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13 dicembre 1250, muore lo “stupor mundi” Federico II

L’evento

Il 13 dicembre 1250 moriva, a Fiorentino di Puglia, Federico II di Svevia. Costui viene ricordato come l’ultimo imperatore del Sacro Romano Impero. Dopo la sua morte, infatti, non ci fu più un impero né tantomeno un imperatore. La sua influenza fu tale che il figlio, Manfredi, lo definì “il sole del mondo, dei giusti. L’asilo della pace.”

Ritratto dell’imperatore dal trattato De arte venandi cum avibus, di cui è autore lo stesso Federico II (immagine presa via Puglia.com)

Giovinezza

Federico II nacque a Jesi, nelle Marche, il 26 dicembre 1194, dal matrimonio tra Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II re di Sicilia, ed Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa. Dalla madre ereditava così il regno di Sicilia e dal padre l’Impero. Nel 1198, a distanza di un anno l’uno dall’altra, morirono entrambi i genitori e la sua educazione fu affidata a papa Innocenzo III. Egli crebbe presso la corte siciliana, venendo a contatto con la cultura dinamica del regno.

La politica e le scomuniche

Nel 1208, raggiunta la maggiore età, divenne a pieno titolo Re di Sicilia e nel 1215 venne incoronato Imperatore da papa Onorio III, a seguito della morte degli altri pretendenti. Per quel che riguarda la Sicilia, egli unificò il regno e rafforzò la monarchia attraverso alcuni provvedimenti: combatté contro i baroni troppo autonomi, attuò una riorganizzazione del diritto e della cultura, liberandola dagli influssi saraceni, e deportò in Puglia gli ultimi musulmani rimasti. Parallelamente, l’alleanza tra papato ed impero si incrinò poiché entrambi volevano il potere assoluto, sia temporale che spirituale.

 

Augustale, moneta d’oro fatta coniare dall’Imperatore a partire dal 1231 nelle zecche di Messina e Brindisi


Le lotte che
iniziarono tra le due istituzioni sfociarono in ben due scomuniche ai danni di Federico II da diversi papi: Gregorio IX e Innocenzo IV. La prima volta, il 23 marzo 1228, perché non mantenne la promessa di una sesta crociata in Terrasanta, voluta da Onorio III. Per ritornare nelle grazie del papa, nonostante la scomunica, partì lo stesso verso la Terrasanta e, nel 1229, si fece incoronare Re di Gerusalemme. La seconda scomunica la ottenne nominando suo figlio Ezio Re di Sardegna. Tale possedimento, in realtà, apparteneva al papa. L’imperatore venne scomunicato durante la Settimana Santa e, per evitare la conferma del provvedimento, Federico II arrivò a prendere in ostaggio i cardinali che avrebbero dovuto partecipare al consiglio indetto dal papa.

I tentativi di annessione dei Comuni

L’imperatore si trovò ancora ad affrontare altri nemici della corona: i Comuni italiani. Difatti, Federico voleva annettere l’Italia ai domini imperiali ma ciò contrastava con l’indipendenza ottenuta dai Comuni, oltre che con gli interessi papali. I Comuni decisero di ricreare la cosiddetta Lega Lombarda, costituita da Milano, Bologna, Piacenza, Mantova, Lodi, Bergamo, Torino e Padova, per opporsi a Federico II e lottare per la libertà che avevano acquisito già sotto Federico Barbarossa. Nemmeno in Germania l’imperatore ebbe un appoggio; anzi, emersero delle spinte centrifughe che portarono all’affermarsi dei signori locali tedeschi e ben poco poté fare Federico per evitare che il potere imperiale si sgretolasse. Gli scontri contro i Guelfi, ormai alleati dei comuni e appoggiati dal papa, segnarono la fine di Federico II nel 1250.

 

Miniatura del XIV secolo rappresentante Federico II e la sua passione per la falconeria

 

Lascito federiciano

Federico II, definito dai suoi alleati stupor mundi e anticristo dai suoi nemici, fu, in realtà, un grande uomo di cultura. Grazie alla sua azione venne fondata la prima università laica a Napoli nel 1224, in contrapposizione all’Università di Bologna di stampo religiosa, e inoltre venne costruito nel 1240 uno dei castelli più suggestivi al mondo, ovvero Castel del Monte. La fortezza, un prezioso esempio di architettura gotica, romanica e araba, unica nel suo rigore matematico ed astronomico, si trova in Puglia e a partire dal 1996 fa parte dei beni dichiarati Patrimoni dell’umanità dell’Unesco.

La scuola poetica siciliana

La sua iniziativa, però, non si limitò soltanto a questo. Egli, infatti, fu il fondatore della Scuola poetica siciliana nel 1230, da cui deriva il volgare italiano. Questa si incentrò sull’attività dei funzionari imperiali incentivati dallo stesso imperatore, come Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Cielo d’Alcamo, l’autore di Rosa fresca aulentissima, e Pier delle Vigne, che viene citato addirittura da Dante nella Commedia, precisamente nel XIII canto dell’Inferno tra i suicidi, dopo essere stato accusato ingiustamente di tradimento.

Lo scopo era quello diffondere il volgare italiano, in particolar modo il siciliano, ispirandosi alla lirica cortese dei trovatori; infatti, la produzione poetica della Scuola siciliana costituì la prima produzione lirica in volgare e soprattutto del componimento noto come sonetto. Ma non solo, l’attività poetica dei siciliani anticipò anche alcuni tratti stilistici che furono tipici dello Stilnovismo toscano.

Gli intellettuali della Scuola siciliana, rappresentati in una miniatura (immagine via Lavocedell’Jonio)
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ACCADDE OGGI | Terra Santa, 7 giugno 1099: cade Gerusalemme

Gerusalemme è storicamente conosciuta come la meta privilegiata dai cattolici per i pellegrinaggi. La Terrasanta è stata la custode del Santo Sepolcro, e i tentativi dei cristiani di cacciare i nemici musulmani sono tanto famosi da attirare l’attenzione degli storici contemporanei. Armate di cavalieri cavalcarono il 7 giugno del 1099, dopo aver ucciso intere popolazioni non solo musulmane ma anche ebree. In questa maniera, secondo la loro visione, il Santo Sepolcro “veniva liberato”. Ma è stato davvero così?

 

Cosa succedeva esattamente

La prima crociata cominciò con la partenza di contingenti militari, guidati da personaggi illustri come il duca Goffredo di Buglione, da varie parti d’Europa. Dopo aver fatto fuori i “nemici”, con l’attacco a Costantinopoli nel 1095, i capi crociati si riunirono per gestire le terre appena occupate scegliendo come difensore supremo del Sacro Sepolcro Goffredo di Buglione. Egli diede vita al regno latino di Gerusalemme, anche se non fu letteralmente un re. Inoltre il titolo regale spettava solo al papa, che in quel periodo era Urbano II. Il titolo Terrasanta, oltre ad essere devozionale, era anche giuridico secondo le leggi di Giustiniano: le res sanctae non dovevano appartenere al potere terreno ma solo a quello spirituale.

Papa Urbano II
Le conseguenze

Una delle tante conseguenze di questa crociata colpii proprio l’Italia.  Le città commerciali di Pisa e Genova ebbero grande importanza nel commercio con il Levante, come ringraziamento per aver trasportato i crociati con le proprie navi. Estesero così la merce italiana verso le regioni appena conquistate. Venezia però non partecipò perché grande alleata dei musulmani, anche se ci guadagnò comunque qualcosa. Altra conseguenza fu la creazione di tre signorie feudali, concesse dallo stesso Goffredo, in Oriente: il principato di Antiochia, il principato di Edessa e la contea di Tripoli. L’ultima conseguenza fu la nascita di nuovi ordini. I monaci guerrieri avevano il compito di proteggere il viaggio dei pellegrini, sempre più numerosi nel periodo di Pasqua. Da difendere erano anche i cristiani residenti ma serviva una forza militare preparata per evitare i saccheggi. Nacquero così altri ordini religiosi chiamati monastico-militari che seguivano le stesse regole dei monaci ordinari. Come il voto di castità, la vita in comunità, la fedeltà verso il papa. Un esempio da citare è Bernando di Chiaravalle, il padre del monachesimo cistercense.

Miniatura raffigurante un  monaco cistercense
La prima crociata nell’arte

La crociata fu rappresentata da grandi opere nei secoli successivi, sia letterarie che artistiche. L’esempio più ovvio è La Gerusalemme liberata, il poema corale di Torquato Tasso, scritto nel 1580 dove il protagonista è lo stesso Goffredo di Buglione descritto come l’eroe senza paura. Iconico è anche il dipinto del 1835 di Francesco Hayez, raffigurante Urbano II nella piazza di Clermont mentre predica ad una folla di fedeli ammassati. Essi hanno gli occhi alzati e le braccia spalancate, come se avessero appena assistito ad un miracolo.

F. Hayez, Urbano II a Clermont, dipinto del XVIII secolo
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NEWS | Sulle tracce del lupo medievale, i risultati dello studio sul DNA

Il ritrovamento di un cranio quasi completo di un lupo vissuto in età medievale ha attirato l’attenzione dei ricercatori e permesso di comprendere meglio l’evoluzione del lupo in Italia. Lo studio multidisciplinare è stato condotto dalle Università della Sapienza, di Bologna e Parma, la pubblicazione della ricerca è presente sulla rivista Historical Biology e fornisce la descrizione completa di un campione di lupo del Medioevo in Italia.

Estrazione del DNA antico dal reperto (©Elisabetta Cilli)

Il lupo lungo il Po

L’immagine del bosco, nel medioevo, ci riporta subito all’icona del lupo. Animale causa di cambiamenti ecostistemici e di pesanti persecuzioni umane, il lupo ha subito negli ultimi secoli un drammatico declino demografico. Tuttavia i resti osteologici dei lupi medievali sono estremamente rari, ciò limita lo studio e la comprensione dell’evoluzione degli individui di questa specie.

Il cranio in questione fu rinvenuto nel settembre del 2018 nel Fiume Po dal professore Davide Persico. Mediante l’analisi al Carbonio C14 il fossile è stato datato al pieno medioevo, tra il 967 e il 1157 d.C. A differenza dalla pubblicazione del 2019, lo studio più recente presenta una prima descrizione completa del cranio basata su un approccio multidisciplinare, dimostrazione di come i campioni archeozoologici rappresentino una fonte essenziale di informazioni per comprendere le dinamiche, la diversità e la distribuzione delle specie tra presente e passato.

Scansione tomografica del cranio (©Dawid A. Iurino)

Le analisi Biometriche

Le analisi biometriche, e quelle basate sulla Tomografia Computerizzata (TC), indicano che l’esemplare rientra nella variabilità cranica della sottospecie Canis lupus italicus, sottospecie tutt’ora presente nella penisola Italiana. Il lupo in questione è di sesso femminile, e l’usura dei denti mostra che si tratta di un individuo adulto tra i 6 e gli 8 anni e manifesta chiare tracce di una grave parodontite. La parodontite fu causa della completa perdita del canino sinistro, producendo un grande foro di collegamento tra l’alveolo e la cavità nasale. Tale condizione patologica probabilmente debilitò gravemente l’esemplare, ma non è possibile stabilire con certezza se la morte sia giunta come conseguenza di questa malattia.

Confronto tra l’immagine fotografica del cranio (sinistra) e il modello 3D ottenuto tramite l’elaborazione di immagini tomografiche (destra). (©Dawid A. Iurino)

Le analisi filogenetiche

Le analisi filogenetiche collocano il pool genetico del DNA mitocondriale del reperto all’interno della variabilità genetica dei lupi moderni, ossia un gruppo nettamente distinto da quello dei cani. In particolare il campione è riconducibile alle linee di discendenza materne più antiche che derivano tutte da un antenato comune. In Europa tale tale gruppo genetico è presente a partire da almeno 2.700-1.200 anni fa. Le stesse analisi dimostrano che la sequenza mitocondriale dell’esemplare studiato è molto simile a quella tipica greca di cui mostra solo una mutazione di differenza.

In copertina: Foto del ritrovamento del cranio di lupo sulla spiaggia Boschi Maria Luigia, presso Coltaro (PR), 2018. (Foto di Davide Persico)

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NEWS | Lago di Vagli (LU): il “paese fantasma” torna alla luce

A causa dell’emergenza Covid-19, lo svuotamento del lago artificiale di Vagli, inizialmente previsto per il 2021, verrà rimandato al 2022; a dare l’annuncio è stato l’ormai ex sindaco Mario Puglia. Il lago, situato nel comune di Vagli Sotto, in provincia di Lucca, è un vero e proprio custode di segreti, tra cui anche un paese fantasma.

lago di vagli
Lago di Vagli (LU) – foto: Vagli Park

L’origine del Lago e i suoi segreti

Di origine artificiale, il Lago si è formato in seguito allo sbarramento del Torrente Edron per la costruzione della diga idroelettrica, iniziata nel 1941 e terminata, anche a causa della guerra, nel 1947.

lago di vagli
Diga del Torrente Edron (LU)

Le acque, salendo di livello, andarono a coprire diversi borghi medievali tra cui il più importante, Fabbriche di Careggine (LU), conosciuto anche come “paese fantasma”; fondato nel 1270, era un tempo borgo di fabbri ferrai provenienti da Brescia, che lavoravano il ferro estratto dal Monte Tambura. Per motivi di manutenzione venne più volte svuotato: nel 1958, nel 1974, nel 1983 e nel 1994.

Progetto di valorizzazione

Il progetto di svuotamento del Lago, previsto ora per il 2022, è stato pensato nell’ottica di valorizzazione turistica del territorio; l’amministrazione comunale, guidata da Giovanni Lodovici, ha affermato che, a causa dell’emergenza sanitaria, non sarà possibile effettuare l’opera entro la fine del 2021; le restrizioni non permetterebbero un libero spostamento tra regioni o comuni, limitando di fatto l’arrivo dei turisti da tutta l’Italia. Per ovviare al problema, si è deciso di spostare l’evento al prossimo anno nella speranza che la situazione migliori.

Borgo di Fabbriche di Careggine (LU), foto: Vagli Park
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DANTEDÌ | La coerenza del Ghibellin fuggiasco

In occasione del settecentenario della morte di Dante Alighieri, avvenuta il 14 settembre 1321 a Ravenna, è più che doveroso omaggiare il Sommo Poeta ripercorrendo il forte spirito critico che pervade la sua personalità e le sue opere. In confronto alla dissoluta politica odierna, animata da personaggi che ostentano elucubrazioni populiste inconcludenti, Dante aveva le idee chiare già allora, nonostante vivesse in un clima politico più stratificato e conflittuale di quello di adesso. Animato da un ardente spirito cattolico, il Fiorentino ha sempre optato per una visione eterogenea dello Stato, sostenendo la teoria dei due Soli come soluzione alla lotta tra i due poteri nel Medioevo. Secondo la visione dantesca, potere spirituale e potere temporale sono distinti e separati, infatti egli rivendicherà l’autonomia del potere imperiale da quello papale.

Per comprendere meglio le scelte politiche attuate da Dante è necessario ricordare le fazioni in lotta nella Firenze del 1300. Da un lato vi erano i ghibellini, i quali non volevano l’intrusione della Chiesa nella politica dell’impero, dall’altro i guelfi, sostenitori del Papa e dell’idea che lui solo fosse in grado di governare in quanto investito direttamente da Dio. Dopo una prima sconfitta contro i ghibellini, i guelfi riuscirono a prendere il controllo e dopo la vittoria si suddivisero in due fazioni interne capeggiate da due famiglie ideologicamente divergenti, la famiglia dei Cerchi (guelfi bianchi) e quella dei Donati (guelfi neri).

Il differente pensiero che accompagnava le due fazioni è che i guelfi bianchi, pur sostenendo il Papa, non precludevano un possibile ritorno all’imperatore. I guelfi neri invece erano pienamente sostenitori del Papa come unico avente il diritto di governare. La grande apertura mentale di Dante è dimostrata dal fatto che sostenesse i bianchi. Il Fiorentino infatti possedeva uno spirito incorruttibile intriso di giustizia, giustizia che viene espressa con tutta la sua carica critica nel De Monarchia. L’equità e la coerenza che convivevano con le sue idee politiche gli costarono l’esilio da Firenze in seguito alla vittoria dei guelfi neri. L’ineludibile senso di giustizia e l’alta capacità di comprensione del mondo classico si fanno sentire anche nella Commedia, in cui, da un lato, Dante collocò Papa Bonifacio VIII all’Inferno nonostante fosse cattolico e, dall’altro, invece, scelse come guida Virgilio nonostante fosse stato un pagano in vita.

Il 19 maggio 1315 il governo dei neri emise un provvedimento di amnistia rivolto a tutti gli esiliati di parte bianca, a condizione di versare una multa e di sottoporsi ad una cerimonia di pubblica umiliazione. Dante, una volta appresa la notizia, scrisse una lettera all’amico fiorentino che lo aveva informato dell’offerta; lettera in cui esprime il suo diniego alla possibilità di ritornare in patria e afferma di non voler scontare pene per crimini mai commessi. Pensieri di cui abbiamo testimonianza nell’Epistola XII in cui Dante scrive: 

Lungi da un uomo, apostolo di giustizia, che egli, dopo aver patito ingiuria, paghi del suo denaro a quelli stessi che furono ingiusti con lui, quasi a suoi benefattori. Non è questa, o Padre mio, la via di ritornare in patria.

Ancora una volta emerge tutta l’integrità morale di Dante, che rifiuta l’offerta sebbene fossero passati 15 anni. E come Socrate che rifiutò di essere liberato in punto di morte, Dante dimostra ancora una volta di essere uomo di grande virtù. Spirito saggio, guida delle menti, eccelso poeta e soprattutto italiano, di quelli veri, che diversamente da tanti italiani odierni, ha contribuito a far splendere il Bel Paese. Buon Dantedì!  

dante
“Dante e Beatrice” di Salvador Dalì
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NEWS | Apre al pubblico l’area archeologica di via San Cosimo (Verona)

La Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza e l’associazione culturale Archeonaute hanno presentato l’accordo. L’intesa ha l’obiettivo di valorizzare l’area archeologica di via San Cosimo 3 a Verona, rendendola finalmente fruibile al pubblico. Precedentemente l’acceso al sito era consentito esclusivamente con l’autorizzazione della Soprintendenza e dell’Istituto Suore Figlie di Gesù, sotto il quale è collocato.

L’area archeologica sarà aperta tutte le settimane gratuitamente con visite guidate, attività didattiche e servizi di prenotazione gestiti dell’associazione Archeonaute. Inoltre, l’apertura dell’area archeologica vedrà anche il supporto di pannelli illustrativi.

Via San Cosimo
Pannello illustrativo della Domus romana di via San Cosimo (fonte: Soprintendenza per Verona, Rovigo e Vicenza)

La storia dell’area sotterranea di Via San Cosimo

Il sito archeologico ha un significativo valore storico per la ricostruzione topografica dell’antica Verona. Infatti, i resti, in ottimo stato di conservazione, permettono di comprendere come erano costruite le mura romane della città. La storia di questo diamante sotterraneo dell’Archeologia ha inizio nell’età municipale romana (metà I sec. a.C.). Difatti, al suo interno, è conservata anche la porzione di una ricca domus romana, con i suoi pavimenti mosaicati e affreschi parietali.

Via San Cosimo
Mosaico a nido d’ape della Domus di via San Cosimo (fonte: Soprintendenza per Verona, Rovigo e Vicenza)

 

La città vide dei mutamenti durante il Medioevo: le mura primarie furono dotate di speroni e torri difensive. Inoltre, Re Teodorico fece costruire una cinta muraria secondaria con materiali di reimpiego da edifici romani. Le nuove mura sono tutt’ora visibili a 10 metri dalle mura originarie, al loro interno si notano i blocchi di spoglio: sui più visibili corrono due epigrafi romane capovolte.

La cinta muraria secondaria di Re Teodorico (fonte: Soprintendenza per Verona, Rovigo e Vicenza)

Il sito fu scoperto nel 1971 durante dei lavori di servizio, gli scavi furono eseguiti dall’allora Soprintendenza alle Antichità di Venezia. Da oggi diventerà un percorso archeologico.

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NEWS | “Fogli di pietra” raccontano la storia di Bologna nel Medioevo

È dedicato al lapidario del Museo Civico Medievale l’ultimo scenario tematico sul portale web “Storia e memoria di Bologna” curato dal Museo Civico del Risorgimento di Bologna.

UNA PASSEGGIATA VIRTUALE NELLA STORIA MEDIEVALE DI BOLOGNA

Realizzato con la collaborazione scientifica dei musei civici d’arte antica, lo scenario consente una passeggiata virtuale attraverso la raccolta di antichi “fogli di pietra”. Sono lapidi, in cui sono incise vicende pubbliche e private della vita quotidiana bolognese tra Alto Medioevo e XVII secolo.

La collezione comprende materiali di natura eterogenea. Provenienti principalmente dall’area urbana bolognese, acquisiti in seguito a ristrutturazioni di chiese e monumenti, scavi o demolizioni di edifici e cinta murarie, donazioni. Il nucleo più ragguardevole si compone di 41 manufatti lapidei tra epigrafi, cippi e stemmi, databili in un arco temporale compreso tra Alto Medioevo e XVII secolo. Questi emergono per la ricorrenza di iscrizioni relative alle professioni e alle attività di società e comunità organizzate, soprattutto laiche.

Memoria sepolcrale di Àbramo Jaghel da Fano; poi lapide commemorativa di Simone Tassi
1508 e 1660,
Iscrizioni incise in scrittura ebraica e capitale latina.
L’IMPORTANZA DELLE EPIGRAFI COME DOCUMENTI DEL PASSATO

Esposte nei luoghi più frequentati delle città (chiese, palazzi pubblici, piazze), nelle epigrafi si trova depositata la registrazione di eventi pubblici e privati memorabili. Questi fogli di pietra ancora oggi ci parlano. Sono fonti uniche e inusuali della vita quotidiana del tempo in cui furono incisi. Raccontano la storia minima di figure comuni come ostiari, studenti, fabbri, speziali, notai; oppure la grande storia di abati e potenti famiglie nobiliari come i Della Rovere di papa Giulio II, di cui si conserva qui lo scudo araldico.

IL PORTALE “STORIA E MEMORIA DI BOLOGNA”

“Storia e Memoria di Bologna” è un progetto a cura del Museo civico del Risorgimento di Bologna, con l’obiettivo di raccontare il passato della città emiliana attraverso il linguaggio dei monumenti.

Il portale www.storiaememoriadibologna.it è una sorta di grande libro della memoria bolognese, dove le informazioni sui personaggi, gli eventi, i luoghi, i monumenti, le opere artistiche, si intrecciano. Mettono in relazione il piano della storia di un singolo evento o individuo con quello della storia nazionale internazionale.

Nella sua scansione su base cronologica e tematica, ogni scenario del sito si configura, inoltre, come una valida risorsa anche per la ricerca storiografica e l’apprendimento della storia nella pratica didattica. Il tutto grazie a un metodo narrativo ipertestuale che fa dialogare immagini e parole, apparati iconografici e documentari.

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NEWS | I mosaici del Battistero di Firenze tornano a splendere

Si è appena concluso il restauro di metà dei mosaici che decorano le pareti interne del Battistero di San Giovanni a Firenze. Infatti, su quattro delle otto pareti del Battistero ottagonale, i mosaici trecenteschi sono ritornati all’antico splendore. Il restauro dei restanti quattro lati verrà, invece, concluso entro quest’anno.

I lavori di restauro

Dopo un primo restauro delle facciate esterne, alla fine del 2017, sono iniziati i lavori sulle pareti interne, durati tre anni. In questo periodo si è lavorato su 1100 metri quadrati di superfici marmoree: più di 100 metri quadrati di dorature e 200 metri quadrati di mosaici.

I lavori sono stati svolti dai restauratori dell’Impresa Cellini e Claudia Tedeschi, sotto la direzione dell’Opera di Santa Maria del Fiore e l’alta sorveglianza della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. Inoltre, varie università italiane e laboratori specialistici hanno collaborato per le indagini diagnostiche. La stessa Opera di Santa Maria del Fiore ha finanziato il progetto, investendo oltre un milione e mezzo di euro. Vincenzo Vaccaro, consigliere dell’Opera di Santa Maria del Fiore, ha dichiarato che: il progetto odierno non riguarda il restauro dei mosaici della Cupola, che eventualmente saranno oggetto di un successivo restauro.

Insieme al restauro delle pareti, è stata effettuata la pulitura del monumento funebre dell’antipapa Giovanni XXIII;  l’opera di Donatello e Michelozzo si trova addossata a uno dei lati del Battistero ed è finalmente libera dalle polveri superficiali. 

Le scoperte

I nuovi restauri hanno evidenziato l’uso di una tecnica musiva originale: un vero e proprio unicum. Infatti, la decisione di estendere le decorazioni musive anche sulle pareti avvenne solo dopo la fine dei lavori sulla cupola. Si dovette, perciò, trovare un modo per sovrapporre i mosaici al rivestimento marmoreo già presente, senza dimenticarsi dei problemi statici che la struttura presentava già all’epoca. Si impiegarono, così, delle tavelle in terracotta, scalfite e fissate al marmo delle pareti con perni centrali di ferro ribattuti e saldati a piombo. In seguito, spiega Beatrice Agostini, progettista e direttore dei lavori di restauro dell’Opera di Santa Maria del Fiore:

Sulle tavelle fu realizzata una sommaria sinopia e in seguito il mosaico col metodo diretto e a giornate, individuabili e leggibili ancora oggi. Anche l’impasto utilizzato per applicare le tessere del mosaico è un’assoluta particolarità: infatti, non fu impiegata una normale malta ma più un mastice, e proprio il degrado di questo composto ha rappresentato le problematiche più complesse affrontate da questo restauro.”

Inoltre, i restauri hanno riscontrato e, poi, rimosso, l’utilizzo di una cera pigmentata sul verde di Prato (uno dei marmi presenti nella decorazione del Battistero). Questa cera serviva a coprire il bianco del calcare, formatosi a causa delle infiltrazioni d’acqua. Infine, i restauratori hanno trovato alcune tracce di foglia d’oro su uno dei capitelli dei matronei, a suggerire come in origine tutti i capitelli potessero essere dorati.

Il restauro dei mosaici del Battistero di Firenze (©Opera di Santa Maria del Fiore Firenze)
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NEWS | Fornace medievale ritrovata ad Agrigento

Agrigento, famosa per i magnifici esempi di architettura templare della Magna Grecia, torna a raccontarci il suo passato. Questa volta, però, la città svela un particolare della sua vita artigianale medievale: la scoperta di una fornace ci racconta la produzione di ceramica destinata a finire sulla tavola degli Agrigentini, la cosiddetta ceramica da mensa.

Il ritrovamento della fornace

Durante i lavori di consolidamento del muraglione tra via Dante e via dell’Annunziata, in pieno centro,  gli operai hanno scoperto una cavità dietro a una parete in tufo. In seguito allo stop dei lavori, è stato chiarito che quella cavità era quello che restava di una grande fornace medievale, destinata alla produzione di ceramica da mensa.

L’area è stata recintata e i resti della fornace sono stati coperti con delle tavole di legno: un accorgimento provvisorio in attesa di ulteriori studi. 

Ferrovie dello Stato, in collaborazione con la Soprintendenza dei Beni Culturali, ha disposto alcuni accorgimenti riguardo la conservazione del ritrovamento: si è ipotizzata una copertura in vetro per renderne visibili i resti, in prospettiva di uno scavo futuro.

La produzione di ceramica medievale ad Agrigento

Il ritrovamento di una fornace da ceramica medievale non è un caso isolato ad Agrigento. Altri esempi sono già documentati proprio nella Valle dei Templi. Nell’area archeologica, infatti, è stato trovato un impianto produttivo con due fornaci, che ha permesso di datarne l’attività tra i secoli XI-XII  d. C, in un periodo compreso tra la dominazione Islamica e quella Normanna.

Altre fornaci sono state rinvenute fuori dal circuito murario di epoca medievale agrigentino, poiché l’attività artigianale era di solito svolta lontano dalla zona abitata delle città.

I lavori continueranno

Il cantiere tra via Dante e via dell’Annunziata dovrà comunque andare avanti: la situazione di stabilità del versante è poco rassicurante e la priorità resta la preservazione della linea ferrata, delle abitazioni e delle due strade. La ditta che si occupa dei lavori dovrà, però, garantire la massima tutela del bene, in attesa di fondi destinati a un futuro approfondimento del sito.