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NEWS | La città perduta di Aten: Zahi Hawass annuncia la scoperta a Luxor (Egitto)

L’ex ministro delle Antichità Dr. Zahi Hawass, annuncia la scoperta di una città sepolta nella sabbia. Lo fa con un post su Facebook, in attesa della conferenza stampa di sabato 10 aprile. “L‘ascesa di Aton“, questo il nome della città perduta che risale al regno del re Amenhotep III, regnante tra il primo quarto e la metà del XIV sec. a.C., quasi 3500 anni fa. “Abbiamo iniziato il nostro lavoro per la ricerca del tempio funerario di Tutankhamon, considerata la presenza, in quest’area, dei i templi di Horemheb e Ay”, dichiara Hawass.

Invece, la missione egiziana si è ritrovata di fronte a una scoperta eccezionale. La città, fondata proprio da Amnhotep III, nono re della XVIII Dinastia, era attiva durante gli anni di co-reggenza con il figlio Amenhotep IV, meglio noto come Akhenaton, il “faraone eretico”. Si tratta di un grande insediamento amministrativo e industriale sulla riva occidentale del Nilo a Luxor/Tebe. L’insediamento si estende fino a Deir el-Medina, il villaggio degli operai che lavorarono alle sepolture della Valle dei Re e delle Regine.

La città perduta

L’area di scavo si trova tra il Tempio di Ramesse III, a Medinet Habu, e il Tempio di Amenhotep III. “Le strade della città sono fiancheggiate da case, le cui mura sono alte fino a 3 metri“, continua Hawass. Gli scavi erano iniziati a settembre 2020, evidenziando sin da subito numerose strutture in mattoni affioranti in ogni direzione. Una scoperta inaspettata e stupefacente, resa tale anche dal buono stato di conservazione degli edifici, con muri quasi completi e stanze contenenti oggetti di vita quotidiana intatti, sepolti da migliaia di anni. La scoperta di questa città, inoltre, è doppiamente importante. Se da un lato ci offre un raro sguardo sulla vita quotidiana nell’Antico Egitto, dall’altro potrebbe fornire nuovi indizi sul perché Akhenaton e Nefertiti decisero di abbandonare Tebe per il trasferimento ad Amarna.

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Strutture murarie della città di Aten (fonte: Ministero delle Antichità)

Adesso, l’obiettivo primario è quello di ricostruire la storia dell’insediamento. Grazie ad alcune fonti storiche, si sa che la città era costituita da tre palazzi reali del re Amenhotp III e dal centro amministrativo e industriale del Regno.

In quasi sette mesi di scavi sono state riportate alla luce diverse aree dell’insediamento. A confermare la datazione della città è un gran numero di reperti archeologici tra cui anelli, scarabei, ceramiche dipinte, vasi in terracotta per il vino con iscrizioni geroglifiche e mattoni di fango recanti i sigilli con cartiglio di Amenhotep III (Neb Maat-Ra, nome del trono).

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Anfore con iscrizioni (Fonte: Zahi Hawass)
Una città ben organizzata

Nella parte meridionale, la missione ha individuato una prima area destinata alla preparazione di cibi, completa di forni e deposito del vasellame.

Una seconda area, ancora solo parzialmente indagata, è invece il distretto amministrativo e residenziale. Si tratta di un’area delimitata da un muro perimetrale ad andamento ondulato, con un solo punto di accesso verso i corridoi interni che comprende una serie di unità abitative più ampie e ben organizzate. Le pareti ondulate non sono un elemento architettonico frequente nell’Antico Egitto. Queste furono in uso principalmente intorno alla fine della XVIII Dinastia.

La terza area, invece, è la zona industriale, comprendente laboratori per la produzione dei mattoni in fango necessari per la realizzazione di templi e annessi. Tra i rinvenimenti, vi sono anche utensili per le attività tessili e anche un gran numero di stampi da fusione per la produzione di amuleti o elementi decorativi.

Inusuali sepolture e un area cimiteriale

Una delle stanze indagate presenta sepolture di un grande animale bovino, una mucca o un toro, per cui sono in corso ricerche per determinarne la natura e lo scopo. Ma più inusuale e quasi inquietante è, inoltre, il ritrovamento di una sepoltura antropica il cui scheletro presenta braccia tese lungo i fianchi e resti di una corda attorno alle ginocchia.

Accanto a questi rinvenimenti, anche quello di un’ampia area cimiteriale, la cui estensione non è stata ancora determinata. La missione ha evidenziato un gruppo di tombe, di varie dimensioni, scavate nella roccia. Ad esse si accede tramite scale, caratteristica che accomuna diverse tombe nella Valle dei Re e nella Valle dei Nobili.

La conferma della datazione

Già i sigilli reali su mattoni e stampi non lasciano dubbi sulla datazione al tempo di Amenhotep III. A questi elementi, vanno aggiunti dei curiosi rinvenimenti. Uno di questi è un contenitore con resti di carne essiccata o bollita (circa 10 kg) con un’importante iscrizione. Si può infatti leggere: “Anno 37, carne condita per la festa Heb Sed proveniente dal macello del recinto per bestiame di Kha, fatta dal macellaio luwy. Una preziosa informazione che non solo fornisce i nomi di due persone che vivevano e lavoravano nella città, ma conferma il periodo di attività della stessa anche al tempo della co-reggenza.

Un’impronta di sigillo, inoltre, reca l’iscrizione gm pa Aton, che può essere tradotto come “dominio del luminoso Aton”, nome di un tempio fatto realizzare da Akhenaton a Karnak.

Sigillo con iscrizione e frammenti lapidei con occhi (fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)

La missione annuncia che i lavori continueranno poiché, fino ad ora, è stato indagato solo un terzo dell’area. Una scoperta importante, dunque, che, al di là del dato materiale, fornisce importanti informazioni circa la vita quotidiana non solo popolare ma, in questo caso, anche reale.

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ANCIENT EGYPT | The Valley of Beauty

The Valley of the Queens, the southernmost of the Theban necropolises, is the place where, starting from the 18th Dynasty, the princes and princesses of royal blood were buried, together with people who lived at court; later, starting from the time of Ramses II, the queens who were given the title of “royal brides” too. Later, during the XX Dynasty, Ramses III restored the tradition and had the tombs of some of his sons set up in the Valley.

The Necropolis of the Queens

Originally, the Egyptians indicated it as ta set neferu, an expression that lends itself to various interpretations, but that can probably be translated as “the place of beauty”, which is the most common interpretation.

The necropolis is located at the bottom of a valley, surrounded by steep hills, behind the hill of the present village of Qurna. In it there are about 70 tombs, looted in ancient times and then reused by local communities.

The site was chosen because it was considered sacred and, therefore, suitable for its function of royal necropolis, both for its proximity to the Theban peak and for the presence at the bottom of the valley of a cave-waterfall whose shape and natural phenomena connected to it could suggest a religious and funerary concept. The cave would, in fact, have represented the belly or womb of the Celestial Cow, one of the representations of the goddess Hathor, from which flowed the waters that announced the imminent rebirth of the dead buried in this privileged place.

Champollion in 1800, during one of his trips, documented about a dozen of them, the only ones available at that time.

In 1904, an Italian discovered in the Valley of the Queens, in West Thebes, what is probably the most beautiful tomb in Egypt. The Italian was Ernesto Schiaparelli, the director at that time of the Egyptian Museum of Turin, while the tomb belonged to the famous Nefertari, the Great Royal Bride of Ramses II (1279-1212 BC).

Schiaparelli
Ernesto Schiaparelli

Despite the work of looters, who left very little of the original equipment, the QV66 remains a jewel for its architectural structure, comparable to those found in the Valley of the Kings and, above all, for the magnificent pictorial cycle that adorns the walls and ceiling.

Nefertari
Pictorial decoration from the Tomb of Nefertari (QV66)

The plan of the tomb is quite articulated, because it has many similarities with that of Ramses in the Valley of the Kings. It has a long entrance staircase, a large central chamber and an access staircase through which one enters the sarcophagus room, which has four pillars and four adjoining rooms.

It was only in 1970 that in the Valley began a series of annual missions carried out by the Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) in Paris, the Louvre Museum, the Centre d’Études et Documentation sur l’Ancienne Egypte (CEDAE) and the Egyptian Antiquities Organization, now the Supreme Council of Antiquities.

To the excavations of Schiaparelli we owe the discovery of all the most important tombs of the site, such as those belonging to the sons of Ramses III, Seth-her-khepshef (QV 43), Kha-em-waset (the QV 44), Amon-(her)-khepshef (QV 55).

The beauty of this valley, you savor it at sunset, sitting on a stone, waiting for the sun to come down through the rocky clefts, that from the ochre color pass through the varieties of the pink color, but from the silence sacred to the pharaohs here appears on my head the circling of the Hawk God…

 

To the kind readers, we give appointment with the column on Ancient Egypt, in the new bimonthly magazine of Archeome from February 2021.

Tradotto da: https://archeome.it/antico-egitto-la-valle-della-bellezza/

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ANTICO EGITTO | La Valle della Bellezza

La Valle delle Regine, la più meridionale delle necropoli tebane, è il luogo dove, a partire dalla XVIII Dinastia, vennero inumati dapprima i principi e le principesse di sangue reale, insieme a personaggi che vivevano nell’ambiente di corte; in seguito, a partire dall’epoca di Ramesse II, anche le regine alle quali era dato il titolo di “spose reali”. Successivamente, durante la XX Dinastia, Ramesse III ripristinò la tradizione e fece allestire nella valle le tombe di alcuni dei suoi figli.

La Necropoli delle Regine

In origine, gli Egiziani la indicavano come ta set neferu, espressione che si presta a svariate interpretazioni, ma che verosimilmente può essere tradotta “il luogo della bellezza”, interpretazione generalmente più diffusa.

La necropoli sorge in fondo ad una valle, circondata da ripide alture, situata dietro la collina dell’attuale villaggio di Qurna. In essa si trovano circa 70 tombe, depredate nell’antichità e poi riutilizzate dalle comunità locali.

Il sito fu scelto perché ritenuto sacro e, quindi, adatto alla sua funzione di necropoli reale, sia per la sua vicinanza con la cima tebana, sia per la presenza sul fondovalle di una grotta-cascata la cui forma e i fenomeni naturali a essa connessi potevano suggerire un concetto religioso e funerario. La grotta avrebbe, infatti, rappresentato il ventre o l’utero della Vacca Celeste, una delle raffigurazioni della dea Hathor, dal quale sgorgavano le acque che annunciavano l’imminente rinascita dei defunti sepolti in questo luogo privilegiato.

Champollion nell’800, durante un suo viaggio, ne documentò circa una decina, le uniche disponibili in quel tempo.

Nel 1904, un italiano scopriva nella Valle delle Regine, a Tebe Ovest, quella che probabilmente è la tomba più bella d’Egitto. L’italiano era Ernesto Schiaparelli, l’allora direttore del Museo Egizio di Torino, mentre la tomba apparteneva alla celeberrima Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramesse II (1279-1212 a.C.).

Schiaparelli
Ernesto Schiaparelli

Nonostante l’opera dei saccheggiatori, che lasciarono ben poco del corredo originario, la QV66 resta un gioiello per la sua struttura architettonica, paragonabile a quelle che si trovano nella Valle dei Re, e, soprattutto, per il magnifico ciclo pittorico che abbellisce le pareti e il soffitto.

Nefertari
Decorazione pittorica dalla Tomba di Nefertari (QV66)

La planimetria della tomba è piuttosto articolata, perché ha molte similitudini con quella di Ramesse nella Valle dei Re. Ha una lunga scalinata d’entrata, una grande camera centrale e una scala di accesso attraverso la quale si accede alla sala del sarcofago, dotata di quattro piloni e di quattro stanze annesse.

Fu solo nel 1970 che nella Valle ebbe inizio una serie di missioni annuali effettuate dal Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) di Parigi, dal Museo del Louvre, dal Centre d’Études et Documentation sur l’Ancienne Egypte (CEDAE) e dall’Egyptian Antiquities Organization, oggi Supreme Council of Antiquities.

Agli scavi di Schiaparelli si deve la scoperta di tutte le più importanti tombe del sito, come quelle appartenenti ai figli di Ramesse III, Seth-her-khepshef (QV 43), Kha-em-waset  (la QV 44), Amon-(her)-khepshef (QV 55).

La bellezza di questa valle, la assapori al tramonto, seduta su una pietra, attendendo che il sole scenda attraverso le spaccature rocciose, che dal color ocra passano attraverso le varietà del color rosa, ma dal silenzio sacro ai faraoni ecco apparire sul mio capo il volteggiare del Dio Falco…

 

Ai gentili lettori diamo appuntamento con la rubrica sull’Antico Egitto nella nuova rivista bimestrale di Archeome da febbraio 2021.

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ANCIENT EGYPT | Senenmut, the Queen’s shadow

The life of Senenmut is inextricably linked to that of Queen Hatshepsut. Just mentioning her name inevitably evokes the name of the queen he served. But who was this man? How did a queen with the title of king give him absolute control of the country?

The rise of Senenmut

Senenmut, according to recent studies, was the son of ordinary people, as shown by the title of the parents found in their tomb, not far from the TT71, their son’s tomb, in 1927: his father Ramose is in fact remembered as ‘Worthy’, while his mother Hatneferu is indicated as ‘Housewife’.

They were originally from the South, beyond the first cataract. The family, since the time of Thutmosis I, had settled in Ermant, near Luxor. The young Senenmut had participated in military expeditions in Nubia and had been rewarded with the bracelet “menefert” (“he who beautifies”). When his mother died shortly after Hatshepsut’s coronation, the son moved his father close to his mother.

Senenmut’s influence is demonstrated by his mother’s grave goods, which also included a golden mask and a beetle on the heart, made with serpentine and set in a golden square.

Not far from the Djeser-Djeseru, the funeral chapel of Senenmut, which began two months after the death of the parents, was brought to light. In this chapel are inscribed, in red and black ink, the titles of which he was a proud holder.

An exceptional fact for an Egyptian, Senenmut doesn’t seem to have ever married, so much so that his funerary cult was entrusted to his older brother, Minhotep.

The magnificent wall paintings, unfortunately badly preserved, allow to see six bearers of offerings, probably Aegeans; in fact, in their appearance they remind the Knossos’ bearers of offerings.

The sarcophagus, probably of red quartzite (royal stone par excellence), was adorned with funerary divinities, flanked by Isis and Nephthys and contained the entire chapter 125 of the Book of the Dead (the one with the negative justifications).  

In spite of these origins, Senenmut made a brilliant career as an official of the kingdom and, quickly covering all the cursus honorum, he reached the highest offices of the State. Among the many positions he had, we remember that of “intendant of the temple of Amon, director of the fields, gardens and flocks of the double granary of Karnak”. This position allowed him to control the great wealth of Karnak.

He was very intimate with the Queen, so much so that he gave voice to the hypothesis of a love affair with her, of which, however, there is no documentation. Hatshepsut also chose him as architect for the great temple of Deir el-Bahari, whose design, outside the typical Egyptian canons, demonstrates the genius of both the architect and the Queen. However, recent studies seem to diminish the importance of Senenmut in the construction of the temple of the Queen.

Tomb TT 353
tomba Senenmut
Tomb of Senenmut TT 353

Senenmut ordered the excavation of the TT 353 tomb of Deir el-Bahari around the 7th year of his queen’s reign, at the same time as the excavation work on the temple began.

It was excavated deep in the rock, so that the whole funerary complex of Senenmut remained integrated within the complex of the sovereign, i.e. in the subsoil of the first terrace.

falsa-porta
Panel of the false-door in which Senenmut is represented with his father Ramose and his mother Hatnefer

The long and steep descending gallery, fifty-three meters long, ends in a very small room, brilliantly decorated with the Book of the Dead, a false-door stele and crowned by an exceptional astronomical ceiling, unique and splendid, magnificently preserved today. This astronomical ceiling is the oldest known in the history of ancient Egypt.

On it are reproduced the twelve months of the lunar calendar, as well as the stars and constellations of the northern hemisphere. Another descending gallery leads us to a second chamber without decoration and from this to the third with a well, also without decoration.

Finally, he became guardian of Hatshepsut’s daughter, Neferu-Ra, who was the second heir to the throne after Thutmosis III, thus demonstrating the great consideration in which he was held at court.

Senenmut e Neferure
Senenmut was the royal guardian and the monument of him holding a small Neferu-Re shows it (British Museum / CC BY-SA 3.0).

Suddenly, however, Senenmut, as often happens, fell into disgrace, was relieved of his duties and disappeared from Egyptian history.

Tradotta: https://archeome.it/antico-egitto-senenmut-lombra-della-regina/

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ANTICO EGITTO | Senenmut, l’ombra della regina

La vita di Senenmut è indissolubilmente legata a quella della regina Hatshepsut. Solo citare il suo nome evoca inevitabilmente il nome della regina che ha servito. Ma chi era quest’uomo? In che modo una regina con titolo di re, gli diede il controllo assoluto del paese?

L’ascesa di Senenmut

Senenmut, secondo studi recenti, era figlio di gente comune, come risulta dalla titolatura dei genitori trovata nella loro tomba, non lontana dalla TT71, tomba del figlio, nel 1927: suo padre Ramose è infatti ricordato come ‘Degno’, mentre sua madre Hatneferu viene indicata come ‘Donna di casa’.

Erano originari del Sud, al di là della prima cataratta. La famiglia, dai tempi di Thutmosi I, si era stabilita ad Armant, vicino a Luxor. Il giovane Senenmut aveva partecipato alle spedizioni militari in Nubia ed era stato ricompensato con il braccialetto “menefert” (“colui che abbellisce”). Alla morte della madre, avvenuta poco tempo dopo l’incoronazione di Hatshepsut, il figlio trasportò il padre vicino alla madre.

L’influenza di Senenmut è dimostrata dal corredo funebre della madre, che comprendeva anche una maschera dorata e uno scarabeo sul cuore, fatto con serpentina e incastonato in un quadrato d’oro.

Poco distante dal Djeser-Djeseru, è stata portata alla luce la cappella funeraria di Senenmut, iniziata due mesi dopo la morte dei genitori. In questa cappella sono iscritti, in inchiostro rosso e nero, i titoli di cui si fregiava.

Fatto eccezionale per un egiziano, Senenmut non sembra essersi mai sposato, tanto che il suo culto funerario fu affidato al fratello maggiore, Minhotep.

Le magnifiche pitture murali, purtroppo mal conservate, permettono di vedere sei portatori di offerte, probabilmente Egei; difatti, nel loro aspetto ricordano i portatori di offerte di Knossos.
Il sarcofago, probabilmente di quarzite rossa (pietra reale per eccellenza), era ornato da divinità funerarie, affiancate da Iside e Nefti e conteneva l’intero capitolo 125 del Libro dei Morti (quello delle giustificazioni negative).  

Nonostante queste origini, Senenmut fece una brillante carriera come funzionario del regno e, percorrendo rapidamente tutto il cursus honorum, raggiunse le più alte cariche dello Stato. Tra i tanti incarichi che ebbe, ricordiamo quello di “intendente del tempio di Amon, direttore dei campi, dei giardini e delle greggi del doppio granaio di Karnak”. Questa posizione gli permetteva di controllare le grandi ricchezze di Karnak.

Fu molto intimo della regina, tanto da dar voce all’ipotesi di una sua storia d’amore con lei, di cui, tuttavia, non si hanno documentazioni. Hatshepsut lo scelse anche come architetto per il grande tempio di Deir el-Bahari, la cui progettazione, fuori dai normali canoni egiziani, dimostra la genialità sia dell’architetto sia della regina. Tuttavia, recenti studi sembrano diminuire l’importanza di Senenmut nella costruzione del tempio della regina.

Tomba TT353
tomba Senenmut
Tomba di Senenmut TT 353

Senenmut ordinò lo scavo della tomba TT 353 di Deir el-Bahari intorno al 7° anno di regno della sua regina, nello stesso momento in cui iniziarono i lavori di scavo del tempio.

Fu scavato in profondità nella roccia, in modo tale che tutto l’insieme funerario di Senenmut rimase integrato all’interno del complesso del sovrano, cioè nel sottosuolo della prima terrazza.

falsa-porta
Pannello della falsa-porta in cui Senenmut è rappresentato
con il padre Ramose e la madre Hatnefer

La lunga e ripida galleria discendente, di cinquantatre metri, termina in una piccolissima camera, brillantemente decorata con il Libro dei Morti, una falsa-porta stele e coronata da un eccezionale soffitto astronomico, unico e splendido, magnificamente conservato attualmente. Detto soffitto astronomico è il più antico conosciuto nella storia dell’antico Egitto.

In esso sono riprodotti i dodici mesi del calendario lunare, così come le stelle e le costellazioni dell’emisfero settentrionale. Un’altra galleria discendente ci conduce a una seconda camera senza decorazione e da questa alla terza con pozzo, anch’essa senza decorazione.

Divenne, infine, tutore della figlia di Hatshepsut, Neferu-Ra, che era la seconda erede al trono dopo Thutmosis III, dimostrando così la grande considerazione in cui era tenuto a corte.

Senenmut e Neferure
Senenmut era il tutore reale, e il monumento di lui che regge una piccola Neferu-Ra lo mostra (British Museum / CC BY-SA 3.0)

Improvvisamente però Senenmut, come spesso succede, cadde in disgrazia, fu sollevato dai suoi incarichi e sparì dalla storia egiziana.

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ANCIENT EGYPT | The divine Karnak

A few kilometers from Luxor, walking through the dusty streets of sand along the river Nile, here stands before our eyes the majestic Karnak temple complex, dating from the New Kingdom, the center of the spread of the cult of Upper Egypt. The “Temple of Temples” was not built on a human scale but for the gods. It is the sacred eye of the lord of the universe, Amon the Unknowable, who guides humanity, the One who remains the One, Amon the Infinite power, with mysterious origins in its splendor.  

Meditative architecture

The complex is dedicated to the worship of the god Amon-Ra, supreme god of heaven and fertility, and it is a part of the impressive temple complex of Karnak, which occupies an area of about 48 hectares. Its construction developed over more than half a millennium, from the sixteenth to the eleventh century BC, but in fact it has never been completed. Various pharaohs were involved in the great enterprise, eager to enlarge it, enrich it and make it more and more majestic.

The complex of Karnak takes its name from an Arabic term meaning “fortified village”, replacing the old Egyptian name of Ipet-sut, “The one that counts the seats”, first reserved to the central part and then extended to its totality. This huge temple complex was the center of the ancient religious cult, while the administrative power was concentrated in Thebes (today’s Luxor).

Beyond the religious function, the site was also the administrative center and seat for the pharaohs during the New Kingdom. Karnak is probably the largest monumental complex ever built in the world, developed from generation to generation and resulting from a composition of temples, shrines and architectural elements unique in Egypt.

Karnak is divided into three sections: the precinct of Amon, Mut and Montu. Its complex layout throws a shade, in terms of size, on any other monumental site in Egypt. The precinct of Amon contains all the most famous sections of the Karnak complex, including the dizzying Great Hypostyle Hall.

Karnak 1789
The temple of Amon-Ra in the complex of Karnak, as it appeared to the Napoleonic expedition in 1789

The first nucleus of the temple dates back to the Middle Kingdom, with the construction of the “White Chapel” by Sesostris I, a small cultic chamber designed to contain the sacred boat. The building of Amon-Ra required many complex construction phases, starting with Tuthmosis I, who enclosed the sanctuary with a wall. Hatshepsut erected obelisks near the eastern wall, while with Tuthmosis III other pillars were added.

With this last sovereign the “Hall of the Feasts” was built, destined to the celebration of the sed feast; another important realization was the construction of a room in the complex called “Hall of the Annals“, where the account of the victorious battles in Syria and Canaan was engraved.

Alone in front of God

In the “Great Hypostyle Hall“, commissioned by Sethi I and Ramses II, we find the place where the spirit circulates in the forest of the unconscious, the true labyrinth, the place where the adept awaits the inspiration that will come down from the capitals of the countless columns.

colonne sala ipostila
Columns of the great hypostyle hall

The columns are the very image of the beginning of the world. They defend and conceal the entrance to the sanctuary and contribute, thanks to the magnetism they radiate, to attract the divinity, sensitive to the beauty of the origins. The dimensions of the hypostyle hall are colossal: 134 gigantic columns, which open their capitals towards the sky, support 70-ton lintels on which the heavy stone slabs of the roof are placed, with a capacity of up to seven meters.

In the Hypostyle Hall one waits and meditates: a tension, an elusive presence fills the space, the light changes and leads in front of the doors of the mysterious dwelling, after which one will find oneself alone with the god and can pray for his purity, his legitimacy. Today’s man becomes a cosmic man, goes through the various stages and reaches perfection.

Tradotto da : https://archeome.it/antico-egitto-la-divina-karnak/

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ANCIENT EGYPT | Deir el-Medina and the artists of the afterlife

Everyone knows the Valley of the Kings, which houses the burials of the pharaohs of the 18th, 19th and 20th dynasty; not everyone, however, knows Deir el-Medina, the village where workers and artisans responsible for the construction of the royal tombs lived. This village is a very important source of documentary information regarding urban planning, social, funerary customs, and literature in ancient Egypt.

A village hidden in a small valley, between the spurs of the Thebes mountain and the hill of Gurnet Murai, Deir el-Medina owes its present name to a small monastery, built not far from the Ptolemaic temple consecrated to Hathor-Maat. The Arabic toponym that indicates this place, in fact, means “monastery of the city”.

The layout of the village

The complex includes about 120 houses and is surrounded by a wall, while inside there are walls that separate the different districts; from the point of view of the dimensions it is rather modest, but what is striking is precisely the careful planning of the spaces, used for housing and for public use, a division that guaranteed the isolation of the community from the outside, fundamental for the protection of the royal necropolis.

Deir el-Medina was inhabited by about 500 people, divided into two sections through a main road running from north to south; on the spot there was the team of “workers”, but actually they were not considered as such, since they were made up of scribes, painters, engravers, sculptors, draftsmen, that we would refer to them today as “artists”, flanked by the workforce of unskilled workers, quarrymen, cement workers and miners, who took turns periodically.

The houses were made of raw bricks (bricks whose mixture of clay and chopped straw was left to dry in the sun), on a base of rough stone that rested directly on the ground, without foundations, and they are all very similar.

Those of the workers, despite being small and simple, are composed of an entrance hall, where an altar was located for domestic offerings, as a place of welcome and prayer. Continuing the exploration, we find a main room with a high ceiling, supported by a central column and equipped with a window with a grate for lighting, then a living room, a kitchen with a cellar below and, finally, the terrace, a place of meeting and refreshments.

 

Section (top) and partial plan (bottom) of a house in Deir el-Medina

Religion come into houses

Ancestor worship at home was very important, and so was the religion in general; we have the cults of Osiris, the God of the Underworld and prince of eternity as he reflects the incarnation of the life cycle; Ptah, the God of Creator and patron of cratftmens; Thoth, god-ibis patron of the scribes; Hathor, the celestial cow that swallows the sun at sunset to give it life in the morning, as well as the “lady of the necropolis”, who welcomes the dead into the afterlife, as well as Amon-Ra, king of all the gods of the Egyptian pantheon. The devotion to these deities was manifested through some stelae, in which various hymns and prayers appear: forgiveness for sins, as well as protection and health are asked.

A school in Deir el-Medina

In addition to stelae, Deir el-Medina has left us many other evidence, not only administrative documents, but also private ones, mainly in the form of ostraka (pottery shards). There are scholastic ostrakas, which therefore attest to the presence of a school (for painters and scribes) in this village, and which report passages from the Kemit, a text that contains models of letters, advice and rules of life, useful for future scribes .

Among the literary texts reproduced in these ostraka, there are mainly passages from the “Satire of the Trades” and the “Teaching of Amenemhat”. The Satire of the Trades includes writings that exalt the virtues of one’s trade, the scribe, compared to other trades, often described in sarcastic terms; this trade is therefore exalted, since an official like this is considered a true teacher of life. The “Teachings”, on the other hand, are a very widespread typology of texts, in which life advice, instructions and teachings are given, in fact, from father to son.

 

The democratization of funerary architecture

The maximum artistic expressiveness, however, must be sought in the tombs of the workers: in this period we are witnessing the birth of a real workers ‘ necropolis, in which the burials have nothing to envy to the noble tombs, in terms of decoration. Originally, there was no pre-established overall plan, only with the nineteenth dynasty the family tombs will be concentrated on the north-western side of the necropolis.

These are tombs with so-called “composite” architecture: the superstructure consists of a small pyramid (hence the definition of “pyramid tomb”), built in poor and perishable material, which demonstrates the democratization process started with the transcription, on papyrus, of the “Book of the Dead; then there is a hypogeum with an underground room, covered by a brick vault. The reliefs and pictorial works on the walls are often of the highest quality and, rare in Egypt, we are witnessing the use of “fresco” painting by the pisé technique (clay mixed with mud on which plaster is applied, which serves as a basis for painting).

 


Diagram of a burial in the Workers’ Village of Deirel-Medina:
a. Pylon; b. Courtyard; c. Water well; d. Hypogeum that housed the mummy / s; e. Chapel; f. Heliopolitan pyramid; g. Dormer window

https://archeome.it/wp-admin/post.php?post=7469&action=edit

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ANTICO EGITTO | Deir el-Medina e gli artisti dell’Aldilà

Tutti conoscono la Valle dei Re, che ospita le sepolture dei faraoni della XVIII, XIX e XX dinastia; non tutti, però, conoscono Deir el-Medina, il villaggio dove vivevano gli operai e gli artigiani preposti alla realizzazione delle tombe reali. Questo villaggio è una fonte documentale molto importante per quanto riguarda l’urbanistica, le abitudini sociali, funerarie, e la letteratura nell’antico Egitto.

Villaggio nascosto in una piccola valle, tra i contrafforti della montagna tebana e la collina di Gurnet Murai, Deir el-Medina deve il nome odierno a un piccolo monastero, sorto non lontano dal tempio tolemaico consacrato ad Hathor-Maat. Il toponimo arabo che indica questo luogo, infatti, significa “monastero della città”.

Struttura del villaggio

Il complesso comprende circa 120 abitazioni ed è circondato da una cinta muraria, mentre all’interno vi sono muri che separano i diversi quartieri; dal punto di vista delle dimensioni è piuttosto modesto, ma ciò che colpisce è proprio l’accurata pianificazione degli spazi, adibiti alle abitazioni e ad uso pubblico, divisione che garantiva l’isolamento della comunità dall’esterno, fondamentale per la protezione della necropoli reale.

Deir el-Medina era abitato da circa 500 persone, suddiviso nel quartiere di “destra” e di “sinistra” attraverso una via principale che corre da nord a sud; in loco si trovavano le squadre degli “operai”, ma che tali non erano, poiché erano composte da scribi, pittori, incisori, scultori, disegnatori, che oggi chiameremmo “artisti”, affiancati dalla forza lavoro composta da manovali, cavapietre, cementisti e minatori, che si avvicendavano periodicamente.

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Sezione (in alto) e pianta parziale (in basso) di una casa a Deir el-Medina

Le case erano realizzate in mattoni crudi (mattoni il cui impasto di argilla e paglia tritata veniva lasciato essiccare al sole), su un basamento di pietra grezza che poggiava direttamente sul terreno, senza fondamenta, e sono tutte molto simili.

Quelle degli operai, pur essendo piccole e semplici, sono composte da un vano d’ingresso, dove era situato un altare per le offerte domestiche, quale luogo di accoglienza e di preghiera. Proseguendo nell’esplorazione, troviamo una sala principale con un soffitto alto, sorretto da una colonna centrale e dotato di una finestra con grata per l’illuminazione, poi un vano soggiorno, una cucina con cantina sottostante e, infine, il terrazzo, luogo di incontro e di rinfresco.

La religione entra nelle case

Il culto domestico degli antenati era molto importante, e, in generale, lo era la religione; abbiamo i culti di Osiride, dio dei morti e principe dell’eternità in quanto incarnazione del ciclo vitale; Ptah, dio demiurgo e patrono degli artigiani; Thot, dio-ibis patrono degli scribi; Hathor, la vacca celeste che al tramonto inghiotte il sole per ridargli vita al mattino, nonché “signora della necropoli”, che accoglie i morti nell’aldilà, oltre ovviamente ad Amon-Ra, re di tutti gli dèi del pantheon egizio. La devozione a queste divinità era manifestata attraverso alcune stele, in cui compaiono vari inni e preghiere: si chiede perdono per i peccati, oltre che protezione e salute.

Una scuola a Deir el-Medina

Oltre alle stele, Deir el-Medina ci ha lasciato molte altre testimonianze, documenti non solo amministrativi, ma anche privati, sotto forma soprattutto di ostraca (cocci di ceramica). Ci sono ostraca scolastici, che attestano, quindi, la presenza di una scuola (per pittori e scribi) in questo villaggio, e che riportano brani della Kemit, un testo che contiene modelli di lettere, consigli e regole di vita, utili ai futuri scribi.

Fra i testi letterari riprodotti in questi ostraca, sono presenti soprattutto brani della “Satira dei mestieri” e dell’”Insegnamento di Amenemhat”. La Satira dei mestieri comprende scritti che esaltano le virtù della propria professione, lo scriba, rispetto ad altri mestieri, descritti in termini spesso sarcastici; viene, quindi, esaltata questa professione, in quanto un funzionario del genere è considerato un vero e proprio maestro di vita. Gli “Insegnamenti”, invece, sono una tipologia molto diffusa di testi, in cui si danno consigli di vita, istruzioni e insegnamenti, appunto, di padre in figlio.

La democratizzazione dell’architettura funeraria 
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Schema di una sepoltura del Villaggio Operaio di Deir el-Medina:
a. Pilone; b. Cortile; c. Pozzo; d. Ipogeo che ospitava la/e mummia/e
e. Cappella; f. Piramide “eliopolitana”; g. Finestra “abbaino”

La massima espressività artistica però, va ricercata nelle tombe degli operai: si assiste, in questo periodo, alla nascita di una vera e propria necropoli operaia, in cui le sepolture nulla hanno da invidiare alle tombe nobiliari, quanto a decorazione. Originariamente, non esisteva un piano di insieme prestabilito, solo con la XIX dinastia le tombe di famiglia si concentreranno sul lato nord-occidentale della necropoli.

Si tratta di tombe ad architettura cosiddetta “composita”: la sovrastruttura è costituita da una piccola piramide (da cui la definizione di “tomba a piramide”), costruita in materiale povero e deperibile, che dimostra il processo di democratizzazione iniziato con la trascrizione, su papiro, del “Libro dei morti; vi è, poi, un ipogeo con un vano sotterraneo, coperto da una volta in mattoni. I rilievi e le opere pittoriche presenti sulle pareti sono spesso di altissima qualità e, caso raro in Egitto, si assiste all’impiego di pittura “a fresco” su “pisé” (argilla mista a fango su cui viene applicato l’intonaco, che serve da base per la pittura).