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Il Territorio omanita esplorato da MASPAG

La Missione Archeologica della Sapienza nella Penisola Arabica e nel Golfo (MASPAG) opera da più di quaranta anni in Oman. L’area archeologica si trova a ridosso del Tropico del Cancro, ed è facile intendere come il contesto paesaggistico sia completamente diverso da quello nostrano. Lo wadi, l’oasi e il sistema d’irrigazione Aflaj costituiscono l’ambiente omanita, definendo il paesaggio il cui operano i ricercatori italiani impegnati presso Wadi Al-Ma’awil.

Lo Wadi, il fiume dei deserti

Lo Wadi altro non è che un torrente tendenzialmente stagionale, che si gonfia durante la stagione delle piogge e va in secca nei periodi più caldi. Al di la di questo, la differenza con il contesto italiano sta nell’ampiezza raggiunta dal letto fluviale. Ad esempio, il Wadi che domina il territorio presso il sito di Wadi Al-Ma’awil può raggiungere un chilometro di larghezza. Ne consegue che intere aree vengono sommerse, trasformando le numerose alture in isolotti prigionieri delle acque. Le piene possono essere improvvise e devastanti, per questo la scelta del luogo in cui stabilirsi era di fondamentale importanza già agli albori dell’umanità. Esistono comunque Wadi perenni come quello di Wadi Shab: un paradiso le cui immagini ben dimostrano l’imponenza e l’importanza di un tale elemento nel territorio.

Veduta presso Wadi Shab

L’oasi, realtà oltre il miraggio

Le oasi sono letteralmente i polmoni con cui respira chi abita i deserti e le zone aride. All’ombra delle palme si articolano i villaggi, un dedalo di case e aree coltivate o dedicate al pascolo. Questa composizione è dovuta alla necessità di proteggersi dall’arsura che schiaccia l’ambiente superata l’ultima fila di alberi. Tanto oggi quanto in antico l’oasi rappresenta un elemento imprescindibile per la vita dell’uomo. Per questo l’attività di ricerca italiana presso Wadi Al-Ma’awil mira a rintracciare l’antica area verde di epoca storica, sicuramente presente nell’area indagata. L’obiettivo è infatti quello di comprendere i processi di addomesticamento delle oasi, la loro gestione, la loro difesa. Eppure, osservando il territorio risulterebbe difficile immagine un contesto verde e rigoglioso, sostituito ormai da chilometri di terra brulla. Questo perché le oasi si spostano nel tempo, al ritmo della trasformazione del Wadi piena dopo piena, o per l’esaurimento delle falde acquifere nel sottosuolo.

Veduta presso l’oasi moderna di Wadi Al-Ma’awil

Aflaj, ossia come l’uomo addomesticò l’acqua

Dire che l’Aflaj sia solo un sistema di canalizzazione è riduttivo e non rende giustizia a questa complessa ed affascinante soluzione per combattere la siccità. Affascinante è proprio la parola giusta perché furono le comunità antiche a ideare e sviluppare la canalizzazione delle acque del sottosuolo, portandole così alle aree abitate. Per approfondire abbiamo chiesto al dott. Guido Antinori di delineare il sistema: «Il falaj è il cuore dell’oasi, e quindi della vita in Oman. Le prime forme di questo tipo di canalizzazione ha permesso all’uomo di addomesticare un territorio difficile, creando piccoli paradisi verdi all’ombra della palme da dattero. Infatti, attraverso un sistema di pozzi e canali sotterranei l’acqua delle falde montane viene indirizzata verso le aree abitate a valle. L’origine del falaj anima il dibattito scientifico, e MASPAG cerca di contribuire studiandone le tracce nel paesaggio di Wadi Al-Ma’awil». Nel video a seguire può essere osservato  l’ingresso a un falaj moderno, intendendone così l’aspetto e la struttura. Un colpo sempre d’occhio utile per interpretare il passato.

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NEWS | Scoperta Shahr-i Sokhta, un’oasi nel deserto

Avvolta dal profumo esotico dell’ambra e dell’oud, Shahr-i Sokhta (dall’arabo, “città bruciata”) può definirsi una vera e propria oasi archeologica nel deserto.

Proprio le sabbie del Lut, nell’attuale Iran orientale, infatti, hanno vegliato e sapientemente protetto quest’area di ben duecento ettari. Risalente all’Età del bronzo, per la posizione strategica tra le terre fluviali dell’Indo e dell’Oxus, doveva costituire un fiorente snodo commerciale e punto d’incontro tra varie popolazioni. Dai reperti rinvenuti finora emerge senz’altro il profilo di una civiltà complessa, portatrice di una cultura autonoma; particolarmente clamoroso il rinvenimento di proto-tavolette con annotazioni numeriche. Non si conoscono ancora con certezza le cause del suo declino e, come spesso accade in questi casi, si ipotizza una teoria catastrofista. Gli scheletri architettonici della città visibili ad oggi, appaiono un po’ come delle falesie: morbidamente piallate, addolcite dalle carezze delle onde. Un castello di sabbia di seimila anni che dalle sue stesse sabbie risorge.

Inebriati per ora da suggestioni orientali ed esotiche, aspettiamo di saperne di più su Shahr-i Sokhta!

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