dato al canto popolare un tono decisamente balcanico.

È innegabile, però, che per i più giovani il successo di Bella ciao sia legato alla serie TV spagnola “La casa de papel“. La canzone partigiana viene cantata in italiano in alcuni momenti cruciali, sottolineando il senso di ribellione e felicità dei rapinatori protagonisti della serie.

Ad oggi Bella ciao viene considerata un inno universale alla libertà, in ogni sua forma, un inno che attraversa la storia e non conosce confini.

Una scena da “La casa de papel”

Di Concetta Barbera

News

ATTUALITÀ | “Super Walls”, sui muri di Padova la street art che guarda alla rinascita (PHOTOGALLERY)

Tra il 5 e il 20 giugno 2021 la città di Padova è stata invasa da artisti di strada provenienti da tutto il mondo per la seconda edizione della Biennale Street Art. A “Super Walls”, infatti, hanno preso parte 39 artisti che hanno colorato Padova con ben 35 opere di street art sul tema della rinascita.

L’iniziativa, curata dal gallerista Carlo Silvestrin e dalla critica d’arte Dominique Stella, ha quindi lo scopo di rendere fruibile un’arte pubblica attraverso la valorizzazione del paesaggio urbano. Ai 39 artisti, di cui 13 donne, con una forte presenza femminile rispetto al passato, è stato chiesto di interpretare con il loro filtro creativo il tema della rinascita, nell’era post-pandemica.

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Alessio-B presso La Cittadella, Padova (immagine via lapiazzaweb.it)

I nuovi murales, inoltre, si aggiungono ai 20 già realizzati in occasione della prima edizione della Biennale Street Art e si collocano su superfici messe a disposizione non solo da privati, ma anche da enti pubblici: scuole, ospedali, istituti religiosi e supermercati.

Le opere

Sia i cittadini sia i visitatori hanno accolto di buon grado le coloratissime opere che contribuiscono alla valorizzazione degli spazi abitati (e non solo). Tra le opere più apprezzate, un posto d’onore spetta al murales di 4000 mq realizzato sull’acquedotto padovano. Ben 6 artisti del collettivo francese La Crémerie hanno lavorato su piattaforme sospese per quasi un mese per dare colore a un grigio edificio ormai tra i simboli della città.

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La Crémerie, Impianto idrico di via Bottazzo, Padova (immagine via lapiazzaweb.it)

L’Università di Padova, inoltre, in occasione delle celebrazioni per i suoi 800 anni, ha messo due muri a disposizione degli artisti, uno dei quali sapientemente occultato dall’artista Peeta all’interno di un suo murales.

Peeta presso Università degli Studi di Padova (immagine via lapiazzaweb.it)

Un altro murales che è già entrato nel cuore di molti è quello dell’abbraccio tra un uomo e una donna su un muro dell’Ospedale Sant’Antonio di Padova. Alto più di 20 metri, il murale è un dono di nozze dell’artista olandese JDL al fratello adottivo e alla moglie malata di cancro. Un invito all’amore, alla resistenza e alla rinascita, non solo dalla pandemia.

JDL presso Ospedale Sant’Antonio, Padova (immagine via RaiNews)

«Cominciano a crederci un po’ tutti» – dichiara Silvestrin ad ANSA – «non solo i cittadini che ci seguivano già da prima, ma anche persone che per la prima volta si avvicinano a questo mondo». Il curatore spera in un nuovo modo di pensare ai percorsi turistici, introducendo, sulle mappe digitali e non, un itinerario apposito per la street art.

In copertina: Axe presso Alí Supermercati, Tombelle di Saonara. Immagini, dove non specificato, via lapiazzaweb.it.

Accadde oggi

ACCADDE OGGI | La morte di Mussolini: gli ultimi giorni del dittatore

28 aprile 1945: 76 anni dal giorno in cui Benito Mussolini venne giustiziato con la sua amante, Claretta Petacci, a Giulino di Mezzegra, in provincia di Como.

L’ultimo baluardo fascista

Nel dicembre del 1944 Mussolini ipotizzò una possibile ritirata in Valtellina, dove attuare l’ultima resistenza tramite il piano militare RAR (Ridotto Alpino Repubblicano). Il piano non venne mai eseguito a causa del mancato sostegno da parte di alcuni gerarchi fascisti e del ritardo nell’approvvigionamento di armamenti e vettovaglie.

Mussolini
Mussolini impegnato in un discorso
La fuga e l’arresto

Già a marzo del 1945 il dittatore tentò un primo tentativo di tregua con gli alleati anglo-americani tramite il cardinale di Milano Ildefonso Schuster; tentativo fallito a causa della richiesta di resa incondizionata fatta a Mussolini.

Il 19 aprile si stabilì nella prefettura di Milano. Lì, resosi conto che la situazione stava precipitando velocemente, cominciò ad intrattenere contatti con le autorità svizzere per un possibile asilo politico, ma quelle rifiutarono. In seguito, il 25 aprile (giorno dell’insurrezione di Milano), Mussolini fece un ultimo tentativo con il cardinale e i delegati del CLNAI (Comitato di liberazione nazionale Alta Italia) per evitare una fine rovinosa. Durante questo incontro il dittatore apprese anche che i tedeschi stavano trattando una tregua in segreto, rendendolo un uomo solo, senza alleati: decise quindi di abbandonare il “campo”. Se il piano fosse stato quello di espatriare in Svizzera o Germania o, più probabilmente, di tentare un ultimo baluardo difensivo in Valtellina per avere maggior tempo per trattare una tregua, non sarebbe stato sicuro.

25 aprile 1945: Mussolini abbandona la Prefettura di Milano; l’ultima foto che lo ritrae vivo

La sera del 25 aprile si mise in marcia verso Como; il giorno seguente, a Menaggio (CO), venne raggiunto dall’amante Claretta Petacci e lì si unì, insieme ai gerarchi fascisti che lo accompagnavano, ad un convoglio tedesco in ritirata. La colonna di automezzi venne fermata dalla 52esima brigata partigiana «Luigi Clerici» il 27 aprile a Dongo (CO), dove Mussolini venne riconosciuto e arrestato. L’ormai ex dittatore venne portato prima nella caserma della Guardia di Finanza di Germasino (CO), poi, per precauzione, venne portato con la Petacci a Bonzanigo (CO), dove passò l’ultima notte in un’abitazione di contadini, i De Maria.

L’annuncio al popolo

Venne annunciato l’arresto nello stesso giorno su Radio Milano Libera da Sandro Pertini: «Lavoratori, il fascismo è caduto. […] Il capo di questa associazione a delinquere, Mussolini, mentre giallo di livore e di paura tentava di varcare la frontiera svizzera, è stato arrestato. Egli dovrà essere consegnato a un tribunale del popolo perché lo giudichi per direttissima. E per tutte le vittime del fascismo e per il popolo italiano, dal fascismo gettato in tanta rovina, egli dovrà e sarà giustiziato. Questo noi vogliamo, nonostante pensiamo che per quest’uomo il plotone di esecuzione sia troppo onore. Egli meriterebbe di essere ucciso come un cane tignoso».

La morte del dittatore

Mussolini
Cancello di Villa Belmonte, Giulino di Mezzegra (CO)

Il 28 aprile alle 16.10 Mussolini e la Petacci vennero fucilati davanti al cancello di Villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra sul Lago di Como. Secondo la versione ufficiale, a compiere l’atto fu il colonnello partigiano Walter Audisio, conosciuto come “Valerio”, affiancato da altri due partigiani: Aldo Lampredi e Michele Moretti. La condanna non includeva la compagna del dittatore, ma, secondo le testimonianze, si aggrappò a lui nel momento degli spari. I corpi furono poi trasportati in piazzale Loreto, nel punto in cui circa 8 mesi prima erano stati fucilati 15 partigiani.