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ABRUZZO | Roccascalegna, il castello tra cielo e terra

Sulla sommità di uno sperone roccioso, in posizione dominante sulle vallate del fiume Sangro, in provincia di Chieti, sorge il Castello di Roccascalegna.

La fondazione

La sua fondazione si fa risalire ai Longobardi che, a partire dal 600 d.C., discesero dall’Italia settentrionale fino a occupare gli odierni territori di Abruzzo e Molise. Inizialmente, fu costruita una torre di avvistamento e, nell’XI-XII secolo, l’intero castello. 

La prima fonte storiografica sul castello è del 1525 e riporta i lavori di restauro effettuati sulla struttura.

L’abbandono e il recupero

Dal 1700 il castello ha vissuto tre secoli di abbandono, durante i quali è stato vittima di saccheggi e di intemperie.

Finalmente, nel 1985, l’ultima famiglia feudataria di proprietari, i Croce Nanni, donarono  il castello al Comune di Roccascalegna, che iniziò i lavori di restauro che lo hanno riportato all’antico splendore nel 1996.

L’etimologia del nome

Per la ricostruzione dell’etimologia di Roccascalegna, due le ipotesi formulate: il nome potrebbe derivare da Rocca-Scarengia, da connettersi a scarenna, termine che indica il fianco scosceso di un monte, oppure dal longobardo Aschari, da cui, dunque, Rocca Ascharenea.

La leggenda della Mano di Sangue

Si narra che, nel 1646, il barone Corvo de Corvis avesse reintrodotto la prepotente pratica medievale dello Jus Primae Noctis: ogni neo sposa del feudo di Roccascalegna avrebbe dovuto consumare la prima notte di nozze con lui, anziché con il legittimo marito. L’ultima novella sposa, o il consorte travestito da sposa, si sarebbe recata al castello per obbedire a tale ordin, ma, una volta giunta presso il talamo nuziale, avrebbe accoltellato il barone ed egli, morente, avrebbe lasciato su una roccia della torre l’impronta indelebile della sua mano insanguinata.

Secondo la leggenda, l’impronta del barone, sebbene venisse più volte lavata, continuava a riaffiorare.

La torre crollò nel 1940, ma, ancora oggi, anziani del luogo affermano di aver visto la mano di sangue anche dopo la sua distruzione.