Relitti

News

ARCHEOLOGIA SUBACQUEA | I relitti della “Zona Falcata” di Messina

Conosciuta con il nome di Zona Falcata per via della sua forma, la penisola di San Raineri, a Messina, racconta una storia più che millenaria, di secoli più antica rispetto alla canonica fondazione della colonia Zancle a opera dei Calcidesi.

La Zona Falcata custode di relitti

Quel tratto del mar Ionio che bagna la penisola fu lo scenario di numerose battaglie. I suoi fondali e le sue coste diventarono cimiteri per imbarcazioni, che, con il passare del tempo, furono dimenticate.
Ma qualcosa ancora fa capolino dal passato, come promemoria di un tempo in cui Messina era il crocevia delle principali rotte commerciali e di collegamento tra l’isola, la penisola italiana e il resto del Mediterraneo.

Il Rigoletto

Lungo la parte sud della zona Falcata giace, indisturbato, il relitto di una storico traghetto: il Rigoletto. Il relitto deve la sua fama alla prua che fuoriesce dall’acqua, chiaramente visibile a pochi metri dalla riva e poco distante dalla Cittadella spagnola. Mentre la poppa sprofondava, appoggiata sul fondale, è divenuta habitat di diverse specie di pesci, unici nel mar Mediterraneo (pesci trombetta e castagnole rosa e nere).
Nel 1968 la nave fu venduta all’Italia e, col nome “Maddalena Lofaro”, effettuò numerosi viaggi.
Il primo luglio del 1980, sulla nave, mentre questa trasportava automobili usate da Antwerp (Belgio) a Beirut in Libano, scoppiò un incendio. L’equipaggio fu costretto ad abbandonare l’imbarcazione, che dal Mediterraneo fu rimorchiata nel porto di Messina.

Ormai troppo danneggiata per riprendere a viaggiare per mare, fu abbandonata nella zona della Real Cittadella, dove, in acque poco profonde, ha trovato il suo ultimo porto.
Il Rigoletto non è l’unico relitto presente lungo la zona Falcata, come, del resto, non è l’unico che si trova nei fondali delle coste siciliane.

 

Altri relitti moderni: il traghetto Cariddi

Un altro relitto che si può ammirare nei fondali della zona Falcata è quello del traghetto Cariddi, storica imbarcazione risalente ai primi anni ’30 del XX secolo. Questa permetteva il collegamento ferroviario tra le coste calabresi e quelle siciliane attraverso lo Stretto di Messina. Il Cariddi era simbolo di grande innovazione e fu la prima nave ad avere un sistema di propulsione diesel. 
Fu affondata durante la seconda guerra mondiale, riemersa negli anni successivi e riqualificata con un allungamento dello scafo, per poi esser dismessa nel 1990. Infine, ormai dimenticata lungo la costa, affondò in silenzio negli anni 2000. La nave, meta prediletta per le immersioni subacquee, dà riparo e vita a innumerevoli specie marine animali (gamberi, spigole, cernie, ecc.), adagiata sul fondale roccioso calcareo.

 

In antico

Durante una campagna di ricerca, effettuata con scansioni, verifiche Rov e immersioni subacquee, sono stati scoperti, in fondo allo Stretto di Messina, due relitti perfettamente integri di navi mercantili, risalenti al II-IV secolo d.C. L’area interessata alla campagna archeo-subacquea abbraccia un tratto di mare di 49 km2, poco distante rispetto alla zona Falcata. In questa operazione hanno lavorato in sinergia istituti pubblici e privati: Aurora Trust, la Soprintendenza ai Beni Culturali del Mare di Palermo, Oloturia Sub, Bimaris edizioni. La campagna di ricerca fa parte del progetto “Atlantis”, un piano biennale di mappatura dei fondali dello Stretto di Messina. 
Durante la campagna svoltasi dal 13 al 19 giugno del 2011, sono state ritrovate nel primo relitto anfore nord-africane ben conservate, nel secondo macine intere, lingotti di piombo con timbro, fondamentale per individuarne la provenienza, e tre ancore in ferro, oggi conservate nei magazzini di Palazzo Zanca a Messina.

News

NEWS | Antiche rotte nel salentino, Archeologia subacquea al MArTA

Il “Mercoledì del MArTA (Museo Archeologico Nazionale di Taranto)” organizza un incontro con uno studioso, un esperto capace di interconnettere la storia di alcuni reperti del Museo con i vissuti delle antiche civiltà che li hanno prodotti.

Dopo il successo dello scorso incontro settimanale, questo mercoledì, 28 ottobre 2020, parlerà il professor Giacomo Disantarosa, docente di Archeologia subacquea e ricercatore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Bari, nonché Responsabile del Laboratorio di Archeologia subacquea nella sede di Taranto. L’evento si svolgerà online, in diretta sulla pagina Facebook del MArTA.

Il padre dell’Archeologia subacquea nel salentino è americano

Il professor Disantarosa ricorderà in primis un pioniere dell’archeologia subacquea, l’americano Peter Throckmorton, che tra il 1964 e il 1965 condusse ricerche lungo il litorale jonico-salentino. Il panorama internazionale lo ricorda addirittura come il padre dell’Archeologia subacquea: ha fondato la Sea Research Society, un’associazione no-profit per le ricerche nel sommerso, in cui ha rinnovato il suo impegno fino alla morte (1990); fiduciario presso il NUMA (National Underwater & Marine Agency) e istruttore subacqueo per la Nova Southeastern University.

Il tesoro del Salento al MArTA

“Parliamo di Archeologia subacquea, ma parliamo anche di traffici e circolazione di uomini, culture e merci mentre viene progettato il rilancio dello scalo portuale tarantino” – commenta Eva Degl’Innocenti, direttrice del MArTA.

Il MArTa arriva finalmente a una migliore comprensione dei relitti di San Pietro in Bevagna, de La Madonnina, di Torre Chianca e di Porto Cesareo. Il gruppo, rilevato da Peter Throckmorton più di cinquant’anni fa, era stato liquidato con pochissime descrizioni, quasi assente la documentazione grafica e fotografica. Ulteriori ricerche hanno permesso di approfondire la storia delle coste: un lavoro in collaborazione tra il Laboratorio di Archeologia Subacquea di Taranto, la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università di Bari e la Soprintendenza delle province di Lecce, Taranto e Brindisi.