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TEATRO | Alle origini del teatro: il mito e il rito

La storia del teatro coincide con la storia dell’uomo: parlare di teatro, infatti, significa parlare dell’essere umano, del suo mondo interiore e della sua forza immaginativa. Da sempre l’uomo si è posto domande sulla sua esistenza, sulla nascita e sulla morte e sulle forze che regolano tale ciclo e ha cercato nella creazione dei miti la spiegazione di tali manifestazioni.

Nelle civiltà primitive, come quella africana e precolombiana, le popolazioni assistevano ai rituali di celebrazione come momento di accomunamento sociale. La rappresentazione del mito attraverso il rito era per la comunità un aspetto culturale in cui riconoscersi.

Alcuni rituali sfociavano, infatti, in vere e proprie rappresentazioni; i riti propiziatori avevano lo scopo di venerare, pregare o ringraziare gli dèi per la stagione futura, ed erano allestiti con carattere di spettacolarità, tramite un narratore che accompagnava gli attori e il coro.

Stessa cosa avveniva per i riti sociali e le cerimonie iniziatiche, che segnavano, ad esempio, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, oppure per le nascite e le morti celebrate con caratteri drammatici e pubblici. Tutti questi riti sociali erano spesso accompagnati da danze e musica, in cui l’azione mimica rivestiva un ruolo fondamentale alla resa del rituale.

In alcune culture primitive, come quella dei Kono che vivevano nell’attuale Papa Nuova Guinea, durante la celebrazione di rituali magico-religiosi le personalità riconosciute importanti dalla comunità indossavano maschere per impersonare gli dèi, attribuendosi caratteri e poteri divini. Era questo il caso degli sciamani, che conducevano la celebrazione e la rappresentazione teatrale del rito.

Queste sono le radici da cui origina il teatro, che affondano nel bisogno umano di allacciare e rendere visibile e pubblica la relazione con il divino, attraverso la rappresentazione dei miti sacri nel rito. Un’altra funzione essenziale di tali cerimonie era quella di stabilire le gerarchie e intrattenere i rapporti sociali nella comunità, attraverso la festa e la forma del gioco della finzione e della spettacolarizzazione.

Grazie all’archeologia, attraverso il ritrovamento di un papiro egizio nel 1928, sappiamo che, già mille anni prima della nascita della tragedia greca, nell’antico Egitto la rappresentazione teatrale era usata per celebrare il culto dei “Misteri di Osiride”.

Anche la civiltà minoica praticava la danza, accompagnata dal suono di strumenti musicali come la cetra ed il flauto, per mimare scene di caccia o di guerra.

Queste forme di teatro primitivo ne costituiscono le basi, ma sono ovviamente distanti dal modo di far teatro come comunemente lo si intende nel mondo occidentale. Ad esempio, l’attore spesso giungeva ad immedesimarsi nel soggetto rappresentato, arrivando ad essere preda di trance o possessioni, che talvolta coinvolgevano anche gli spettatori, in un rituale catartico e primordiale. Nel teatro greco, fino ad arrivare alle pratiche teatrali odierne, l’attore ha a cuore il mantenere sempre la distanza tra la persona e il personaggio, senza mai perdere la propria soggettività e senza mai correre il rischio di subire una spersonalizzazione, anche a rappresentazione ultimata e al calare del sipario.

 

 

Osservo il volo di uno stormo di uccelli. Non tutti sono in grado di volare in gruppo. Il volo di un singolo uccello è bellissimo, ma il volo di uno stormo è magico. Il movimento sincronizzato di cento elementi sa incantarmi con la magia della sua armonia e dei suoi legami invisibili. Nessuno li ammaestra, nessuno li guida. Fanno tutto da soli. Ad Arte. Forse è proprio con una così perfetta intesa che dovrebbero comunicare le persone sulla terra e gli attori sulla scena.

Jurij Alschitz

THEATRE | At the origins of the theatre: the myth and the rite

The history of theatre coincides with the history of man: speaking of theatre, in fact, means speaking of the human being, his inner world and his imaginative power. Man has always asked himself questions about his existence, about birth and death and about the forces that regulate this cycle and has sought the explanation of these manifestations in the creation of myths.

In primitive civilizations, such as the African and pre-Columbian ones, the populations attended the celebration rituals as a moment of social unification. The representation of the myth through the rite was for the community a cultural aspect in which to recognize itself.

Some rituals, in fact, resulted in real representations; the propitiatory rites were intended to venerate, pray or thank the gods for the future season, and were set up with a spectacular character, through a narrator who accompanied the actors and the choir.

The same thing happened for social rites and initiation ceremonies, which marked, for example, the passage from adolescence to adulthood, or for births and deaths celebrated with dramatic and public characters. All these social rites were often accompanied by dances and music, in which mimic action played a fundamental role in the rendering of the ritual.

In some primitive cultures, such as that of the Kono who lived in what is now Papua New Guinea, during the celebration of magical-religious rituals the personalities recognized as important by the community wore masks to impersonate the gods, attributing to themselves divine characters and powers. This was the case with the shamans, who conducted the celebration and theatrical representation of the rite.

These are the roots from which the theatre originates, which sink into the human need to connect and make visible and public the relationship with the divine, through the representation of sacred myths in the rite. Another essential function of these ceremonies was to establish hierarchies and maintain social relations in the community, through the festival and the form of the game of fiction and spectacle.

Thanks to archeology, through the discovery of an Egyptian papyrus in 1928, we know that, already a thousand years before the birth of the Greek tragedy, in ancient Egypt the theatrical representation was used to celebrate the cult of the ‘Mysteries of Osiris’.

The Minoan civilization also practiced dance, accompanied by the sound of musical instruments such as the zither and the flute, to mimic hunting or war scenes.

These forms of primitive theatre form the basis, but they are obviously distant from the way of making theatre as it is commonly understood in the Western world. For example, the actor often came to identify with the subject represented, coming to be prey to trance or possessions, which sometimes also involved the spectators, in a cathartic and primordial ritual. In the Greek theatre, right up to today’s theatrical practices, the actor always cares about maintaining the distance between the person and the character, without ever losing his subjectivity and without ever running the risk of undergoing a depersonalisation, even in representation completed and when the curtain falls.

Article translated and curated by Veronica Muscitto

 

I observe the flight of a flock of birds. Not everyone is able to fly in groups. The flight of a single bird is beautiful, but the flight of a flock is magical. The synchronized movement of one hundred elements knows how to enchant me with the magic of its harmony and its invisible bonds. Nobody teaches them, nobody guides them. They do it all by themselves. Artfully. Perhaps it is precisely with such a perfect understanding that the people on earth and the actors on stage should communicate.

                                                                                                                                                                                                                                       Jurij Alschitz