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NEWS | Israele, La Sapienza coordinerà gli scavi nella Basilica del Santo Sepolcro

Il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza ha ricevuto l’incarico di sovrintendere la cerimonia di rimozione della prima pietra della Basilica e le successive attività di scavo. Per la prima volta sarà possibile indagare archeologicamente un monumento unico al mondo che racchiude vicende dall’altissimo valore storico e simbolico ed una stratificazione archeologica intensissima, che raccorda Oriente ed Occidente.

©Custodia Terra Santa. Foto Gianfranco Pinto Ostuni.

La prima pietra del Santo Sepolcro

Lunedì 14 marzo, con la cerimonia di rimozione della prima pietra del pavimento della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, hanno avuto inizio le attività di scavo archeologico. Le attività saranno coordinate dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza.

Si tratta di uno scavo particolarmente complesso. Si svolgerà in modo continuativo per oltre due anni e mezzo, in orario notturno e diurno. Il lavoro sarà organizzato in modo da consentire il regolare svolgimento delle funzioni religiose e agevolare il flusso dei pellegrini. Nel corso dello scavo le metodologie d’avanguardia verranno impiegate per preservare la multifunzionalità degli spazi.

Questo difficile contesto ha richiesto una preparazione particolarmente accurata. Nel corso degli ultimi mesi, si è posta particolare attenzione sia al campo scientifico e tecnico, sia motivazionale e psicologico. Questa preparazione è il risultato della disponibilità dei docenti dell’Ateneo.

©Custodia Terra Santa. Foto Gianfranco Pinto Ostuni.

Le attività di scavo

A dare la notizia è la rettrice Antonella Polimeni: “L’attività dei ricercatori del nostro Ateneo in uno dei luoghi più sacri per i cristiani e di grandissima importanza storico-artistica è motivo di orgoglio e conferma il primato Sapienza a livello internazionale anche in ambito umanistico.”

Giorgio Piras, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, dichiara: “Siamo particolarmente onorati e orgogliosi di mettere a disposizione le competenze dei nostri archeologi per un’impresa di notevolissima importanza scientifica e storica che vede una vasta collaborazione di tanti ricercatori Sapienza”. 

È stata costituita un’équipe interdisciplinare composta da archeologi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, storici e storici dell’arte del Dipartimento di Storia religioni antropologia arte spettacolo, ingegneri del Dipartimento di Ingegneria meccanica ed aerospaziale, e psicologi del Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione. Le attività di scavo saranno coordinate da Francesca Romana Stasolla del Dipartimento di Scienze dell’Antichità.

©Custodia Terra Santa. Foto Gianfranco Pinto Ostuni.

Il periodo pandemico

Nel 2019 la Custodia di Terra Santa ha affidato al Dipartimento le ricerche archeologiche connesse al progetto di restauro del pavimento della Basilica. Le operazioni di restauro, invece, sono state affidate alla Fondazione Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale di Torino.

Nel corso del periodo pandemico i lavori sono proseguiti con la predisposizione di strumenti finalizzati a rendere più efficiente il lavoro sul campo. Sono state studiate soluzioni aventi il fine di rendere più veloce la documentazione dei manufatti. È stato creato un database impiegato per accogliere le informazioni storiche e fisiche provenienti dalle indagini sul terreno, parte dei dati raccolti sono inediti.

Il progetto ha il benestare delle tre più importanti comunità detentrici della custodia del complesso del Santo Sepolcro: il Patriarcato ortodosso, la Custodia di Terra Santa e il Patriarcato Armeno.

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NEWS | Ritrovati fossili di Neanderthal in Israele, l’Oriente era così “vicino” anche per i nostri antenati?

Il recente ritrovamento di resti fossili nel sito israeliano di Nesher Ramla, riconducibili a un possibile antenato dei Neanderthal, porta alla luce il ruolo di popolazioni del Vicino Oriente nell’evoluzione di questa forma umana estinta. Lo studio, che ha visto la partecipazione di ricercatori del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma e del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, è stato pubblicato sulla rivista Science, che gli ha anche dedicato la copertina.

Perché l’Oriente è importante nel processo evolutivo

I Neanderthal sono la specie umana estinta che conosciamo meglio. Si è sempre pensato che la loro evoluzione fosse del tutto endogena, avvenuta interamente in Europa a partire da popolazioni del Pleistocene Medio, e che solo in seguito abbia previsto ondate di diffusione verso l’Asia.

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Fonte: IppocrateOrg

Il recente ritrovamento di fossili umani nel sito del Paleolitico medio di Nesher Ramla, in Israele, suggerisce infatti che il processo evolutivo potrebbe essere avvenuto con il contributo di popolazioni umane vissute al di là del Mediterraneo e, nello specifico, che siano quelle del Vicino Oriente ad aver avuto un ruolo importante. Seppur frammentari, i fossili di Nesher Ramla – rappresentati da porzioni del cranio, da una mandibola e alcuni denti, tutti databili tra 140 e 120 mila anni fa – mostrano una combinazione unica di caratteristiche neandertaliane e tratti più arcaici

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I fossili di Nesher Ramla (Israele) – foto: Sapienza, Università di Roma

«È questa la conferma – spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo della Sapienza – Università di Roma, che ha partecipato allo studio – che le popolazioni umane del Pleistocene Medio sono andate incontro a fenomeni evolutivi “a mosaico”, che hanno fatto emergere le caratteristiche tipiche dei Neanderthal, come anche quelle di noi Homo sapiens. È ciò che osserviamo anche in Italia con lo scheletro della grotta di Lamalunga, vicino Altamura, nel quale tutte le analisi che abbiamo potuto condurre finora mostrano un sorta di blend evolutivo».

Il professor Giorgio Manzi

«Con i nuovi fossili israeliani, sappiamo che la storia potrebbe essere stata anche più complessa e non solo confinata all’Europa – aggiunge Fabio Di Vincenzo, oggi curatore della sezione di Antropologia del Museo di Storia naturale di Firenze, anche lui tra gli autori del nuovo studio – «La geografia dell’area Mediterranea, con la sua eterogeneità ambientale durante il Pleistocene, ha necessariamente svolto un ruolo chiave nel plasmare le caratteristiche dei Neanderthal da un capo all’altro del continente, includendo anche le regioni balcaniche e le limitrofe aree asiatiche».

Il dott. Fabio Di Vincenzo

I nuovi reperti sono stati studiati con sofisticate tecniche digitali che hanno permesso di svelare le caratteristiche più nascoste e informative dell’anatomia cerebrale dei resti fossili e dei denti di Nesher Ramla.

La mandibola con alcuni denti da Nesher Ramla (Israele) – foto: Sapienza, Università di Roma
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NEWS | Scoperta Shahr-i Sokhta, un’oasi nel deserto

Avvolta dal profumo esotico dell’ambra e dell’oud, Shahr-i Sokhta (dall’arabo, “città bruciata”) può definirsi una vera e propria oasi archeologica nel deserto.

Proprio le sabbie del Lut, nell’attuale Iran orientale, infatti, hanno vegliato e sapientemente protetto quest’area di ben duecento ettari. Risalente all’Età del bronzo, per la posizione strategica tra le terre fluviali dell’Indo e dell’Oxus, doveva costituire un fiorente snodo commerciale e punto d’incontro tra varie popolazioni. Dai reperti rinvenuti finora emerge senz’altro il profilo di una civiltà complessa, portatrice di una cultura autonoma; particolarmente clamoroso il rinvenimento di proto-tavolette con annotazioni numeriche. Non si conoscono ancora con certezza le cause del suo declino e, come spesso accade in questi casi, si ipotizza una teoria catastrofista. Gli scheletri architettonici della città visibili ad oggi, appaiono un po’ come delle falesie: morbidamente piallate, addolcite dalle carezze delle onde. Un castello di sabbia di seimila anni che dalle sue stesse sabbie risorge.

Inebriati per ora da suggestioni orientali ed esotiche, aspettiamo di saperne di più su Shahr-i Sokhta!

Shahr-iShahr-i

 

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NEWS | “Oltre le colonne di Media”, la stampa 3D ricostruisce imperi

Gli studenti del Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza di Roma hanno progettato una mostra nel Museo dell’Arte classica dal titolo “Oltre le colonne di Media“. Pannelli espositivi raccontano le attività della Missione Archeologica Sapienza in Iran (SAMIra), per l’occasione è stato allestito uno spazio dedicato alla tecnologia applicata ai Beni Culturali.

Alla scoperta di Media

Mercoledì 16 dicembre, presso il Museo dell’Arte classica, si è svolta la presentazione dell’esposizione “Oltre le colonne di Media” alla presenza della Rettrice Antonella Polimeni, di sua Eccellenza Hamid Bayat, Ambasciatore della Repubblica Islamica d’Iran in Italia, del Preside della Facoltà di Lettere e filosofia Stefano Asperti, del Direttore del Dipartimento di Scienze dell’antichità Giorgio Piras e del Direttore del Polo Museale Sapienza Marcello Barbanera. I pannelli espositivi raccontano le attività della Missione Archeologica della Sapienza in Iran (SAMIra), ricostruendo mappe e presentando fotografie di monumenti, rilievi e ritrovamenti. Il tutto è frutto del laboratorio didattico dei docenti Carlo Giovanni Cereti e Gianfilippo Terribili.

MediaLa mostra conduce il visitatore nell’Iran occidentale, attraverso l’esplorazione di uno dei principali percorsi di quella estesa rete di comunicazione, nota col nome di “Via della seta”. L’attenzione si focalizza sul tratto che attraversava il cuore della regione storica della Media e che, nel corso dei secoli, si configurò come luogo di transizione fra la Piana Mesopotamica e l’Altopiano Iranico. È grazie alla conformazione fisica del territorio che l’area dell’odierna provincia del Kermanshah è un privilegiato luogo di incontro fra civiltà diverse. Molte sono le evidenze archeologiche sul territorio che testimoniano tanto la persistenza nel tempo di tali interazioni culturali, quanto l’importanza strategica di tale percorso nella gestione di vasti imperi. Il percorso espositivo segue uno sviluppo diacronico, che parte dalle testimonianze dell’Età del Ferro per poi dar spazio alle grandi compagini di Achemenidi, Arsacidi e Sasanidi. Diversi personaggi hanno contribuito a scrivere la grande storia degli imperi.

Il miracolo della stampa 3D

Per l’occasione ha avuto spazio la tecnologia applicata ai Beni Culturali con riproduzioni in stampa 3D di monumenti iraniani e del Vicino Oriente, una strumentazione usata per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio. Nella mostra, in particolare, viene proposta la realizzazione di modelli 3D attraverso l’uso di fotocamere reflex con obiettivo a lunghezza focale fissa. Questo procedimento viene utilizzato per digitalizzare l’oggetto in analisi, in questo modo viene riprodotta un’immagine sorella, Digital Twin. Attraverso il modello digitalizzato si possono fornire precisazioni riguardo il rilevamento. Tutto questo permette di creare una stampa tridimensionale dell’oggetto inizialmente fotografato.

 

L’esibizione, sostenuta dall’Ambasciata d’Italia a Teheran e dall’Ambasciatore Giuseppe Perrone, è il frutto della sinergia fra la Missione Archeologica della Sapienza in Iran, il Dipartimento di Scienze dell’Antichità e il Ministry of Cultural HeritageTourism and Handicrafts of the Islamic Republic of Iran. Tale collaborazione, nata nel 2019, ha reso possibile avviare un articolato progetto volto allo studio e valorizzazione del patrimonio archeologico della provincia del Kermanshah. Le attività sul campo (2019), condotte congiuntamente con la controparte iraniana, si sono incentrate sulla documentazione delle evidenze architettoniche del sito monumentale di Kangavar e hanno visto la partecipazione di un nutrito gruppo di studenti e dottorandi della Sapienza.

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PERSONAGGI | Gertrude Bell, la regina del deserto

Chiudiamo la rubrica settimanale Personaggi parlando di un’altra donna, questa volta inglese, che può essere considerata la prima archeologa ed esploratrice moderna e un esempio per tutti coloro che aspirano ad indagare il passato e a capire il presente. Ricordiamo ai lettori che Personaggi continuerà ogni due mesi sulla rivista ArcheoMe, disponibile da Febbraio 2021.

Gertrude Margareth Lowtian Bell nacque il 14 luglio 1868 a Washington Hall, in Inghilterra, figlia di una famiglia dell’alta borghesia inglese, proprietaria di numerose miniere di carbone nella contea di Durham.
Di indole curiosa e per nulla docile (al contrario di quanto ci si aspettava all’epoca da una fanciulla della sua estrazione sociale), dopo il diploma a Oxford in Storia Moderna, nel 1887, avrebbe voluto continuare gli studi di antichità e storia dell’arte nonostante la famiglia fosse contraria.

Gertrude Bell ritratto
Un ritratto giovanile di Gertrude Bell
Il primo viaggio in Iran

Non si sposò mai e rifiutò vari pretendenti quando, nel 1892, finalmente ottenne dal padre il permesso di trascorrere un periodo di tempo in Iran, ospite di suo zio materno, Sir. Frank Lascelles, ambasciatore britannico a Teheran. Descrisse il suo viaggio in Iran nel libro Persian Pictures: in Iran ebbe modo di visitare numerosi siti archeologici dell’antica Persia e imparò a leggere e scrivere in persiano.
Il persiano fu solo una delle lingue straniere padroneggiate da Gertrude Bell: difatti, nella sua vita ebbe modo di apprendere, oltre al francese, il turco, l’arabo e persino l’italiano.

Gli arabi del deserto

Rientrata in Europa, passò gli anni successivi ad approfondire gli studi di lingue e di archeologia ed a viaggiare per l’Europa e il Medio Oriente. Nel 1899 si recò in Palestina e in Siria e l’anno successivo si stabilì a Gerusalemme. Da lì, Bell passò molti anni viaggiando per la regione siro-palestinese e incontrando le numerose tribù arabe che vi risiedevano. Ebbe, quindi, modo di vivere fianco a fianco con le genti nomadi del deserto, imparandone nomi e usanze, conoscendo personalmente i capi tribali più influenti (con i quali era solita conversare di poesia islamica e scambiare doni).

Gertrude Bell Babilonia
Gertrude Bell davanti alla sua tenda a Babilonia, nel 1909

Nel suo libro Syria: the desert and the sown descrisse con foto e resoconti le sue spedizioni, contribuendo a far conoscere al pubblico europeo una civiltà fino ad allora considerata barbara e sfuggente. Dalle lettere che l’esploratrice scriveva alla famiglia sappiamo che era solita viaggiare con numerosi servitori e con un ricco bagaglio, che comprendeva, oltre ad una tenda con un letto da viaggio, una vasca da bagno portatile (che Gertrude usava quanto più possibile). 

Nel 1907 iniziò gli scavi con l’archeologo paleo-cristiano William Ramsay e due anni dopo visitò Karkemish, Babilonia e Najaf. A Karkemish conobbe un allievo di Sir Leonard Woolley, T.E. Lawrence, pochi anni prima che diventasse il leggendario Lawrence d’Arabia.

Ha’il

Fu il viaggio in Arabia del 1913, tuttavia, a consacrare definitivamente Gertrude Bell alla storia e alla leggenda: da sola, con la sua carovana questa volta ridotta al minimo, con pochi uomini fidati, Gertrude Bell attraversò il deserto arabo fino alla roccaforte di Ha’il, luogo inospitale per gli occidentali e raggiunto fino a quel momento solamente da un’altra donna, Lady Anne Blunt.

La Grande Guerra e la rivolta araba

Allo scoppio della prima guerra mondiale, Bell chiese un posto operativo nei ranghi dell’intelligence britannica in Oriente, ma fu respinta. Si arruolò, quindi, come volontaria nella croce rossa.
L’anno successivo, tuttavia, fu convocata al Cairo, presso l’Arab Bureau, con il compito non ufficiale di fornire informazioni sulle tribù arabe di cui gli inglesi intendevano fomentare la rivolta in funzione anti-ottomana.
Nel 1916 Bell fu inviata a Bassora, attuale Iraq meridionale, occupata due anni prima dagli inglesi, come consigliera di Percy Cox, funzionario incaricato di gestire i domini britannici in Iraq: fu la sola donna ad aver assunto l’incarico di funzionario politico nelle forze armate britanniche e ricevette in seguito l’incarico di ufficiale di collegamento, presso l’Arab Bureau. Dopo la presa di Baghdad, nel 1917, Gertrude Bell si stabilì definitivamente in Iraq. Sappiamo dalla sua corrispondenza privata, che fu profondamente delusa dal comportamento avuto dagli inglesi a seguito della rivolta araba. Difatti, l’esercito britannico aveva sfruttato la sollevazione dei beduini, ma aveva in seguito disatteso la promessa dell’indipendenza di una grande nazione araba.

Bell e Lawrence
Gertrude Bell e Lawrence d’Arabia nel 1909
In Iraq

Fino al 1921 fu ancora attiva, insieme a Lawrence, nel cercare una sistemazione che portasse all’indipendenza degli stati in cui era stato diviso il Medio Oriente dopo gli accordi Sykes-Picot.
A Baghdad Gertrude Bell visse fino alla morte, in una splendida residenza affacciata sul Tigri. Gli iracheni la chiamavano al-khatun (femminile della parola khan, “capo”, “sovrano”) e qualcuno la appellava come “la regina senza corona dell’Iraq”. Amica e confidente di re Faysal I d’Egitto, nel 1926 fondò, su mandato del sovrano, l’Iraq Museum, uno dei più grandi musei archeologici del mondo arabo.

Nelle lettere degli ultimi anni la grande esploratrice si lamenta sempre di più dei malanni e del clima malsano dell’Iraq (probabilmente aveva contratto la malaria). Appare una donna sola, disillusa dall’aggressività coloniale degli inglesi, affaticata dagli anni di lavoro senza sosta.
Morì il 12 luglio 1926, forse per suicidio con un’overdose di sonniferi. Fu sepolta nel cimitero britannico di Baghdad, nel distretto di Bab al-Sharji. La Regina del Deserto, prima grande archeologa del Vicino Oriente, amica degli arabi, aveva avversato la divisione del Medio Oriente tra inglesi e francesi, si era opposta all’installazione dei conservatori salafiti Al-Saud come i custodi de La Mecca e rimaneva estremamente dubbiosa sul progetto sionista in Palestina, ma lasciava vita e lavoro troppo presto per sapere che la Storia le avrebbe dato ragione. 

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NEWS | Iside in Sicilia Orientale, online la conferenza Cavillier

Il 6 novembre 2020 alle 17:30 la pagina Facebook della Soprintendenza per i Beni Culturali di Catania trasmetterà in diretta una conferenza tenuta dall’egittologo Giacomo Cavillier dal titolo: Iside in Sicilia Orientale. Archeologia di un culto faraonico in età tolemaica e romana.

Questa è solo una delle tante iniziative del progetto di ricerca Iside, archeologia, storia e antichità, avviato questo ottobre dal Centro Studi di Egittologia e Civiltà Copta “J.F. Champollion” con sedi a Genova, al Cairo e a Luxor e in collaborazione con la Soprintendenza di Catania.

Iside, dentro o fuori dal Pantheon romano?

Approfondire il culto di Iside nella Sicilia Orientale non è semplice, perché dall’Egitto la dea madre approdò rapidamente in tutto il Mediterraneo dall’età saitica. Fu uno dei culti principali sulla penisola in età tolemaica e si affermò definitivamente con l’espansione dell’Impero: l’esercito da grande vettore ne divenne propulsore. I culti orientali arrivati in Occidente, come quello di Iside o Mitra, non entrarono mai a far parte del Pantheon romano, ma mantennero con esso un rapporto sereno, di reciproca e buona convivenza. I fedeli iniziati ai culti orientali furono, infatti, personaggi anche molto in vista a livello politico, sociale e militare e non furono soltanto seguaci del culto isiaco: basti pensare al ricchissimo record epigrafico relativo al culto mitraico nei castra peregrina di Santo Stefano Rotondo sotto al Celio.

Egiziana d’origine, siciliana d’adozione

Il culto isiaco in Sicilia è diventato importante fin dall’età tolemaica, tanto da esser associato a quello di Serapide: a Taormina (ME), sotto la chiesa di San Pancrazio, sono ancora visibili i resti di un serapeo; Catania ha restituito monete bronzee sulle cui effigi appaiono entrambe le dee. Non lontano è stata ritrovata un’iscrizione bilingue, stesso testo sia in greco che in latino: il pubblico determina da sempre la lingua di comunicazione e la Sicilia è la grande madre, spesso e volentieri adottiva, di greci, latini, ma anche di orientali.

Partendo dalle origini del culto di Iside nell’Egitto faraonico, mediante lettura di passi in geroglifico e di immagini tratte dalle principali opere della letteratura funeraria e dall’architettura templare, Cavillier fornirà un quadro analitico aggiornato sul fenomeno nella Sicilia orientale in epoche successive.