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GEMMOLOGIA | Tutti i colori dell’Ammolite, il “trait d’union” tra gemmologia e paleontologia  

Un Docufilm girato interamente nel Museo di Storia Naturale “Giacomo Doria” di Genova, una produzione dedicata esclusivamente alla presentazione dell’Ammolite: la conchiglia fossile iridescente che, nel 1981, viene dichiarata dalla Cibjo (Confederazione Mondiale di Gioielleria) di interesse gemmologico come Pietra di colore.

Lo svolgersi del sapere nasce dall’incontro dei due protagonisti, Stefania Ferrari (gemmologa) e il professor Antonino Briguglio (paleontologo), lungo un percorso che si snoda attraverso le sale dedicate del Museo genovese. E così, nel filmato si alternano immagini di fossili ad approfondimenti scientifici. Sala paleontologia, sala dei minerali, e giù, fino al centro del suggestivo emiciclo, dove ad attenderli c’è il regista Enrico Cirone.

Tutto è pronto per attivare il collegamento con l’ottocentesca Villa Durazzo Bombrini dove avrà inizio l’evento didattico “in presenza” organizzato da Unige Sezione DISTAV (Dipartimento Scienze della terra, dell’ambiente e della vita). Forte la sensazione di attraversare gli strati terrestri (crosta, mantello… nucleo): ogni sala, corridoio, teca, è un passaggio sapientemente argomentato.

“Primo corso di Gemmologia”, Londra 1909

La Gemmologia, per definizione, è lo studio sistematico delle gemme. Nasce come appendice della Mineralogia e risale (pensate) solo al 1913 l’assegnazione della prima Laurea in Gemmologia. Ad oggi sono tanti gli investimenti, sia privati che accademici per permettere la ricerca, studi che ci conducono a presentare l’Ammolite come trait d’union tra Gemmologia e Paleontologia.

Sessanta milioni di anni, ecco come possiamo datare l’Ammolite mentre, luogo di maggiore ritrovamento (il 90% del mondiale) è la Provincia di Alberta in Canada.

La qualità di Ammolite più pregiata e rara è catalogata AAA e mostra alla vista fino a 7 colori, il grado standard presenta 1 o 2 tonalità spesso di verde o rosso.

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NEWS | Trieste, la spettacolare ricostruzione del triceratopo “Big John”

A Triste arriva “Big John”, uno scheletro di triceratopo proveniente da un giacimento fossilifero degli Stati Uniti. Il dinosauro viene a far visita al Bel Paese, ancora custodito negli speciali imballaggi di bende gessate, accolto dalle sapienti mani dei paleontologi triestini della Zoic. La ditta triestina costituisce un’eccellenza mondiale nell’ambito della paleontologia, specializzata nell’estrazione e lavorazione dei resti fossili, anche di notevoli proporzioni.

Chi non conosce il triceratopo, con le caratteristiche corna sul muso e la testa corazzata? Sicuramente il più famoso tra i “dinosauri cornuti”, è una specie tipica dell’attuale Nord America, risalente al Cretaceo superiore (tra i 68 e i 95 milioni di anni fa).

Ricostruzione di triceratopo

Il nome, attribuito all’esemplare in questione, nasce dalle sue dimensioni, impressionanti per la specie: il cranio misura oltre due metri e mezzo di lunghezza per quasi due metri di larghezza.

Una “rinascita” visibile online

L’estrazione e la preparazione del “bestione” doveva essere la novità natalizia per tutti gli amanti di questi antichi fossili. In un entusiasmante work in progess, allestito nel nuovo showroom acquisito dalla Zoic in via Flavia a Triste, il pubblico avrebbe dovuto assistere alla sua “rinascita”. Nonostante le restrizioni alle attività dal vivo, sarà comunque possibile seguire online le varie fasi del processo. Da oggi sarà messa in linea una serie di video sui canali social della ditta (Youtube, Facebook e Instagram); qui, passo dopo passo, si documenterà l’apertura delle protezioni, lo scavo, la pulizia delle ossa ed il restauro delle parti mancanti. Lo scopo è di far conoscere le tecniche di estrazione di fossili complessi, del come vengono scavati e, quindi, lavorati, prima di prendere nuovamente forma con il montaggio finale. In questo caso, si vedrà ricomparire uno dei dinosauri più iconici che abbiano mai popolato il nostro pianeta.

Estrazione dei pezzi del triceratopo Big John dall’imballaggio in gesso
Una spettacolare anticipazione della sede espositiva

L’auspicio del team triestino della Zoic è accompagnare il pubblico, con aggiornamenti periodici, attraverso questo eccezionale viaggio di riscoperta, scandendo le fasi più delicate e spettacolari della lavorazione e del montaggio dell’enorme reperto, fino ad arrivare in primavera alla possibilità di aprire le porte della nuova sede espositiva per far godere da vicino dell’enorme triceratopo. Il grande dinosauro, una volta restaurato, farà tappa al sito paleontologico Villaggio del Pescatore di Duino Aurisina (TS), dove sarà visibile per un certo periodo.

Vogliamo offrire a Trieste un altro spettacolo indimenticabile – spiega il titolare della Zoic Flavio Bacchia – da sempre siamo impegnati a condividere con gli appassionati, o i semplici curiosi, la nostra peculiare attività e speriamo che anche questa volta ci sarà modo di mostrare il lavoro finito prima che “Big John” s’incammini per la sua destinazione finale, che con ogni probabilità sarà qualche famoso museo internazionale.

Flavio Bacchia e il triceratopo Big John
La Zoic, unica realtà italiana di eccellenza mondiale in ambito paleontologico

Al gruppo di paleontologi della Zoic, unica realtà italiana che vanta un’esperienza ormai riconosciuta a livello internazionale – dal Canada all’Australia, fino alla Russia, il Giappone e, naturalmente, l’Europa – si deve il restauro di molti degli esemplari custoditi in diverse collezioni, sia pubbliche che private, di tutto il mondo. Della Zoic Srl c’è “Bruno“, il più completo dinosauro mai rinvenuto in Italia, orgoglio del Villaggio del Pescatore. Poi quest’autunno la Zoic ha restaurato “Big Sara“, allosauro di 10 metri di lunghezza. Adesso, è toccato al triceratopo “Big John” rinascere dal tempo profondo.

La Zoic al lavoro sullo scheletro del triceratopo Big John

Articolo a cura di Ilda Faiella

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NEWS | Scoperte orme fossili di grandi rettili sulle Alpi occidentali

Uno studio appena pubblicato a firma di geologi e paleontologi delle Università di Torino, Roma Sapienza, Genova, Zurigo e del MUSE – Museo delle Scienze di Trento, ha individuato un tipo di impronta fossile nuova per la scienza, denominata Isochirotherium gardettensis, in riferimento all’Altopiano della Gardetta nell’Alta Val Maira in cui è stata scoperta.


Una scoperta inattesa

Un’inattesa scoperta paleontologica, appena pubblicata sulla rivista internazionale PeerJ da un team multidisciplinare di ricercatori italiani e svizzeri. La pubblicazione descrive una serie di orme fossili impresse da grandi rettili, vagamente simili a coccodrilli, nel passato più profondo delle Alpi occidentali, circa 250 milioni di anni fa. Le impronte sono state scoperte a circa 2200 metri di quota nella zona dell’Altopiano della Gardetta nell’Alta Val Maira (Provincia di Cuneo, Comune di Canosio) in seguito al lavoro di tesi del geologo dronerese Enrico Collo

Nel 2008, insieme al prof. Michele Piazza dell’Università di Genova e nel 2009 con Heinz Furrer dell’Università di Zurigo, aveva identificato nelle rocce della zona alcune tracce di calpestio lasciate da grandi rettili. Originariamente, le tracce erano state lasciate fra i fondali fangosi ondulati di un’antica linea di costa marina in prossimità di un delta fluviale.

Le orme che hanno consentito la descrizione della nuova icnospecie Isochirotherium gardettensis – Foto di F.M. Petti
 
Lo studio

Appena pubblicato, lo studio porta la firma di geologi e paleontologi del MUSE – Museo delle Scienze di Trento, dell’Istituto e Museo di Paleontologia dell’Università di Zurigo e delle Università di Torino, Roma Sapienza e Genova. Lo studio si svolge in accordo con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria, Asti e Cuneo.

È stato molto emozionante notare appena due fossette impresse nella roccia, spostare un ciuffo erboso e realizzare immediatamente che si trattava di un’impronta lunga oltre trenta centimetri. Un vero tuffo nel tempo profondo, con il privilegio di poter appoggiare per primo la mano nella stessa cavità dove, in centinaia di milioni di anni, se n’era appoggiata soltanto un’altra. Mi è venuto spontaneo rievocare subito l’immagine dell’animale che lasciò, inconsapevolmente, un segno duraturo nel fango morbido e bagnato, ma destinato a divenire roccia e innalzarsi per formare parte della solida ossatura delle Alpi – ha dichiarato il paleontologo Edoardo Martinetto del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, primo scopritore delle nuove tracce.

Nell’area delle impronte sono frequenti i ripple marks, tracce di moto ondoso lasciate circa 250 milioni di anni fa su un fango sabbioso ora diventato roccia – Foto di Enrico Collo

Secondo Fabio Massimo Petti del MUSE – Museo delle Scienze di Trento, esperto di orme fossili e primo autore del lavoro, si tratta di un ritrovamento unico in Europa. Le orme – ha dichiarato – sono eccezionalmente preservate, con una morfologia talmente peculiare da averci consentito la definizione di una nuova icnospecie. Abbiamo deciso di dedicarla all’Altopiano della Gardetta.

Rettili di 250 milioni di anni fa

Il paleontologo Massimo Bernardi del MUSE sottolinea che questi ritrovamenti testimoniano la presenza di rettili di grandi dimensioni in un luogo e un tempo geologico che si riteneva caratterizzato da condizioni ambientali inospitali. Le rocce che preservano le impronte della Gardetta, formatesi pochi milioni di anni dopo la più severa estinzione di massa della storia della vita, l’estinzione permotriassica, dimostrano che quest’area non fosse totalmente inospitale alla vita come proposto in precedenza. 

Non è possibile conoscere con precisione l’identità dell’organismo che ha lasciato le impronte che abbiamo attribuito a Isochirotherium gardettensis. Tuttavia, considerando la forma e la grandezza delle impronte e altri caratteri anatomici ricavabili dallo studio della pista, si tratta verosimilmente di un rettile arcosauriforme di notevoli dimensioni, almeno 4 metri – ha rimarcato il paleontologo Marco Romano della Sapienza Università di Roma.

Ipotetica ricostruzione dell’organismo che ha lasciato le impronte attribuite alla nuova icnospecie Isochirotherium gardettensis. Per gentile concessione di Fabio Manucci

Ricordo la grande emozione provata in occasione della prima scoperta, con l’amico Enrico Collo nel 2008, il piacere intellettuale della prima campagna di rilievi con Enrico e Heinz Furrer nel 2009 e poi la grande soddisfazione scientifica avuta nel lavorare con una così prestigiosa squadra di ricercatori, il tutto nella consapevolezza che questa rilevante novità scientifica si colloca in un territorio di spettacolare bellezza, accrescendone il già grandissimo valore – ha ricordato il Prof. Michele Piazza dell’Università di Genova.

Per il raggiungimento di questi risultati è stato determinante il contributo organizzativo ed economico dell’Associazione Culturale Escarton, che ha sostenuto il progetto a partire dal 2016. Inoltre, grazie al Presidente Giovanni Raggi, l’Associazione ha rappresentato l’intermediario fra il mondo della ricerca e quello delle istituzioni locali, rappresentate dai Sindaci dei comuni di Canosio e Marmora, nonché dall’Unione Montana Valle Maira.

Geo-Paleo park: il progetto

Si prevede un ulteriore sviluppo del progetto, grazie all’estensione dell’area di ricerca e alla raccolta di ulteriori informazioni sull’associazione di rettili triassici che hanno lasciato tracce nella zona. Ma è soprattutto grazie alla diffusione dei risultati delle ricerche geo-paleontologiche che si spera di poter realizzare un Geo-Paleo park, comprendente un centro visitatori e un giardino geologico didattico-divulgativo. 

L’Altopiano della Gardetta con al centro la Rocca la Meja – Foto di F.M. Petti

La nostra prossima sfida – sottolinea il coordinatore del progetto Massimo Delfino del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino – è trovare la copertura finanziaria che garantisca una raccolta accurata ed esaustiva delle informazioni di importanza scientifica, la conservazione a lungo termine del patrimonio paleontologico della Gardetta e la sua valorizzazione in un’ottica di promozione culturale e turistica delle caratteristiche naturali della Val Maira.

Riferimenti:

Archosauriform footprints in the Lower Triassic of Western Alps and their role in understanding the effects of the Permian-Triassic hyperthermal – Fabio Massimo Petti, Heinz Furrer, Enrico Collo, Edoardo Martinetto, Massimo Bernardi, Massimo Delfino, Marco Romano, Michele Piazza –PeerJ 2020. DOI 10.7717/peerj.10522