Durante alcuni lavori eseguiti dal Consorzio di Bonifica Navarolo di Casalmaggiore riaffiorano sepolture a San Martino dall’Argine, in provincia di Mantova.
Gli scavi e la scoperta archeologica
Le 11 tombe sono state riportate alla luce in una fascia di circa 350 metri; tre sepolture presentano una copertura, detta “alla cappuccina”, formata da mattoni disposti a doppio spiovente; queste sembrano essere suddivise in quattro nuclei apparentemente separati.
Le sepolture ad inumazione hanno restituito individui adulti e alcuni bambini. L’assenza completa di elementi di corredo rende complicato arrivare ad una collocazione cronologica precisa, ma l’utilizzo, nelle tombe maggiormente strutturate, di laterizi di reimpiego fa ipotizzare un inquadramento in età alto medievale; questa ipotesi sarebbe avvalorata dal ritrovamento di alcune buche pertinenti a edifici lignei e di canali antichi, che stanno restituendo frammenti ceramici.
Dagli scavi sono emerse anche sporadiche tracce di frequentazione preistorica dell’area, attestata dalla presenza di un pozzetto di scarico con minuti frammenti ceramici ad impasto, che confermano il recupero di selce nel corso delle indagini preliminari del 2020. I dati emersi permetteranno di aggiungere tasselli per migliorare la conoscenza della storia dell’area, utili per meglio comprendere le dinamiche di popolamento antico nell’area mantovana.
Le parole del sindaco, Alessio Renoldi
“È stata una sorpresa e anche un’emozione vedere quelle tombe sepolte da circa 1.500 anni nei terreni di San Martino. Sono preziosissimi pezzi di storia che confermano insediamenti molto antichi dei nostri territori e non possono far altro che suscitare ulteriore curiosità sulle origini del nostro paese. Ovviamente cercheremo di valorizzare al meglio questo scoperte e quando sarà possibile metteremo a disposizione dei cittadini quante più informazioni possibili. Spero anche che ulteriori indagini possano far emergere nuovi frammenti di storia e di conoscenza del comune”.
La mostra, che continuerà fino a gennaio 2022, si articolerà sui due piani di Palazzo Ducale, presenterà diverse sezioni incentrate su attività di tutela e attività di valorizzazione che hanno interessato il territorio nell’ultimo decennio. Sarà la vetrina dei lavori in corso che, giorno dopo giorno, permettono di ricostruire un tassello della storia del Mantovano, merito degli scavi seguiti dalla Soprintendenza in proficua collaborazione con Palazzo Ducale.
Nelle viscere della “città nascosta”
Gli scavi archeologici hanno regalato soddisfazioni alla Mantova etrusca, romana, longobarda e rinascimentale. L’archeologia urbana ha fatto rivivere intere epoche attraverso molte scoperte: la domus romana di piazza Sordello, le mura dei Gonzaga in piazzale Mondadori, spostate con precisione ingegneristica, i mosaici romani di via Accademia.
Gli amanti di Mantova
Non possono mancare gli «Amanti di Valdaro», il grandioso ritrovamento del 2007 è un esempio compiuto di tutela e valorizzazione, emblema dell’archeologia mantovana: una sepoltura “bisoma”, due giovani sepolti insieme, rannicchiati, l’uno di fronte all’altro per più di 5500 anni. Sono state rimosse tutte le sepolture della necropoli con un’operazione delicatissima, ma necessaria alla conservazione nel Museo Nazionale di Mantova.
La Mantova preistorica e dei Gonzaga: lo scavo di Gradaro-Fiera Catena
Il Quartiere costituisce una sezione della mostra in quanto rientra nell’ampio progetto di tutela “Mantova Hub”, voluto dal Comune nel 2016 per recuperare e restituire alla collettività spazi abbandonati e in stato di degrado.
Lo scavo ha restituito reperti che si datano all’Età del Bronzo Finale (XII-X sec. a.C.) e all’epoca dei Gonzaga (1400-1600). In ambito preistorico è doveroso menzionare, per il grande lavoro condotto in laboratorio, undolio a corpo ovoide e un vaso biconico. All’età dei Gonzaga risale una selezione di ceramica graffita, «fossile guida» (reperto che aiuta la ricostruzione della cronologia poiché ha buona presenza negli strati), e oggetti di uso quotidiano, come le prime pipe dopo l’introduzione del tabacco.
Olla decorata da un cordone plastico dopo la ricomposizione (Foto: Museo Archeologico Nazionale di Mantova)Esemplare di ceramica graffita da Fiera Catena (seconda metà XV-XVI sec.) in corso di studio (foto: Museo Archeologico Nazionale di Mantova)
La Mantova etrusca, romana e medievale: lo scavo di via Rubens – Case dei Canonici di Santa Barbara
Nel V secolo a.C. nasce l’abitato etrusco di Mantova, dominante sulla valle del fiume Mincio, in cui selvicoltura e commercio fluviale sono solo due dei tanti punti di forza del territorio. Il sistema viene scosso dalla grande invasione celtica del secolo successivo. Nomi celti si ritrovano infatti inscritti su ceramica in alfabeto etrusco: gli stranieri dovevano essersi integrati nella comunità.
Alfabetario etrusco inciso sul fondo di una ciotola, riporta tutte le venti lettere in uso nel IV secolo a.C. (foto: Museo Archeologico Mantova)
Lo scavo si è concentrato sul quartiere residenzialedi via Rubens portando in luce: utensili da cucina (frammenti di ciotole e pentole), pesi da telaio, scarti di produzione ceramica pertinenti a un’officina sul Mincio. Nell’area sono state poi scavate domus di epoca romana, ricche di mosaici; Invece, nelle Case dei Canonici di Santa Barbara, è stato rinvenuto un edificio monumentale di età medievale, ancora in corso di scavo e parte della cosiddetta Civitas Vetus di Mantova.
La sezione della mostra dedicata allo scavo di via Rubens-Case dei Canonici di Santa Barbara (foto: Museo Archeologico Nazionale di Mantova)
Il «Reperto W» è venuto alla luce dalla tomba del bimbo longobardo sepolto in via Rubens, ma è rimasto ignorato a lungo. Si tratta di una manciata di frammenti di ferro arrugginito, rinvenuta vicino alle guarnizioni in oro della cintura; i frammenti sono stati recentemente studiati dalla curatrice della mostra, la dott.ssa Hirose, e da altri esperti che hanno ricomposto un coltello; il fodero dell’oggetto doveva esser appeso alla cintura che reggeva la tunica e le brache del bimbo.
Come prenotare la visita alla mostra
L’inaugurazione è fissata per venerdì 7 maggio alle ore 17. La partecipazione è gratuita previa prenotazione in quattro diverse fasce orarie(17/17.20/17.40/18.00) durante le quali, a gruppi contingentati di 12 persone, sarà possibile partecipare a una visita guidata gratuita della mostra. Per prenotarsi è necessario compilare uno dei moduli onlinea questo link a seconda della fascia oraria scelta.
Dirige la grande macchina di Palazzo Ducale, si è insediato in un momento difficile: novembre 2020. Come ha diretto il lavoro “a porte chiuse”? Cosa ha ereditato dalla precedente organizzazione e cosa ha cambiato?
«Dalla precedente direzione – e mi riferisco a quella di Peter Assmann, piuttosto che all’interim di Emanuela Daffra che ha coperto circa un anno – ho ereditato un Museo vivace, pieno di iniziative e di attività, ma anche uno scarso interesse per i problemi di manutenzione e conservazione, nonché poca attenzione all’avvio delle procedure per i grandi interventi, per i grossi restauri. Questi sono quindi necessariamente le mie priorità. Su diversi fronti mi trovo quindi a lavorare in continuità, con una ricca programmazione di eventi, seppure meno rivolti al contemporaneo; ho tuttavia ritenuto improcrastinabile dedicarmi all’avvio dei lavori e alla programmazione di interventi di restauro e di manutenzione a breve e a lungo termine».
Stefano L’Occaso nella presentazione del restauro dell’Ultima Cena di Leonardo (photo credits: Paolo Gai)
Palazzo Ducale riapre in grande. Lei ha la paternità della mostra “La città nascosta – Archeologia urbana a Mantova”, com’è nata l’idea?
«Dal 2016 al 2018 il Museo Archeologico di Mantova, che accoglierà questa mostra, è stato gestito dal Polo Museale della Lombardia del quale ero direttore; allora mi occupai di allestire il Museo in via permanente dato che, fino al 2015, si visitava praticamente una sola sala. Ma un Museo Archeologico non può essere una realtà statica: deve anzi riflettere il continuo incremento di conoscenze che deriva dagli scavi, che sono oggi affidati alle Soprintendenze. Il mio desiderio era riallacciare il legame con la tutela, con il territorio, e fare del Museo Archeologico una realtà viva, attenta alle scoperte più recenti, che possono giorno dopo giorno aiutarci a scrivere od obbligarci a riscrivere la storia della città e suo contesto».
Il direttore Stefano L’Occaso durante una conferenza
La mostra presenterà grandi lavori, tra questi il restauro dell’imponente dolio ovoide del Bronzo Finale dal quartiere di Fiera Catena (MN). Dopo lo scavo in situ, il microscavo in laboratorio è stato impegnativo. Anche l’esposizione di questo recipiente ha richiesto condizioni e spazi particolari?
«Un primo intervento è stato effettuato proprio in situ dai restauratori di Palazzo Ducale (Daniela Marzia Mazzaglia) e della Soprintendenza (Aria Amato); successivamente l’intervento è stato affidato a una ditta di restauro di Torino. I due dolii trovati e restaurati sono stati accolti entro una teca di grandi dimensioni, appositamente disegnata nella splendida cornice del Museo Archeologico, il luogo che un tempo ospitò il teatro di corte dei Gonzaga e che oggi è deputato a raccontare la storia delle origini della città virgiliana».
Protagonista della mostra è anche il «Reperto W», un coltello idealmente ricostruito da sei frammenti di ferro arrugginiti dalla tomba del bimbo longobardo su via Rubens (MN). La ricostruzione vede in prima linea la dott.ssa Hirose, anche curatrice della mostra, com’è stato trattato il Reperto in vista dell’esposizione?
«Si tratta infatti di un reperto di notevole interesse, tanto per il contesto di provenienza, quanto per se stesso. Dall’area di scavi di via Rubens sono emersi i resti di una struttura a pianta ottagonale che si può forse interpretare come battistero: forse il battistero ariano, in contrapposizione a quello ortodosso, rinvenuto oltre mezzo secolo fa nell’area del Seminario Diocesano. In via Rubens, una sepoltura infantile, del tipo a “casa mortuaria”, ha restituito un ricco corredo, ma a lungo ci si è concentrati sulle guarnizioni d’oro della cintura, mentre solo ora si è compreso il valore di sei frammenti di ferro arrugginito, ricomposti per l’occasione in un coltello ancora nel fodero. Un coltello che doveva avere una lamina d’argento sul manico e inserti di osso o corno nella punta del fodero. Anche questo recupero è merito dei curatori, Mari Hirose e Leonardo Lamanna, ai quali sono davvero grato per l’eccellente lavoro svolto».
Ricco corredo dalla tomba del bimbo longobardo (VI-VII sec. d.C.): guarnizioni, una crocetta e altri elementi in oro (foto: Museo Archeologico Nazionale di Mantova)
Il Palazzo Ducale di Mantova è dotato di autonomia speciale di tipo scientifico, finanziario, organizzativo e contabile. È stata un vantaggio durante il periodo di chiusura? Permetterà di attuare in meglio i suoi programmi dopo la riapertura?
«L’autonomia gestionale di Palazzo Ducale ha consentito nei recenti anni grandi investimenti in termini di valorizzazione, soprattutto eventi, mostre (in particolare di arte contemporanea), ma anche feste e sontuosi banchetti. Le risorse sono oggi calate a ragione della pandemia e, inoltre, le urgenze di carattere conservativo mi impongono di destinarne una parte alla manutenzione del Palazzo Ducale, ma credo molto nel connubio tra tutela e valorizzazione e stiamo infatti portando avanti un programma di importanti mostre anche per gli anni a venire. Anzi, sin da ottobre, quando presenteremo un’esposizione dedicata a “Dante e la cultura figurativa del Trecento a Mantova”. Le mostre in cantiere, questa è la differenza principale rispetto al passato, sono radicate nel contesto del Palazzo e da esso o dalle sue collezioni prendono spunto. Esse ambiscono a restituire a Mantova e al suo meraviglioso monumento la centralità che la città ebbe nel Rinascimento. Le prolungate chiusure sono state impegnate per la programmazione dei prossimi anni: i segnali di risposta del pubblico alla riapertura sono stati molto positivi».
Stefano L’Occaso e il ministro Franceschini con Obama in visita al Cenacolo nel 2017 (foto: Milano – La Repubblica)
In conclusione, si sente di dare qualche consiglio ai nostri lettori e ai giovani studenti che si approcciano al mondo dell’arte e dell’archeologia?
«Sono uno storico dell’arte, ma con numerose esperienze di collaborazione con gli archeologi: da quando lavoravo come restauratore, per esempio nella Domus Aurea, a quando ho impostato l’allestimento del Museo Archeologico. Mi rivolgo direttamente ai giovani archeologi: dovete avere speranza e fiducia nel futuro, perché oggi il sistema museale e le soprintendenze hanno molto bisogno di voi, delle vostre energie, del vostro entusiasmo. L’ingresso, pochissimi anni fa, di giovani funzionari in Palazzo Ducale è stato una vera benedizione per un istituto che stava perdendo smalto e che oggi è invece una realtà viva e piena di iniziative. Sia lavorando in Soprintendenza che in Museo, vi troverete a collaborare costantemente con architetti e storici dell’arte e anche questo credo che sia un importante passo in avanti rispetto al recente passato».
Stefano L’Occaso è dottore di ricerca in Storia delle Arti Visive (2009) e funzionario Storico dell’Arte del Ministero della Cultura. È nuovamente direttore di Palazzo Ducale a Mantova da novembre 2020, già direttore del Polo Museale della Lombardia (novembre 2015 – gennaio 2019). Tra le pubblicazioni, vanta più di un centinaio di articoli e saggi e diverse monografie, fra cui: Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Medioevo e Rinascimento (2005), oltre al catalogo scientifico dei dipinti del Museo di Palazzo Ducale (2011). È artigiano, artista ed è stato anche docente universitario; nonché membro di diversi consigli d’amministrazione, comitati scientifici e socio ordinario dell’Accademia Nazionale Virgiliana.
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