regista

News

DIETRO AL FASCISMO | Scipione l’Africano, il colosso d’argilla

Durante il ventennio fascista il teatro e, in particolare il cinema, dovevano adattarsi ad una nuova mentalità, quella del regime di massa. Uno degli esempi più importanti è sicuramente la produzione di “Scipione l’Africano”. Il film kolossal del 1936-1937, diretto da Carmine Gallone, esaltava la potenza imperiale di Roma identificata con quella fascista e sovrapponeva la figura di Mussolini vincitore sugli Etiopi a quella del condottiero romano.

Locandina di “Scipione l’Africano” (1936-1937)

Carmine Gallone, regista cosmopolita

Carmine Gallone fu definito dalla critica “regista cosmopolita” per i suoi lavori all’estero, svolti tra il 1926 e il 1935. Girò centinaia di film tra muto e sonoro. Ebbe grande padronanza delle innovazioni tecniche come il lungometraggio, il sonoro, il playback nei film d’opera, l’introduzione del colore e i cambiamenti di stile dai film veristi ai film storici.

Il regista Carmine Gallone

La trama di “Scipione l’Africano”

“Scipione l’Africano” ricostruiva le vicende della seconda guerra punica, dalla partenza di Scipione per l’Africa nel 207 a.C. alla battaglia di Zama del 202 a.C. Il console Scipione, adorato dal popolo romano, ottiene dal Senato il controllo della provincia di Sicilia e prepara la campagna militare contro l’esercito cartaginese. I veterani della battaglia di Canne raggiungono le truppe in partenza mentre un gran numero di volontari accorre da ogni parte. Nel frattempo, Annibale è bloccato nel Bruttium a causa della mancanza di viveri, così le sue truppe saccheggiano villaggi e raccolti. I soldati fanno irruzione nella villa di Velia, una nobile romana e la fanno prigioniera insieme al fidanzato Arunte e alla servitù. A Cirta, Sofonisba, la figlia di Asdrubale, spinge il marito Siface ad allearsi con i Cartaginesi. Scipione, dopo aver assediato Utica e sconfitto l’esercito di Asdrubale e Siface, si prepara ad affrontare Annibale, che lascia l’Italia per difendere Cartagine. Velia e Arunte riescono a fuggire e a raggiungere l’accampamento di Scipione. I due condottieri si affrontano, Scipione su un cavallo bianco, Annibale su di uno nero. Gli elefanti ostacolano i soldati romani, ma l’unione tra cavalleria e fanteria garantisce la vittoria. Annibale fugge insieme a pochi altri sopravvissuti mentre Scipione, avendo così vendicato la disfatta di Canne, fa ritorno a Roma, dove viene celebrato con una festa notturna.

Scena tratta da “Scipione l’Africano” (1937)

Il giudizio della critica

Scipione l’Africano” fu realizzato in dieci mesi di lavoro e costò circa otto milioni di lire. Costituiva il maggior sforzo organizzativo realizzato dall’industria cinematografica per l’impiego di masse, per la fastosità degli interni e per le imponenti ricostruzioni. Nonostante ciò, fu considerato dalla critica dell’epoca un totale fallimento per diversi motivi: rappresentava un film d’opera sia per la costruzione drammaturgica e le comparse (come il coro) che per la musica e la recitazione teatrale; non esisteva collaborazione tra i vari, anzi troppi, aiuto-registi; altri puntavano il dito contro la produzione e non il regista, considerato soltanto un coordinatore. Negativa era considerata l’interpretazione di Annibale Ninchi nel ruolo di Scipione, non amato dalla folla, poco carismatico. Non riusciva a trasportare sullo schermo la figura forte e audace del condottiero romano, al contrario del personaggio di Annibale interpretato da Camillo Pilotto.
La cattiva interpretazione della figura di Scipione accentuò di conseguenza il carattere melodrammatico del film. Si leggeva chiaramente la differenza con i kolossal americani, che erano basati su regole ferree e divisioni di compiti supervisionati dal produttore. Giudizi abbastanza duri su “Scipione l’Africano” si riscontravano anche nella critica moderna. Carlo Lizzani scriveva:

Scipione l’Africano è il classico colosso d’argilla che vorrebbe glorificare impossibili parentele fra fascismo e romanità. Tanto è ridondante il film, quanto provinciale e penosa l’illusione di Mussolini di rassomigliare ai Cesari.

Scipione l’Africano (1937). Carlo Nicchi, Fosco Giachetti, Francesca Bragiotti

Un progetto di stampo politico

Il film, voluto da Mussolini, doveva essere una sfida produttiva e spettacolare, in competizione con la cinematografia americana, e fu l’occasione per mettere in risalto la conquista d’Etiopia e l’impero coloniale nato ad opera del Duce. Scipione non doveva essere solo un film, ma un kolossal in grado di essere superiore a tutte le altre pellicole girate fino a quel momento. Il progetto Scipione era semplicemente un progetto a stampo politico, non era stato creato per lo spettacolo e Gallone, ingenuamente, accettò consigli e suggerimenti da tutti, soprattutto da coloro i quali vedevano il mondo del cinema e, in generale, dello spettacolo solo come un mezzo di propaganda per il consenso politico. Ciò spiegava il motivo per il quale Mussolini scelse come regista proprio Gallone: regista con esperienza, soprattutto estera, capace di adattarsi ad ogni circostanza e soprattutto politicamente accondiscendente.

Mussolini sul set del film

Mussolini come Scipione l’Africano

“Scipione l’Africano” era un film realizzato per celebrare i fasti dell’antica e della nuova Roma e due importanti personalità Scipione e Mussolini che, nonostante il divario cronologico, avevano compiuto la medesima impresa. Mentre Scipione aveva sconfitto una delle massime potenze della propria epoca, Mussolini aveva usato tecnologie avanzate per distruggere un esercito, sotto quel punto di vista, arretrato. Dopo la vittoriosa impresa africana, il fascismo si presentava come una nuova potenza imperiale. Una potenza che aveva cambiato le sorti dell’Italia, che da paese arretrato diveniva potenza economica e militare. L’impresa africana soddisfaceva le masse, perché in quelle regioni subalterne avrebbero trovato il lavoro e la terra che da tempo cercavano. Il continente africano era visto come un mito sognato da molto tempo e ottenuto solo grazie a Benito Mussolini. La vittoria africana risollevò il morale nazionalistico, ma sul piano storico ci furono esiti negativi in merito ai rapporti internazionali. L’Italia si andava allontanando dalle democrazie occidentali avvicinandosi sempre più alla Germania nazista di Hitler; la seconda guerra mondiale spazzerà via il ricordo delle conquiste coloniali, che erano state fin da subito paragonate alle conquiste dell’Impero Romano. Scipione era considerato un film che univa gli Italiani e che spronava al consenso politico nei confronti del fascismo e del Duce.

27 ottobre 1937. Il pubblico in attesa di assistere alla visione del film davanti al teatro Barberini di Roma

La contrapposizione tra società romana e cartaginese

La realizzazione di Scipione l’Africano portava inevitabilmente al lancio della figura del condottiero romano e, di conseguenza, Mussolini diveniva il massimo protagonista. La figura del Duce si caricava di un alone mistico, quasi di una luce divina. Il film inseriva al suo interno una notevole quantità di simboli e metteva anche in contrapposizione la società romana con quella cartaginese: i Romani erano presentati come modello di disciplina, mentre i cartaginesi come persone “odiose” che non rispettavano la tregua e feroci con le donne. La società cartaginese era priva di principi morali e dominata soltanto dal dio denaro, come al tempo di Mussolini era considerata l’Inghilterra. Al contrario, la società romana, dopo la presa del potere da parte di Scipione, era compatta e costruttiva, basata sul consenso popolare. Scipione come Mussolini, era considerato un predestinato, un capo naturale che aveva un rapporto privilegiato con il popolo.

Una classicità fasulla

Scipione fu un insuccesso su più fronti. Il film rappresentava la fine del filone dei “film di massa” e Garrone, nonostante la lunga e soddisfacente carriera rimarrà etichettato, per sempre, come il regista di Scipione l’Africano. La produzione di Scipione mostra come il mito di Roma antica sia stato largamente utilizzato dalla propaganda fascista e come sia stato modificato e plasmato secondo le sole idee di Mussolini. Un uso del passato, però, che rischiava di ridurre la storia a mito, che conduceva a una classicità fasulla, svuotata di contenuto e ridotta a semplice estetica celebrativa.