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NEWS | Netsuke, preziosissimi capolavori in mostra a Pisa

Il Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi espone i netsuke una delle collezioni più importanti dell’egittologa di fama mondiale Edda Bresciani

A Pisa, l’8 febbraio avrà inizio la mostra intitolata “Netsuke. Capolavori dalla Collezione Bresciani” e vedrà come protagonisti degli oggetti molto piccoli ma dal grandissimo valore storico-artistico.

Cosa sono?

I netsuke sono piccole sculture di legno o d’avorio prodotte in Giappone tra il XVII e il XX secolo. Questi oggettini venivano fissati alla cintura del chimono maschile in modo da fare contrappeso al contenitore di tabacco o altro. Oggetti di straordinaria fattura, raffigurano un’infinità di temi e soggetti. Essi raccontando l’arte e l’artigianato, la cultura e le credenze religiose, insomma la vita nei molteplici aspetti del Giappone nel corso di quasi quattro secoli.

Esempio di netsuke
La mostra a Palazzo Lanfranchi

Gli oggetti esposti, fanno parte della collezione privata di Edda Bresciani. Infatti, oltre al suo amore per l’Egitto, la scomparsa professoressa emerita dell’Ateneo Pisano, ed egittologa di fama internazionale, era un’appassionata  collezionista e studiosa di Netsuke. Oltre al suo interesse per questi meravigliosi oggetti, Edda Bresciani era una riconosciuta Haijin (maestra di Haiku).

Cos’altro comprende la mostra?

Al di là dell’esposizione di questi capolavori formato tascabile, la mostra comprenderà anche una visualizzazione multimediale di un netsuke attraverso la ricostruzione 3D fotogrammetrica, realizzata dal Laboratorio di Robotica Percettiva dell’Istituto TeCIP della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

 

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NEWS | Al via il progetto StAr, Pisa partecipa alle ricerche

Un team di ricerca dell’università di Pisa è coinvolta nel progetto StAr per studiare nuovi metodi di conservazione del legno.

L’Università di Pisa parteciperà a un importante progetto nell’ambito della conservazione dei beni culturali e dei resti archeologici. Il team di ricerca selezionato proviene dal Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa ed è coordinato dalla Professoressa Ribechini. Il progetto in questione si chiama StAr, “Development of Storage and assessment methods suited for organic Archaeological artefacts”. Questa è un’iniziativa del JPI Cultural Heritage ed ha avuto inizio ufficialmente il 1 ottobre 2020. Oggetto di studio sono resti lignei provenienti dal villaggio preistorico di Biskupin, in Polonia. Il 7 ottobre 2020 c’è stato il primo incontro tra il project leader ARC-Nucléart di Grenoble, il Museum of Cultural History dell’Università di Oslo, il Museo archeologico di Biskupin e il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa.

Un progetto ambizioso

Lo studio non riguarda soltanto l’analisi chimico-fisica del legno rinvenuto in Polonia ma consiste in un progetto molto più ambizioso.  L’obiettivo dei ricercatori è quello di studiare alcune strategie di stabilizzazione chimico-fisica di reperti archeologici di natura organica, come il legno e il cuoio. Questi materiali infatti, una volta rinvenuti nello scavo, sono molto fragili e devono esser stabilizzati. La stabilizzazione è un elemento essenziale per la ricerca, perché permette agli studiosi di avere il tempo di fare indagini preliminari, per poi individuare e applicare la migliore strategia di conservazione.

L’unità di Ricerca dell’Università di Pisa avrà il ruolo di sviluppare, validare e applicare metodologie innovative per i reperti archeologici. Non solo:  dovrà valutare lo stato di degrado in tutte le fasi della stabilizzazione e applicare protocolli conservativi. Il team pisano si avvarrà di diverse tecniche analitiche: dalla pirolisi con gas cromatografia e spettrometria di massa (Py-GC/MS), alla cromatografia in fase gassosa o liquida con spettrometria di massa (GC-MS e LC-ESI – Q-ToF-MS). 

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NEWS | Il Carro “celeste” di Populonia in mostra al Museo delle Navi Antiche di Pisa

Il Carro cerimoniale trovato a Populonia è eccezionalmente esposto al Museo fino al 1 novembre

Il museo delle Navi Antiche di Pisa, fiore all’occhiello della città toscana, lo ospiterà dal 15 ottobre al 1 novembre. Successivamente il reperto verrà trasferito nella sua sede definitiva, presso il Museo Archeologico del Territorio di Populonia a Piombino.

La scoperta

Nel 1955 a Populonia gli archeologi scoprirono una fossa, contenente gli scheletri di due cavalli, i loro finimenti metallici e un carro cerimoniale etrusco. Dalla foto a sinistra (A. CAMMILLI, M. MAIOLI 2020) è ben chiara la ricostruzione degli avvenimenti: la rimozione delle scorie che coprivano il tumulo lo ha fatto collassare. Successivamente, del sito monumentale è rimasta solo la fossa.

Il carro celeste: la ricostruzione del manufatto

Lo studio degli elementi metallici del rivestimento del carro cerimoniale è andato di pari passo con il loro restauro. Il funzionario Alfredo De Agostino aveva interpretato il carro cerimoniale come biga; da allora in poi il luogo di rinvenimento venne ribattezzato “fossa della biga”.

“Iniziato lo scavo archeologico, vennero scoperti, assieme alle ossa di due cavalli, le parti metalliche, in ferro e in bronzo, di una biga. ” (A. De Agostino, 1955) 

Un attento riesame dell’iconografia antica ha portato oggi a ricostruire la forma originaria del carro. Il carro era caratterizzato da una cassa semplice, decorata da placche e terminali in bronzo applicati direttamente sul legno. Se il legno non si è conservato, gli elementi in metallo sì.

Gli elementi bronzei applicati sulla riproduzione del carro sono molti, tra cui diverse piastre e lamine, collegate tra loro mediante chiodi ribattuti. Di altissima qualità è il timone a forma di testa di ariete. Il timone unisce la praticità all’estetica, ma il carro cerimoniale, che appartiene alla tipologia delle carrozze monoposto, è strettamente connesso all’aldilà, e per questo può definirsi «celeste»: le piastre a forma “semilunata” del carro rimandano all’ideologia del viaggio nell’aldilà. 

BIBLIOGRAFIA

A. CAMMILLI, M. MAIOLI (a cura di), Il carro “celeste” di Populonia, Pisa 2020.

 

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NEWS | I primi risultati della campagna di scavo del San Sisto Project

Si è quasi conclusa la prima campagna di scavo archeologico del San Sisto Project, progetto triennale promosso dall’Università di Pisa e diretto da Federico Cantini, professore ordinario di Archeologia cristiana e medievale.  Lo scavo ha interessato la Chiesa di San Sisto di Pisa.

Il giardino della chiesa: una curtis longobarda?

La scelta dell’area di scavo è presto detta: il toponimo Cortevecchia, attestato nelle fonti dal 1027, è un probabile indicatore dell’esistenza del centro amministrativo di età longobarda. Dalla cartografia storica pisana il giardino della chiesa risulta da sempre uno spazio libero da edifici e questo sembra confermare l’ipotesi che quest’area fosse un centro del potere politico e, in particolare, una curtis gastaldale longobarda

Non solo indagare, ma anche raccontare: quando l’archeologia è social
Foto, hashtag, emoticon e tanta voglia di condividere

Il San Sisto Project è molto attivo sul web; non solo ha una pagina web personale, ma anche un profilo Facebook  e un profilo Instagram . Sui social gli amministratori caricano quotidianamente notizie dallo scavo archeologico, per permettere a tutti gli utenti di seguire, passo dopo passo, le nuove scoperte e le interpretazioni degli archeologi.  

La trowel in una mano, lo smartphone nell’altra, per immortalare i momenti di vita di cantiere, al momento giusto!  (@sansistoproject)

una foto dal profilo instagram di @sansistoproject
Foto dalla pagina Facebook San Sisto Project
la pagina facebook di San Sisto Project
La pagina Facebook di San Sisto Project
Cosa è emerso dallo scavo archeologico

Gli archeologi hanno scavato l’area 5000, l’area 1000 e l’area 10.000, raggiungendo strati del XIII-XIV secolo. Nell’area 5000 sono stati rinvenuti numerosi materiali ceramici, alcuni impreziositi da stemmi familiari, che in questa fase preliminare sono stati attribuiti al Seicento. Dal giardino della Chiesa sono emersi reperti ossei e molti elementi architettonici in marmo e pietra serena. Tra questi, uno dei reperti più interessanti è senza dubbio la cosiddetta “pietra sacra”, una lastra quadrata di pietra con una croce incisa nel centro. Questa doveva ospitare delle reliquie e doveva essere collocata sulla mensa d’altare.

Frammenti ceramici recuperati nello scavo, alcuni datati al V sec. a.C.       Foto dalla pagina Instagram @sansistoproject.
La cosiddetta pietra sacra, che doveva far parte di una mensa d’altare. In foto, il Professor Riccardo Belcari, responsabile dell’analisi di reperti e manufatti lapidei. (Fonte: @sansistoproject)
Elementi lapidei frammentari in marmo e pietra serena trovati nel giardino della Chiesa di San Sisto. (Fonte: @sansistoproject)
Verso nuovi orizzonti di indagine

Dal ritrovamento di alcuni reperti in questa prima fase degli scavi sembra certa una lunga e antica frequentazione dell’area.  Gli archeologi del San Sisto Project non vedono quindi l’ora di tornare sul campo e di continuare a scavare, per riportare alla luce le fasi più antiche della città.

Non resta che attendere ulteriori notizie dal #sansistoteam e aspettare la prossima campagna di scavo. 

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News | Al lancio “ArchAide”, l’App che riconosce e classifica i frammenti di ceramica

Nasce a Pisa dal laboratorio mappa del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere di Pisa la prima applicazione che permette agli archeologi di catalogare e riconoscere migliaia di frammenti ceramici che ogni giorno riemergono dai contesti di scavo.

Il ricercatore pisano Gabriele Gattiglia spiega il funzionamento, che consiste nel scattare una semplice fotografia ed inviarla al riconoscimento automatico.

L’app si basa su reti neurali molto simili a quelle usate in ambito investigativo per i riconoscimenti facciali. È già disponibile gratuitamente sugli store digitali Ios e Android.
L’applicazione è stata realizzata per riconoscere sia i frammenti decorati sia quelli privi di decorazione e l’accuratezza del riconoscimento si aggira intorno al 75%.

Nel database dell’app, in continuo aggiornamento, troviamo già: Anfore Romane, Sigillata Italica e Ispanica, Majolica di Montelupo Fiorentino. 

Una schermata dell’App