ACCADDE OGGI | I sogni di gloria di Crasso e la disfatta di Carre del 9 giugno 53 a.C.
Il 9 giugno del 53 a.C. avvenne una delle più umilianti sconfitte di Roma, moralmente peggiore di quelle di Teutoburgo o di Adrianopoli. Infatti, la disfatta di Carre (oggi Harran, in Turchia) non fu tanto l’opera di un nemico forte, ma il risultato della superbia del triunviro Crasso in cerca di gloria e legittimazione.
Il fatto storico
Non si trattò di una battaglia, ma di un massacro annunciato. L’esercito romano era stato logorato dal deserto, e sfiancato dalla guerriglia portata dai parti. In realtà, furono proprio quegli attacchi veloci a spingere Crasso in trappola: li ritenne una prova della debolezza nemica. Alla prova dei fatti, il condottiero romano optò per uno schieramento difensivo, a quadrato, in modo da non lasciar fianchi scoperti. Eppure, la pioggia di frecce tirata dagli arcieri a cavallo partici costrinse la cavalleria romana all’ingaggio. L’esito fu tragico e lo stesso figlio di Crasso, Publio, morì in quella sortita. Crasso decise quindi di ritirarsi nella fortezza di Carre, lasciandosi alle spalle le aquile di sette legioni che finirono in mano nemica. Alla fine, lui stesso fu catturato ed ucciso.
Necessità politiche e strategia militare
Crasso fu uno degli uomini più ricchi di Roma, ma con i soldi non aveva comprato la fama di cui invece godevano i suoi pari, e rivali, Cesare e Pompeo. Decise, quindi, di inserirsi nella politica partica, appoggiando la pretesa al trono di Mitridate contro suo fratello Orode. Oltre 40000 soldati romani penetrarono così in territorio nemico attraverso il deserto siriano, un errore strategico imperdonabile. Crasso cercava, infatti, una vittoria rapida, e questo lo spinse ad esporsi. Da un punto di vista strategico l’esercito romano si ritrovò a resistere ad una sfiancante marcia, in un luogo privo di ripari naturali, in balia di un nemico che faceva della mobilità il proprio punto di forza. Così, lontani dall’acqua, le forze partiche trascinarono i romani in un inseguimento mortale.
Un terribile epilogo e qualche dettaglio interessante
Secondo lo storico Cassio Dione la sorte di Crasso rivela un deciso contrappasso in relazione alla sua superbia. Lui, così avido di ricchezza e potere, morì tra mani nemiche che gli versarono in gola l’oro che così tanto desiderava. Ben diversa fu invece la sorte di Gaio Cassio Longino, che seguì il triunviro nella sua spedizione. Cassio scelse di abbandonare Carre ritirandosi verso la Siria e, in questo modo, riuscì a salvarsi. Sarà lui, nel 44 a.C., a congiurare contro Giulio Cesare, mettendo fine a un’epoca. Il 9 giugno del 38 a.C., invece, le truppe comandate da Publio Ventidio Basso vendicheranno la morte di Crasso, infliggendo una grave sconfitta ai Parti, riportando il confine lungo l’Eufrate, e potendo, per questo, celebrare il trionfo a Roma.