Lo scorso 10 Marzo 2019 il mondo della cultura è stato scosso dalla scomparsa di uno dei suoi più illustri esponenti: il Prof. Sebastiano Tusa. Nato a Palermo il 2 Agosto 1952, Tusa è divenuto un archeologo di fama internazionale e un paladino della difesa dei beni culturali.
La carriera
Figlio di Vincenzo Tusa, anch’egli illustre archeologo, si laurea in Lettere e si specializza in Paletnologia. Già negli anni ’90 la sua carriera è divisa tra gli incarichi dirigenziali e il lavoro sul campo: è stato responsabile della sezione archeologica del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro BB. CC. di Palermo e ha diretto gli scavi di Pantelleria rinvenendo, tra i tanti reperti, tre ritratti imperiali romani. Inoltre, ha insegnato Archeologia Marina presso le Università di Palermo, Napoli, Bologna e, negli ultimi anni, anche presso l’Università di Marburg in Germania.
L’esperienza nelle Soprintendenze
Gli anni 2000 lo vedono sempre più interessato alla protezione e all’amministrazione dei beni culturali, trascurando l’amato lavoro sul campo. Inizialmente guida la Sovrintendenza di Trapani poi, nel 2004, diventa primo sovrintendente della neonata Sovrintendenza del Mare. Nonostante le grandi responsabilità derivanti da questi incarichi riesce a trovare il modo di non perdere le proprie radici di archeologo da campo e continua a organizzare missioni archeologiche in Italia e all’estero (Pakistan, Iraq e Iran).
Tusa e la ricerca a Mozia
Nel 2005 è anche responsabile degli scavi hanno interessato le strutture adiacenti la strada sommersa che collega l’isola di Mozia alla città di Marsala. In quest’occasione non è potuto mancare l’incontro e la collaborazione con Lorenzo Nigro, anche lui archeologo di fama internazionale e docente di Archeologia Orientale dell’Università di Roma La Sapienza, che recentemente sui social ha espresso il proprio cordoglio ricordando Tusa come uno studioso straordinario, un archeologo, un amico, un siciliano vero.
L’impegno politico di Tusa
Divenuto socio onorario dell’Associazione Nazionale Archeologi, nel 2012 torna a dirigere la Sovrintendenza del Mare della Regione Sicilia, posto che non lascia fino al 2018 quando, ormai entrato in contatto con il mondo della politica, viene nominato Assessore regionale dei Beni Culturali e dell’identita siciliana dal presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, prendendo il posto di Vittorio Sgarbi.
La tragedia dell’Ethiopian Airlines
Tusa è stato un uomo dalla grande tempra morale che non si è lasciato sconfiggere nemmeno dal brutto male ai polmoni che aveva combattuto e vinto. Solo una inaspettata e tragica fatalità, che non poteva essere evitata, lo ha potuto distogliere dai suoi obiettivi e lo ha allontanato dai suoi cari: Sebastiano Tusa perde la vita a Bishoftu (clicca qui), 60 km a sud-est di Adid Abeba, il 10 Marzo 2019 alle 8:44 del mattino.L’aereo su cui viaggiava e che lo avrebbe portato a presenziare alla conferenza UNESCO organizzata a Malindi si è schiantato al suolo poco tempo dopo il decollo (clicca qui per i dettagli e le indagini).
Il cordoglio per la scomparsa di Tusa
Sono stati in molti a ricordare Tusa; spiccano i nomi di Alberto Angela, Nello Musumeci (clicca qui per il cordoglio del Presidente e della Regione Siciliana)e Vittorio Sgarbi.
Sebastiano Tusa è stato un amante della sua terra e del suo lavoroe un amante dell’arte e dell’archeologia. Oggi si piange la perdita di un Siciliano Doc cheaveva un senso profondo del dovere e che vedeva all’archeologia come messaggio di pace, cemento fra i popoli e le loro storie: con queste parole la moglie Valeria Patrizia Li Vigni descrive il marito alla stampa dopo il tragico incidente.
Nel Pantheon degli Illustri di Sicilia, nella Chiesa di San Domenico a Palermo, riposano adesso anche le spoglie di Sebastiano Tusa.
Il frammento della lastra appartenente al fregio orientale del Partenone, il cosiddetto Reperto Fagan, potrà restare per sempre in Grecia. L’ok arriva dalla Regione Siciliana, a dare la notizia è Alberto Samonà, assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana.
Il frammento Fagan
Raffigurato nel frammento del fregio del Partenone è il piede di una Dea, si ipotizza Artemide seduta in trono, adornato da meravigliosi drappeggi della veste. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell’Acropoli di Atene dove, nel corso di una cerimonia a cui ha preso parte il premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale da cui era stato asportato.
Il reperto archeologico, databile al V secolo a.C., giunse all’inizio del XIX secolo nelle mani del console inglese Robert Fagan in circostanze non del tutto chiare. Alla morte di quest’ultimo fu lasciato in eredità alla moglie che lo vendette tra il 1818 e il 1820 al Regio Museo dell’Università di Palermo, l’attuale Museo Archeologico A. Salinas.
Via libera alla sdemanializzazione
Il destino del frammento è stato una delle questioni più dibattute di sempre in ambito archeologico. Grazie all’ esito degli accordi dei mesi scorsi tra il Governo della Regione Sicilia e il Governo di Atene, è stato deciso il ritorno del frammento in marmo pentelico nella capitale greca. Con la delibera di Giunta è stato dato il consenso alla sdemanializzazione del bene, ossia l’atto tecnico necessario per la definitiva restituzione del bene.
Ad oggi si attende unicamente il nulla osta finale del Ministero della Cultura. Così facendo la Sicilia si pone come apripista per il ritorno in Grecia dei frammenti dell’opera di Fidia.
Inoltre, ai sensi dell’art.67 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e grazie all’accordo tra i due governi, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un’importante statua acefala della Dea Atena, databile al V secolo a.C. e che resterà nelle sale del museo Salinas per quattro anni. Al termine del periodo giungerà al suo posto un’anfora geometrica.
Nella riorganizzazione degli uffici regionali, pensata dalla giunta Musumeci e approvata dalla giunta, troviamo la cancellazione delle sezioni specialistiche delle soprintendenze. L’esecutivo regionale, con una semplice disposizione amministrativa, ha soppresso le sezioni specialistiche, demolendo la competenza disciplinare cara al Codice dei Beni culturali e del paesaggio.
Uccidere le soprintendenze
Lo scopo della delibera è quello di accentrare nelle soprintendenze i controlli sui settori specialistici, depotenziando all’effettivo la capacità di verifica. La mossa non avrebbe effetto sul numero di incarichi da dirigente: resteranno 121 postazioni dirigenziali.
Il dato è principalmente politico. Già nel 2018 il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, in una conferenza a Palazzo d’Orleans tentò di abolire le soprintendenze. Un refuso, come venne definito da Sergio Gelardi, all’articolo 14 della legge di stabilità regionale. Musumeci affermò: “per alcune è necessaria un’azione farmacologica, per altre invece servono interventi chirurgici profondi”.
E adesso? Un altro refuso?
C’è da dire che alle soprintendenze siciliane manca di tutto, dagli strumenti, al personale, ai fondi. Questa delibera rischia di dare il colpo di grazia su ciò che resta dei presidi a tutela del patrimonio culturale, concepiti in Sicilia alla fine degli anni Settanta.
La delibera
La delibera della Giunta Musumeci del 10 marzo scorso ha definitivamente eliminato le unità specialistiche delle soprintendenze. Le unità disciplinari sono state soppiantate da due sezioni ibride: una per i beni architettonici e storico-artistici, paesaggistici e demo-etnoantropologici, e l’altra per i beni archeologici, bibliografici e archivistici. Una mescolanza di tutte le competenze rette da un dirigente generico ai beni culturali. La delibera riorganizza de facto tutta la macchina amministrativa di Palazzo d’Orléans.
Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, sottolinea la coincidenza della firma con il 10 marzo: “La data della delibera è, per fatale coincidenza, la stessa della giornata dei beni culturali siciliani, che ricorre ogni anno in memoria della tragica scomparsa dell’assessore Sebastiano Tusa” avvenuta nel 2019.
“Un modo per celebrarne non il ricordo, ma il contributo attuale, attualissimo, che Sebastiano ha dato alla cultura”, ha sottolineato l’assessore dei Beni culturali Alberto Samonà.
Le proteste
Zanna annuncia azioni legali “per bloccare questa ennesima riorganizzazione che dimostra, ancora una volta, la visione miope del governo regionale nei confronti della gestione, tutela e valorizzazione dei nostri beni culturali”.
Ana spera che la delibera sia ritirata: “un’amministrazione regionale che squalifica sé stessa delegittimando e appiattendo le competenze dei propri dipendenti si schiera obliquamente con la speculazione e la distruzione del territorio, piuttosto che adempiere con decisione al proprio dovere costituzionale di custodia e difesa del patrimonio e del paesaggio”.
Adele Maresca Compagna, presidente di Icom Italia, in una lettera aperta indirizzata al governatore Nello Musumeci e a Samonà esprime “forte preoccupazione per la soppressione di un cospicuo numero di unità operative tecniche”.
In un colpo solo si è fatta carta straccia delle normative regionali (nn. 116/1980 e 17/1991) e statali.
La discussa legge 10 del 2000
Nel 2016 la Sicilia di Crocetta aprì la strada all’attuale e drammatico scenario: i beni architettonici fecero coppia con i beni storico-artistici mentre quelli paesaggistici vennero accorpati a quelli demo-etnoantropologici, iniziando a sacrificare competenza e professionalità.
Chi è nell’ambito concorda che la colpa di questa carenza specialistica sia della legge regionale 10 del 2000 (L.R. 10/2000). Lo ha ribadito anche Adele Maresca Compagna: ha sottolineato che “gli accorpamenti all’interno delle soprintendenze rischiano di provocare un ulteriore indebolimento dell’intero assetto dei beni culturali regionali, già minato dall’abolizione dei ruoli tecnici per la dirigenza e per il comparto conseguente alla legge regionale 10 del 2000”.
Ma il ruolo unico non è una specialità siciliana: va ricordato che presso l’amministrazione statale fu istituito il ruolo unico già nel 2001 (D.lgs 165/2001, art. 23, c.1). Il provvedimento dunque non è arrivato ex abrupto ma ha radici storiche. Adesso tornare indietro è difficile: dopo ciò che è successo in Sicilia cosa accadrà al Ministero?
Ricade su Ferdinando Maurici la nomina di soprintendente del mare della Regione siciliana, scelto del dirigente generale del dipartimento di beni culturali Franco Fazio. Si apre così un’era di grandi sfide per la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico subacqueo dei mari di Sicilia e delle sue isole minori.
Chi è Ferdinando Maurici?
Ferdinando Maurici, 62 anni, nativo di Palermo, è un appassionato ricercatore, specializzato in archeologia cristiana e medievale, con all’attivo diverse docenze universitarie e oltre 300 pubblicazioni. Da sempre impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale siciliano, è stato insignito di incarichi prestigiosi, tra cui: la dirigenza del parco archeologico di Monte Lato, del Museo interdisciplinare di Terrasini e della Fototeca del centro Regionale Inventario e catalogazione delle sezioni archivistica e bibliografica. Recentemente ha seguito la documentazione videografica, con rilievi in 3D, di un relitto d’epoca romana, insieme a un cumulo di anfore, nel fondale dell’isola di Ustica, situati a circa 200 metri di profondità e 80 metri dalla costa.
Nell’estate 2021 ha preso parte alla localizzazione del ventiquattresimo rostro nel fondale dell’isola di Levanzo, nell’arcipelago delle Egadi, a bordo della nave oceanografica “Hercules”. Ha inoltre collaborato alla rilevazione di un nuovo possibile itinerario sommerso a Marettimo, che andrà ad arricchire il patrimonio archeologico sommerso delle isole Egadi, teatro della sanguinosa battaglia navale del 241 a. C, tra romani e cartaginesi. È stato infine co-progettista dei lavori di scavo e indagine preliminare del relitto della nave romana denominata “Marausa 2“, risalente al III secolo d. C., recuperato a 150 metri dalla costa di Trapani.
La soprintendenza del mare
L’istituto rappresenta l’approdo di un percorso avviato nel 1999, con l’istituzione di un gruppo per la ricerca archeologica subacquea: G. I. A. S. S. (Gruppo Indagine Archeologica Subacquea Sicilia) evolutosi poi in S. C. R. A. S. (Servizio Coordinamento Ricerche Archeologiche Sottomarine). La struttura nasce ufficialmente nel 2004, per volontà di Salvatore Tusa, con l’obiettivo di gestire, tutelare e valorizzare il patrimonio storico, naturale e demo-antropologico dei mari di Sicilia e delle sue isole minori, evidenziando l’evoluzione dell’inscindibile legame tra l’uomo e il mare nel corso dei secoli. Tra i maggiori successi dell’istituto, annoveriamo: il satiro di Mazara del Vallo, la nave romana Marausa, il relitto di Cala Minnola a Levanzo e, soprattutto, la localizzazione ,a nord/nord ovest dell’isola di Levanzo, del luogo che probabilmente fu il teatro della battaglia delle Egadi del 241 a. C. che pose fine alla prima guerra punica.
Nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale siciliano troviamo un nuovo progetto di indagine e documentazione dei fondali marini, alla scoperta di nuovi potenziali siti sommersi, ampliando così il terreno d’indagine per l’archeologia subacquea in Sicilia.
I finanziamenti
È con oltre mezzo milione di euro che è stato finanziato, dalla presidenza della Regione Sicilia e dalla Soprintendenza del mare, il progetto di salvaguardia dei siti e valorizzazione del patrimonio culturale sommerso intorno all’isola, con lo scopo di gettare le basi per l’istituzione di un Centro di eccellenza dell’archeologia subacquea.
Le attività saranno gestite dalla Soprintendenza del mare. Sul campo una squadra formata da archeologi subacquei, documentaristi e ricercatori si muoverà con l’ausilio di reti di sensori che forniranno in tempo reale dati utili per la sorveglianza dei siti e lo stato di conservazione dei reperti. La prima fase sarà dedicata alla ricerca a campione e la mappatura dei fondali ad una profondità batimetrica tra i 50 ed i 200 metri di profondità, interessando i fondali di Palermo, Ustica, Isole Eolie e delle province di Catania, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Agrigento e Trapani.
La durata del progetto
Il progetto, come sottolineato dall’assessore dei Beni culturali e dell’identità siciliana, Alberto Samonà, avrà la durata di circa tre mesi e si avvarrà dell’utilizzo di un drone subacqueo, l’ AUV (Autonomous underwater vehicles), un vero e proprio robot autonomo, in grado di analizzare il fondale effettuando scansioni con strumenti sonar incorporati e riportare le immagini a bordo.
“I fondali siciliani – afferma il presidente della Regione, Nello Musumeci – ci hanno restituito negli anni e continuano a custodire tesori preziosi, testimonianza di millenni di storia e di cultura. L’importante lavoro di ricerca che il governo regionale ha finanziato permetterà di creare una mappatura dettagliata della situazione sottomarina da mettere a disposizione non solo degli specialisti del settore, ma anche degli studenti, turisti, appassionati di storia, gli interessanti ritrovamenti archeologici”.
Musei sommersi
Sono 25 i percorsi archeologici attualmente attivi nei fondali siciliani. Questi itinerari culturali consentono di ammirare i reperti in situ, ossia direttamente nel contesto di rinvenimento. L’arco temporale spazia dal periodo greco fino a giungere all’epoca contemporanea: basti pensare, ad esempio, all’area archeologica di San Vito Lo Capo dove a pochi metri di profondità, oltre ad alcune ancore risalenti al VII secolo a. C, è possibile osservare i resti del relitto di una nave commerciale moderna, il Kent, naufragata nel 1978. In prossimità dei singoli reperti archeologici sono presenti cartellini impermeabili che descrivono tipologia, datazione, provenienza e l’utilizzo del reperto stesso, dando così l’opportunità all’osservatore di comprendere ciò che sta ammirando, come un vero e proprio museo sott’acqua. I percorsi sono rivolti a tutte le tipologie di subacquei, dai più semplici percorsi in snorkeling, ai siti profondi che richiedono brevetti tecnici.
La piena intesa c’è: «Un Polo per la ricerca e l’innovazione con le università siciliane per poter utilizzare al meglio le risorse comunitarie e offrire nuove opportunità di lavoro ai neolaureati».
Ad annunciarlo è il presidente della Regione Nello Musumeci, che nel pomeriggio ha incontrato a Palazzo Orléans i rettori dei quattro Atenei dell’Isola: Palermo (Massimo Midiri), Catania (Francesco Priolo), Messina (Salvatore Cuzzocrea) ed Enna (Giovanni Puglisi), con i quali è stato sottoscritto un apposito protocollo d’intesa. All’incontro erano presenti anche gli assessori regionali all’Istruzione, Roberto Lagalla, alle Attività produttive, Mimmo Turano, e all’Energia, Daniela Baglieri.
Regione e università siciliane: tra sfide vecchie e nuove
«Un momento di confronto – evidenzia Musumeci – per definire un percorso comune, alla luce soprattutto della molteplicità di risorse che saranno disponibili a breve per l’Isola. Regione e Atenei, infatti, siamo chiamati ad affrontare insieme, nei prossimi mesi, sfide vecchie e nuove: dall’energia rinnovabile alla sismicità, dalla desertificazione al cambiamento climatico, dal digitale all’idrogeno, solo per fare alcuni esempi. Ecco perché con i quattro rettori firmiamo un Protocollo d’intesa per la creazione di un Tavolo partenariale da attivare fin da subito. Servirà ad una strategia comune per le procedure di candidatura nell’ambito delle risorse del Pnrr e per ogni altro settore di intervento in seno al nuovo ciclo di programmazione dei Fondi delle politiche di coesione».
Il Coordinamento della Ricerca in Sicilia
Il “Coordinamento della ricerca in Sicilia”, così come verrà chiamato, intende promuovere «una forma di collaborazione stabile e organizzata fra i diversi attori della ricerca e innovazione operanti in Sicilia». Si punta insomma alla «costituzione di un coeso e armonico sistema regionale della ricerca e dell’innovazione, attraverso la creazione di alleanze e la definizione di rapporti di collaborazione e cooperazione interregionali, nazionali e internazionali a supporto delle progettualità delle università siciliane».
Gli ambiti interessati dall’accordo
Gli ambiti interessati dall’accordo riguardano, tra gli altri: la doppia transizione green & digital; la valorizzazione delle tecnologie chiave abilitanti (Kets); la collaborazione su progetti di produzione di idrogeno low-carbon, la diffusione dell’idrogeno pulito negli usi industriali; la promozione di iniziative e progetti di ricerca e sviluppo per accelerare la transizione verso forme di produzione a minore impatto energetico e ambientale; l’attivazione di interventi di ricerca di base e applicata nei settori propri delle aree di sviluppo strategico della Regione (agroalimentare, digitale, scienza della vita, beni culturali, energia, turismo, economia del mare, etc.)
.
La costituzione di un’Agenzia regionale della ricerca
Da tutti i rettori è stata condivisa la proposta del governo regionale di avviare l’iter per la costituzione di un’Agenzia regionale della ricerca. «In questi quattro anni la politica della Regione verso le Università è stata costante e molto attenta – ha sottolineato il presidente della Conferenza dei rettori delle Università siciliane, Giovanni Puglisi – Concordo con l’importanza di un’Agenzia regionale che parta dagli Atenei e raccolga tutti gli enti pubblici e privati che si occupano di ricerca. Il sistema universitario è pronto a fare la sua parte».
Fondamentale la necessità di fare sistema per utilizzare al meglio le risorse messe in campo dal Pnrr. «È un’occasione unica per ridurre il gap infrastrutturale che ancora esiste tra Nord e Sud» ha osservato Priolo. «Questo protocollo d’intesa è un atto di riconoscimento del ruolo svolto dalle Università siciliane nel campo dell’innovazione e della ricerca» ha aggiunto Cuzzocrea. Per Midiri «le risorse ci sono, bisogna saperle spendere bene. Noi dobbiamo investire per fare in modo che l’Università sia l’anticamera del lavoro per i nostri studenti».
Si tratta del “Reperto Fagan”, un frammento del fregio del Partenone custodito nel museo archeologico “A. Salinas” di Palermo dal 1820. Il prezioso frammento è costituito dal piede di una Dea (Peitho o Artemide), avvolto dalla parte finale della veste che scende in un morbido e meraviglioso drappeggio. Questo tassello di storia volerà presto dalla Sicilia alla Grecia, per ricongiungersi al suo contesto d’origine.
Uno scambio culturale tra Sicilia e Grecia
“Il Reperto Fagan in cambio di una statua acefala di Atena, della fine del V secolo a.C., e un’anfora geometrica della prima metà dell’VIII secolo a.C.”. Questo è quanto prevede l’accordo siglato dal Museo Archeologico Regionale “A. Salinas” di Palermo e dal Museo dell’Acropoli di Atene. L’accordo prevede che per un periodo di 4 anni, rinnovabile una sola volta, il Salinas trasferisca al Museo dell’Acropoli di Atene il frammento appartenente al Partenone. Il frammento è attualmente conservato a Palermo, poiché parte della collezione archeologica del console inglese Robert Fagan. Fagan aveva acquistato il reperto ad Atene agli inizi del XIX secolo. Alla morte di quest’ultimo, il piccolo piede della Dea era passato in eredità alla moglie. Acquistato dalla RegiaUniversità di Palermo nel 1820, il Reperto Fagan sembrava aver trovato la sua destinazione finale, ma era troppo lontano da casa.
La Sicilia come apripista in una questione aperta da tempo
L’accordo, fortemente voluto dall’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, condiviso con la Ministra greca della Cultura e dello Sport, Lina Mendoni, ha un forte valore simbolico. Il piccolo piede della Dea che muove verso casa, infatti, rappresenta un grande passo in avanti nella questione del ritorno in Grecia dei reperti del Partenone. Il frammento Fagan non è l’unico reperto ateniese “fuori posto”. Custoditi nei musei di tutto il mondo, si trovano molti reperti, tasselli di ciò che un tempo costituiva la grandiosa Acropoli di Atene, in particolare di ciò che costituiva il Partenone. Da più di quarant’anni, ormai, la Grecia chiede che le vengano restituiti tutti i componenti di marmo trafugati dal Partenone a partire dal 1800. Basti pensare al British Museumdi Londra, che tra i numerosi reperti sottratti dall’Acropoli, conserva gelosamente una delle seicariatidi del tempietto dell’Eretteo. Al museo archeologico di Atene, dove sono conservate le altre cinque figure femminili, c’è uno spazio vuoto là dove dovrebbe esserci la sesta cariatide: un messaggio non troppo velato rivolto al museo britannico, in attesa che anche l’ultima statua torni al suo posto.
Un legame di fratellanza che lega la Sicilia e la Grecia da tempi antichissimi
Il ritorno a casa del Reperto Fagan suscita grande gioia e fiducia dell’istituzione greca nei confronti della Sicilia: “L’approdo del Fregio palermitano presso il Museo dell’Acropoli – sottolinea il direttore del Museo dell’Acropoli di Atene, Nikolaos Stampolidis – risulta estremamente importante soprattutto per il modo in cui il Governo della Regione Siciliana, oggi guidato da Presidente Nello Musumeci, ha voluto rendere possibile il ricongiungimento del Fregio Fagan con quelli conservati presso il Museo dell’Acropoli. Questo gesto già di per sé tanto significativo, viene ulteriormente intensificato dalla volontà da parte del Governo Regionale Siciliano, qui rappresentato dall’Assessore alla Cultura ed ai Beni dell’Identità Siciliana Alberto Samonà, che ha voluto, all’interno di un rapporto di fratellanza e di comuni radici culturali che uniscono la Sicilia con l’Ellade, intraprendere presso il Ministero della Cultura italiano la procedura intergovernativa di sdemanializzazione del Fregio palermitano, affinché esso possa rimanere definitivamente sine die ad Atene, presso il Museo dell’Acropoli suo luogo naturale”.
Per convenzione si pensa che l’Autoritrattodi Antonello da Messina sia quello conservato alla National Gallery di Londra, nel quale egli si sarebbe ritratto come un giovane sbarbato con la berretta rossa. Infatti “una testa coperta di un berettino rosso, con barba rasa che è il vero ritratto d’Antonello da Messina fatto di sua propria mano”, era presente (già nel 1632) nella collezione ferrarese di Roberto Canonici, segnalato nel 1870 da Giuseppe Campori. Tutta la critica converge sull’idea che quello sia il quadro che- nel frattempo pervenuto alla famiglia genovese dei Molfino- passò definitivamente nelle collezioni del museo inglese ove attualmente è custodito.
Con questa convinzione il dipinto è stato impresso pure sulla vecchia banconota da 5.000 lire. La mia idea, o sia una suggestione peregrina, è che il vero volto del Nostro sia invece quello della tavola conservata a Cefalù nel Museo Mandralisca e meglio noto come “Ritratto dell’Ignoto marinaio”.
Il “Ritratto dell’Ignoto marinaio”
Quadro misterioso, affascinante, ha sempre attirato l’attenzione dello spettatore per quello sguardo enigmatico, sornione, malizioso: addirittura – ha scritto Federico Zeri – è ben difficile menzionare qualcosa di più intimamente siciliano del Ritratto di Cefalù. La storia della tavoletta (olio su tavola di noce, cm. 30.5×26.3) è stata oggetto di un agile libretto pubblicato nel 2017, “Sfidando l’ignoto. Antonello e l’enigma di Cefalù”, grazie al quale sappiamo che il quadro comparve per la prima volta nelle raccolte della famiglia Mandralisca verso la metà del Settecento. Infatti, come rilevano gli autori, nel retro della tavoletta è presente un timbro cereo con impresse le armi di Giuseppe Pirajno, antenato del Barone Enrico, che visse tra il 1687 e il 1760 svolgendo per tutta la vita l’incarico di vicario del vescovo protempore di Cefalù. Questo timbro venne coniato per la prima volta nel 1738, anno di stesura del testamento del prelato: gli autori suppongono quindi che il dipinto sia entrato in possesso della famiglia Pirajno attorno a quegli anni. Secondo gli autori del libro, il Ritratto pervenne alla famiglia Pirajno grazie alle mire proditorie di Giuseppe, che da vero dominus della Curia di Cefalù poteva tranquillamente alienare a suo favore ogni bene avesse un valore riconosciuto. Come nella fattispecie fece con il dipinto in questione, in quanto – secondo gli studiosi summenzionati- esso era di pertinenza della Curia da lui “custodita”. Ma solo nel 1860, in seguito alla ben nota visita in Sicilia di Giovan Battista Cavalcaselle, il dipinto venne riconosciuto come di Antonello. Anzi, il sagace connoisseurveneto, scrive in una lettera inviata al Mandralisca da Termini Imerese che quel dipinto è l’unico certamente antonellesco che abbia visto durante il suo viaggio siciliano.
La storia del ritratto
La tradizionale diceria che fosse il ritratto di un marinaio e provenisse da una farmacia di Liparidove fu acquistato dal fondatore del Museo, Enrico Pirajno barone di Mandralisca, comparve agli inizi del Novecento (la troviamo per la prima volta nella raccolta fotograficadi Domenico Anderson sulle opere d’arte siciliane) e viene fissata definitivamente dal capolavoro di Vincenzo Consolo “Il sorriso dell’ignoto marinaio” (1976). Tuttavia, Roberto Longhi, appoggiato da tutti gli storici dell’arte a lui successivi, ha sempre smontato questa teoria, affermando che Antonello da Messina non ritraesse marinai o gente del popolo bensì ricchi committenti e “baruni”. Il recente libro, scritto a sei mani da Salvatore e Sandro Varzi e Alessandro Dell’Aira, si regge invece sulla tesi che il volto sul quadro ritragga l’umanista pugliese Francesco Vitale da Noja, vescovo di Cefalù tra il 1484 e il 1492 e abilissimo traduttore dal latino. Questa conclusione si basa sul raffronto tra il volto di Cefalù eil ritratto impressonella xilografia in esergo al testo “El Salutstio Cathilinario y Jugurta en romance” (1493), in cui il traduttore (il Vitale stesso) offre l’opera al suo committente, cioè il sovrano aragonese Ferdinando il Cattolico.
E in effetti ci sorprendiamo a rintracciare alcuni punti in comune tra questa figura eil sardonico ignoto cefaludese, anche se – comparando quel volto con qualche ritratto certo del Vitale impresso in alcune medaglie commemorative dedicategli tra il 1476 e il 1485 – notiamo sostanziali differenze somatiche non solo con la nostra tavoletta ma persino con il ritratto xilografico. Il volto del Vitale, infatti, così come lo vediamo nelle medaglie è più paffuto e rotondo laddove quello di Cefalù è allungato e smunto (come anche quello della xilografia); lo sguardo è fiero e sprezzante come vediamo (per restare nell’ambito antonelliano) nel Ritratto del cosiddetto “condottiero” del Louvre e non in quello del “marinaio”. Sono portato a credere dunque che la durezza insita nel medium xilografico abbia favorito la somiglianza con il volto pungente e gli occhi socchiusi dell’uomo Mandralisca.
Quando avvenne il supposto incontro tra Antonello e il Vitale?
Secondo Varzi e Dell’Aira esso avvenne a Venezia tra il 1474 e il 1476 (in effetti, per motivi diversi, in quegli anni sia il siciliano che il pugliese si trovarono a lavorare nella città lagunare) anche se tutta la critica è concorde nell’anticipare la fattura del dipinto a non oltre il 1473 e non abbiamo documenti che provino a quella data la presenza del Vitale in Sicilia, dove Antonello invece ancora risiedeva.
Perché invece dovremmoidentificareil Ritratto di Cefalù con il volto di Antonello da Messina?
In mancanza di documenti, anche io mi baso su raffronti somatici; noto infatti (ma non sono il solo, anche gli autori del libro appena citato lo scrivono) una somiglianza sorprendente tra il volto del “marinaio” e quello che compare in un altro quadro messinese, la “piccola” Circoncisione di Girolamo Alibrandi (Messina, Museo Regionale).
Quasi al centro di quest’ultima composizione ma leggermente sfilato sulla sinistra e come illuminato da un “faretto” speciale, emerge una faccia che ci fissa con lo stesso sguardo in tralice e misterioso: sembra proprio il “cammeo” di un eminente personaggio posto lì a voler essere un omaggio e un ricordo. Il primo studioso che segnalò la curiosa somiglianza tra il Ritratto di Ignoto e il volto al centro della piccola Circoncisione dell’Alibrandi fu Giuseppe Consoli e sulla stessa scia troviamo pure Chiara Savetteri che nel suo libro dedicato ad Antonello scrisse: “L’impatto di quest’opera [il Ritratto di Cefalù] sulla pittura messinese successiva dovette essere notevole: l’attesta la Presentazione al Tempio di Girolamo Alibrandi il quale, omaggiando Antonello, raffigura tra i suoi personaggi di secondo piano l’effigie del Ritratto Mandralisca”. Ad onor del vero, dobbiamo citare un’altra ipotesi di identificazione del personaggio al centro della Circoncisione. Secondo lo studioso Ranieri Melardi, che lo scrisse nel 2011 nella sua tesi di laurea “Girolamo Alibrandi tra l’eredità di Antonello da Messina e la maniera moderna”, quel volto tipicamente meridionale è l’autoritratto di Alibrandi, anche se da recenti conversazioni orali questa ipotesi non riscuote in lui la stessa convinzione di un tempo.
Come spiegare la presenza del volto che sembra proprio quello di Cefalù nel quadro messinese?
Il quadro di Alibrandi, che pervenne all’allora Museo Civico dal Capitolo della Cattedrale, è della metà del II decennio del XVI secolo, mentre il quadro di Cefalù viene ormai concordemente datato attorno al 1470/73, quindi la differenza tra l’uno e l’altro manufatto è di circa quaranta anni. Si potrebbe supporre che l’Alibrandi (di certo spinto dal committente) abbia voluto omaggiare il suo grande conterraneo citandone un suo quadro famoso. Tuttavia, il Ritratto Mandralisca non solo non risulta storiograficamente essere“in antico” un dipinto famoso, tanto da essere citato a decenni di distanza (quasi come in un’operazione “post-moderna”),ma soprattutto non abbiamo prove certe che esso fu mai a Messina, se non nel breve periodo della sua fattura.
In più, che senso avrebbe avuto citare un prelato ed umanista che nulla ebbe a che fare con Messina, addirittura in un quadro da collocare nel cuore della messinesità, o in ogni caso un umanista importante ma non famosissimo nemmeno ai suoi tempi?
Se l’Alibrandi avesse voluto omaggiare Antonello citandone un quadro, avrebbe scelto di certo altri lavori più noti (a Messina si trovavano il Polittico di San Gregorio, il “povero” San Nicola in cattedra nella chiesa di San Nicola dei Gentiluomini e tanti altri dipinti), così come se avesse voluto inserire nella Circoncisione un personaggio famoso del suo tempo, in Messina avrebbe avuto la pletora di cittadini e forestieri da citare. Solo per restare nell’ambito degli studiosi di humanae litterae avrebbe potuto dipingere, ad esempio, la faccia di Costantino Lascaris che dal 1466 al 1501 tenne in Messina una delle più famose accademie di cultura classica di tutta Europa.
Allora come è finito quel volto nel suo dipinto a quarant’anni di distanza?
La mia ipotesi è allora che Alibrandi abbia citato a memoria il suo ricordo della faccia di Antonello, in un’epoca in cui ancora quel volto era ricordato in città da molti, per rendere gloria alla sua persona in uno dei luoghi più importanti dell’antica metropoli mediterranea. Antonello, maestro spirituale dei pittori messinesi; Antonello, pater patriae da omaggiare nel luogo-cuore della patria. Girolamo Alibrandi nacque attorno al 1470 e quando Antonello morì doveva avere quasi 10 anni; quaranta anni dopo fa riemergere dal pozzo della memoria quel volto agognato di colui che fu definito no humani pictori.
Oppure, una spiegazione alternativa sarebbe questa: Alibrandi, frequentando da giovane la nutrita bottega antonelliana attiva a Messina fin dentro il Cinquecento, avrà di sicuro visto moltissime volte il ritratto Mandralisca (all’epoca identificato con l’Autoritratto di Antonello) e dovendo omaggiare il pittore nella Purificazione lo cita quasi pedissequamente. Così si spiegano anche le piccole differenze tra i due volti (il volto dipinto dall’Alibrandi appare più giovanile, più addolcito e meno sardonicodi quello dipinto da Antonello, che in effetti potrebbe essere la “foto” di un orgoglioso quarantacinquenne)i qualiperò, nei tratti salienti e caratteristici (il naso, lo sguardo in tralice che traspare dalle mandorle delle orbite, gli zigomi prominenti, le labbra appuntite, la pelle olivastra), sono quasi del tutto sovrapponibili. Certo, ben poca cosa è una suggestione per poter affermare con certezza che l’Ignoto di Cefalù sia proprio Antonello; però, per quanto mi riguarda, quello sguardo ancora vivo e indagatore che balugina dal buio della materia e del tempo è il suo vero volto, non più di marinaio ma di un grande pittore.
Certo, resta da capire come la nostra tavoletta sia finita, a metà Settecento, a Cefalù. Ma questa -come si dice di solito- è un’altra storia…
Bibliografia
J.A. Crowe- G.B. Cavalcaselle, A History of painting in North Italy, London 1871
R. Longhi, Frammento siciliano, in “Paragone”, 47, 1953
F. Zeri, La percezione visiva dell’Italia e degli italiani, in Storia d’Italia, Torino 1976
G. Consoli, Messina- Museo Regionale, in Musei d’Italia- Meraviglie d’Italia, Bologna 1980
G. Barbera, Antonello da Messina, Milano 1998
T. Pugliatti, La Pittura del Cinquecento in Sicilia- La Sicilia Orientale, Napoli 1993
C. Savettieri, Antonello da Messina, Palermo 1998
M. Lucco, Antonello da Messina l’opera completa, Milano 2006
T. Pugliatti, Antonello da Messina rigore ed emozione, Palermo 2008
R. Melardi, Girolamo Alibrandi tra l’eredità di Antonello da Messina e la maniera moderna, tesi di laurea, 2011
S. Varzi- A. Varzi- A. Dell’Aira, Sfidando l’ignoto. Antonello e l’enigma di Cefalù, Palermo 2017
D. De Pasquale, Antonello da Messina e il suo tempo, Messina 2021
Che un videogame, oltre all’aspetto ludico e ricreativo, possa rivelarsi un buon insegnante lo sappiamo già. Chi non ha imparato nulla sulla famiglia Medici, o su Leonardo da Vinci, o sui Vichinghi o su molti altri argomenti di storia grazie ad Assassin’s creed, non è stato un player attento! E se Lara Croft, in Tomb Rider ci ha portati nei siti archeologici di tutto il mondo, “Augustus” ci porterà alla scoperta dei siti archeologici più importanti della Sicilia.
Cos’è Augustus, il nuovo videogame che ha lo scopo di promuovere i luoghi della cultura italiana
Augustus è l’acronimo di AUgmented Game for Sicilian ToUrism marketing Solutions, un progetto finanziato attraverso l’Azione 1.1.5 del Pon fesr sicilia2014-2020. Augustus è anche il nome del protagonista del gioco. Stiamo parlando proprio del primo imperatore di Roma, Augusto, che, in veste di “cultore delle arti”, chiederà al giocatore di aiutarlo ad arricchire la propria collezione con pezzi di valore storico-artistico, attraverso una serie di minigiochi ed enigmi, basati su avvenimenti storici reali, nei quali verranno esplorati i siti archeologici di tutta la Sicilia.
Quali siti ritroveremo nel videogame
Nel gioco saranno presenti luoghi appartenenti a diverse epoche storiche, con un particolare riguardo ai siti che hanno visto la frequentazione della cultura greca e quella romana. In particolare, i siti già in progetto sono: il Parco Archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi (Agrigento), il Parco Archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale – Piazza Armerina (Enna), il Parco Archeologico di Naxos – Taormina (Messina) e il Complesso monumentale di Santa Caterina d’Alessandria (Palermo).
Lo scopo è quello della promozione culturale
Una grafica straordinaria ed effetti visivi di ultima generazione.
“L’ambientazione realistica, la dinamicità del 3D nonché il coinvolgimento emozionale permetteranno di approfondire la storia e conoscere e apprezzare più a fondo il prezioso patrimonio siciliano attraverso Augustus”.
Con queste parole gli ideatori del gioco sottolineano come sia proprio l’importanza della promozione del nostro territorio, il vero motore che anima il gioco.
Il grande emporio della città di Agrigento, di cui parlano le fonti antiche, alla Foce del fiume Akragas, sarà oggetto di una riqualifica. Il sito sarà fruibile, grazie a un progetto che varerà oltre un un milione di euro con fondi POC. Il totale proviene dall’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana; l’iniziativa è partita dal Libero Consorzio di Agrigento.
Gli spazi intorno alla Foce, dove si trovano edifici abbandonati e in degrado, saranno sistemati e ospiteranno attività didattiche e culturali. Verranno creati anche dei percorsi naturalistici per riscoprire tutta quest’area di grande interesse ambientale. Inoltre, la zona ha restituito importantitestimonianze archeologiche di età greca, romana, bizantina e islamica. Un corso d’acqua che da sempre, quindi, ha fatto la fortuna della città di Agrigento fino ad oggi.
Le parole dell’assessore Alberto Samonà
«L’intervento è frutto di un’azione congiunta tra istituzioni e costituisce un primo significativo passo per recuperare e custodire un ambiente naturale, oggi totalmente degradato, che presenta molte particolarità sotto il profilo storico e paesaggistico. Si tratta anche di dar corso a un’operazione di recupero della memoria storica che mira a restituire ad Agrigento il proprio passato, creando una continuità tra la costa e la Valle dei Templi, rapporto che nel tempo ha subito una frattura. Molti dei progetti finanziati dal governo regionale attraverso l’Assessorato dei Beni Culturali tendono a ricostruire un tessuto che valorizzi la città di Agrigento nella sua complessità e continuità: Parco Archeologico, centro storico, area costiera; questi ultimi sono, infatti, tutti elementi che vanno connessi per offrire una visione globale della città».
Un progetto sostenibile
Si cercherà di recuperare in maniera rispettosa tutti gli spazi esistenti, tra cui l’edificio noto come “la focetta” che sarà adibito a spazio per l’accoglienza turistica e per progetti di educazione ambientale. Il tutto sarà reso accessibile e non ci saranno barriere architettoniche. Si è pensato di realizzare proprio in questo spazio delle iniziative culturali e di costruire al suo interno una sala immersiva che racconterà la storia di Agrigento. In quest’area, inoltre, grazie alla collaborazione con la Soprintendenza del Mare, saranno esposti reperti archeologici subacquei. Sarà adibita anche una sezione naturalistica che illustrerà flora e fauna locale; sarà possibile partecipare anche ad attività come il birdwatching.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.