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NEWS | Anfora “a siluro”, un recupero eccezionale

I fondali di Porticello (PA) hanno restituito un’anfora “a siluro”. Si tratta di un’operazione coordinata, ancora una volta, dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana con il gruppo subacqueo di Stefano Vinciguerra; sono però intervenute anche la Capitaneria di Porto di Porticello (PA), la Guardia di Finanza con il maresciallo del Nucleo sommozzatori, Riccardo Nobile.

“La collaborazione dei volontari e lo scrupoloso controllo della SopMare sul patrimonio sommerso hanno permesso di assicurare un prezioso reperto al patrimonio della Regione. L’importante operazione di recupero – dichiara l’assessore Alberto Samonà – è frutto di quella collaborazione costante tra le istituzioni e i cittadini. A tutti loro va il ringraziamento del Governo Regionale per la costante vigilanza e attenzione”.

Cos’è un’anfora “a siluro”?

L’anfora recuperata è stata datata alla seconda metà del IV secolo a.C. ed appartiene alla tipologia delle anfore “a siluro”; è stata classificata così per la sua particolare morfologia longilinea. Già a partire dal V secolo a.C. l’arcipelago maltese produceva anfore da trasporto con forme tipiche del repertorio fenicio-punico, quindi, molto probabilmente il nostro è proprio uno di questi casi. Tali contenitori sono caratterizzati, oltre che dal corpo a siluro, da assenza di collo e da anse ad orecchia impostate sul corpo. Inizialmente, nella loro fase arcaica, queste anfore presentavano un corpo ovoide ed un labbro arrotondato e leggermente estroflesso; poi subiscono un’evoluzione formale per cui il corpo tende ad affusolarsi. La produzione delle anfore a siluro sembra prolungarsi anche in età romana, almeno fino al II secolo a.C.: lo si deduce dal ritrovamento dei recipienti in contesti funerari.

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Le anfore punico-maltesi (Baldacchino 1951). Scala 1:10
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Corpo frammentario di un’anfora a siluro del IV sec. a.C. dal Museo dei Bretii e del Mare (CS)

Le anfore “a siluro” dovevano servire al contenimento e al trasporto del garum, la salsa di interiora di pesce amata prima dai Fenici e poi dai Romani. Informazioni riguardo la sua preparazione le riferisce Plinio il Vecchio nel XXXI Libro nella sua Naturalis Historia (v. 93 e seguenti); altra fonte importante, ma avversa al garum, è Seneca: in una lettera a Lucilio contro gli eccessi alimentari definisce il condimento “costosa poltiglia di pesci guasti”.