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NEWS | Alla riscoperta della poesia giapponese con Einaudi: gli Haiku di Bashō

Nella settimana appena trascorsa è stato pubblicato da Einaudi “Lo stretto sentiero del profondo Nord “, il capolavoro letterario del padre degli haiku Bashō, nome d’arte di Matsuo Munefusa (1644-94). Si tratta del racconto di un viaggio durato 156 giorni, che attraversa le località più suggestive del Giappone e scandito da haibun, un mix letterario di prosa e haiku, che impreziosisce il testo al punto da renderlo un pilastro della storia della letteratura giapponese. Quello che Einaudi presenta è un testo finora inedito in Italia, comparso solo a tratti sporadicamente su qualche pubblicazione del settore del Sol Levante, l’editore ci da così accesso alla principale opera dell’autore originario di Iga.  Perchè nonostante sia un testo scritto nel XVII  secolo, quindi abbastanza datato Einaudi sceglie di pubblicare oggi un testo del genere? La risposta è più ovvia di quel che sembra, la scrittura di Bashō, con le sue ambientazioni quotidiane e semplici, ed i suoi versi liberi da forma metrica in apparenza, ci restituiscono l’immagine di un Giappone pieno di fascino, che immerge il lettore in un’esperienza sensoriale. 

Copertina del libro

 

 

 

Prima di immergervi nella lettura di questo “nuovo” libro, vi proponiamo un tuffo nella genesi della poesia di Bashō e nell’ispirazione da cui nascono i tradizionali versi giapponesi, che col trascorrere dei secoli assumono forme e valenze diverse. L’haikai e l’haiku di Bashō, devono la propria origine all’usanza di comporre brevi poesie, formate da trentuno sillabe distribuite in versi 5-7-5-7-7, chiamate waka o uta. Esse sono parte di una tradizione risalente al periodo Nara (710-784). Successivamente prese piede la pratica del renga, non più semplice composizione di waka o uta ma un vero e proprio gioco, in cui le trentuno sillabe venivano divise in due parti e composte da due persone diverse, la prima parte composta da 5-7-5 sillabe era chiamato chōku (ku lungo), la seconda da 7-7 sillabe tanku (ku breve).

Nascevano così gli incontri di renga in cui un partecipante elaborava un chōku e un altro lo seguiva con tanku, poi un altro chōku e così via, ogni verso doveva essere ispirato al precedente affinché il componimento avesse forma e coerenza. Insomma, un continuo incatenarsi di versi che nel periodo Kamakura (1192-1333) si stabilì nella forma del hyaku, cioè fino a cento ku. Sulla base di questa usanza nel XIV secolo nacque l’haikai no renga abbreviato in haikai, andò così sdoppiandosi il genere renga in due forme, una più aulica e classica, chiamata ancora oggi renga ed una più comico-popolare, l’haikai che significava “buffo”. Nel XVII secolo l’haikai no renga era a tutti gli effetti un gioco letterario di “poesie buffe a catena” che al tempo riscosse un enorme successo, mentre nel XIX secolo iniziò a essere chiamato renku (ku a catena) per evitare di confonderlo con la parola haiku entrata quindi recentemente nell’uso comune.

Bashō
Haiku su illustrazione tradizionale

 

L’haikai di Bashō

«nel renku, il primo ku è l’hokku: normalmente di 5-7-5 sillabe, deve esprimere la parola che alluda alla stagione, ed essere caratterizzato da un tema e da uno stile che possano essere sviluppati dai ku che seguono. Fu questa l’arte dell’haikai che Bashō cominciò a coltivare: con la sua scuola il ku iniziale divenne una breve ma intensa espressione poetica». «Attualmente ci si riferisce a questa forma essenziale di poesia, a questo ku iniziale, con il termine haiku. L’uso della parola haiku per questo breve genere poetico è dunque recente e viene fatto risalire agli anni del movimento di rinnovamento della poesia giapponese iniziato da Masaoka Shiki (1867-1902).»*

Bashō che è ancora oggi considerato il padre dell’haiku, chiamava le proprie poesie hokku e non haiku, a testimonianza del fatto che l’espressione haiku sia di recente utilizzo. Il noto poeta nacque in condizioni di povertà e dopo che a tredici anni perse il padre entrò al servizio di Kazue Yoshitada, della famiglia Tōdō (al tempo governante della città). Esercitando il mestiere di semplice cuoco, riuscì al contempo a trarre un beneficio letterario dallo stare accanto al suo padrone, che apparteneva alla scuola dell’haikai di Kyōto. Quando Kazue morì, Matsuo si dedicò allo studio dello Zen, della poesia e della filosofia cinese, alla ricerca di un nuovo stile caratterizzato da un’estetica della povertà e dalla riscoperta della bellezza del quotidiano. I suoi versi che non seguono schemi rigidi e prefissati, si librano in una lirica ricca di richiami sensoriali e suggestivi, di seguito un estratto della sua poesia:

Autunno

Un corvo

si è poggiato sul ramo spoglio:

tramonto d’autunno.

La tempesta autunnale batte la pianta di musa:

sento il rumore della pioggia

che cade nel mastello durante la notte.

Nella mente l’immagine di un teschio abbandonato,

mentre il vento penetra

la mia carne.

O poeti che ascoltate commossi le voci delle scimmie,

cos’è per voi il pianto di un bambino

abbandonato al vento autunnale?

Un’altea sul bordo della strada:

l’ha inghiottita

il mio cavallo.

Fitta nebbia:

invisibile, e pur suggestivo

il Fuji oggi.

Addormentato sul cavallo

scorgo, tra sogno e alba, la luna lontana

e il fumo del tè.

Il profumo dell’orchidea

penetra come incenso

le ali di una farfalla.

Senza morire…

dopo molte notti di viaggio

in un tramonto d’autunno.

Luna veloce:

le cime degli alberi

sono impregnate di pioggia.*

Nota bibliografica * M. Muramatsu, dall’haikai all’haiku: la poesia di Bashō in Poesie. Haiku e scritti poetici di M. Bashō, La Vita Felice, Milano 2012, p.7.

  • M. Bashō, Poesie. Haiku e scritti poetici, cit., pp. 29-31.
Bashō
Statua dedicata a Bashō alla stazione di Isayama

 

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REDAZIONALE | Francesco Ferro, il “poeta nero” filantropo con medaglia d’oro al valore

La nostra redazione ha avuto la fortuna di incontrare Francesco Ferro, una promessa della poesia, ma anche un grande esempio di vita e dedizione al lavoro. Un episodio particolarmente intenso lo ha condotto sempre più vicino al mondo della letteratura, ma la sua scrittura è soprattutto al servizio del prossimo, così come lo è stata tutta la sua vita.

Dal sito quirinale.it

Il coraggio d’Oro

Ha ricevuto la Medaglia d’oro al valore per l’Arma dei Carabinieri a seguito di una rapina sventata in cui quattro rapinatori, che sparavano all’impazzata, lo hanno colpito al torace. Sebbene gravemente ferito, Ferro si lanciava all’inseguimento, bloccando, insieme ai colleghi, due dei quattro rapinatori. Gli altri due, invece, sono stati raggiunti dai colpi fatali di arma da fuoco dei Carabinieri, esplosi nel tentativo di proteggere l’incolumità dei passanti e di chi lavorava presso il negozio preso di mira.

A seguito di questo episodio, dopo un lungo periodo di riabilitazione fisica e psicologica – «perché se uccidi, anche se per salvarti la vita, ti resta comunque qualcosa di negativo dentro» – arrivò il premio direttamente dal Presidente della Repubblica.

 

Una nuova vita, con le passioni di sempre

Francesco Ferro è, però, costretto a lasciare le forze dell’ordine dopo sette anni dall’accaduto, dato il riacutizzarsi della ferita che gli ha impedito di svolgere il servizio. Ma, da quel momento, Ferro, dall’animo troppo focoso per poter vivere da pensionato, si dedica a una nuova vita. Decide dunque di approfittare di questo stop forzato per rispolverare penna e quaderni: ed ecco che arriva l’iscrizione all’università, corso di laurea in Lettere, riprendendo così il vecchio sogno nel cassetto di dedicarsi alla letteratura.

Ferro dopo aver ricevuto il premio a Como

Negli anni, infatti, Ferro aveva partecipato a diversi concorsi a premi per scrittori, con poesie e romanzi brevi che gli sono valsi diversi premi e tanta soddisfazione. Fino ad arrivare all’ultimo concorso, il Premio Internazionale poesia-narrativa “Rime sul Lago 2021”, arrivato alla terza edizione tenutasi a Como, che lo ha visto classificarsi addirittura tra i primi dieci concorrenti (ndr. ottavo). Da buon appassionato di Storia romana non poteva che raccontare Annibale e le guerre puniche con il suo apprezzatissimo Dialogo tra condottieri che gli è valso la menzione speciale della giuria. 

Ma Ferro non è nuovo a queste imprese: nel 2011, all’esordio da scrittore – o meglio “poeta nero”, come viene definito per via dell’emotività che contraddistingue i suoi lavori – si classificò primo durante il Premio internazionale “Poesia dell’anno 2011”, tenutosi a Quartu Sant’Elena (CA). Proprio in questa occasione nacque il suo soprannome: la poesia in questione, Giampilieri, fu scritta a seguito della sciagura del 2009, in cui scomparvero tante anime messinesi sotto la furia della forza distruttrice della natura.

Terzo posto al Premio letterario internazionale “San Valentino” di Quartu Sant’Elena (CA) e quarto posto al concorso “Opera prima” di Firenze, rispettivamente con le poesie Trinacria e Silenzi e tormenti, torna a rivendicare la prima posizione all’evento letterario “Scriviamo”, indetto dal Comune di Ortelle (LE).

Ferro riceve il premio con menzione speciale della giuria di Como

La letteratura solidale di Ferro

E ancora pubblicazioni, come Le poesie di Francesco e l’antologia Emozioni d’autore, ma anche racconti per bambini, come La casa delle fiabe… un coro di fiabe per bambini. Scritti da cui non ha bisogno di trarre guadagno, fa infatti molta beneficenza: il primo libro, Le poesie di Francesco, è stato affidato alla Onlus “Amici di Edy” di Messina; il secondo è stato invece tramite di beneficenza diretta nei confronti di una famiglia di Bergamo molto bisognosa, per cui Ferro ha comprato beni di prima necessità. Il “poeta nero” fa tutto questo perché ha avuto la fortuna di sopravvivere e, dopo un tale episodio, «quando vedi qualcuno che soffre te ne rendi conto e cerchi di aiutarlo anche a costo di toglierti il pane davanti».

Insomma, uno straordinario talento tutto messinese che non vede l’ora di pubblicare qualcosa di nuovo: non esiste notizia migliore di questa per i tanti appassionati e studiosi!

In bocca al lupo, Francesco Ferro.

Alla prossima “medaglia”!

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GEMMOLOGIA | La poesia celebra la gemma più rara al mondo

“[…] l’appartenenza è alla famiglia dei Berilli, le inclusioni sono quelle dello Smeraldo, ma il suo colore è il rosso, ed è il Manganese che le dona e ci regala questa splendida ed unica tonalità: è dunque la Bixbite, la gemma che nel 2006 è stata certificata dalla Cibjo (Confederazione Mondiale della Gioielleria) come la gemma più rara al mondo“.

BIXBITE – Berillo Rosso

La poesia celebra, grazie alla scrittrice Maria Scarfì, questo meraviglioso dono della Natura. Un’opera unica, in tiratura limitata, che la voce narrante di Enrico Cirone (giornalista televisivo) presenterà e interpreterà nella spettacolare cornice del Palazzo Reale a Genova. La celebrazione avverrà in occasione del 27° Festival Internazionale della PoesiaParole Spalancate, dove artisti da tutto il mondo presentano le loro opere.

Il Poemino è l’omaggio alla bellezza della natura e all’incantevole miracolo della creazione. La scrittrice trae motivi da un mondo immaginario e poetico che le è suggerito da vere esperienze di vita, mentre la realtà scientifica  è trattata dalla gemmologa Stefania Ferrari.

 

 

GENOVA, 1 ottobre 2021
PALAZZO REALE
h. 18:00
Prenotazione obbligatoria a contact@festivalpoesia.org
Obbligo di green pass

 

 

Accadde oggi

ACCADDE OGGI | 101 anni da Bukowski e dal suo “esistenzialismo da taverna”

101 anni fa nasceva ad Andernach (Germania) Henry Charles “Hank” Bukowski Jr., conosciuto anche come Henry Chinaski, suo alter ego letterario. In occasione dell’anniversario è doveroso ricordare la sua controversa e amata figura.

Bukowski

Trasferitosi con la sua famiglia a Los Angeles nel 1930, fin da bambino soffrì di timidezza e solitudine, quest’ultima destinata a diventare una caratteristica della sua produzione. Scrisse sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie. Fu abile nell’alternare prosa e poesia e spesso demonizzato per via del suo stile crudo e diretto, a tratti comico e tragico nello stesso tempo.

Il motivo della fama

La grandiosità di Bukowski e anche il motivo per il quale spopolò nell’America del XX secolo risiede sicuramente nella sua insofferenza disarmante: parla di temi delicati riuscendo a mantenere un distaccato cinismo. L’alcol, il sesso, il senso della vita e la scrittura come via di fuga saranno i temi che accompagneranno tutta la sua produzione fino alla morte.  

A partire dai 24 anni scrisse alcuni racconti che vennero pubblicati senza riscuotere successo, così abbandonò la scrittura e si dedicò al lavoro di postino per più di dieci anni. Nel 1965 fu scoperto dagli editori della rivista The Outsider, Jon e Louise Webb, che pubblicarono molte delle poesie di Buke, così chiamato informalmente da Jon.

Bukowski
Lo spazio in The Outsider dedicato a Bukowski nei primi anni ’60

Iniziò così il suo vagabondare da un’università all’altra per eventi di reading davanti agli studenti americani. I suoi veri introiti erano però rappresentati dalla vendita di racconti su sesso e donne, che riscossero un notevole successo al punto tale da innalzarlo come uno dei grandi scrittori del ventesimo secolo.  

Bukowski e il gentil sesso: un rapporto spesso frainteso

Il suo rapporto con il gentil sesso viene tutt’oggi frainteso per via delle sue tendenze apparentemente misogine. In realtà, alla domanda se Charles fosse veramente misogino, in un’intervista di Vice a Linda King, sua storica partner, la donna rispose con un «No» secco.

Bukowski
Charles Bukowski e Linda King

Lo stesso Buke nei racconti di Taccuino di un vecchio porco lascia correre l’inchiostro e scrive:

«Gli scrittori sono una brutta razza. Le signore sono state buone con noi. Lo dico quasi sempre, dietro a un grande scrittore c’è sempre una donna dannatamente brava. Se togli l’amore, la metà del lavoro di un artista fallisce».

Cosa aspettarsi dai suoi libri

Precisamente storie di sesso, vagabondaggio, violenza, sbronze colossali e un pizzico di depressione. Racconti tratti direttamente dal suo vissuto, scandito da una moltitudine di donne, abbastanza alcol da procurargli un’ulcera quasi fatale e una lucida malinconia. È tutto vero? Secondo lo stesso Bukowski, i suoi racconti sono veri al 95%.

Perché leggere Bukowski

Leggere Bukowski è uno step indispensabile per tutti gli amanti della letteratura perché rappresenta alla perfezione lo stereotipo del classico scrittore squattrinato, dannato e sopra le righe, impresso nell’ideale americano della Beat Generation (anche se rifiutò quest’etichetta). Il minimalismo e la superficialità che impregnano le sue opere lo classificano un esponente del “realismo sporco”, corrente letteraria sviluppatasi negli Stati Uniti tra gli anni ’70 e ’80.

Cos’è l'”esistenzialismo da taverna”?

“Esistenzialismo da taverna” è la definizione che più calza alla prosa bukowskiana: depressa, priva di eufemismi e tragicomicamente schietta. Definizione creata ad hoc per la prefazione di Pulp, libro del nostro scrittore, edito da Feltrinelli.

L’originalità della sua penna è ancora oggi qualcosa di unico e sui generis, lo si capisce bene da una sua autodescrizione professionale contenuta in Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze: «La maggior parte dei miei detrattori copia pressoché pedissequamente il mio stile o comunque ne è influenzata. Il mio contributo è stato sciogliere e semplificare la poesia, renderla più umana. L’ho resa più semplice per loro da seguire. Ho insegnato loro che si può scrivere una poesia nello stesso modo in cui si scrive una lettera, che una poesia può essere perfino divertente e che non ci deve essere necessariamente nulla di sacro in essa».

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ATTUALITÀ | Un tempo sospeso in attesa del decadimento: l’arte del “Poetic Hotel” di Padova

«Il Poetic Hotel  è uno spazio per l’arte contemporanea chiuso al pubblico e inaccessibile». Così si legge nel manifesto del progetto artistico, ideato da Simone Berno. Si tratta di un’istallazione situata a Padova, in un hotel abbandonato. Le stanze, lasciate nel loro stato di decadenza, sono state trasformate in uno spazio d’arte contemporanea con numerose opere artistiche. L’hotel, ormai abbandonato dal 1997, rimane in una sorta di spazio sospeso nel tempo, dove tutto è immobile e silente. Ad “animare” le sue stanze si trovano sculture, fotografie, dipinti, ma anche street art, poesia, letteratura e installazioni audio-visive.

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Poetic Hotel, Padova (©poetichotel.org)

«Gli artisti, “ospiti” dell’hotel», si legge al punto 1 del manifesto, «hanno interagito e sono intervenuti nelle stanze e nei locali adibiti all’allestimento partendo dalle suggestioni del luogo, rielaborando la loro visione dell’hotel, dell’abbandono e della sospensione del tempo tra l’allora e l’attuale, rianimando di vita vissuta e vivente il tessuto di storia e di tempo che caratterizza questo luogo»

Ma la particolarità di un luogo già così originale risiede nella sua forma di fruizione. L’hotel-museo è visitabile esclusivamente online, assecondando la scelta del fondatore di preservare il microclima delle stanze, altrimenti alterato dai visitatori.

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Una stanza dell’hotel (©poetichotel.org)

Ogni ambiente, infatti, abbandonato per oltre vent’anni, ha sviluppato caratteristiche proprie, comprendenti ragnatele, muffe, infiltrazioni d’acqua ecc. Ognuno di questi aspetti manifesta il naturale scorrere del tempo e l’inesorabile degrado cui tendono tutte le cose materiali. In questo contesto le opere si configurano come fugace attimo di vita, teso a “rianimare” un luogo cristallizzato nel tempo; divengono però, a loro volta, parte dell’immobilità e del decadimento. Le opere presenti, installate dagli artisti, sono state intenzionalmente abbandonate per sempre.

Il Poetic Hotel, dunque, si configura come luogo inaccessibile, visibile solo attraverso i vari media pubblicati online, che costituiscono sia la memoria sia l’archivio di un sito d’Arte contemporanea unico nel suo genere.

Un luogo immobile che attende la fine

L’albergo, in via Sorio 73 a Padova, nasce negli anni ’50 in un edificio utilizzato come locanda, poi divenuto hotel nel corso degli anni ’80. L’abbandono dell’edificio risale al 1997, prima di una sua riapertura, 22 anni dopo, nel 2019, quando l’artista padovano Simone Berno ha dato vita al Poetic Hotel. «Una volta rielaborati gli spazi interni e le stanze» – si legge sul manifesto – «ultimate le installazioni e le performance, avviene il Check-Out ovvero il distacco definitivo dalle opere da parte degli artisti, conferite a loro volta a quella che potremmo definire ora la “persona artistica” Poetic Hotel».

La “stanza del ricordo” (© poetichotel.org)

Un collettivo di circa 30 artisti ha avuto modo di interagire con le camere abbandonate, rendendole speciali set in cui collocare le proprie opere. Berno, in un’intervista per Artribune, ha dichiarato di aver chiamato per primi i ragazzi del Mep, il Movimento per l’Emancipazione della Poesia, chiedendo loro di tappezzare di poesie intere camere (non solo muri, ma anche gli arredi).

Le poesie del Mep in una stanza dell’hotel (© poetichotel.org)
Il destino delle opere

«Il Poetic è in quarantena dal 1997» – spiega ancora Berno – «Era già non visitabile prima, nel suo manifesto riporta chiaramente che è un luogo visitabile solo online, precursore dei tempi, tristemente». L’accordo tra l’artista e il proprietario, inoltre, prevede di lasciare nuovamente l’hotel, con tutta la sua installazione artistica, ad uno stato di abbandono. L’hotel non è restaurabile e sarà lasciato al decadimento fino al momento in cui sarà necessaria la sua demolizione.

«Le installazioni allestite al loro interno» – si legge ancora nel manifesto – «relegate all’inesorabile usura del tempo, non potranno più essere ammirate dal vivo fin quando lo stabile non verrà abbattuto e assieme ad esso sarà distrutta l’intera collezione di opere. Solo allora sarà possibile recuperarle, tra le macerie dell’hotel».

Mep al Poetic Hotel, Padova (© poetichotel.org)

No one will access the hotel until the “fade”, when the “Poetic Hotel” will be demolished and the Project will be accomplished – Manifesto del Poetic Hotel

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SPECIALE LEOPARDI | La nascita del poeta recanatese

Il 29 giugno ricorre l’anniversario della nascita del poeta recanatese, Giacomo Leopardi. Per questa occasione, la redazione ArcheoMe ha realizzato lo speciale dedicato all’autore. La giornata di oggi verrà scandita da interessanti contributi incentrati sulla sua poetica e visione della vita, non facendo mancare alcuni originali parallelismi. Seguiteci in questo viaggio!

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A. Ferrazzi, Ritratto di Giacomo Leopardi, 1820 ca.
La vita
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Casa Leopardi, luogo di nascita del poeta

Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno del 1798 a Recanati (in provincia di Macerata, nelle Marche). La sua formazione infantile, tra il 1808 e il 1812, come da tradizione familiare, avvenne con metodi improntati alla scuola gesuita, tramite precettori ecclesiastici; ciò non impedì al giovane di intraprendere studi personali tramite la biblioteca paterna e le altre presenti sul territorio di Recanati.

Tra il 1815 e il 1816 Leopardi decise, a causa di una crisi spirituale, di dedicarsi alla poesia e coltivare una maggiore sensibilità per i valori artistici e filosofici.

La biblioteca di Casa Leopardi

Dal 1822, anche a causa di tensioni con i genitori, diventò un’anima in fuga e si allontanò dalla patria. Raggiunse diverse città: Roma, Milano, Bologna, Firenze e Pisa. La depressione fu un’ombra sempre presente nella vita del poeta; solo la città pisana, nel 1828, riuscì a far ritrovare al poeta l’ispirazione; infatti fu lì che scrisse una delle sue opere più famose: A Silvia.

Nel 1833 si trasferì a Napoli, dove affrontò anche l’epidemia di colera tra il 1836 e il 1837. Lì si spense il 14 giugno 1837.

La tomba di Leopardi
La malattia

Già in età giovanile Leopardi fu costretto ad affrontare problemi fisici e piscologici, i quali lo accompagnarono fino alla sua morte. La malattia esordì a livello polmonare per arrivare a una deviazione della spina dorsale, con conseguenti dolori, problemi respiratori e circolatori; problemi che furono la causa dell’isolamento del poeta. L’ipotesi più plausibile, per gli studiosi di oggi, è che Leopardi soffrisse della malattia di Pott, cioè tubercolosi ossea o spondilite tubercolare, in contrasto con le ipotesi dell’epoca legate a una semplice scoliosi.

Leopardi sul letto di morte, 1837, ritratto a matita di Tito Angelini, simile alla maschera mortuaria
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SPECIALE LEOPARDI | Un tuffo nell'”infinito”

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Giacomo Leopardi

(In foto) Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, olio su tela, 1818.

 

Chi ha dovuto imparare a memoria questo componimento? Tutti, chi dice di no mente!

Giacomo Leopardi (1798-1837) ha composto la poesia a Recanati (MC) nel 1819. I primi versi lasciano pensare che il tema del componimento sia quello del piacere e dello star soli in luoghi nascosti. L’incipit stesso sembra essere narrativo perché il «Sempre caro mi fu» (v. 1) dà l’idea di un legame che rimanda in qualche modo al passato; di seguito, però, è il presente che domina.

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A. Ferrazzi, Ritratto di Giacomo Leopardi, olio su tela, 1820 ca.

Dopo «Ma» (v. 4) il testo parla di un’esperienza vissuta nel momento stesso in cui viene raccontata. E pensare che sia una siepe che suscita l’immaginare spazi infiniti è sorprendente, a farlo dovrebbero essere, piuttosto, spazi aperti. L’Infinito parla di come, in modo graduale, cominciando da esperienze sensoriali concrete, il lettore immagini qualcosa che non ha limiti né di spazio né di tempo.

Il racconto va avanti grazie alla percezione di diversi stimoli sensoriali che colpiscono in modo del tutto casuale il lettore; la siepe, oggetto immobile che chiude, fa pensare in modo contrario all’infinito.

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Colle dell’Infinito, Recanati (MC) – foto: FAI

Nella prima parte del componimento, l’idea del silenzio è una parte dell’infinito spaziale. Ma il rumore del vento lascia intuire un infinto diverso: quello temporale. Quest’ultimo è anche il rumore della vita, legato indissolubilmente al presente, ma che, nello stesso momento, ci obbliga a un confronto tra l’evento del momento presente e il passato, arrivando a confondersi con l’eternità.

Il lettore perde così la sua identità e ciò consiste nel perdere le coordinate dello spazio e del tempo: naufraga nell’immensità. Ma non ha paura e si abbandona alla sensazione.

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Secondo manoscritto autografo de L’infinito dall’archivio comunale di Visso (MC)

Come già detto, la poesia si concentra sull’immersione dell’io nell’infinito, generata dal rapporto con un luogo reale (il colle di Recanati) e l’immaginazione dell’indefinito. Essa avviene attraverso la vista (la siepe che porta a immaginare infiniti spazi) e l’udito (il rumore del vento tra le foglie che porta il lettore a pensare a tempi senza fine).

La natura, in questo momento della formazione di Leopardi, è ancora locus amenus, idealizzata e piacevole, ben lontana dalla natura matrigna delle opere della maturità. L’autore vuole far conoscere al lettore l’esperienza del sublime, che, per i romantici, non è altro che il senso di impotenza dell’uomo davanti alla natura.

Il panorama dal Colle dell’Infinito (MC) – foto: FAI – Dario Fusaro

Leopardi spiega, attraverso L’infinito, che il sublime è un’esperienza e che, per poterla vivere, non serve trovarsi in un luogo determinato, ma la propria immaginazione può essere più che sufficiente.

In copertina: luogo commemorativo sul Colle dell’Infinito (MC).

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NEWS | Premio Nazionale “Cesare Filangieri”: tutte le info per partecipare

È tutto pronto per il Premio Nazionale “Cesare Filangieri”, concorso di poesia e fotografia completamente gratuito, organizzato dalla Cappella dei Principi Filangieri di Napoli con il Comune di Cercola, il Comune di Napoli e l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio.

Le tracce della sezione di poesia
  • “Sogni senza voce”;
  • “Il Vesuvio. Il gigante che abbraccia la città”.

È possibile partecipare con un massimo di due poesie.

Le tracce della sezione di fotografia
  • “Love art, Street Art!”;
  • “Antichità insanguinate. Crimini contro il patrimonio culturale”.

Per la sezione di fotografia varrà il voto della giuria, ma anche i like ricevuti su Facebook e si può partecipare con un massimo di tre fotografie.

In palio ci sono shopping card Amazon da 50 euro, trofei e riconoscimenti di merito.

Come partecipare

Per partecipare si consiglia di consultare il sito del Premio a questo link e il bando. Poesie e foto devono essere inviate all’indirizzo email elaborati@premiofilangieri.it. Per informazioni scrivere a info@premiofilangieri.it.

Date sfogo alla vostra arte, avete tempo fino al 31 luglio 2021!

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NEWS | Il Premio di Poesia e Fotografia “Cesare Filangieri” per la valorizzazione del territorio

Giunto alla sua terza edizione, il Premio di Poesia e Fotografia “Cesare Filangieri”, nasce per promuovere e valorizzare il territorio vesuviano di Napoli.

Lo scopo principale è far conoscere ai turisti, nazionali e internazionali, le bellezze del Patrimonio Culturale territoriale, tra cui la propria sede, la Parrocchia “Immacolata e Sant’Antonio” di Cercola, un tempo Cappella dei Principi Filangieri di Napoli:

“Siamo davvero felici ed orgogliosi di essere giunti alla terza edizione! Questo concorso, che coinvolge adulti e bambini, mira alla conoscenza e alla valorizzazione del Patrimonio culturale materiale e immateriale di Napoli e provincia, ponendo tracce tanto profonde da fungere come mezzo di denuncia non solo della condizione odierna nella quale versano i nostri giovani senza lavoro e privati dei sogni, ma anche dell’incuria e dell’abbandono in cui versano i nostri più preziosi monumenti. Il nostro obiettivo, dunque, è porre le basi di una tutela e di una sensibilizzazione più forte sul territorio, per preservare la memoria del passato e tramandarla ai posteri.” Questa la dichiarazione del Dott. Giancarlo Piccolo, scrittore e autore di “Cappella Filangieri. Indagini sulla Parrocchia Immacolata e Sant’Antonio-Cercola”, che da anni si occupa di studio e divulgazione storica e archeologica.

I partecipanti potranno presentare poesie e fotografie edite o inedite, inerenti alle tematiche annuali sancite dagli organizzatori. L’equipe del Premio è infatti composta dalla dott.ssa Ilaria Guardasole, dalla dott.ssa Anna Falco, dal dott. Fabio Germino e dal dott. Mattia Esposito, figure impegnate costantemente nell’ambito del giornalismo e dei beni culturali.

Per quanto riguarda la poesia, in lingua italiana o napoletana, i componimenti dovranno rappresentare i “Sogni senza voce”, esprimendo l’impossibilità di poter coltivare i propri sogni al giorno d’oggi. La seconda sezione poetica richiede agli autori di esprimere la bellezza del Parco Nazionale del Vesuvio con il tema “Il Vesuvio. Il Gigante che abbraccia la città”.

Per la sezione fotografica, invece, una delle tracce proposte è “Love art, Street art”, un ambito artistico in crescita nel territorio urbano di Napoli. Il secondo tema fotografico verte sulla denuncia: “Antichità insanguinate. Crimini contro il Patrimonio Culturale”, per dar voce a contesti in stato di degrado e abbandono in cui sono numerosi Beni Culturali del territorio.

L’evento, che avrà inizio il 1 Febbraio 2021, terminerà  nel mese di Luglio. Ai vincitori saranno consegnati non solo buoni Amazon dal valore di 50 €, ma anche targhe e trofei. Il concorso non prevede alcuna quota di partecipazione.

Qui il Bando per la partecipazione al concorso.

I grandi nomi della cultura nella giuria

Il Premio Cesare Filangieri promosso dall’Ente Ecclesiastico “Immacolata e Sant’Antonio”, con il patrocinio del Comune di Cercola, del Comune di Napoli e dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, vanta in giuria grandi nomi del mondo culturale.

Tra questi la Dott.ssa Antonella Ferraro, assessore alla cultura del Comune di Cercola e il Dott. Francesco Amoruso, scrittore e cultore della materia di Letteratura Italiana moderna e contemporanea all’Università di Napoli “Federico II”.

Presente anche la Dott.ssa Angela Marmolino, collaboratrice della collana istituzionale “Percorsi D’Arte” con la Soprintendenza di Napoli e Provincia e responsabile della Biblioteca di Cultura Vesuviana di “Padre Alagi”.

Inoltre, ci sarà la presenza straordinaria del Dott. Marco Perrillo, giornalista di “Il Mattino” e autore di “Misteri e Segreti dei quartieri di Napoli”.

La Cappella Filangieri, sede storica del Premio

Il Premio Cesare Filangieri deve il suo nome al padre del giurista illuminato Gaetano Filangieri, Cesare Filangieri.

Il Principe Cesare Filangieri trascorreva le giornate estive al casino di Cercola, sub umbra quercus, sotto l’ombra di una quercia. È proprio dalla secolare quercia che la città di Cercola trae il suo nome. Tale toponimo avrebbe radici proprio dove sorge la Cappella Filangieri, dove è presente, come testimonianza, un’antica epigrafe.

“ELICIO SACRATA IOVI FORTISSIMA QUERCUS, HIC STETERAT VILLAE NOMEN ET OMEN ADEST”

Epigrafe (1775)

Protagonista nel 2019 della XXV edizione del “Maggio dei Monumenti” e delle “Giornate Europee del Patrimonio” 2019 e 2020, la parrocchia, ex Cappella dei Principi Filangieri, conserva il suo patrimonio storico-artistico immutato. Tra i preziosi beni di interesse storico-artistico, citiamo la tela San Francesco da Paola, oggi in restauro grazie ad una campagna di crowdfunding e forse dono del Re di Napoli Ferdinando IV.

La chiesa-museo conserva al suo interno anche la cripta funeraria, luogo di sepoltura di principi e fedeli, visitabile su prenotazione.

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NEWS | La “rivincita” delle poetesse marchigiane del Trecento

Il testo

La casa editrice Argolibri ha pubblicato recentemente un testo dal titolo “Tacete, o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento”. Il volume racchiude i componimenti di quattro poetesse vissute nel territorio fabrianese nel 1300: Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani. Nel volume, i loro versi sono accompagnati dalle liriche di tre scrittrici contemporanee (Franca Mancinelli, Mariangela Gualtieri e Antonella Anedda) e dalle immagini simboliche e ancestrali del disegnatore Simone Pellegrini. Si crea così un ponte tra passato e presente: il filo conduttore è rappresentato dall’eternità della poesia.

copertina del libro
Copertina del Libro “Tacete o maschi!”
Le poetesse

Nel saggio introduttivo, i filologi spagnoli Mercedes Arriaga Flórez e Daniele Cerrato sostengono che le poetesse marchigiane avessero creato uno dei primi gruppi unitari formati da scrittrici donne nella storia della Letteratura italiana. Esse partecipavano attivamente alle dinamiche culturali del tempo e non accettavano che “essere donna”, in poesia, significasse essere solo un oggetto del desiderio maschile; questa volontà emerge chiaramente nel sonetto attribuito a Leonora, che irrompe con l’esclamazione “Tacete, o maschi!” e che lascia immaginare un tono quasi bellicoso.

Il giallo letterario

Altri temi, come quello della parità dei sessi, trapela dai versi di Ortensia “Io vorrei pur drizzar queste mie piume”. Proprio quest’ultime righe rivelano una somiglianza “sospetta” con il VII sonetto del Canzoniere di Petrarca, conosciuto come “La gola, e il sonno, e l’oziose piume”.

Si apre così un altro argomento: le poetesse fabrianesi sono state al centro di un vero e proprio “giallo” all’interno della storia della Letteratura Italiana. Risultano, infatti, discordanti i pareri tra gli studiosi: alcuni definiscono le poesie delle donne “costruzioni erudite degli intellettuali del Rinascimento”. Infatti, verso la fine del 1500, due intellettuali di Fabriano, Giovanni Domenico Scevolini e Andrea Gilio avevano pubblicato all’interno delle loro opere di erudizione proprio i sonetti di Ortensia e Leonora, definendole loro concittadine vissute due secoli prima. Questa pubblicazione ha inaugurato un dibattito tra i critici: da una parte, coloro che considerano i testi dei falsi e, dall’altra, quelli che non mettono in dubbio la loro veridicità.

In un articolo del 2013 (“PRESENZA/ASSENZA DELLE PETRARCHISTE MARCHIGIANE”) Daniele Cerrato ha analizzato minuziosamente il caso, riportando diverse testimonianze storiche.