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UCRAINA | Dalla ”Rus’ di Kiev” alla guerra odierna: le motivazioni storiche del conflitto

All’alba dell’invasione dell’Ucraina il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin si è pronunciato in modo lucido, strutturato, capace di coinvolgere l’uditore e di trasportarlo lungo sentieri già tracciati nella mente di chi ha elaborato quelle parole. A fronte di una situazione decisamente tesa, per molti il preludio di una terza guerra mondiale, si sarà notato come gli accenni all’Ucraina siano stati rispettosi, in una forma quasi commossa, come se questa nazione fosse vittima degli eventi, un’entità da proteggere, nonostante sia proprio l’esercito russo ad aver sferrato l’attacco che ne minaccia la stabilità e l’esistenza.
Vale, quindi, la pena chiedersi quale sia il fondamento di questa scelta puramente retorica. La storia è spesso vittima della propaganda che la deforma a piacimento. A tal proposito, le parole di Putin, in più di un’occasione, hanno accennato ad un passato che lega l’aggredito a chi lo vessa. Si faccia però attenzione: i riferimenti fatti dal presidente russo mirano a instillare la percezione di una Russia ed un’Ucraina come anime gemelle di una singola entità ancestrale che poi fu scissa. Vero, in parte, impossibile negarlo, ma, al tempo stesso, la fragilità di tale revisione è utile solo a far breccia nella coscienza di un occidente ignorate che ancora immagina l’est Europa al pari di una grande steppa attraversata da orde di unni e mongoli – tuttalpiù, rifacendosi alle parole di Annunziata e Di Bella, da schiere di “camerieri, badanti e amanti” in fermento.
All’origine dell’idea di Russia e Ucraina
Contesto geopolitico europeo agli inizi del IX secolo.

Russia e Ucraina non hanno un’origine comune, almeno quanto la nazione Italia non nasca nell’antica Roma. Tuttavia, l’elaborazione di un “mito di fondazione” è spesso necessario, intimamente, per affermare il proprio diritto di esistere e di abitare una certa terra, per difenderla, ma anche per legittimare la conquista di un paese straniero, come sta avvenendo in questi giorni. Attraverso una distorsione squisitamente romantica, allora, sì: Russia e Ucraina nascono dallo stesso seme, sono state lo stesso fusto, per divenir poi l’una il ramo dell’altra. Ad essere più precisi, il principio storico a cui ci si riferisce non è prettamente “di casa”, ma viene addirittura da lontano, dalla Scandinavia quando forse, in un incredulo sbattere di palpebre, fu determinato il nostro presente. In sintesi, secondo la Cronaca degli Anni Passati, le tribù dei Čudi, Slavi, Meri e Kriviči, stanziate nelle regioni est europee, si appellarono al popolo variago dei Rus’ nel 862 d.C., così da farsi governare da un potere esterno, imparziale, che portasse ordine tra le varie fazioni. Fu così che, secondo la tradizione, i fratelli Rjurik, Truvor, e Sineus risposero alla chiamata, ma solo Rjurik sopravvisse tanto da fondare una dinastia: i Rjurikidi, soppiantati poi dai Romanov nel 1613 d.C. Con il successore di Rjurik, Oleg, si entra in un capitolo storico di fondamentale importanza: la conquista di Kiev, attuale capitale dell’Ucraina, comportò l’inizio allo stato della Rus’ di Kiev, e l’importanza di questo centro politico fu tale da guadagnarsi il titolo di Madre d’ogni città della Rus’

Contesto geopolitico europeo agli inizi del XI secolo.
Il passato come un intreccio di storie

A scanso di equivoci, il territorio osservato non è un’enorme steppa desolata, ma un contesto vivace e dinamico, soprattutto dal punto di vista commerciale. Lo stato Rus’ (Russia ante litteram) ebbe come illustri vicini l’impero bizantino e l’impero bulgaro, con i quali arrivò a scontrarsi o a stringere rapporti d’intesa. Non si dimentichino nemmeno i tentativi abbasidi d’inserirsi nella realtà est europea, cercando l’appoggio dei Bulgari del Volga contro i Cazari. Curiosamente, il resoconto di viaggio scritto da Aḥmad ibn Faḍlān, nel 921 d. C., oltre a fornire una delle più dettagliate testimonianze circa gli usi e i costumi dei Rus’, fu poi d’ispirazione per il libro Mangiatori di morte da cui fu tratto il film Il 13° guerriero, tanto per intendere come la storia sia un intreccio infinito. La Rus’ di Kiev venne, quindi, plasmata in un contesto politicamente vario ed articolato, affermandosi stabilmente nei territori che oggi fanno parte della Russia, della Bielorussia e dell’Ucraina, così da legittimare l’idea di un popolo unico diviso attualmente in tre stati diversi. 

Funerale di un guerriero Rus’ su ispirazione del resoconto di Aḥmad ibn Faḍlān (Siemiradzki,1883).
La necessità di non ricordare

Grossomodo, la ricostruzione proposta è alla base degli accenni fatti da Putin ai principi di unità storica che legherebbero i Russi ai vicini Ucraini: “L’Ucraina non è uno stato vicino, ma parte della nostra storia”. Giustamente, ai fini della propaganda, non sono presi in considerazione gli sviluppi più recenti che portarono all’idea di un paese indipendente dal suo invadente vicino di casa, sia politicamente che culturalmente. Dinamiche ben più vicine alla realtà odierna di quanto non siano i fatti altomedievali. L’unità della Rus’ di Kiev terminò, infatti, già nel XIII secolo quando lo stato si frammentò in una serie di principati, separati ancor più tra loro dalle successive ingerenze mongole e tartare. In tempi relativamente veloci, il bacino ucraino e bielorusso si ritrovò coinvolto nelle dinamiche dell’Europa centrale, al contrario dei territori russi rivolti a oriente. L’Ucraina, in particolare, conoscerà il dominio del Khanato dell’orda d’Oro, poi l’intromissione dei Cosacchi che con forza reclamarono una propria indipendenza; quindi, la divisione tra Granducato di Lituania, il regno Russo, il khanato di Crimea, l’Ungheria e il principato di Moldavia. Un caleidoscopio di influenze e nazioni tra le quali, nel territorio conteso, la Russia seppe essere una costante: dapprima in possesso della parte orientale dell’Ucraina, in particolare il Donbass; poi, alla fine del XVIII sec., annettendo i territori cosacchi, strappando la Crimea all’impero Ottomano, e ottenendo i territori appartenuti alla Polonia. Va da sé, che in un tale contesto frammentario lo spirito identitario della prima Rus’ già si era perso, cosa che nei fatti comportò successivamente la necessità di russificare il territorio ucraino. Le vicende dell’ultimo secolo meritano, tuttavia, un’analisi a parte essendo troppo vicine al contesto odierno, ben più delicate ed impattanti tanto che sarebbe un’offesa trattarle nel breve spazio che rimane a questa riflessione.

Contesto geopolitico europeo agli inizi del XVIII secolo.
Rispettare la storia, salvare noi stessi

A grandi linee, quanto descritto ripercorre sinteticamente le interconnessioni tra Russia e Ucraina prima che tali due nomi avessero il peso che gli si attribuisce attualmente. Una storia che, a seconda dei tagli illegittimi che si vogliono applicare, può rivelare una fortissima unità tra i due stati o, al contrario, una loro fortissima divisione. Più importante, tuttavia, è chiedersi se abbia senso applicare una tale metodologia d’osservazione al contesto storico, rigettando lo studio analitico a favore di revisioni politicizzate a sostegno d’una parte o dell’altra. Indubbiamente, la proposta di un passato mitizzato è ben più avvincente, in quanto rivolta a stimolare i sentimenti, le passioni che muovono l’animo umano. Al contrario, lo studio analitico delle fonti impone un noioso rigore ed un impegno che non necessariamente possono essere coinvolgenti, al pari di un’equazione matematica nuda e cruda. Purtroppo, tentativi di revisionismo storico, magari solo accennati o sussurrati non sono una rarità ma una costante che infetta l’approccio tanto dei “grandi nemici dell’occidente” quanto della nostra parte, a pari merito. La responsabilità di capire, in un discorso politico, dove finisca l’oggettività e dove inizi la speculazione è individuale. Un giorno anche il nostro presente potrà essere revisionato, ma onestamente sarebbe atroce pensare che le dinamiche delle nostre vite vengano usate, in forma distorta, per giustificare la guerra di domani.

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ARCHEOLOGIA SUBACQUEA | Lo stretto di Messina: tra scienza e mito

Lo stretto di Messina, conosciuto nell’antichità per il mito di Scilla (Clicca qui per approfondire) e Cariddi, racchiude in sé interessanti peculiarità, sia naturali che storiche.

Situato tra la costa calabra e la “punta siciliana” (le due sponde distano, tra Ganzirri – Sicilia e Punta Pezzo – Calabria, soltanto 3,14 km) fu per molti secoli il crocevia di passaggio di molte rotte commerciali (Clicca qui per la fondazione di Zankle e qui per la fondazione di Rhegion).

La struttura naturale dello stretto di Messina è unica nel suo genere, tale da far sì che al “centro” di esso vi sia l’incontro di due mari, il Tirreno e lo Ionio.

Interessante è la conformità del fondale, che si riassume in una porzione di crosta terrestre, sprofondata a causa del ripetersi di grandi terremoti, generati da faglie presenti sul fondale, che hanno  allontanato la Sicilia dalle coste della Calabria e dal resto della penisola italiana.

La temperatura in superficie ha un range di 4-10 gradi centigradi, per poi ritrovarsi, a circa 10-15 metri di profondità, lungo la “colonna d’acqua” (ndr. colonna concettuale d’acqua che parte dalla superficie del mare, di un lago o di un fiume e scende fino ai sedimenti di fondo), su un termoclino fisso di 14 gradi centigradi; nella porzione a ridosso dei fondali, la temperatura scende radicalmente. Lo stretto di Messina presenta un grande valore biologico e, allo stesso tempo, storico/culturale; in esso, infatti, si ha una grande diversità di specie (flora e fauna), difficilmente riscontrabile in altre zone del Mediterraneo.


Le forti correnti sottomarine e i vortici hanno fatto sì che la mitologia, soprattutto greca, si concentrasse su questo tratto di mare; racconti di navi affondate ed imbarcazioni mai ritrovate, fanno sì che il mito delle due ninfe, Scilla e Cariddi, risieda ancora oggi nella cultura popolare. I fondali, molto profondi, che raggiungono i 2000 m nel tratto vicino a Capo Taormina, sono effettivamente il “cimitero” dei relitti, in larga parte negli anni ritrovati e studiati. Lo stretto di Messina, u Strittu nel dialetto messinese, non finirà mai di crear fascino e interesse per tutti coloro che amano il mare.

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MITI | Ero e Leandro, un amore diviso dal mare

Ero e Leandro si innamorarono perdutamente l’una dell’altro al primo fiorire della vita.

Ero e Leandro bassorilievoEra la festa di Adone e il giovane Leandro, di Abido,  rimase incantato dalla visione di Ero, vergine sacerdotessa di Afrodite, a Sesto. Il mare, tuttavia, li separava; così, ogni notte, Leandro passava a nuoto lo stretto dei Dardanelli, guidato dalla luce che la sua amata accendeva perché fosse suo faro.

Poche volte i giovani poterono godere del loro amore: sopraggiunto l’inverno, nonostante la tempesta, Leandro tentò ugualmente di superare il pericoloso braccio di mare, ma, disgraziatamente, il lume di Ero, quella notte, non poté guidarlo, poiché spento dal vento. Leandro, disorientato, venne sbattuto dai flutti su uno scoglio.

Il mattino seguente, Ero trovò sulla spiaggia il corpo senza vita dell’amato. Il dolore fu infinito: la ragazza decise di seguire il suo amore nella morte, gettandosi da una torre.

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MITI | Scilla, la ninfa delle acque zanclee

Scilla era una bellissima ninfa che viveva sulle coste calabresi.
La fanciulla adorava il mare siciliano ed era solita recarsi sulle sponde di Zancle per bagnare le sue membra in quelle acque.

Jacopo Chimenti – Glauco e Scilla (1620 ca.)

La vide, un giorno, Glauco, figlio di Poseidone che, con passato di mortale, era, adesso, un mostro marino, metà uomo e metà pesce: se ne innamorò perdutamente.
Scilla, tuttavia, provando repulsione per il nuovo pretendente, scappò in cima a una montagna.

 John William Waterhouse, Circe offre la coppa a Odisseo (1891)

Disperato, Glauco chiese aiuto a Circe affinché, con un suo filtro, lei lo aiutasse a conquistare il cuore dell’amata.
Circe, tuttavia, essendo lei stessa innamorata di Glauco, si offrì a lui; il mostro, prontamente, la rifiutò.

Circe Invidiosa – John William Waterhouse (1892)

La strega, accecata dalla gelosia, preparò una pozione malefica e la gettò nelle acque zanclee.

Subito dopo, Scilla si recò presso le coste siciliane a fare il suo consueto bagno, ma, appena il suo corpo toccò l’acqua, subì una tremenda trasformazione: accanto alle sue gambe, ne crebbero molte altre, dalla forma di serpenti; dal suo collo spuntarono sei teste di cane, con tre file di denti ognuna.

Fountain of Scylla – Castle of Champs sur Marne


Specchiandosi sulla superficie del mare, Scilla si vide: disgustata e impaurita dalla sua nuova foggia, andò a nascondersi per sempre nella cavità di uno scoglio, nella costa calabra.