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NEWS | TOward 2030, a Torino l’arte urbana sposa la sostenibilità

Torino si trasforma in un museo a cielo aperto con la realizzazione di 18 opere di arte urbana ispirate all’Agenda 2030 dell’Onu.

“TOward  2030, what are you doing?” è un progetto che coniuga street art e sostenibilità. Torino diventa portavoce degli obiettivi di sviluppo sostenibile. 

arte urbana
Mr Fijodor, The rubbish whale, 2018 – “TOward 2030 – What are you doing?” GOAL 14: “Life Below Water”

Il progetto nasce dalla collaborazione tra la Città di Torino, Lavazza e ASviS (Alleanza Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile). Sono stati coinvolti 18 artisti internazionali che hanno realizzato, a partire dal 2018, altrettante opere in diversi luoghi della città. Le opere corrispondono ai 17 Sustainable Development Goals, più uno pensato da Lavazza (il Goal zero). Ogni opera ha lo scopo di rappresentare e divulgare i punti dellAgenda 2030 delle Nazioni Unite

Le opere e il loro messaggio

Difesa dell’ambiente, fonti energetiche sostenibili, lotta a fame e povertà, istruzione, consumo responsabile, salute e benessere per ogni persona. Sono questi alcuni dei goals dell’Agenda 2030 che hanno ispirato gli artisti provenienti da varie parti del mondo. 

arte urbana
Luis Masai, Swimming towards a new existence, 2018 – “TOward 2030 – What are you doing?” GOAL 16: “Peace, Justice and Strong Institutions”

I muri di Torino sono diventate tele di una galleria urbana. Le opere sono rivolte soprattutto ai più giovani, ma non solo. Pensate per coinvolgere il pubblico e i cittadini a riflettere e agire in maniera concreta.

La domanda provocatoria del progetto What are you doing?” (“Cosa stai facendo?”) vuole essere un invito, espresso attraverso l’arte, a ricordare che la cura e la salvaguardia del pianeta dipendono da ognuno di noi. Il progetto ha trasformato Torino in una delle città con più opere di arte urbana al mondo. Progetto documentato e raccontato nel volume “TOward 2030. L’arte urbana per lo sviluppo sostenibile”, edito da Feltrinelli e illustrato dagli scatti della fotografa statunitense Martha Cooper.

street art
Dzmitryi Kashtalyan, ProgressiveTechnology in your hand, 2018 – “TOward 2030 – What are you doing?” GOAL 9: “Industry, Innovation and Infrastructure”
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NEWS | Recuperate tele settecentesche rubate 23 anni fa

Cinque tele settecentesche sono state recuperate dopo 23 anni dal loro furto. Le opere, commissionate all’artista lombardo Francesco Antoniani, raffigurano episodi della vita di Mosè. I carabinieri del nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Torino le hanno ritrovate monitorando il mercato dell’arte; erano quindi state messe in vendita sul sito di una nota casa d’aste piemontese, senza documenti che ne comprovassero la legittima appartenenza. 

tele
I carabinieri del nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Torino

Le tele torneranno nel castello di Moretta, in provincia di Cuneo. Una banda di ladri le aveva trafugate nel 1998, insieme ad altri beni di valore storico artistico: il tutto per un valore complessivo stimato all’epoca in 160 milioni di vecchie lire. I carabinieri hanno quindi avuto conferma che si trattasse delle opere rubate grazie al riscontro fornito dalla Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, il più grande database di opere d’arte rubate al mondo.

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NEWS | Riapre il Museo Egizio di Torino con 5 giorni di ingressi gratuiti

Grande riapertura per il Museo Egizio di Torino il 1 Febbraio 2021, il secondo Museo egittologico più importante del mondo dopo quello del Cairo. Grazie al passaggio in zona gialla della regione Piemonte, il Museo seguirà gli orari abituali dal lunedì al venerdì, rispettando le norme sanitarie vigenti. Per l’evento il Direttore Christian Greco ha reso gratuiti i biglietti per i visitatori fino al 5 Febbraio 2021. 

Il pubblico ha accolto con gioia l’offerta, in sole tre ore i biglietti prenotabili erano sold out, lo afferma lo stesso Direttore Greco:

“Questo è il regalo più bello che ci hanno fatto i visitatori, in tre ore abbiamo esaurito i biglietti. Per noi è una festa, siamo felici di tornare a svolgere il nostro servizio essenziale“. 

Il termine essenziale non è una scelta casuale, seguito di un periodo in cui si torna ad apprezzare le visite museali, la necessità della cultura.

Nonostante questo “periodo buio” del mondo culturale, il MET, non si è mai allontanato dal suo scopo, divulgare e far conoscere la grande storia dell’antico Egitto.

Durante i tre mesi di chiusura, numerose sono state le offerte digitali del Museo, tra cui le “Passeggiate con il Direttore”, tramite la pubblicazione di video sui social è stato possibile visitare virtualmente le sale espositive.

Inoltre, ricordiamo il progetto “Quello che gli Egizi non dicono” con delle puntate radiofoniche su RadioOhm, nelle quali i curatori delle collezioni hanno raccontato lo studio dei reperti, le analisi e i restauri.

La lunga chiusura ha reso possibile il procedere delle ricerche, l’allestimento di mostre e il rinnovamento degli spazi espositivi, che saranno ora finalmente visitabili.

egizio
Sala 14b Galleria dei Re, Museo Egizio di Torino.

 

 

 
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NEWS | Torino, l’autunno riaprirà le porte del Museo di Scienze Naturali

È prevista per ottobre 2021 la riapertura del Museo Regionale delle Scienze Naturali di Torino, con sede in via Giolitti. Una promessa fatta dall’assessore alla Cultura della Regione Piemonte, Vittoria Poggio, che con entusiasmo assicura: La riapertura del Museo sarà uno degli appuntamenti più importanti del 2021. I lavori stanno proseguendo come previsto, si riparte certamente quest’anno.

La ristrutturazione del museo

Il museo è chiuso dal 2013, a causa dell’esplosione di una bombola all’interno del museo che ne aveva danneggiato alcune sale espositive. Due milioni sono stati stanziati dal Cipe e serviranno per completare i lavori di ristrutturazione, che continueranno anche dopo la riapertura al pubblico. Si lavorerà in particolare nei locali “Damantino”, che ospiteranno le collezioni di mineralogia, paleontologia e le collezioni zoologiche. Il programma di ristrutturazione terminerà con la riapertura delle sale “Arca” e del Museo Storico di Geologia.

Le vecchie e nuove esposizioni del Museo

A settembre, a dare il bentornato ai visitatori saranno le sale espositive dello “Spettacolo della Natura” presenti al piano terra. Ma il museo si arricchisce anche di nuove mostre permanenti. Nei locali del seminterrato, infatti, saranno inaugurate tre nuove mostre permanenti: “Estinzioni”, “Lupo” e “Minerali”.

Nel seminterrato troverà posto anche una nuova sala conferenze.

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NEWS | Il Museo Civico di Cuneo attiva un laboratorio sperimentale per i ragazzi

Il laboratorio sperimentale è gratuito e verte sulle tecniche di stop motion

Oggi 24 Ottobre il Museo Civico di Cuneo ospiterà un laboratorio sperimentale gratuito di stop motion per ragazzi dai 7 ai 13 anni. I ragazzi durante il laboratorio saranno guidati e coordinati da professionisti qualificati e faranno delle esperienze. Dovranno realizzare manualmente degli oggetti in plastilina, fare foto e sviluppare un progetto di animazione. La prima attività sarà quella della manipolazione della plastilina: il lavoro di scultura servirà a focalizzare i partecipanti sulla rappresentazione del movimento. Il laboratorio sperimentale ha, infatti, come oggetto principale l’animazione e l’esperienza successiva alla modellazione sarà l’utilizzo della fotografia digitale.

I ragazzi che parteciperanno all’iniziativa del Museo civico di Cuneo impareranno così le diverse fasi necessarie alla creazione di un prodotto in stop motion. La stop motion è una particolare tecnica di animazione che si effettua attraverso scatti fotografici. L’animazione sviluppata dai ragazzi verterà sui contenuti di una delle sezioni archeologiche del complesso museale.

Scopo del laboratorio è quello di valorizzare e promuovere il patrimonio culturale e archeologico presente nelle Alpi meridionali. Il laboratorio è infatti parte del progetto TRA[ce]S – Trasmettere Ricerca Archeologica nelle Alpi del Sud. Le esperienze da svolgere insieme e la presenza dei professionisti garantiranno la fruizione di contenuti e la sensibilizzazione dei ragazzi, ma facendolo attraverso il gioco.

 

 

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NEWS | La Riserva naturale Grotte di Aisone (CN) si rinnova

La riserva naturale “Grotte di Aisone” è un gioiello naturale e archeologico della Valle Stura. La riserva è, infatti, ricca di varietà di flora e di fauna, in particolare di avifauna. 

Per la sua importanza, questa zona ha ottenuto da Marzo 2019 il riconoscimento di riserva naturale e l’Ente Aree Protette delle Alpi Marittime ne cura la gestione. 

Da questa settimana la riserva naturale “Grotte di Aisone” è completamente rinnovata. Sono stati sistemati la segnaletica e gli stessi sentieri, il cui accesso è libero e gratuito. Ha subito un rinnovo degli interni anche la struttura Taverna delle Grotte: l’edificio ha nuovi allestimenti e pannelli informativi che spiegano, in modo efficace e a tutti, l’archeologia.

Essenziale per questi lavori è il Progetto Tra[ce]s , di cui il comune di Cuneo è beneficiario. Scopo del Progetto Tra[ce]s è la valorizzazione dei più significativi siti archeologici, dalla Preistoria al Medioevo, presenti nell’area transfrontaliera. 

Un’area abitata 7.000 anni fa

Oltre alla ricchezza e alla bellezza naturale della Valle Stura, la Riserva naturale “Grotte di Aisone” è importante a livello archeologico. I ricercatori hanno infatti scoperto molti reperti risalenti al Neolitico. Questi rinvenimenti, riportati alla luce da scavi degli anni Cinquanta e poi Novanta, si trovano ora nel Museo Civico di Cuneo Nel museo è possibile vedere ossa di animali, macine in pietra, punte di selce, vasi e persino una sepoltura infantile. 

Uno dei sentieri più interessanti a livello archeologico è il cosiddetto Sentiero delle Grotte. Il sentiero è un breve percorso ad anello, di circa 5 chilometri, che porta alla scoperta non solo di villaggi tipici costruiti nel modo tradizionale, ma anche di numerose grotte naturali, utilizzate dall’uomo in epoca neolitica e, molto più di recente, dai pastori locali. 

Le Grotte di Aisone sono la testimonianza di un insediamento stagionale databile al Neolitico Medio e Finale. Da queste aree e dai resti archeologici si ricavano preziosissime informazioni sui primi abitanti della Valle Stura.

 

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ARCHEOLOGIA | Alba (CN), la città sotto ai tuoi piedi

ALBA POMPEIA

I principali riferimenti storici alla nascita di Alba sono contenuti nella stessa denominazione della città romana, Alba Pompeia.
“Alba” nel mondo ligure indica il centro principale di una tribù, facendo pertanto presupporre il ruolo di capoluogo, forse di un sottogruppo dei Bagienni, popolazione celto-ligure insediatasi prima dell’arrivo dei Romani nella città.

E’ da collegarsi con la figura di Gneo Pompeo Stradone, uomo politico e generale romano, che nell’89 a.C., tramite la Lex Pompeia, concedette il diritto latino alle comunità transpadane, che non corrisponde all’immediata creazione di una struttura urbana, quanto piuttosto alla costituzione di un luogo di raccolta della comunità preurbana, di “mercato” e di approdo alla confluenza tra il fiume Tanaro e il torrente Cherasca.
In effetti, Alba conosce il periodo di maggiore sviluppo economico ed urbano nel I sec. d.C., nel corso del quale si definisce l’impianto monumentale cittadino, a seguito della romanizzazione della Valle del Tanaro, cruciale punto di collegamento tra la pianura padana, i valichi alpini ed i centri della Liguria. L’insediamento si inserisce rapidamente nei flussi commerciali, favoriti sia dal sistema di comunicazione fluviale dell’area sia da una fitta rete stradale terrestre, come testimoniato dalla dislocazione del suo porto nella zona nord-ovest della città, in collegamento con l’asse viario che conduceva alla costa ligure e, in particolare, a Vada Sabatia/Vado Ligure attraverso il valico di Cadibona. Inoltre, forma, insieme alle altre due città del bacino del Tanaro – Pollenzo e Benevagienna – il cosidetto “triangolo produttivo”, che occupa una posizione economica primaria nel Piemonte romano: viticoltura, allevamento ovino e suino, agricoltura e sfruttamento del legname delle aree boschive si configurano come le sue principali attività.

Un primo elemento di particolare interesse è rappresentato dalla forma ottagonale della cinta muraria: tale soluzione appare dettata soprattutto da esigenze pratiche e ambientali, in quanto “si lega ottimamente al raccordo con il territorio rurale circostante, messo in relazione da una fitta rete stradale radiale che converge nel nucleo cittadino”; inoltre, “permetteva […] un’accentuata difendibilità militare del sito e una maggiore protezione dalle frequenti esondazioni dei limitrofi corsi d’acqua” (Alessandro Mandolesi 2013). Del circuito murario sono archeologicamente documentati cinque lati: possedeva fondazioni in opus caementicium ed elevato in opus vittatum mixtum (struttura mista di pietra e laterizio con elementi disposti secondo piani orizzontali) a doppi ricorsi di mattoni e originario rivestimento laterizio, sia sul fronte esterno che su quello interno. Era inoltre dotata di torri quadrangolari, di cui restano tracce sul lato nord, collocate in corrispondenza dei principali percorsi viari interni.

Alla città, la cui superficie era di circa 33 ettari, si accedeva mediante tre principali vie di ingresso, in corrispondenza delle tre porte urbiche, situate una all’estremità del cardine massimo, sul lato meridionale delle mura (probabilmente all’incrocio tra le attuali via Mazzini e via Vittorio Emanuele II), e le altre due alle estremità del decumano massimo, sui lati occidentale ed orientale (di difficile identificazione). Il lato settentrionale, invece, probabilmente non ospitava nessuna via di accesso se non un’apertura di secondaria importanza, a causa dello spazio ridotto che intercorreva tra le mura e il Tanaro.

All’interno della cinta muraria, l’intersezione tra cardine massimo (asse principale nord-sud, lungo l’odierna via Vittorio Emanuele II) e decumano massimo (asse principale est-ovest, oggi via Vida-piazza Risorgimento-piazza Pertinace) generava una serie di strade ortogonali, che articolavano lo spazio urbano in 52 isolati, dei quali 34 di forma quadrata, con lato di 71 m, 10 rettangolari (71 x 58 m) nel settore occidentale, 8 grossomodo triangolari, in corrispondenza dei lati diagonali delle mura. La minor estensione del settore occidentale, in cui si trovavano le insulae di minor ampiezza, era causata dalle limitazioni imposte dal Tanaro, che lambiva le mura a ovest, e dall’esigenza di collegare il cardine massimo con la strada suburbana principale. Il ritrovamento di tratti di selciato e di condotti della rete fognaria ha consentito di ricomporre archeologicamente tutti gli assi viari. Tutte le strade rinvenute sono risultate larghe 5,50 m e dotate di ampi marciapiedi in terra battuta, di circa 3 m, per un totale di 11,50 m di sede stradale. L’ampiezza dei marciapiedi presuppone l’esistenza di portici, probabilmente costituiti da spioventi su pilastri in laterizi o in legno, di cui vi sono tracce rappresentate da basi quadrangolari, disposte a intervalli regolari di 3 metri, ritrovate in vari punti.

Una delle prime infrastrutture di cui Alba si dotò fu l’acquedotto: lo testimonierebbero le analogie costruttive dei suoi resti con i 29 tratti di condotti fognari emersi, risalenti alla prima metà del I sec. d.C. Si tratterebbe di un impianto posteriore al primo sistema idrico, di età repubblicana, nato in relazione all’espansione della città e, pertanto, ad un accresciuto fabbisogno idrico. Si ritiene che fosse basato su più direttrici idriche, o almeno su di un condotto primario correlato con bracci secondari; prevalentemente interrato, avrebbe tuttavia presentato alcuni tratti impostati su arcate, come attestato da alcuni basamenti di piloni rinvenuti, ad esempio, tra piazza Savona e via Vittorio Emanuele II e anche in corso Italia.

Si hanno, inoltre, indizi di altre strutture a carattere pubblico, come il foro, il teatro e un complesso monumentale, forse a carattere religioso, mentre a oggi mancano dati su altri edifici (basilica, curia…) e sull’anfiteatro.
Nel 1839, in occasione degli scavi per la costruzione di due case alle spalle del Duomo, in piazza Rossetti (angolo via Vida), area corrispondente all’antica insula XXI e a nord del decumano massimo, si registra il ritrovamento di quello che è considerato come uno dei più importanti documenti artistici romani dell’Italia settentrionale: si tratta di una grande testa femminile in marmo, oggi custodita nel Museo Archeologico di Torino, internamente cava ed appartenente ad una statua cultuale della fine del II sec. a. C., realizzata in materiali diversi e posta all’interno di un tempio, di cui si ignora la localizzazione. Tale ritrovamento costituirebbe anche un indizio dell’ubicazione dell’area forense, proprio in quanto proveniente da una zona connessa alla presunta area del foro, di circa 71 m, dove peraltro è affiorato un piano in mattoni forse pertinente alla pavimentazione della piazza pubblica.
L’ipotesi sarebbe avvalorata, oltre che da elementi della cartografia antica, anche dalla presenza, in epoca medievale, del mercato cittadino proprio in un’area adiacente a questa.

Testimonianze architettoniche provenienti dall’insula XI (strutture ritrovate al di sotto di via Manzoni, che proseguono in muri individuati in coincidenza della chiesa di S. Giuseppe) appartengono ad un complesso pubblico riferibile al teatro, come testimoniato, in particolare, dalla presenza di due pilastri in mattoni collegati a un muro curvilineo, che disegna uno spazio semicircolare con una fronte di circa 45 m.
In effetti, il suo andamento curvo sembrerebbe ancora ripreso in alcuni allineamenti dei fabbricati esistenti; risulta, inoltre, che, proprio in questa zona, tra via Manzoni e via Como, accanto alla chiesa di S. Giuseppe, si trovasse il teatro settecentesco di Alba, poi divenuto Teatro Perucca, facendo ipotizzare una suggestiva continuità d’uso della zona. Altri indizi di rilievo sono rappresentati da resti di pavimentazione in opus sectile, un’antica tecnica artistica che impiega marmi diversi, lastre di rivestimento in marmo, cornici, fregi, frammenti di capitelli e di una statua, bassorilievi, un’erma.
La presenza, nel limitrofo isolato a sud (insula XIX), di strutture, presumibilmente attinenti alla porticus post scaenam (l’area porticata retrostante la scena), suggerisce una stretta connessione tra area forense e area per gli spettacoli, che trova confronti in molti progetti urbanistici della prima età imperiale, quali Augusta Bagiennorum (Benevagienna) e, ancora in area cisalpina, Brixia (Brescia).
Alla fine del I sec. d.C. lo spazio pubblico viene ampliato, con l’inserimento, nei pressi di via Cerrato, di un nuovo complesso forense-religioso, che, prendendo il posto di una dimora privata, testimonia una successiva fase di monumentalizzazione della città. Tale complesso avrebbe occupato pressoché tutta l’insula X, in collegamento con la zona del foro e con quella del teatro, dalla quale è separato dal cardine massimo. Si articola in un’area quadrangolare di 49 x 50 m ca., delimitata da un porticato e caratterizzata da una sequenza di esedre quadrangolari e semicircolari. Si è supposta in proposito l’identificazione con un templum Pacis, forse ispirato a quello voluto da Vespasiano per Roma a celebrazione della fine delle guerre civili e della guerra giudaica (71 d.C.), che presentava su un lato un tempio rettangolare affacciato su un giardino circondato da portici.

Per quanto concerne l’edilizia privata, a fronte delle scarse attestazioni, la presenza nelle domus indagate di ambienti riscaldati (in qualche caso, forse, riferibili a terme private), di numerosi frammenti di pavimentazioni musive o in opus signinum (tecnica che usava il cocciopesto come impermeabilizzante) e di intonaci parietali riconducibili ai cosiddetti III e IV stile pompeiano, testimoniano il tenore di vita raggiunto dalla città nei primi secoli dell’Impero. Di particolare interesse, la decorazione parietale dell’“ambiente B”, pertinente alla domus di via Acqui, dove compare una scena figurata con un cervide marino tra due delfini.
Il riconoscimento di botteghe sulla fronte di una casa, individuata in via Gioberti, induce ad ipotizzare che nel settore meridionale della città prevalessero le attività commerciali e artigianali, in contrasto con la zona settentrionale, dove sembra fossero concentrate le residenze di maggior pregio. La motivazione è stata individuata nello stretto collegamento della zona meridionale con le aree agricole e con le colline delle Langhe, mentre la situazione della zona settentrionale, che costituisce una sorta di “spalto” sulla valle del Tanaro, potrebbe aver favorito “l’insediamento dei ceti più ricchi per le caratteristiche di maggior tranquillità, ma anche di un’agevole collegamento con i servizi della zona pubblica” (Fedora Filippi 1997).
Altri importanti ritrovamenti consistono nei corredi funerari provenienti dalle necropoli suburbane, fra cui quelle di via Rossini e S. Cassiano, poste in corrispondenza degli accessi principali alla città.

 

ARCHAEOLOGY | Alba (CN), the city beneath your feet

The main historical references to the birth of Alba can be found in the name itself of the Roman city, Alba Pompeia. ‘Alba’ in the Ligurian world indicates the main centre of a tribe, thus suggesting the role of the capital, perhaps of a subgroup of the Bagienni, a Celtic-Ligurian population that settled before the arrival of the Romans in the city.

The name is also connected with the figure of Gneus Pompeus Strabo, a Roman politician and general, who in 89 BC granted Latin Rights to the communities in Transpadania through the Lex Pompeia de Transpadanis, which did not correspond to the immediate creation of an urban structure, but rather to the establishment of a place of gathering for the pre-urban community, of ‘market’ and of landing at the confluence of the Tanaro river and the Cherasca. In fact, Alba had its greatest economic and urban development in the first century AD, during which the city monumental layout was defined following the Romanization of the Tanaro Valley, a crucial point of connection between the Po Valley, the Alpine passes and the centres of Liguria. The settlement quickly adapted to the commercial flows, favoured both by the river communication system and by a dense land road network, as evidenced by the location of its port in the north-west of the city connected with the road axis which led to the Ligurian coast and, in particular, to Vada Sabatia/Vado Ligure through the Cadibona pass. Furthermore, together with the other two cities in the Tanaro basin, Pollenzo and Benevagienna, it formed the so-called ‘productive triangle’, which occupies a primary economic position in the Roman Piedmont: its main activities were viticulture, sheep and pig breeding, agriculture and timber exploitation of wooded areas.

A first element of particular interest is represented by the octagonal shape of the walls: this solution appears to be dictated, first of all, by practical and environmental needs, as it binds it well to the surrounding rural territory, connected by a dense radial road network that converges in the city core; moreover, it allowed an accentuated military defensibility of the site and greater protection from the frequent flooding of the neighbouring watercourses (Mandolesi, 2013). Five sides of the wall circuit are archaeologically documented: it had foundations in opus caementicium and elevated in opus vittatum mixtum (mixed structure of stone and brick with elements arranged according to horizontal planes) with double brick applications and original brick cladding, both on the external and internal front. It was also equipped with quadrangular towers, of which traces remain on the north side, located in correspondence with the main internal roads.

The city, whose surface was about 33 hectares, was accessed via three main entrance routes, corresponding to the three city gates, located one at the end of the maximum hinge, on the southern side of the walls (probably at the intersection of today’s Via Mazzini and Via Vittorio Emanuele II), and the other two at the ends of the maximum decumanus, on the western and eastern sides (difficult to identify). The northern side, on the other hand, probably did not host any access road if not an opening of secondary importance, due to the limited space that existed between the walls and the Tanaro.

Inside the walls, the intersection between the maximum hinge (main north-south axis, along today’s Via Vittorio Emanuele II) and decumanus maximum (main east-west axis, today’s Via Vida, Piazza Risorgiment, Piazza Pertinace) generated a series of orthogonal streets, which divided the urban space into 52 blocks, of which 34 square, with a side of 71 metres, 10 rectangular (71×58 m) in the western sector, 8 roughly triangular, corresponding to the diagonal sides of the walls. The smallest extension of the western sector, in which the insulae of smaller width, it was caused by the limitations imposed by the Tanaro, which lapped the walls to the west, and by the need to connect the maximum hinge with the main suburban road. The discovery of stretches of pavement and sewer network ducts made it possible to archaeologically recompose all the roads. All the roads found were 5.50 metres wide and equipped with wide gravel pavements of about 3 metres, for a total of 11.50 metres of roadway. The width of the sidewalks indicates the presence of arcades, probably consisting of slopes on brick or wooden pillars, of which there are traces represented by quadrangular bases, arranged at regular intervals of 3 metres, found in various points.

One of the first infrastructures that Alba was equipped with was the aqueduct: the constructive similarities of its remains with the 29 sections of emerged sewer pipes, dating back to the first half of the first century AD, testify to this. This would be a system after the first water system, of the Republican age, born in relation to the expansion of the city and, therefore, to an increased water requirement. It is believed that it was based on several water lines, or at least on a primary conduit correlated with secondary branches; mainly buried, however, it would have presented some sections set on arches, as evidenced by some pillars found, for example, between Piazza Savona and Via Vittorio Emanuele II and also in Corso Italia.

There are also indications of other public structures, such as the forum, the theater and a monumental complex, perhaps of a religious nature, while today there is no data on other buildings (basilica, curia) and on the amphitheater. In 1839, on the occasion of the excavations for the construction of two houses behind the Duomo, in piazza Rossetti (corner of via Vida), an area corresponding to the ancient insula XXI and to the north of the decumanus maximus, the discovery of what is considered as one of the most important Roman artistic documents of northern Italy is recorded: it is a large female head in marble, now kept in the Archaeological Museum of Turin, internally quarried and belonging to a cult statue of the end of the second century BC, made of different materials and placed inside a temple, the location of which is unknown. This discovery would also constitute an indication of the location of the forensic area, precisely as it comes from an area connected to the alleged area of the forum, of about 71 metres, where a brick floor perhaps pertaining to the pavement of the public square has emerged. The hypothesis would be supported not only by elements of ancient cartography, but also by the presence, in medieval times, of the city market in an area adjacent to it.

Architectural evidence from the insula XI (structures found below via Manzoni, which continue in walls identified coinciding with the church of S. Giuseppe) belong to a public complex referable to the theater, as evidenced, in particular, by the presence of two brick pillars connected to a wall curvilinear, which draws a semicircular space with a front of about 45 m. In fact, its curved shape would still seem to be taken up in some alignments of existing buildings; it also appears that in this area, between via Manzoni and via Como, next to the church of S. Giuseppe, there was the eighteenth-century theater of Alba, which later became the Perucca Theatre, suggesting a suggestive continuity of use in the area. Other important clues are represented by remains of paving in opus sectile, an ancient artistic technique that uses different marbles, marble cladding slabs, frames, friezes, fragments of capitals and a statue, bas-reliefs, a herm. The presence, in the neighbouring block to the south (insula XIX), of structures, presumably related to the porticus post scaenam (the arcaded area behind the scene), suggests a close connection between the forensic area and the entertainment area, which finds comparisons in many urban projects of the early imperial age, such as Augusta Bagiennorum (Benevagienna) and, still in the Cisalpine area, Brixia (Brescia). At the end of the first century AD the public space was enlarged with the insertion of a new forensic-religious complex near Via Cerrato, which, taking the place of a private residence, testifies to a subsequent phase of monumentalization of the city. This complex would have occupied almost the entire insula X, in connection with the area of the forum and with that of the theatre, from which it is separated by the maximum hinge. It is divided into a quadrangular area of approximately 49×50 m, bordered by a portico and characterized by a sequence of quadrangular and semicircular exedras. Identification with a templum Pacis, perhaps inspired by the one wanted by Vespasian for Rome to celebrate the end of the civil wars and the Jewish war (71 AD), which featured on one side a rectangular temple overlooking a garden surrounded by arcades.

As far as private construction is concerned, in the face of scarce attestations, the presence in the domus investigated heated rooms (in some cases, perhaps, referable to private baths), numerous fragments of mosaic flooring or in opus signinum (a technique that used cocciopesto as a waterproofing agent) and wall plasters attributable to the so-called III and IV Pompeian style, testify to the standard of living reached by the city in the first centuries of the Empire. Of particular interest is the wall decoration of ‘room B’, pertaining to the domus in via Acqui, where there is a figurative scene with a sea deer between two dolphins. The recognition of shops on the front of a house, located in via Gioberti, leads us to hypothesize that commercial and artisanal activities prevailed in the southern sector of the city, in contrast to the northern area, where the most prestigious residences seem to have been concentrated. The reason was identified in the close connection of the southern area with the agricultural areas and with the hills of the Langhe, while the situation in the northern area, which constitutes a sort of ‘rampart’; on the Tanaro valley, could have favored the settlement of richer classes due to the characteristics of greater tranquility, but also of an easy connection with the services of the public area (Filippi, 1997). Other important findings consist of funerary objects from the suburban necropolis, including those in via Rossini and S. Cassiano, located at the main entrances to the city.

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PIEMONTE | Il complesso fortificato di Monasterolo Casotto

Sabato 14 dicembre saranno presentati al pubblico gli interventi di restauro e valorizzazione attuati presso la torre e gli edifici medioevali di Monasterolo Casotto, in provincia di Cuneo.

Le fonti bibliografiche e documentarie inerenti al sito sono piuttosto scarse e si limitano all’attribuzione del castello al sistema difensivo del marchesato di Ceva (XII-XIII sec.). Dopo un periodo in mano ai Francesi e in seguito alla sua parziale distruzione, il complesso risulta ancora abitato nel XVII – XVIII secolo, come dimostrano le ristrutturazioni di alcuni edifici e la menzione del 1765 di Tommaso di Antiforte come ultimo signore del castello. 

Gli scavi archeologici sono avvenuti tra il 2014 e il 2015, in occasione di un intervento di ristrutturazione e messa in sicurezza dei muri ancora conservati.

In particolare, è stato individuato un sentiero fiancheggiato da alcune strutture murarie di contenimento che, probabilmente, rappresentavano l’accesso al castello. Altri muri sono stati portati alla luce nella zona a ridosso delle fortificazioni.

Dal 2015 è stata avviata una campagna intensiva di ripulitura e documentazione di muri ancora conservati. Quest’operazione permette agli archeologi di approntare una cronologia relativa delle strutture e di evidenziare eventuali interventi di restauro o modifiche avvenute in seguito alla prima costruzione del sito. 

Si è, così, potuto rilevare che il nucleo principale del sito, costituito da una torre in pietra, alla quale si affiancano alcune strutture, forse utilizzate come abitazioni, si trovava nella parte più alta del rilievo. Il sito stesso è, poi, circondato in parte da un muro protettivo, costruito in periodi diversi e con tecniche differenti.

Sabato 14 dicembre il complesso verrà aperto al pubblico. I responsabili del progetto d’indagine illustreranno agli interessati le scoperte fatte e gli interventi futuri.

Per saperne di più:

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PIEMONTE | Libarna, una città sulla via Postumia

La vallata del fiume Scrivia è stata da sempre un luogo di passaggio tra la Liguria e il basso Piemonte, per giungere, poi, alla Pianura Padana e al resto del nord Italia. Già durante l’età del Ferro, infatti, con la creazione di un emporio etrusco a Genova, vennero attivate tali direttrici, tanto che un abitato ligure sorse a controllo del percorso, sulla collina del castello di Serravalle Scrivia.

L’epoca romana

Successivamente, nel 148 a.C, i Romani capirono l’importanza commerciale della zona e, così, costruirono la via Postumia, che collegava Genova ad Aquileia, passando proprio lungo la valle Scrivia. A questa data, gli archeologi fanno risalire anche la fondazione della città romana di Libarna, proprio allo sbocco della valle. L’abitato vide, probabilmente, il periodo di massimo splendore intorno all’89 a.C, quando venne concessa alle popolazioni locali prima la cittadinanza latina, poi quella romana. La città, che doveva la sua fortuna proprio al passaggio della via Postumia, vide il suo declino già all’inizio dell’epoca imperiale, quando un cambiamento negli orientamenti economici provocò lo spostamento dei traffici commerciali sulle nuove vie Aemilia Scauri e Iulia Augusta, che interessavano i territori della Liguria occidentale.

La riscoperta

La valle Scrivia, tuttavia, non perse mai il suo ruolo di passaggio per l’attraversamento dell’Appennino Ligure: la città romana venne, infatti, riscoperta nella prima metà dell’800, quando vennero aperte prima la strada regia Torino-Genova e, in seguito, le linee ferroviarie Genova-Novi-Torino e Genova-Milano. In questo periodo, i resti romani vennero in parte asportati, per lasciare spazio alle nuove infrastrutture; solo con l’imposizione del vincolo archeologico, nel 1924, cessarono le distruzioni e si cominciarono il restauro e la valorizzazione dei monumenti. Oggi, nonostante i materiali provenienti dal sito siano in parte confluiti in collezioni private e in parte distribuiti tra i musei di Genova, Torino e Serravalle Scrivia, l’area è stata musealizzata ed è visitabile gratuitamente.

L’assetto urbano

La città romana prese il nome di Libarna. Il toponimo, di origine preromana, compare in alcune fonti scritte, come l’Itinerarium Antonini di Plinio e la Tabula Peutingeriana. L’insediamento era distribuito attorno ai due assi viarii principali, come in uso nelle città di fondazione romana: il cardine massimo (che coincideva con il tratto urbano della via Postumia) e il decumano massimo. Le altre strade cittadine si disponevano parallelamente a queste due, creando isolati regolari, disposti a scacchiera. La città era priva di mura, ma il tratto urbano della via Postumia finiva in corrispondenza di due porte, situate una a nord e l’altra a sud. Queste erano della tipologia a cavedio: due torri erano poste ai lati di un ingresso, che si apriva su un cortiletto interno, formando un vero e proprio forte, dal quale soltanto si poteva accedere all’area cittadina.

ricostruzione dell'area archeologica di Libarna
ricostruzione dell’area archeologica di Libarna

Il foro

Proseguendo lungo la via principale, si giungeva al vero centro pulsante dell’insediamento: il foro. Purtroppo non sappiamo molto di quest’area, essendo stata oggetto di scavi limitati nel 1911 che ne hanno permesso solo l’identificazione. Possiamo, però, dire che essa si trova in posizione canonica, all’incrocio di cardine e decumano massimo e che era di forma quadrangolare, occupando lo spazio di circa quattro isolati. Sul lato meridionale, l’estensione del portico fa pensare alla presenza di una basilica, edificio pubblico utilizzato per le riunioni e le assemblee dei cittadini. Inoltre, è stato identificato un arco monumentale che impreziosiva l’ingresso settentrionale, mentre, a ridosso del lato sud, è stata rilevata la presenza di un basamento rettangolare, forse appartenente a un tempio.

Il teatro

Un altro luogo pubblico presente in città era il teatro, destinato alla rappresentazione di tragedie, commedie e altre opere. Anche in questo caso, gli scavi condotti per la realizzazione delle infrastrutture e le numerose spoliazioni antiche e moderne non hanno permesso la sua ricostruzione puntuale. Sappiamo che la costruzione risalga al I sec. d.C. e il ritrovamento di alcuni elementi architettonici decorati, come marmi o intonaci, lascia supporre che si trattasse di un edificio sfarzoso e curato. La struttura in pietra e mattoni era probabilmente sviluppata su due piani: il primo, composto da 22 arcate sorrette da pilastri, consentiva l’accesso alla stessa, mentre il secondo era privo di aperture.

il teatro di Libarna
Il teatro

Le terme e l’anfiteatro

Di fianco al teatro, si sviluppava l’edificio che ospitava le terme: luogo di grande importanza nel mondo romano, legato non solo all’igiene personale, ma anche allo svago, all’incontro e alla cultura. Poiché l’area non è mai stata indagata in modo sistematico, non si sa nulla del suo impianto; di conseguenza, possiamo solamente ipotizzare che, anche in questo caso, l’edificio fosse sfarzoso e monumentale e che occupasse diversi isolati. Oltre alle terme, a completare quest’area dedicata al piacere e al divertimento, sorgeva l’anfiteatro, edificio di forma ellittica, nel quale si svolgevano i munera, i combattimenti tra i gladiatori, e le venationes, battute di caccia agli animali selvaggi. Come avveniva spesso nelle città romane, anche nel caso di Libarna l’edificio, costruito nel I sec. d.C, era posizionato alla periferia della città, occupando uno spazio pari a due isolati, circondato da un muro di cinta quadrangolare, che lasciava uno spazio vuoto prima dell’edificio vero e proprio.

Le abitazioni private

Oltre agli edifici pubblici, a Libarna sono stati scavati anche due isolati comprendenti abitazioni private e botteghe. Le abitazioni portate alla luce potevano essere a uno o a due piani, sviluppandosi attorno a un cortile centrale porticato. Gli isolati scavati, posizionati tra il teatro e l’anfiteatro, erano entrambi costituiti da una domus signorile, circondata da altre tre più piccole che potevano contenere ambienti a destinazione commerciale. Alla fine del I sec. d.C, la struttura degli isolati subì una trasformazione, probabilmente in relazione alla costruzione degli edifici ludici. Le due case signorili vennero divise in lotti più piccoli e riconvertiti in strutture produttive o commerciali come botteghe, tintorie, e un ambulatorio medico.

Le abitazioni private del quartiere dell'anfiteatro
Le abitazioni private del quartiere dell’anfiteatro

Per approfondire

Libarna, area archeologica, a cura di Marica Venturino Gambari

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PIEMONTE | Scoperti i più antichi resti archeologici del nord Italia nella Grotta della Ciota Ciara (VC)

La grotta della Ciota Ciara, sul monte Fenera, è oggetto di indagini archeologiche sistematiche, condotte dall’università di Ferrara, ormai da 11 anni. Questo l’ha reso uno dei contesti più importanti per la ricostruzione del popolamento preistorico dell’Italia Nord Occidentale. Gli studiosi hanno potuto, così, ricostruire in modo molto preciso le fasi di popolamento della grotta.

Non era mai stato trovato, però, un resto umano, che indicasse quale specie di Homo avesse popolato la zona nel periodo in esame. Almeno fino al 24 giugno 2019, quando, proprio negli ultimi giorni di scavo, sono emersi due resti ossei: un incisivo e un osso occipitale attribuibili al genere Homo.

Questo ritrovamento è ancora più interessante in quanto è avvenuto all’interno di un contesto già ben delineato, grazie agli studi multidisciplinari condotti dall’università di Ferrara.

La grotta della Ciota Ciara è stata abitata nel Paleolitico medio, un periodo che va da 300 mila fino a 35 mila anni fa e che ha visto la presenza di due specie: Homo heidelbergenis e Homo neanderthalensisQuale dei due avesse abitato la grotta, fino ad oggi, non era chiaro.

Dallo studio delle ossa trovate si è potuto stabilire qualcosa di più preciso: il dente è un secondo incisivo inferiore permanente, estremamente ben conservato e, probabilmente, appartenente a un individuo adulto di giovane età.

L’osso occipitale, invece, apre nuovi orizzonti per la ricerca su questa fase della preistoria e dell’evoluzione dell’uomo in Europa.

Due particolarità, infatti, caratterizzano i resti attribuibili all’uomo di Neanderthal: un rigonfiamento chiamato chignon e la fossa sopracranica. Tali caratteristiche cominciano a comparire già nell’Homo heidelbergensis, divenendo fortemente accentuate nel Neanderthal.

Sull’osso occipitale della Ciota Ciara, questi elementi sono presenti, ma in modo poco marcato. Una volta effettuati vari accertamenti, gli studiosi potranno affermare se l’individuo ritrovato appartenga a una specie arcaica di Homo neanderthalensis oppure al più antico Homo heidelbergensis, definendo più precisamente il periodo di passaggio tra le due specie.

Inoltre, grazie ai dati raccolti durante gli 11 anni di scavi, si può affermare che la grotta sia stata utilizzata, inizialmente, solo come riparo temporaneo, probabilmente durante le battute di caccia, e che solo successivamente sia stata abitata con maggiore continuità. Ancora, per la costruzione degli strumenti litici ritrovati in loco, sono state sfruttate le pietre locali; anche le specie cacciate, di cui sono stati trovati i resti nella grotta stessa, erano quelle presenti sul territorio: cervi, cinghiali, camosci, rinoceronti e un orso. Infine, sono stati trovati resti di altri carnivori, non uccisi dall’uomo, che probabilmente abitavano la grotta nei periodo di abbandono.