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ACCADDE OGGI | Apollo 11: alla conquista del nostro satellite

Il 21 luglio 1969 l’equipaggio dell’Apollo 11 mosse i primi passi sulla Luna, segnando, di fatto, la conquista umana del satellite.

Il lancio dell’Apollo 11 (16 luglio 1969)
Programma Apollo

Il programma Apollo fu un programma spaziale statunitense che portò allo sbarco dei primi uomini sulla Luna; concepito durante la presidenza di Dwight Eisenhower e condotto dalla NASA. Il programma Apollo si svolse tra il 1961 e il 1975 e fu il terzo programma spaziale di voli umani (dopo Mercury e Gemini) sviluppato dagli Stati Uniti, lasciando un segno alla “corsa allo spazio”.

Il pianeta Terra immortalato dal suolo lunare

Il corso del programma subì due lunghe sospensioni: la prima, nel 1967, poiché un incendio sulla rampa di lancio di Apollo 1, durante una simulazione, causò la morte degli astronauti Gus Grissom, Edward White e Roger Chaffee; la seconda dopo il viaggio verso la Luna di Apollo 13 nel 1970 durante il quale si verificò un’esplosione sul modulo di servizio che impedì agli astronauti la discesa sul satellite e li costrinse a un rischioso rientro sulla Terra.

Missione Apollo 11

La missione è partita il 16 luglio 1969 dal Kennedy Space Center, in Florida. La navicella era composta da tre parti: un modulo di comando con una cabina pressurizzata per i tre astronauti, un modulo di servizio e un modulo lunare. L’equipaggio era composto dal comandante Neil Armstrong, Michael Collins, pilota del modulo di comando, ed Edwin Aldrin, pilota del modulo lunare.

L’equipaggio dell’Apollo 11: Neil Armstrong, Michael Collins ed Edwin Aldrin

Il razzo raggiunse l’orbita terrestre dodici minuti dopo il lancio: a quel punto, grazie alla manovra “Trans Lunar Injection” (TLI), la navicella entrò in traiettoria verso la Luna. Il 19 luglio, dopo circa tre giorni di viaggio, Apollo 11 passò dietro la Luna e accese il motore in servizio per entrare in orbita lunare. A quel punto compì trenta orbite del satellite per permettere all’equipaggio di studiare al meglio il luogo previsto per il loro atterraggio.

L’allunaggio e i primi passi

Il 20 luglio, alle 12:52, Armstrong e Aldrin salirono a bordo nel modulo lunare e iniziarono i preparativi per la discesa lunare. Cinque ore più tardi si staccarono dal modulo di comando, dove rimase Collins per supervisionare le operazioni. In fase di discesa, gli astronauti si resero conto che il sito previsto per l’allunaggio, il “mare della tranquillità”, era molto più roccioso del previsto, ragione per la quale Armstrong prense il controllo del modulo lunare in modalità semi-automatica nel tentativo di indirizzare la discesa verso un luogo meno sconnesso. Il modulo lunare toccò il suolo del satellite la sera del 20 luglio; in seguito alla stabilizzazione della navicella, gli astronauti si prepararono per la discesa, la quale avvenne circa sei ore dopo l’allunaggio, il 21 luglio.

Il modulo lunare discende nell’orbita sotto i comandi di Armostrong

Il primo a mettere piede sul suolo lunare, sei ore più tardi dell’allunaggio, fu Armstrong che, mentre si accinse a fare il primo passo, pronunciò la celebre frase:

«Un piccolo passo per un uomo, un salto da gigante per l’umanità».

La missione sul suolo lunare durò circa due ore, durante la quale piantarono una bandiera degli Stati Uniti e una targa con le firme dei tre astronauti e dell’allora presidente Richard Nixon:

«Qui nel luglio 1969 misero per la prima volta piede sulla Luna uomini venuti dal pianeta Terra, siamo venuti in pace per l’intera umanità».

L’astronauta Edwin Aldrin stante davanti la bandiera degli Stati Uniti

Dopo aver svolto la missione effettuarono l’aggancio tra il modulo lunare e quello di comando, rimasto in orbita, l’equipaggio cominciò le manovre di uscita dall’orbita lunare; il viaggio di ritorno durò 3 giorni e gli astronauti ammararono, il 24 luglio 1969, nell’Oceano Pacifico.

News

NEWS | Dall’Antartide la chiave per comprendere un mistero su Marte

Arriva dalle profondità dei ghiacciai dell’Antartide la risposta a un vero rompicapo per gli scienziati: la presenza di acqua sul Pianeta Rosso. Una ricerca internazionale condotta da ricercatori italiani e provenienti da USA, UK e Hong Kong, guidata dal gruppo di Glaciologia dell’Università di Milano-Bicocca (Giovanni Baccolo, Barbara Delmonte, Valter Maggi), ha identificato la formazione del minerale di jarosite (solfato idrato di ferro e potassio) a grandi profondità nei ghiacciai antartici.

Questo risultato conferma l’ipotesi secondo la quale i sedimenti ricchi di jarosite, individuati sulla superficie di Marte dal Rover Opportunity della NASA, sarebbero legati alla presenza di grandi calotte di ghiaccio. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivistaNature Communications”.

Antartide
Il rover Opportunity della NASA durante l’esplorazione del cratere di Meridiani Planum su Marte. La formazione rocciosa stratificata ben visibile è quella dove è stata rinvenuta la jarosite. Credits: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU
Università e Space Lab del mondo uniti per la ricerca

La scoperta di estesi depositi di jarosite su Marte è stata un traguardo scientifico fondamentale. La formazione di questo minerale richiede la presenza di acqua liquida; tuttavia, non era ancora chiaro come questi depositi si fossero creati. Una delle possibili spiegazioni prevede la presenza su Marte di antiche calotte glaciali di grandi dimensioni in diverse regioni del pianeta. Questa ipotesi ha, oggi, una prima conferma diretta grazie allo studio condotto presso il laboratorio di Glaciologia EUROCOLD LAB dell’Università di Milano-Bicocca, in stretta collaborazione con il laboratorio di Houston della NASA (USA), il sincrotrone Diamond Light Source (UK), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Università di Roma Tre e l’Università di Hong Kong.

300mila anni sotto il ghiaccio d’Antartide

Grazie all’applicazione congiunta di diverse tecniche analitiche d’avanguardia (spettroscopia di assorbimento di raggi-X, fluorescenza a raggi-X e microscopia elettronica a scansione e trasmissione), è stata osservata la formazione di cristalli di jarosite nella parte più profonda della carota di ghiaccio perforata nel sito di Talos Dome (Antartide Orientale). Tale perforazione, a cura del professor Massimo Frezzotti del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, ha raggiunto una profondità nel ghiaccio di oltre 1600 metri e attraversa un intervallo di tempo di almeno 300mila anni. La carota di ghiaccio è stata recuperata tra il 2004 e il 2007 nell’ambito del progetto a guida italiana TALDICE, finanziato dall’Unione Europea con il Programma Nazionale di Ricerca in Antartide.

I campioni di ghiaccio della perforazione di TALDICE – spiega Massimo Frezzotti – oltre a ricostruire il clima degli ultimi 300mila anni, hanno permesso di ipotizzare le condizioni climatiche di Marte nel lontano passato.

La scoperta – afferma Giovanni Baccolo – è destinata a rivoluzionare l’interpretazione dell’origine dei diffusi depositi che contengono jarosite su Marte. Sebbene oggi scomparsi, sembra che gli antichi ghiacciai marziani e il pulviscolo minerale intrappolato in essi abbiano lasciato una traccia geologica evidente sul Pianeta Rosso, a testimonianza di vicende climatiche avvenute in un remoto passato.